“BALLANDO CON LE STELLE” 2011: LA FINALE SENZA SPOSINI. VINCE KASPAR CAPPARONI


Ieri, dopo che la notizia sulla gravità delle condizioni di Lamberto Sposini, giornalista conduttore de La vita in diretta e giurato a Ballando, si era diffusa, credo che tutti abbiano pensato a questa finale dello spettacolo condotto da Milly Carlucci. Una finale che, stando alle prime impressioni, avrebbe potuto essere funestata da una brutta notizia. Oggi il clima è, fortunatamente, più sereno. Questa sera al Tg1 si è parlato di ottimismo circa il recupero di Sposini, attualmente in coma farmacologico, in seguito ad un intervento chirurgico cui è stato sottoposto per ridurre una copiosa emorragia cerebrale, forse causata da un aneurisma. Anche se ancora non è possibile valutare quali danni possa avere causato.

Ballando con le stelle è un programma leggero, divertente. Come afferma Guillermo Mariotto, “compagno di banco” in giuria di Sposini, è inevitabile che si parlerà di lui ma se si va in onda in una finale di ballo e musiche è chiaro che non ci metteremo a piangere, se no è meglio non andare in onda.
Anche Milly Carlucci, che ieri non aveva voluto rilasciare alcuna dichiarazione, è un po’ sollevata. Ha, infatti, dichiarato: Adesso serve solo positività, serve il segno più a ripetizione, ottimismo. Non servono le facce contrite! Aspettiamo che Lamberto Sposini si risvegli e poi vediamo. Io dico che se il prossimo anno “Ballando con le stelle” ci sarà ancora Lamberto ci sarà pure lui con il nostro gruppo. Ed è questo lo spirito con cui noi andremo in onda questa sera.

Domani è una giornata particolare: tutto il mondo sta attendendo la cerimonia di beatificazione di papa Giovanni Paolo II. Mariotto, che sarà presente in Vaticano alla Santa Messa, pregherà per l’amico giornalista: pregherò lì. Venerdì sembrava che Lamberto se ne stesse andando, oggi sono più tranquillo.

E ora non resta che aspettare l’inizio del programma e vederE chi sarà seduto al posto di Lamberto in giuria, sempre che si decida per la sostituzione.

[LINK della fonte]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 1 MAGGIO 2011


Com’era prevedibile, Lamberto Sposini non è stato sostituito in giuria. Anche Mariotto ieri l’aveva detto: “Nessuno lo sostituirà”.
Lo spettacolo, sempre gradevole e caratterizzato da delle performance davvero ottime da parte di quasi tutti i concorrenti (personalmente ho trovato un po’ sotto tono Panucci e Burkhard che, infatti, sono stati i primi ad essere eliminati), è iniziato dopo un doveroso e accorato preambolo, pronunciato dalla conduttrice Milly Carlucci, dedicato a Lamberto Sposini. Milly, visibilmente commossa, ha brevemente riferito delle condizioni di salute del giornalista, ricoverato in terapia intensiva al Gemelli, e gli ha dedicato la puntata finale di questa edizione di “Ballando con le stelle”.

Una decisione, quella di non sospendere il programma, che ha lasciato molti interdetti, alcuni proprio disgustati – come la mia lettrice Linda che ha lasciato il primo messaggio ieri sera – ma che obiettivamente era prevedibile: come si dice nell’ambiente, the show must go on, qualsiasi cosa accada. Questo non significa necessariamente essere insensibili al dramma che ha colpito Sposini – “uno di famiglia”, come lo ha definito la Carlucci – ma semplicemente rientra nella logica del palinsesto che, deciso da tempo, non può subire delle modifiche.

Ciò che, onestamente, mi ha dato fastidio, è stata la sfilza di luoghi comuni del tipo “Siamo qui per divertirci, non possiamo piangere”, “Lamberto vorrebbe vederci sereni”, “i parenti hanno bisogno di vedere un po’ di allegria intorno e non facce contrite e pianti” ecc. ecc. Ecco, tutto questo Milly se lo poteva risparmiare. Tant’è che gli stessi concorrenti, almeno all’inizio della puntata, non è che sprizzassero allegria da tutti i pori. E non credo affatto che si trattasse solo di emozione e ansia per la gara.

In ogni caso, come ho detto, lo spettacolo è stato gradevole e la vittoria di Kaspar Capparoni più che meritata. Dispiace un po’ per la giovanissima e bravissima Sara Santostasi che ha sfiorato la parte più alta del podio per un soffio: una manciata di voti, a quanto pare. In una delle clip andate in onda le sue parole sono apparse profetiche: “Sono qui per vincere, arrivare secondi è brutto“. Be’, insomma, anche lei può ritenersi soddisfatta: il suo bel principe biondo, Umberto Gaudino, ha fatto di lei una ballerina strepitosa e non si sa mai che in futuro questa esperienza le torni utile.

Per la cronaca della serata rimando a questo LINK.

WONDERFUL KATE


Da poche ore è la moglie del futuro re d’Inghilterra. Catherine Elisabeth Middleton ha già diritto ad essere apostrofata come “Sua Altezza Reale“, ma non sarà mai la principessa Kate (o Catherine); può assumere, invece, il titolo di principessa William of Wales, prendendo, all’atto del matrimonio, il nome del marito. Questo perché è una commoner o, come diremmo noi, una borghese. Nelle sue vene non scorre il sangue blu dei suoi parenti acquisiti.

Kate, grazie alla regina Elisabetta che ha il potere di conferire i titoli nobiliari, è ora Sua Altezza Reale la duchessa di Cambridge. E, visto che William, con il matrimonio, è diventato anche il conte di Strathearn e il barone di Carrickfergus, Kate è la contessa di Strathearn e baronessa Carrickfergus.

Credo che dei titoli non gliene importi un bel niente. Più che la nobiltà del lignaggio oggi conta, per una giovane sposa, la nobiltà del cuore. Non capita a tutte di essere accolte all’altare dal futuro marito in preda all’agitazione che con un fil di voce dice: “Ti amo, sei bellissima“.

Non sarà mai principessa? Ma lei già lo è, per tutti gli Inglesi e anche per gli altri. E poi lei è semplicemente wonderful.

GOD SAVE THE PRINCESS KATE

[foto da Il Corriere]

SCUOLA: LE PROVE INVALSI S’HAN DA FARE. SÌ, SÌ


Da settimane, ormai, nelle scuole italiane si sta discutendo dei famigerati Test InValsi. In molti istituti, specialmente nell’ambito dell’Istruzione Secondaria di II grado, dove le prove InValsi si effettueranno per la prima volta, limitatamente alle classi seconde, c’è gran fermento e nei Collegi dei Docenti si discute, a volte animatamente, sull’eventualità di rifiutare quello che da molti è considerato come un inutile fardello. Insomma, queste prove InValsi non si vogliono fare, ovvero somministrare. Un termine decisamente sgradevole, manco si trattasse di dare un farmaco a quei poveri studenti le cui capacità, anzi competenze, si vogliono testare.

Sull’utilità, ovvero inutilità delle Prove elaborate dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione ho già parlato in questo post. Né ho intenzione di tornare sull’argomento. Quello che mi preme trattare ora è l’obbligatorietà o meno della somministrazione delle suddette prove.

Molti istituti, come ho detto, sono in agitazione, sollecitati anche dalle proteste del Cobas e altre associazioni sindacali avverse a questo strumento di valutazione. In alcuni Collegi dei Docenti si è pure votata l’adesione o meno all’iniziativa. Qualche tempo fa, per l’esattezza il 20 aprile scorso, il MIUR, attraverso una nota firmata dalla dottoressa Carmela Palumbo, ha ribadito l’obbligatorietà della somministrazione dei test. (LINK)

Nella nota, tra le altre cose, si legge:
Riguardo alle modalità della rilevazione nazionale, come noto, il sistema prevede la somministrazione censuaria in tutte le classi individuate dalle direttive ministeriali (classe seconda e quinta primaria, classe prima e terza I grado, classe seconda II grado). Tra di esse sono state individuate, inoltre, alcune migliaia di classi campione, per le quali la rilevazione è gestita direttamente dall’INVALSI tramite osservatori esterni, che si occupano personalmente di somministrare e correggere le prove. […]
Per le classi non rientranti nel campione la somministrazione e la correzione delle prove è affidata alle scuole […] Alle singole istituzioni scolastiche verrà restituito un rapporto sui risultati degli apprendimenti, in forma strettamente riservata, aggregati a livello di classe […]

Va da sé che, escludendo le classi campione, le prove dovranno essere somministrate dai docenti della classe, ma non necessariamente i diretti interessati, ovvero gli insegnanti di Italiano e Matematica, discipline oggetto d’indagine che, però, logicamente dovranno sobbarcarsi l’onere della correzione dei test.

Su questi due punti i sindacati si sono scatenati: in primo luogo, un’attività non pianificata a livello collegiale viene imposta e sottrae il tempo-scuola alle varie materie e relativi docenti che, essendo in servizio, teoricamente non possono rifiutarsi di sorvegliare le classi; in secondo luogo, la correzione non rientra negli obblighi contrattuali, essendo la prova “calata dall’alto”, quindi i docenti avrebbero un onere in più, quello della correzione di prove di cui, per la maggior parte, non condividono la tipologia, né le ritengono un utile strumento di valutazione tout court, tanto meno sono da considerare utili alla valutazione formativa o/e sommativa.

A queste proteste il MIUR che risponde?
In linea di coerenza anche il piano annuale delle attività, predisposto dal dirigente scolastico e deliberato dal collegio dei docenti, ai sensi dell’art 28, comma 4, del vigente C.C.N.L non può non contemplare tra gli impegni aggiuntivi dei docenti, anche se a carattere ricorrente, le attività di somministrazione e correzione delle prove INVALSI.
Conseguentemente, ferma restando l’assoluta pertinenza sotto il profilo giuslavoristico con le mansioni proprie del profilo professionale, il riconoscimento economico per tali attività potrà essere individuato, in sede di contrattazione integrativa di istituto, ai sensi degli artt. 6 e 88 del vigente C.C.N.L..

Detto in soldoni: la correzione rientra tra le attività aggiuntive (leggi “straordinarie”), quindi retribuite, attraverso la contrattazione decentrata, attingendo al Fondo d’Istituto. Parrebbe un contentino per mettere a tacere i docenti scontenti. E invece no perché essi hanno comunque qualcosa da eccepire: se la correzione dei test è da considerare attività aggiuntiva, allora non può essere imposta. Giustissimo. C’è poi chi aggiunge che il FIS dovrebbe essere utilizzato per attività decise collegialmente e rientranti nel POF (Piano dell’Offerta Formativa). Anche questo è sacrosanto. Tuttavia, al ministero non importa molto, visto che, come d’abitudine, là i conti si fanno senza l’oste.

Ma il Collegio Docenti allora può deliberare la non somministrazione delle prove? No. La dottoressa Palumbo spiega:
Ovviamente anche le funzioni deliberative del collegio dei docenti devono essere esercitate nel rispetto del ruolo di concorso istituzionale che l’ordinamento scolastico assegna alle scuole nell’ambito del Servizio nazionale di valutazione.
Quindi apparirebbero quantomeno improprie le delibere collegiali che avessero ad oggetto la mancata adesione delle istituzioni scolastiche alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti, non solo in quanto esorbitanti dalle competenze deliberative proprie del collegio dei docenti elencate dall’art. 7 del d.lvo. 297/94, ma soprattutto perché in contrasto con la doverosità delle rilevazioni.

A questo punto, converrebbe rassegnarsi. E invece no. Qualcuno obietta che la doverosità delle rilevazioni è tale solo per il MIUR e che se al Collegio è impedito di deliberare, si tratta proprio di un atto di forza al quale, a maggior ragione, bisogna opporsi. Viene lesa la libertà didattica, viene sottratto del tempo alle regolari lezioni, viene imposto un carico di lavoro in un periodo dell’anno in cui ce n’è fin troppo. Anche queste osservazioni sono legittime. Tuttavia, c’è un piccolo particolare che dovrebbe convincere gli incerti sull’impossibilità di rifiutare la somministrazione delle prove InValsi: esse sono obbligatorie per gli studenti, quindi i docenti non possono impedire loro di svolgerle.

A tagliare la testa al toro contribuisce l’avvocato dello Stato Laura Paolucci: in una lettera pubblicata sul sito dell’Ufficio scolastico regionale del Piemonte spiega che le prove sono obbligatorie per le scuole e il collegio dei docenti non ha nessun potere di deliberare in merito.

Non è la prima volta che la dott.ssa Paolucci interviene su questa spinosa questione. Già nel 2009, infatti, aveva chiarito, in una nota, che le prove quindi hanno una “vocazione” esterna alla singola istituzione scolastica, servono (devono servire, non possono servire che) ad operare riflessioni in termini sistemici (al fine di una successiva ed eventuale ricaduta su norme o azioni di carattere generale: ad es. programmi, indicazioni didattiche e metodologiche, benchmarking, ecc.). Precisa, inoltre che nessuna norma attribuisce questa competenza (diversa essendo la valutazione periodica dell’apprendimento e del comportamento degli studenti spettante ai docenti) alle istituzioni scolastiche. Né conseguentemente agli organi amministrativi (organi collegiali e dirigente scolastico) che tali istituzioni compongono né al personale docente a titolo “individuale”. Essendo, quindi, svincolato l’InValsi dalle istituzioni scolastiche ed essendo a tale istituto, e solo ad esso, demandato il compito di provvedere alla misurazione periodica degli apprendimenti nelle varie istituzioni scolastiche, secondo l’avv. Paolucci ne deriva che è metodologicamente scorretta sul piano giuridico l’impostazione della questione in termini di uso di discrezionalità da parte degli organi dell’istituzione scolastica: la questione, se affrontata in seno di collegio dei docenti, non dovrebbe essere proposta all’ordine del giorno né successivamente gestita come se quell’organo avesse un potere deliberativo in proposito. (per leggere l’intera nota della dott.ssa Paolucci CLICCA QUI)

Esaminata la questione nella sua complessità non mi resta che suggerire ai colleghi che non condividono la somministrazione delle prove: le fate svolgere, sorvegliate (perché l’orario di servizio va comunque rispettato), le raccogliete, fate un bel pacco e lo rispedite al mittente. Non mi pare di aver letto alcuna norma che possa ostacolare quest’azione. Forse all’Invalsi se ne faranno una ragione e il MIUR cambierà strategia.

MA CHE BELLA SORPRESA PASQUALE: NELL’UOVO DI CIOCCOLATO UN REGALINO NON ADATTO AI MINORI

La sorpresa dell’uovo di Pasqua, si sa, è molto più gradita dell’uovo stesso. In fondo, la cioccolata la si può mangiare in qualsiasi formato e in qualsiasi momento dell’anno. Ma la sorpresa nell’uovo a volte è attesa dai piccoli e dai più grandicelli per un anno intero.

Per un bambino romano, in vacanza dai nonni in Puglia, la sopresa contenuta in una delle uova pasquali ricevute in dono rimarrà sempre un mistero. Molto sorpesi, è il caso di dirlo, i genitori che hanno preferito distogliere il pargoletto facendogli aprire altre uova piuttosto che spiegare che cosa fosse quella strana sorpresa trovata in un uovo Lindt: una confezione contenente due preservativi.

L’uovo, acquistato dai nonni in un ipermercato di Casamassima (Bari), è stato di certo manomesso in un momento successivo al confezionamento. Così assicura il responsabile della ditta produttrice, aggiungendo: «i profilattici erano in un contenitore che noi non utilizziamo: tutte le nostre sorprese sono custodite in un barattolo blu sigillato».

Infatti, mio figlio stasera, appena finita la cena, ha aperto un uovo di cioccolato Lindt (io non avevo ancora letto l’articolo in questione) e ha trovato la sorpresa custodita in un contenitore blu sigillato: uno stampino per dolci in silicone. Si può facilmente immaginare la delusione nel suo sguardo, mentre mi consegnava, sconsolato, la sua sorpesa dicendo: «Usalo tu». Non riesco nemmeno a immaginare cosa sarebbe successo se fosse capitata a lui la sorpresa del bimbo romano. Be’, di certo non avrei dovuto dare molte spiegazioni e altrettanto sicuramente lui non mi avrebbe consegnato l’oggetto in questione dicendo “Usali tu”. Forse avrebbe esclamato: “Peccato, solo due”. 🙂

[fonte: Il Corriere]

BALLANDO SENZA STELLE: DOPO RAIMONDO TODARO E SIMONE DI PASQUALE, SFUMATA LA FINALE ANCHE PER SAMUEL PERON


“Ballando con le stelle” è una delle poche trasmissioni di “varietà”, com’erano chiamate tempo addietro, che mi appassiona. È un talent show più che un “varietà”, avrà senz’altro da obiettare qualcuno, ma non è polemico come altri talent e i protagonisti sono delle “stelle” a tutti gli effetti: i maestri lo sono nell’ambito della disciplina della danza sportiva, gli allievi lo sono ognuno nella propria professione, dallo spettacolo allo sport passando attraverso il giornalismo. Quindi, possiamo dire che lo show vede, comunque, come protagonisti delle persone già note e non dei “dilettanti allo sbaraglio”, per rubare la definizione alla trasmissione antagonista di “Ballando con le stelle”, ovvero “La Corrida”.

Io seguo lo spettacolo condotto dalla bravissima Milly Carlucci fin dalla prima edizione. Ho imparato, quindi, a conoscere bene ed apprezzare anche i ballerini-maestri che spesso passano in secondo piano, proprio perché le “stelle” brillano di più anche se non certo per le abilità nel ballo. Diciamo che si è più portati a seguire, durante l’esibizione, la performance della “stella” piuttosto che quella del suo maestro. Ma questo è normale perché è evidente che si cerchi di seguire i miglioramenti dei concorrenti, mentre si dà per scontata la bravura dei maestri.

Tra le ballerine ho apprezzato particolarmente la stupendamente flessuosa Natalia Titova che, però, in questa edizione ha una parte limitata visto che è in dolce attesa: a breve darà alla luce la primogenita, rendendo papà il campione di nuoto Massimiliano Rosolino che ha incontrato proprio a “Ballando”, cui ha partecipato nel 2007, la bella maestra di origine russa.
Anche se ritengo che le ballerine siano tutte molto brave, pur essendo alcune di quelle che partecipano all’attuale edizione nuove del cast, prediligo i maestri e in particolare tre di essi che possono essere ritenuti i veterani di “Ballando”: Raimondo Todaro, Simone Di Pasquale e Samuel Peron. Oltre ad essere i più bravi, hanno spesso portato alla finale le proprie partner, alcune poi risultate vincitrici. Quest’anno, tuttavia, due di essi sono finiti ben presto in panchina, uno è riuscito a portare la propria “stella” al ripescaggio e un altro ha lottato fino all’ultimo per far guadagnare alla compagna la finale. Senza riuscirci, però. Ma andiamo con ordine.

Raimondo Todaro, catanese, classe 1987, ha partecipato allo show della Carlucci fin dalla seconda edizione. Pur giovanissimo (aveva solo 18 anni), con un curriculum di tutto rispetto, balla in coppia con Cristina Chiabotto e vince la seconda edizione. Ma non è finita qui: vince anche l’anno successivo con Fiona May e porta alla vittoria anche la giovanissima attrice, interprete di “Amore 14”, film di Federico Moccia, Veronica Olivier, nella scorsa edizione.
Quest’anno gli è stata affidata come allieva un’altra sportiva, la campionessa di nuoto Alessia Filippi. Ma la giovane allieva, troppo alta e troppo poco aggraziata per poter aspirare a qualche abilità coreutica, non ha convinto il pubblico che l’ha bocciata fin dalla seconda puntata. C’è da aggiungere che la Filippi non ha brillato per simpatia e si è rivelata piuttosto permalosa e vendicativa nei confronti della giuria: non ha gradito lo 0 affibbiatole da Ivan Zazzaroni che l’ha definita “una giraffa che balla” e ha portato in studio, il sabato successivo, due peluche in omaggio: una giraffa, appunto, e un asino, accompagnando il gesto con parole piuttosto sferzanti, ovvero “le giraffe possono diventare cavalli di razza, gli asini no”. Insomma, nonostante l’indubbia bravura del bel Raimondo, nulla ha potuto la sua arte rispetto alla poca grazia e alla scarsissima simpatia dimostrata dall’allieva ribelle, tanto che non c’è stata alcuna speranza per la Filippi di essere ripescata.
Vedere un maestro come Todaro in panchina fin da subito, lo ammetto, mi ha fatto un po’ male. Credo che sia stato sfortunato nell’abbinamento e abbia avuto poche armi a disposizione per “addomesticare” la caparbia Alessia.

Un altro dei maestri storici di “Ballando” è Simone Di Pasquale. In assoluto il primo a portare alla vittoria la sua partner: Hoara Borselli, infatti, è la prima “stella” a brillare nella finale del programma. Lo scorso anno Di Pasquale è arrivato alla finale ballando con l’attrice Barbara De Rossi, classificatasi terza.
Ballerino di successo è stato anche interprete del musical “La febbre del sabato sera”, vestendo i panni del protagonista Tony Manero, ruolo che, nell’omonimo film degli anni Settanta, fu del mitico John Travolta.
Quest’anno Simone Di Pasquale è stato abbinato ad una “stella” ancora poco luminosa nello star system: Madalina Ghenea, anni 22. La modella di origini rumene ha ottenuto la notorietà soprattutto grazie ad uno spot, girato insieme a Raul Bova, per un noto gestore telefonico. Anche lei molto alta ma flessuosa e aggraziata, non ha ballato poi così male; tuttavia, non è riuscita a convincere la giuria e ha fatto poca presa sul pubblico, forse perché, più che una “stella”, era una perfetta sconosciuta. Anche nelle occasioni di ripescaggio, la bravura del maestro che l’ha portata a notevoli miglioramenti, riconosciuti anche dalla giuria, non è bastata per rimetterla in gara. Anche in questo caso mi sembra che Di Pasquale meritasse di più e che forse l’accoppiata non è stata delle più felici.

Dulcis in fundo, anche Samuel Peron, ventinovenne ballerino vicentino di indubbia abilità ed esperienza, è presente nel cast di “Ballando” fin dalla seconda edizione in cui ha portato in finale l’attrice Loredana Cannata, arrivata poi seconda. Nell’edizione del 2008 è stato il vincitore della gara in coppia con Maria Elena Vandone e ha partecipato anche alle altre edizioni, ballando anche con una sportiva, Valentina Vezzali, e riuscendo a fare di lei una ballerina abbastanza apprezzata, nonostante gli inizi non lasciassero presagire nulla di buono a causa della poca abilità nel ballo dimostrata dalla schermitrice. Quest’anno Samuel è stato messo in panchina durante la semifinale, senza riuscire a conquistarsi il diritto alla finale insieme all’allieva Barbara Capponi. Quest’ultima, giornalista professionista, è attualmente una delle conduttrici delle edizioni del TG1 del mattino.
Fin dall’inizio il maestro Peron ha difeso energicamente, seppur mantenendo l’educazione che lo contraddistingue, la povera Capponi, mai veramente apprezzata dalla giuria, anche se seguita dal pubblico a casa. Tuttavia, le basse votazioni, a volte davvero molto ingiuste, attribuite a Barbara dai giurati, hanno contribuito non poco a rendere difficile la “sopravvivenza” con il televoto. Nella puntata di sabato scorso ho inoltre constatato che la parzialità di Carolyn Smith e co. è stata veramente indecente, specie in occasione dell’esibizione con l’ospite a sorpresa. Nel caso di Barbara, si è esibito nella veste di ballerino improvvisato l’adorato nipote, appena ventenne, che certamente ha dimostrato il suo affetto nei confronti della zia ma anche la sua mediocrità nella danza. Tuttavia, la giornalista ha dimostrato i miglioramenti che le erano già stati riconosciuti, ha superato l’emozione della sorpresa a ha ballato molto bene. Tutto questo non è bastato, però, per convincere la giuria, ovvero la presidente Carolyn Smith, che le ha attribuito un misero 6. La valutazione sarebbe anche stata onesta, considerando la prestazione del partner inesperto, ma altri concorrenti hanno avuto dei compagni di ballo mediocri, pur ottenendo voti molto alti. Quando poi la Capponi si è trovata di fronte, nello spareggio al televoto, il rivale Christian Panucci, da sempre beniamino del pubblico, nulla ha potuto la bravura di Samuel Peron per evitare l’eliminazione della partner. Lo scarto di pochi punti percentuale (il 47% contro il 53%) ha comunque dimostrato che la “stella” del giornalismo, definita “antica” dalla giuria, ha convinto sempre più il pubblico. Ma il televoto è influenzato comunque dalla valutazione della giuria che non ha mai davvero apprezzato la Capponi ballerina, pur attribuendole a volte dei punteggi più alti.
E così anche il bravo Peron ha abbandonato il sogno della finale. Almeno per questa edizione. Speriamo che tutti e tre i maestri, Todero-Di Pasquale-Peron, dovessero rimanere nel cast delle prossime edizioni, abbiano maggior fortuna con gli abbinamenti: è un peccato vedere delle stelle vere oscurate da altre “stelle” alquanto discutibili, come Cabrerizo e Panucci, solo per fare un esempio e senza voler fare polemica.

[alcune notizie su ballerini e “stelle” sono state tratte dal sito ufficiale di “Ballando con le stelle”]

LEGGI ANCHE L’ARTICOLO CORRELATO: Ballando con le stelle” 2011: fuori la Belvedere e Canino inorge contro il televoto

NATALE CON I TUOI E PASQUA … ANCHE!


La mia è sempre stata una famiglia unita. Unita e allargata, ma non nel senso che intendiamo noi oggi. I miei genitori sono sposati da cinquantotto anni, nessun/a nuovo/a compagno/a, nessun/a figliastro/a, nessun divorzio in famiglia, almeno nell’ambito della parentela diretta.
I miei genitori hanno sempre attribuito un valore profondo all’unità familiare. Sono stati l’elemento di coesione tra il nostro nucleo familiare (mamma, papà, figlio, figlia, nonna) e il resto del parentado. Fin da giovanissimi, i miei hanno sempre frequentato i cugini di entrambi e da questa amicizia sono nati dei matrimoni stranissimi, almeno ai miei occhi di bambina: mia nonna e una delle sue sorelle, ad esempio, hanno sposato due fratelli; uno dei cugini di mia mamma ha sposato la sorella di mio papà; una cugina di mia mamma ha sposato il fratello di mio papà. Insomma, come dice spesso mio marito, che mai è riuscito a destreggiarsi tra l’intricata parentela, un bel casino. Nel senso buono, naturalmente.

Ad ogni festa comandata, ci si incontrava tutti, a casa dell’uno o dell’altro. La domenica si usciva tutti assieme e io potevo giocare con le mie cugine, cosa che gradivo particolarmente avendo un fratello più grande che non è mai stato per me un compagno di giochi. D’estate si andava al mare la domenica e ogni famiglia portava qualcosa: ricordo ancora le lasagne della zia paterna e i dolci di quella materna, oltre, naturalmente, alle superbe melanzane impanate di mio papà. Un menù poco adatto per una giornata al mare, ma si usava così.

Due alberi genealogici che s’incrociavano, fino a formare un’unica grande pianta dai rami rigogliosissimi. Eh sì, perché, avendo dei cugini molto più grandi di me, ho vissuto la nascita dei pro-cugini e anche loro sono stati per me compagni di giochi. Diciamo che per loro io ero una specie di piccola mamma: me li stringevo al petto, li cullavo, fino ad addormentarli, cantavo per loro sulle note del juke box. Ho manifestato con loro i primi segni della mia vocazione: fare la mamma. Poi sono cresciuti e le mie cugine me li mandavano a lezione, intuendo fin d’allora che avevo un’altra vocazione: quella dell’insegnante.

Quando ripenso a come sono cresciuta io, un po’ mi sento in colpa nei confronti dei miei figli. D’altra parte, riflettendoci, non è stata del tutto colpa mia. Loro non sono cresciuti in simbiosi con i cugini, un po’ per la distanza (siamo, infatti, un po’ sparsi qui e là, non viviamo tutti nella stessa città) e un po’ perché nella famiglia di mio marito non c’è mai stata una frequentazione assidua con gli zii e i cugini. L’incontravo, e li incontro, solo in occasioni particolari: matrimoni, battesimi, anniversari, comunioni, cresime e funerali. Come se fosse una specie di parabola: nascita, crescita e morte. Non è il massimo, effettivamente.
Così i miei figli non hanno dei rapporti speciali, come li ho avuti io, con i loro cugini. Si sentono, si scrivono messaggi, a volte si incontrano per qualche ritrovo. Nulla di più.

Pensando alle feste, come ho detto, ci si trovava sempre tutti assieme: Natale o Pasqua, non faceva differenza. Per questo, almeno fino all’adolescenza, non ho mai pensato che ci fosse alcuna distinzione tra una festa e l’altra, nel senso che davo per scontato che si dovesse passare tutti assieme entrambe le ricorrenze. Crescendo, soprattutto dopo aver incontrato mio marito, ho iniziato ad allontanarmi da casa per Pasqua, ma andavo in montagna con quelli che poi sono diventati i miei suoceri e con le cognate. Sempre in famiglia stavo.

Dopo il mio matrimonio, le cose non sono granché cambiate. Solo nel 1986, appena sposati, siamo andati a Roma per Pasqua, a trovare una coppia che avevamo conosciuto durante il viaggio di nozze. Poi, dopo la nascita dei figli, la regola era: il giorno di Pasqua con i miei e il Lunedì dell’Angelo con i miei suoceri. Regola che raramente abbiamo trasgredito (solo un anno siamo andati da soli, con i bambini, sulla riviera romagnola), anzi, più volte abbiamo festeggiato la Pasqua tutti assieme, con genitori e suoceri. Naturalmente quasi sempre mio fratello si è unito a noi.

I miei figli, invece, fin dall’adolescenza hanno fatto proprio il famoso detto “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. D’altra parte è giusto che sia così. E proprio per rispettare la “mia” tradizione sono in partenza per l’Austria con mamma, papà, fratello, cognata, nipote e fidanzato, e naturalmente mio marito. Noi non trasgrediamo, i miei figli sì. Ma va bene così.

Colgo l’occasione per augurare una FELICE PASQUA A TUTTI.

[immagine tratta da questo sito]

WILLIAM & KATE: “THE ROYAL WEDDING”, UN AFFARE DA DUE MILIARDI … DI TELESPETTATORI


Si avvicina la data fatidica che tutta l’Inghilterra, e il mondo intero, attende con trepidazione: il matrimonio del principe William Arthur Philip Louis Mountbatten-Windsor (28 anni) e la non nobile Catherine Elisabeth Middleton (29 anni), che sarà celebrato nell’Abbazia di Westminster il 29 aprile prossimo, di venerdì. Alla faccia della superstizione.

Non so se sarà il matrimonio del secolo (in fondo siamo solo all’inizio del XXI), ma di certo costituirà un evento eccezionale per quanto riguarda l’audience: due miliardi di telespettatori sono stimati, infatti, in tutto il mondo. Gli “appena” 750 mila spettatori che quasi trent’anni fa, il 29 luglio 1981, hanno sentito pronunciare un emozionato I will dalla dolce voce della giovanissima Diana Spencer, mamma di William, sembrano proprio una bazzecola. Molti di più hanno assistito addolorati al funerale di Lady D, nel settembre 1997: circa 33 milioni, una cifra comunque ben lontana dai dati stimati per questo evento che pare abbia ridato un po’ di fiducia nella monarchia inglese agli afflitti sudditi della regina Elisabetta II che ancora non hanno dimenticato la dolce principessa triste, nuora assai detestata da Sua Maestà.

Sull’ultimo numero di TV Sorrisi e Canzoni (n° 17, pagina 33) è riportato un commento di Carlo Rossella alle nozze del principe William. Mi sembra un intervento intelligente e mi piace riproporlo per i miei lettori.

UN GRANDE SPOT PER LA CORONA

Credo che “The Royal Wedding” contribuirà fortemente a dare alla monarchia britannica quella popolarità crollata ai minimi storici dopo gli scandali che hanno investito la relazione tra Carlo e Diana. Inoltre l’evento fa paio con gli 85 anni della Regina Elisabetta, che si festeggeranno a luglio, e cade a tre mesi dalle prossime elezioni. E non sorprenda se gli Inglesi da un lato accorrono in massa alla festa dei loro reali, e dall’altro ad ogni sondaggio si esprimono a favore dell’abolizione della monarchia: i sudditi di Sua maestà vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca. Intanto a Corte per la prima volta entra una ragazza senza una goccia di sangue blu e la cosa non manda in visibilio la regina né Carlo. Si dice addirittura che a un ricevimento prenuziale, al consuocero che si vantava della sua famiglia che “si è fatta da sola”, Carlo abbia risposto: “Be’, potevate farvi un po’ meglio”.
I Middleton incassano la cattiveria e fanno buon viso: dietro la fruttuosa vendita dei gadget nuziali ci sono anche loro.

A questo punto, non mi resta che dire: God save the Queen, anzi sarebbe meglio God save the Princess Kate. Per sopportare una suocerigna come Camilla e una nonna come Elisabetta, ne ha bisogno, povera Catherine.

BALOTELLI VINCE 28 MILA EURO AL CASINÒ E NE REGALA 1000 AD UN HOMELESS

Il tabloid inglese The Sun l’ha definito generous perché, vinti 28 mila euro al casinò, ne ha regalati mille ad un homeless. Lui, SuperMario (Balotelli), guadagna 100mila sterline alla settimana e, a quanto pare, non è affatto nuovo a simili gesti di generosità. Spesso, infatti, girando in città, a Manchester, dove gioca nella locale squadra di calcio, regala denaro ai senzatetto che incontra.

Al di là del gesto generoso, senz’altro lodevole, leggendo la notizia, riguardo le 25mila sterline (pari a oltre 28 mila euro) vinte al casinò, ho pensato subito ad una cosa: è proprio vero che PIOVE SUL BAGNATO.

[fonte: Il Corriere]

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IL RAZZISMO BUSSA ALLA PORTA … DI UNA CASA IN AFFITTO


Chi vive in un condominio lo sa: quando un appartamento viene dato in locazione a degli stranieri, nascono sempre, o quasi, dei problemi. Ricordo che nel palazzo dove abitavo fino a dieci anni fa, la proprietaria dell’appartamento attiguo al mio era disperata. Non voleva fare discriminazioni, quindi affittava il bilocale anche agli stranieri. Nel tempo si sono alternati colombiani, brasiliani, albanesi … non li ricordo tutti di preciso. Ricordo però quanto sia stato difficile spiegare ai miei figli che ci facessero sul pianerottolo degli uomini, prevalentemente nel pomeriggio. Le due signorine che vi abitavano, la cui nazionalità onestamente non ricordo, facevano le ballerine in un night club, la mattina dormivano e nel pomeriggio arrotondavano facendo le squillo. Trovavo oltremodo imbarazzante, per giunta, dover rispondere al citofono a voci maschili che evidentemente non cercavano me. “Ehi, bella, ci siamo sentiti al telefono poco fa … ” costituiva l’enunciato più gentile. E io a spiegare che di certo con me non aveva parlato al telefono e che non facevo quel mestiere là.

Poi è stata la volta degli albanesi. Questi me li ricordo bene. Tranquilli, pareva di non averli nemmeno come vicini di casa. Quasi quasi mi sentivo in imbarazzo io con due maschietti scatenati che si rincorrevano per tutto l’appartamento. Poi, di punto in bianco, non si è visto più nessuno. La padrona di casa si è decisa ad aprire con le sue chiavi l’appartamento solo molto tempo dopo e solo perché gli inquilini erano spariti senza lasciar tracce di sé e, soprattutto, senza aver pagato il canone d’affitto, per mesi. Ricordo che quando aprì la porta mi sono trovata per caso sul pianerottolo: dalla casa usciva un fetore tale da farci credere che avremmo trovato, là dentro, quattro cadaveri in avanzato stato di decomposizione. Fortunatamente si trattava soltanto di avanzi di cibo lasciati dentro e fuori il frigorifero che, se cadaveri non erano, puzzavano terribilmente lo stesso.

Il problema dell’affittare le case agli extracomunitari è quello che non si sa mai quanta gente effettivamente ci andrà ad abitare. L’appartamento attiguo al mio, nel condominio dove abito attualmente, è stato affittato per trent’anni (forse quaranta, non ricordo) alla stessa persona. Andata via questa, la padrona aveva pensato di affittarlo ancora e ci aveva avvertiti che, stranieri o meno, lei non guardava in faccia nessuno a patto che le pagassero il canone. Ovviamente le demmo ragione: chi siamo noi per giudicare le scelte altrui? Fortunatamente si rese conto ben presto che gli extracomunitari, in particolare indiani e pakistani, pretendevano di andarci ad abitare in setto-otto (dichiarati, quindi forse quindici abusivamente) in appena 70 metri quadri. Per fara breve, ben presto la signora si rese conto che non avrebbe mai affittato ad italiani, quindi mise in vendita la casa che fu acquistata, fortunatamente, da una coppia che ha una scuola di lingue e che l’affitta ai suoi insegnanti provenienti perlopiù dall’Inghilterra. Magnifico! Così ogni tanto mi faccio una chiacchierata in Inglese sul pianerottolo. Anzi, nei primi tempi, eravamo spesso invitati alle loro feste e frequentavamo la casa regolarmente. Ma poi gli insegnanti sono cambiati e ne sono arrivati altri molto meno espansivi e per nulla festaioli.

Per giungere al topic, leggo sul quotidiano Il Messaggero Veneto, che in quartiere di Pordenone è stato affisso un cartello in cui si dichiara di essere disponibili ad affittare una casa esclusivamente ad Italiani. La cosa ha suscitato non poche polemiche, tanto che i proprietari si sono dovuti giustificare dicendo: «Abbiamo avuto una brutta esperienza. Una coppia di stranieri ci ha vissuto lo scorso anno. Lei una brava ragazza, ma lui l’ha lasciata e lei si è trovata in difficoltà. Non ce la faceva a starci dietro. Così abbiamo detto basta», aggiungendo che «Nel palazzo vivono dei professionisti. Vogliamo che qui vivano brave persone».

Ora, io credo che gridare allo scandalo non serva a nulla. Nemmeno alla Caritas che, commentando il cartello, tuona, per voce del legale, Carla Panizzi: «Bisognerebbe sempre capire le motivazioni che stanno alla base, però, così come è scritto, è palesamente discriminatorio in termini di razza e lingua».

Io credo che ognuno debba fare quel che si sente. Forse il cartello appare discriminante, forse si potrebbe trovare un altro modo per aggirare l’ostacolo, usando la diplomazia. Trovo, però, che le giustificazioni dei padroni siano plausibili, avendo avuto anch’io un’esperienza indiretta, quella descritta, che mi ha convinto che se uno acquista un immobile con l’intenzione di fare un investimento, non può rischiare di trovare degli inquilini insolventi. Anche se per onestà dobbiamo ammettere che, di questi tempi, con la crisi economica e la precarietà delle occupazioni lavorative, il rischio c’è sempre, anche con gli Italiani.

Mi permetto, infine, un’osservazione: quando i nostri migranti se ne andavano a cercar fortuna all’estero, non si trovavano spesso di fronte a cartelli in cui, senza mezzi termini, si dichiarava di non affittare case agli Italiani? E come no! Certo, erano altri tempi e tutta questa politica dell’accoglienza non esisteva. La storia passata dovrebbe essere magistra vitae, ma sappiamo molto bene che ognuno guarda al proprio orticello, senza curarsi di chi si trova in difficoltà. Questa forma di egoismo non è ancora tramontata, forse perché non abbiamo raggiunto quel grado di civiltà che ci porta ad essere accoglienti nei confronti di chicchessia, senza timori o sospetti. E purtroppo ci lasciamo facilmente condizionare dai pregiudizi che, però, molte volte sono fondati. Perché dovremmo, in nome dell’accoglienza, ignorare questa realtà e uniformarci tutti ad un unico pensiero? C’è chi se la sente e chi no. Ma non per questo dobbiamo giudicare le scelte altrui, sempre che non rechino danno a delle persone innocenti e sfortunate.

[foto e notizia dal Messaggero Veneto]

FRIULI – VENEZIA GIULIA, REGIONE LEADER NELL’INSEGNAMENTO DELLE LINGUE

Leggo su Tuttoscuola.com una notizia che mi riempie d’orgoglio e che mi fa piacere riportare per i miei lettori.

Il Friuli primeggia nell’insegnamento di lingua straniera

Il Friuli Venezia Giulia è all’avanguardia in Italia per aver avviato, da oltre 10 anni, l’insegnamento in lingua straniera di discipline non linguistiche. A riconoscerlo è lo stesso ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, che ha organizzato a Trieste, nella sede della Camera di commercio, la prima conferenza nazionale sul “Content and Language Integrated Learning (CLIL)”, cioè “Apprendimento integrato di lingua e contenuto” che in Friuli Venezia Giulia coinvolge una rete di 90 scuole e 370 insegnanti.

Una situazione definita “di grande partecipazione” sia dal direttore dell’Ufficio scolastico del Fvg Daniela Beltrame, che dall’assessore regionale all’Istruzione Roberto Molinaro, presente all’apertura dei lavori assieme al consigliere del ministro Gelmini, Max Bruschi. Da parte regionale è stato evidenziato che il plurilinguismo appartiene culturalmente alla dimensione del Friuli Venezia Giulia “tanto per le minoranze che qui vivono, quanto per le tendenze europeiste maturate nella seconda metà del 900 in particolare a Trieste, tornata italiana nel 1954”.

Il Friuli Venezia Giulia ogni anno accoglie 8 mila ricercatori provenienti da tutto il mondo. La Conferenza – a cui hanno partecipato l’ispettrice per le lingue della Lombardia, Gisella Langè e i massimi esperti mondiali di CLIL come David Marsh (università di Jyvaskyla), Peeter Mehisto (institute of education di Londra) e Maria Frigols (università di Valencia) – è diventata così un riconoscimento per Trieste e il Friuli Venezia Giulia e un’occasione – è stato affermato – per condividere con il sistema Paese un’esperienza proposta dalle scuole alle istituzioni come priorità.

Be’, tra quei 370 docenti ci sono anch’io. Un’unica osservazione: non so perché il CLIL sia concepito come insegnamento in lingua straniera (normalmente l’Inglese ma, in minor misura, anche le altre lingue comunitarie) di discipline non linguistiche. Lo stesso concetto è presente nelle Indicazioni Nazionali per l’attuazione della Riforma della Secondaria di II grado che prevede l’insegnamento CLIL nell’ultimo anno del corso di studi, sempre relativamente ad una disciplina non linguistica. Sull’argomento tornerò con più calma e con un post dedicato. Ora mi limito a dire che sono cinque anni che insegno Latino e Storia in Inglese, in moduli rigorosamente interdisciplinari, e non ci trovo nulla di inadeguato nella didattica di una Lingua antica come il Latino – ma in relazione al suo aspetto di civiltà e cultura, quindi non strettamente linguistico e letterario – in lingua Inglese. Nei Paesi anglofoni, e non solo, il Latino si insegna. Che c’è di male se noi Italiani lo insegniamo anche in Inglese?