
Sono un’insegnante di Lettere e per me le parole hanno un significato ben preciso. L’etimologia, inoltre, aiuta a comprendere meglio ciò che un termine “vuol dire”. Non è un caso se si utilizza il verbo “volere”: non siamo noi a dover piegare una parola alla nostra volontà, facendo in modo che un termine significhi “altro” rispetto alla sua etimologia. Tutt’al più, si può dare a una parola una connotazione diversa, a seconda del contesto, ma non si deve stravolgerne il significato.
Fatta questa premessa, la parola su cui vorrei soffermarmi oggi è “ricreazione”. Il sostantivo, stando all’etimologia, ha la stessa radice del verbo “creare” con l’aggiunta del prefisso iterativo “ri”. Il verbo latino recreare (re+creare) significava qualcosa di simile a “ristorare fisicamente e moralmente”.
Trasferita nell’ambito scolastico per indicare il cosiddetto “intervallo” tra le ore di lezione, “ricreazione” ha il significato di “pausa dallo studio” (ma si può interpretare, più genericamente, anche come “pausa dal lavoro”): durante la ricreazione, dunque, lo studente si ricrea, si “ristora fisicamente e moralmente”, nel senso che si sgranchisce le gambe (con una passeggiata su e giù per il corridoio o in giardino, se c’è) dopo un lungo periodo passato seduto al banco, si rifocilla mangiando qualcosa e si “rigenera”, distraendo per un po’ la mente dalle fatiche di una mattinata scolastica.
Poi c’è anche qualcuno che durante la ricreazione ripassa per un’interrogazione o esegue frettolosamente dei compiti non svolti. Non si ricrea, ma sono fatti suoi.
Poi c’è anche chi trova sinonimi poco appropriati e molto fantasiosi, cercando comunque di dare un senso alle parole. Ricordo un mio allievo di 30 anni fa (insegnavo alle medie) che, arrivato in ritardo in classe dopo l’intervallo, alla mia richiesta di spiegazioni, rispose candidamente: “Sono andato a riprodurmi”. Lascio immaginare lo sgomento provato, facilmente intuibile dalla mia faccia, al ché il ragazzino si premurò a spiegare: “Ho fatto ricreazione, no? Ricrearsi non è sinonimo di riprodursi?”.
Lezione fuori programma sui sinonimi.
Dicevo, dunque, che la parola “ricreazione” ha un suo significato e, anche se trasferita in un contesto diverso rispetto a quello scolastico in cui è maggiormente utilizzata, non può essere stravolta nel suo significato originario.
Perché mi sono prodigata in questa lezioncina sul lessico italiano, di cui forse non avevate bisogno? Lo spiego subito.
C’è una proposta di Legge che sta per approdare in Parlamento, concernente la legalizzazione della cannabis. Non mi dilungo sulla questione e vi invito a leggere questo articolo.
I cannabinoidi sono definiti “droghe leggere” (perlopiù hashish e marijuana) e per questo, erroneamente, si pensa che non facciano male rispetto alle cosiddette droghe pesanti (cocaina, crack, ecstasy…). La legalizzazione, secondo i promotori del DDL, sarebbe un modo per combattere la criminalità organizzata (ma quel tipo di criminalità dello spaccio di cannabinoidi si fa un baffo!) e per tener lontani i più giovani dagli ambienti malavitosi dediti allo spaccio (che con la legge sarebbe comunque vietato… ciò vuol dire che, con ogni probabilità continuerebbe ad esistere).
Ora, io non entro nel merito della questione “legale” ma vorrei soffermarmi a riflettere sui danni che le cosiddette droghe leggere causano, in particolar modo sui più giovani.
Parto dalla dichiarazione fatta dal ministro della Salute Lorenzin in questa intervista per il Corriere. Da madre, fa sapere il ministro (è donna ma mi rifiuto di usare il femminile “ministra” che trovo orrendo!), non approva la legalizzazione della cannabis perché troppi ragazzini sono abituali consumatori e la legge, che comunque porrebbe il divieto di vendita della droga ai minorenni, non cambierebbe nulla per loro dato che dovrebbero comunque continuare a rifornirsi illegalmente.
Da titolare del dicastero della Salute, Beatrice Lorenzin, si dichiara contraria perché le droghe, anche se leggere, fanno male e creano dipendenza. Se il suo ruolo le impone di salvaguardare la salute della popolazione, mi sembra coerente.
Io appoggio in toto la posizione del ministro. Purtroppo, però, avendo espresso questo parere su Twitter, sono stata sommersa da tweet in risposta, da parte di sostenitori della legalizzazione dei cannabinoidi, insultata, trattata come una demente e, soprattutto, derisa anche nella mia veste di educatrice. Sì, perché secondo questo branco di drogati – non saprei in quale altro modo definirli – avrei sparato un sacco di cazzate portando la mia esperienza di docente che si occupa anche di Ed. alla Salute e che ha avuto, in passato, esperienze con ragazzini fumatori abituali di hashish e, di conseguenza, ha avuto contatti con il Sert (Servizi per le Tossicodipendenze) della città in cui vive.
In buona sintesi, ho detto che la cannabis fa male, anche quando si tratta di utilizzo non abituale (una canna, per dire, equivale a 20 sigarette fumate in colpo solo), comporta seri problemi al sistema neurologico, specie nei più giovani, e danni permanenti. Non solo, i ragazzini consumatori abituali di cannabis, diventano aggressivi, sono soggetti a sbalzi di umore, hanno seri problemi a concentrarsi e per questo spessissimo vanno male a scuola.
I minorenni, poi, sono inviati al Sert (che non si occupa solo di dipendenze gravi e gravissime ma di tutte le dipendenze, anche da alcol e fumo!) per fare un percorso di riabilitazione, anche con le proprie famiglie, le quali possono partecipare ai gruppi di autoaiuto. Tutto ciò non può essere coercitivo, ovviamente, ma è un dato di fatto che se il Sert si occupa anche di fumatori abituali di canne è perché pure marijuana e hashish provocano dipendenza. Non solo, molte volte per curiosità questi ragazzini provano anche altre droghe (acidi, crack, ectasy) decisamente più pesanti, aggravando la loro dipendenza.
Questa è la situazione, ma sembra che dicendo ciò io abbia straparlato. In fondo, una canna non ha mai fatto male a nessuno, no? Chi è che non ha mai provato a fumare uno spinello? Quante volte l’abbiamo sentito dire?
Ora, io fumo da quand’ero ragazzina e per questo mi batto tre volte il petto recitando il mea culpa. Ma mai, lo giuro, ho fumato marijuana o simili. Ne avrei avuto la possibilità, ma non l’ho fatto.
A 13 anni, quando frequentavo la terza media, giravo per la città in compagnia della sorella di un mio compagno di classe, più “vecchia” di me di qualche anno, tappezzando i muri con degli adesivi che portavano la scritta “No drugs” (anche quelli con su scritto “No aborto” ma questa è un’altra storia..). Ne capivo poco, non fumavo nemmeno le sigarette allora ma avevo già le idee chiare. Non ero stata plagiata, per essere chiari, e sono sempre stata coerente con questa mia forse inconsapevole, a quei tempi, presa di posizione.
A questo punto, molti dei lettori (quelli che hanno avuto la pazienza di arrivare fino a qui… mi scuso se il post si sta allungando e vi posso garantire che sto stringendo al massimo) si staranno chiedendo che cosa c’entri il titolo e la lunga premessa sulla parola “ricreazione”. Ora ve lo dico.
Nella proposta di legge, oltre alla legalizzazione delle sostanze di cui sopra, attraverso la libera vendita (su cui ovviamente, con il monopolio, lo Stato ci guadagnerebbe!), si rende possibile la detenzione di una piccola quantità di cannabis (5 grammi all’esterno innalzabili a 15 grammi da tenere in casa) e sarà lecito il possesso di quelle quantità per uso ricreativo, senza dover richiedere alcuna autorizzazione o comunicazione.
Ecco, è proprio il riferimento all’aggettivo “ricreativo” che non comprendo: secondo quanto esposto sopra, non trovo nulla che nell’utilizzo della cannabis possa portare a “ristorare fisicamente e moralmente” chi si fa le canne. Anzi, è vero il contrario.
[immagine da questo sito]
AGGIORNAMENTO DEL POST – 25 AGOSTO 2016
Come previsto, è arrivato un commento (che ho deciso di non pubblicare in quanto l’e-mail di riferimento è risultata fasulla) in cui mi si offende e tratta da ignorante e incompetente. Il lettore, il quale asserisce di essere capitato qui per caso (figuratevi se ci credo!), mi accusa di “parlare di cose che non conosco” e di aver scritto “un articolo che si fonda su presupposti privi di veridicità”. Naturalmente, il tutto senza fornire uno straccio di prova del contrario.
Il “Lettore per caso” ha poi dichiarato l’intenzione di inserire “subito il blog nella lista di blocco dei domini che google non mi dovrà mai più mostrare in nessuna ricerca”. Ma sai quanto mi interessa!
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