LE DONNE DI ULISSE: CIRCE, L’AMANTE MAGA


Parlare di Circe mi mette un po’ a disagio. Non è una questione di pudore: di donnacce nell’antichità ce n’erano tante, così come ce ne sono tutt’oggi. E’ piuttosto una questione di principio: è difficile ammettere che anche la maga, nonostante tutto, abbia i suoi meriti, nel male più che nel bene. Primo fra tutti quello di aver accalappiato Ulisse che, nonostante Omero cerchi di giustificare il suo momento di defaiance con lo spirito di sacrificio, quello, cioè, che lo spinge a salvare i compagni, non disdegna la compagnia di Circe per un anno intero. Per dirla tutta, saranno i compagni a smuoverlo da questa magica infatuazione, chiedendogli di riprendere il mare per far ritorno a casa, altrimenti chissà quanto altro tempo se ne sarebbe rimasto sull’isola di Eea in dolce compagnia!

L’episodio viene narrato nel X libro dell’Odissea e costituisce uno di quegli elementi fantastici che caratterizza questo poema e lo distingue dall’Iliade, interamente dedicata ad imprese belliche. Quando, a scuola, si introduce l’Odissea, si tende a sottolineare proprio questo aspetto: è come un romanzo d’avventura, pieno di colpi di scena, animato da maghe, mostri, creature fantastiche, avvolto, in certi punti, da un alone di mistero. Circe è uno di quei personaggi fantastici che popolano il poema, eppure in molte edizioni scolastiche l’episodio che la riguarda è censurato; se compaiono pochi versi, sono privi di ogni riferimento che più o meno esplicitamente riconduca la maga alla sua reale dimensione: una specie di prostituta che si diverte con i forestieri di passaggio, per poi tramutarli in porci.
Ora, io mi chiedo: i ragazzi d’oggi sono abituati ad ogni sorta di schifezza, alla televisione non c’è film in cui manchi almeno una scena di sesso, persino alla pubblicità il nudo, ovviamente femminile, è all’ordine del giorno, perché mai, allora, si dovrebbero scandalizzare nel leggere i versi in cui Circe, di fronte ad Ulisse che minaccioso sfodera la spada, esorta:

Suvvia, la tua spada riponi nel fodero;
saliamo noi due sul mio letto, così che sul letto
insieme congiunti in amore, possiamo
scambiare fra noi la fiducia dell’animo
. (Odissea, X, vv.347-350)

Dipende, poi, da come vengono letti questi versi: la parola chiave qui è evidentemente “fiducia”; il sesso non c’entra, anche se l’invito all’atto sessuale è più che esplicito. Ulisse non si fida, e fa benissimo, quindi la maga propone un’unione carnale che sancisca il “patto di non aggressione”: se vieni a letto con me potrai fidarti, non t’ingannerò, manterrò la mia promessa.
Il problema è, secondo me, che la parola chiave vista dai ragazzi non è “fiducia” ma è “letto”. Quando si parla di letto, ci si deve aspettare un coro di risolini. È evidente che il loro orizzonte sessuale è, a quattordici anni, ancora limitato, specie quello dei maschi, mentre l’immaginazione è fervida e suscita questa sciocca reazione che scoraggia l’insegnante ad analizzare il passo, se è presente nel libro, o l’editore a pubblicarlo.

Detto questo, è opportuno spendere due parole sull’origine della maga. Secondo la tradizione, Circe è figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Pesside, appartenente alla stirpe di Oceano. Nella sua famiglia ci doveva essere qualche tara ereditaria, visto che una delle sorelle sarebbe Pasifae, sposa del re di Creta Minosse. Credo che tutti conoscano le tendenze sessuali leggermente deviate della regina: ella, infatti, si sarebbe innamorata di un toro e da esso avrebbe generato il Minotauro, che nel nome stesso racchiude le due nature, umana e taurina. Tale mostro poi fu richiuso dal re di Creta nel famoso labirinto e poi ucciso da Teseo. Qualche fonte cerca di reinterpretare il mito restituendo l’onore e l’integrità mentale alla regina Pasifae: Plutarco, infatti, afferma che la relazione da cui nacque il Minotauro era stata intrecciata dalla regina con un uomo di nome Taurus. Ingenua, come spiegazione, visto che in questo modo non si giustificherebbero le caratteristiche fisiche del mostro del Labirinto. Inoltre, in entrambi i casi, le corna a Minosse nessuno gliele toglie!

Comunque stiano le cose, è certo che le donne in famiglia erano un po’ strane: ad una piacevano i tori, all’altra … i maiali.
Preferenze sessuali a parte, la leggenda narra che la nostra Circe, dopo aver ucciso senza tanti complimenti il marito, re dei Sarmati, si rifugiò nell’isola di Eea e si dedicò ad un’attività altamente umanitaria: ospitare i forestieri di passaggio, offrendo loro un letto, il suo. Peccato che, dopo aver concesso loro anche i suoi favori, li trasformasse in porci. Anzi, se gli ospiti non erano di suo gradimento, li tramutava direttamente in animali e così fece anche con undici compagni di Ulisse.

Ma l’abilità della maga in fatto di mutazioni non si limitava ai soli suini: un’altra leggenda ci tramanda che, innamoratasi del dio marino Glauco e non riamata, trasformò la di lui compagna Scilla, bellissima ninfa, in un orribile mostro marino con sei teste e sei bocche dotate ciascuna di una triplice fila di denti. La fanciulla nella nuova veste si fece talmente tanto schifo che, disperata, si gettò in mare e si nascose in uno scoglio di fronte all’antro abitato da un altro mostro marino, Cariddi, che creava dei terribili vortici mettendo a repentaglio la vita dei naviganti. Lo stesso Ulisse avrebbe sperimentato, durante la navigazione, la voracità di Scilla, se Circe medesima, impietosita, non l’avesse messo in guardia. Nonostante tutto, il passaggio tra Scilla e Cariddi costò ad Ulisse la perdita di sei compagni, ghermiti dal mostro mentre la nave stava superando il gorgo di Cariddi (cfr. l. XII). Nella realtà, Scilla e Cariddi sono due scogli emergenti dal mare tra Reggio Calabria e Messina.

Da tale famiglia non ci si poteva aspettare evidentemente niente di meglio. Tornando al nostro racconto, Ulisse approda sull’isola di Eea dopo aver superato terribili avventure: quella con Polifemo, a tutti nota, e con i Lestrigoni, giganti cannibali che lanciano dall’alto delle rocce dei massi enormi, distruggendo quasi completamente la flotta dei Greci. Sull’unica nave uscita indenne da tale esperienza, il nostro eroe, ormai in preda allo sconforto, riprende il mare con i pochi superstiti e giunge, quindi, sull’isola di Circe.
Si dice che “sbagliando s’impara”; beh, ai tempi di Ulisse il motto non doveva essere ancora molto diffuso, visto che, ancora una volta, si avventura in un posto apparentemente deserto e sconosciuto che potrebbe nascondere chissà quali insidie. Anzi, per dire la verità, in un primo momento la diffidenza lo porta a non esporsi a potenziali pericoli; poi prende il sopravvento lo spirito d’avventura e la “sete di conoscenza” che gli fa cambiare idea: due gruppi di uomini andranno ad esplorare l’isola, uno guidato da lui stesso, l’altro capitanato da Euriloco, ma solo quest’ultimo si spingerà fino al palazzo maestoso scorto da lontano.

Il palazzo di Circe, fatto di lucido sasso (X, v.211), potrebbe passare per una delle tante dimore incantate delle fiabe se non vi aleggiasse intorno un’atmosfera alquanto sinistra: a fare la guardia non ci sono alani o dobermann ringhianti, bensì lupi montani e leoni/ammansiti da lei con farmaci tristi (ibidem, vv.212-213) che incominciano, scodinzolando, a fare le feste al gruppo in esplorazione. L’insolito quadretto sarebbe bastato per far fare dietro-front ad Euriloco e compagni, ma una voce melodiosa li incanta:

e udirono Circe che dentro con bella
voce cantava tessendo una tela
grande, immortale, come sono i lavori
che fanno le dee: delicati, fulgidi, fini
.(X, vv.222-225)

La maga, che essendo figlia di Elios è anche una dea, si trova nel portico ed è intenta alle solite opere femminili: destino comune a tutte le donne, mortali o immortali, quello di tessere! La voce melodiosa incanta a tal punto i nostri Greci che, nonostante tutti avessero visto ed udito ciò che c’era da vedere ed udire, uno di essi, Polite, il più caro tra i compagni di Ulisse, sente il bisogno di puntualizzare:

Amici, là dentro c’è una che tesse una tela grande,
una dea o forse una donna:
dolcemente essa canta e intorno ne suona la valle;
noi diamole presto una voce
! (X, vv.228-231)

Ogni volta che leggo questi versi, mi viene in mente una poesia splendida, dedicata non ad una dea, o ad una maga, ma ad una donna mortale, anzi, per dir la verità, ad una fanciulla morta troppo presto per vedere realizzati i suoi progetti, le sue speranze: A Silvia di Giacomo Leopardi. Così scrive il poeta:
Sonavan le quiete
stanze e le vie d’intorno al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi
. (Op. cit.,vv. 7-12)
Il fatto che una delle “opere femminili” sia proprio la tessitura, trova conferma qualche verso più avanti, quando il poeta fa riferimento alla man veloce che percorrea la faticosa tela (Op. cit., vv.21-22).
Che Leopardi, grecista provetto, avesse in mente proprio l’episodio di Circe e dai versi omerici succitati avesse tratto spunto per la sua composizione, è cosa assai probabile. Si può aggiungere che l’immagine della maga, fino a questo punto, non ha nulla di scandaloso, anzi è talmente tanto poetica da ispirare dei versi dedicati ad una tenera creatura come Silvia.

Molto diverso è il seguito delle due storie: dopo aver ammaliato i Greci con il canto melodioso, tutti tranne Euriloco che si tiene alla larga intuendo l’insidia, la maga li rifocilla con un menù a base di cacio, farina, miele e vino di Pramno, il tutto condito con una buona dose di filtri funesti perché della patria/terra cadesse del tutto in oblio la memoria (X, vv.240-241).
Caduti gli imprudenti nella trappola, con un colpo di verga (una sorta di bacchetta magica) si ritrovano nelle vesti, anzi nelle setole poco dignitose di porci e voce di porco/avevano essi, ma intatta era la mente rimasta (ibidem, vv.243-246).
Anche leggendo questi versi, mi viene in mente un’immagine: quella del Pinocchio di Disney che, giunto al paese dei Balocchi, mentre assieme a Lucignolo si diverte a fumare e a giocare a biliardo, inizia a trasformarsi in “ciucchino”, con tanto di coda e di orecchie appuntite, mantenendo l’umana favella intercalata, tuttavia, di quando in quando, da un poco dignitoso raglio! Non serve puntualizzare che è molto improbabile che Disney avesse in mente i versi omerici quando disegnava l’episodio nel suo cartone animato!

Tornando ai nostri Achei, la situazione si fa critica. Euriloco corre ad avvertire Ulisse che, impavido, parte immediatamente alla volta del palazzo per soccorrere i compagni. Ma come avrebbe potuto lui, seppur astuto, resistere alla maga, convincerla a neutralizzare l’incantesimo senza alcun intervento divino? Insomma, sarà un eroe ma è pur sempre un mortale e di fronte a situazioni di tal sorta è un po’ difficile escogitare qualche trucchetto. Che fa, l’acceca come aveva fatto con Polifemo? Mentre è immerso in tali pensieri, suppongo, incontra, guarda caso sotto mentite spoglie, il dio Ermes (Atena in quel momento doveva essere impegnata altrove, visto che di solito è lei che si precipita in soccorso di Ulisse). Questi lo mette in guardia dalla maga e gli consegna un antidoto ai filtri magici di Circe:

Ti do questo farmaco buono; adesso va’ pure da Circe. […]
Farà per te un beveraggio veleni versandovi;
ammaliarti però non potrà, ché il farmaco buono,
che sono a darti, verrà ad impedirlo
. (vv.296-301)

Come continua la storia, già lo sappiamo: inutile dire che di tutto il discorso fatto da Ermes, il nostro Odisseo se ne infischia. L’unica cosa che gli importa è non rimanere vittima dell’incantesimo e quando si trova a tu per tu con la maga, non prima comunque di aver consumato l’amplesso, pretende che Circe liberi i compagni dalle turpi vesti suine.
Nonostante il dio avesse detto ammaliarti non potrà, lo ammalia, eccome! Vi pare che altrimenti sarebbe rimasto in sua compagnia per un anno? Ma pensiamo ai nostri eroi: per dieci anni avevano combattuto una guerra e, anche se presumibilmente qualche ancella sessualmente servizievole l’avevano trovata, erano lontani da casa, dalle loro mogli e fidanzate. Come si può resistere a tale tentazione? Pare, infatti, che la casa di Circe pullulasse di graziose fanciulle che non disdegnavano la compagnia maschile. E’ facile immaginare, quindi, che a tutti piacesse restare, nonostante non fossero più in preda a filtri magici.

Solo dopo un anno i compagni si stufano: si sono divertiti abbastanza e a gran voce chiedono al loro capo di riprendere il mare. Si può constatare, quindi, quanto gli uomini siano volubili: si stancano presto delle donne, hanno bisogno, come si dice, di cambiare aria. Il meno convinto di tutti pare fosse Ulisse, ma non sa dire di no, forse anche a lui Circe era venuta a noia e la maga, seppur riluttante, lo lascia andare. Lei, in fondo, ha raggiunto l’obiettivo: accalappiarsi l’uomo più astuto del mondo e far sì che si dimentichi persino di escogitare qualche subdolo piano per andarsene. Ulisse chiede il permesso (non è davvero da eroe!) e lei acconsente. Anzi, fa di più: lo convince a compiere un viaggio (un altro!) non per mare, ma nell’Oltretomba, dove l’indovino Tiresia gli avrebbe predetto il futuro. Uomo avvisato …

Dopo la partenza di Odisseo, che ne è di Circe? Pare che l’unione tra i due avesse dato dei frutti: Telegono, che secondo una leggenda ucciderà involontariamente il padre dopo essersi recato ad Itaca per fare la sua conoscenza, e forse anche una certa Cassifone. Non sappiamo quanti e quali figli esattamente l’eroe abbia sparso in giro per il Mediterraneo, ma la sua era decisamente una famiglia moderna: allargata. La storia della famiglia legittima di Ulisse e quella della famiglia illegittima si intrecciano: pare, infatti, che dopo essere giunto ad Eea, insieme alla madre, Telemaco avesse sposato la sorellastra (l’incesto non destava scandalo a quei tempi) e che Cassifone lo avesse ucciso subito dopo le nozze per vendicare la madre Circe, uccisa dal fratellastro-marito.
Comunque sia, fatti due conti, o Telegono e Cassifone erano gemelli, o alla partenza di Ulisse Circe era incinta del secondo figlio. Se poi si aggiunge il fatto che un’altra tradizione vuole che la coppia avesse avuto altri due figli, Anzio e Latino, i conti si complicano maggiormente e non vale proprio la pena di perderci la testa. Il fatto è che i Romani volevano a tutti i costi attribuire l’origine di molti luoghi italici agli eroi omerici, e così è sorto una specie di labirinto di nomi dal quale, una volta entrati, non si esce più, pertanto resteremo fuori che è meglio.
Resta il fatto che la maga omerica presso i Latini ebbe molta fortuna; nonostante l’indubbia amoralità, venne deificata ed onorata nella sua “isola” oggi nota come promontorio Circeo, che da lei, appunto, prende il nome.

[nell’immagine “Circe e i suoi amanti” di Dosso Dossi, National Gallery of Art, Washington]

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5 pensieri riguardo “LE DONNE DI ULISSE: CIRCE, L’AMANTE MAGA

  1. Devo, come sempre fare i complimenti che questo post merita.

    I tuoi riassunti mitologici sono sempre belli da leggere e per chi, come me, non ha seguito studi classici ( quindi non è completamente a conoscenza di quelle storie) essi riescono a dare una visione chiara e semplice dei versi omerici che sicuramente i testi integrali hanno più difficile lettura.

    Ciò è quello che più ammiro in te, e saranno questi i tuoi post che più seguirò e se posso commenterò.

    Anche il riferimento alla poesia “A Silvia” di Leopardi arricchisce la storia, le descrizioni e l’analisi dell’opera .

    Come sempre devo farti i complimenti e sono davvero tanti e sinceri.

    Hai sempre ammesso e confessato, senza falsa modestia, di essere fiera e orgogliosa della tua cultura… ne sono convinta e lo trovo un giusto sentimento…. quindi sono certa che questi complimenti ti faranno piacere….
    Ti prego di credere però, che quando non condivido i tuoi pensieri non è mai per dispetto ne per cattiveria, le prospettive di visuale sono sempre tante e a volte anche contrastanti e la verità è sempre difficile da individuare…

    Ho avuto già modo di darne una dimostrazione (che ho memorizzato da qualche testo o citazione) che mi piace ripetere: “anche lo specchio che riflette perfettamente l’immagine non è veritiero, perché quello che è sinistro risulta destro e il destro, sinistro” …

    Sempre aperta e sincera, ti saluto affettuosamente

    eli

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  2. Cara Elisabetta,

    innanzitutto bentornata! Mi fa piacere che tu ti goda la lettura dei miei pezzi sui personaggi omerici e ancora grazie per i tuoi complimenti sempre molto graditi.

    Ricambio il tuo saluto affettuoso e ti aspetto presto! 🙂

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  3. A meno che non sia un articolo dal tono volutamente ironico (e qui chiedo perché in tal caso non si capisce bene se si sta ironizzando oppure no) non capisco l’uso di termini quali donnaccia, specie di prostituta, tara ereditaria… Mi fa pensare che l’analisi venga fatta a partire da una lente morale fortemente giudicante che nulla ha a che fare con quello che realmente è l’epica e sono i personaggi in sé.

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