Dedicare la vittoria a qualcuno che si ama penso sia una bella cosa. In fondo chi, nello sport o comunque in tutte le altre attività che prevedono un premio, ottiene brillanti risultati ha sempre a fianco qualcuno che lo ama ed è disposto a sacrificarsi per far sì che il suo lui o la sua lei realizzino il proprio sogno.
Tutto ciò che accade “dentro” uno schermo televisivo, al giorno d’oggi è destinato a diventare social. E diciamo che c’è anche qualcuno – più di qualcuno, molti – che ama mettersi in mostra, anche con la sola intenzione di rendere partecipe il mondo della propria felicità. Un esibizionismo innocente, diciamo così.
Talvolta si va forse un po’ troppo fuori dagli schemi. E’ il caso, ad esempio, del tenerissimo fidanzato della tuffatrice cinese He Zi, medaglia d’argento alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, che le ha chiesto di sposarlo, offrendole l’anello, rigorosamente in ginocchio come si addice alle dichiarazioni di matrimonio in piena regola (QUI la fotogallery dell’evento). E non stupiamoci se lei, ancora ansimante per la gara appena conclusa e comprensibilmente emozionata per il secondo posto sul podio, abbia tentennato un po’ prima di rispondere sì. Doveva soltanto riprendere fiato.
Non dobbiamo meravigliarci, inoltre, del fatto che dopo l’assenso di lei, i due si abbracciano quasi fraternamente invece di baciasi in modo appassionato. Stiamo parlando di cinesi ed è già un miracolo che fidanzato di He Zi abbia spettacolarizzato un momento così intimo, data la nota riservatezza degli orientali in genere.
Meno stupore ha destato, a mio parere, la dedica della medaglia d’argento – un secondo posto un po’ a sorpresa nel nuoto di fondo – dell’atleta italiana Rachele Bruni: «Questa medaglia è per la mia famiglia, il mio allenatore e la mia compagna Diletta». Un’omosessualità mai nascosta, a detta della Bruni, e considerata un fatto del tutto “naturale”. Concordo pienamente ma… c’è un ma.
Il sito specializzato Outsports, riferendosi a coloro che hanno dichiarato apertamente la loro preferenza sessuale, prima o durante i Giochi, ha “contato” 49 nomi di uomini e donne a Rio, mentre a Londra i gay dichiarati erano soltanto 23. In aggiunta, il curatore della ricerca Jim Buzinski, si è dichiarato convinto che la crescita sia dovuta alla esposizione mediatica del tema negli ultimi anni, e non all’aumento della tendenza in sé, naturalmente.
In modo molto meno ortodosso, un giornalista americano è andato letteralmente a caccia di gay a Rio. Nico Hines, del «Daily Beast», ha utilizzato la app gay Grindr al Villaggio Olimpico, ricevendo diverse offerte di incontro. Il giornalista nell’articolo ha indicando nazionalità e disciplina sportiva degli atleti omosessuali, due informazioni che potrebbero bastare per identificarli. Per alcuni di loro, soprattutto quelli che vivono in Paesi dove l’omosessualità è ben lungi dall’essere accettata, questa sorta di “rivelazione”, per giunta non diretta, può essere decisamente rischiosa.
Su Slate, una testata on line che si occupa di LGBTQ, il pezzo di Hines è stato definito «squallido, pericoloso e immorale», mentre per Mic l’inchiesta è «un disastro omofobo».
Ora, permettetemi una riflessione, anzi due.
Della proposta di matrimonio in mondovisione apprezzo soprattutto il coraggio del giovane cinese ma, onestamente, al di là della tenerezza che ha suscitato, se la poteva risparmiare.
Sul fatto che la nuotatrice italiana Rachele Bruni definisca l’omosessualità un “fatto naturale” concordo pienamente. Ma è altrettanto naturale l’eterosessualità che, tuttavia, non viene sbandierata ai quattro venti (fatta eccezione per la dichiarazione del cinesino e forse qualche altra dedica al partner che non è rimbalzata con la stessa prepotenza agli onori della cronaca).
Ma c’è un’altra cosa che mi fa pensare: che si facciano delle indagini sull’orientamento sessuale degli atleti, al solo scopo di individuare i gay, e addirittura si possa concepire una “caccia agli omosessuali” con tanto di adescamento (mi si perdoni il termine che, dal punto di vista legale, costituisce un reato vero e proprio) via web, mi porta a credere che l’omosessualità sia ancora lontana dall’essere considerata un “fatto naturale”.
Spero di non essere fraintesa e mi auguro che i lettori abbiano la perspicacia di comprendere che la mia riflessione è nata soprattutto dalla rabbia nel constatare che un “fatto naturale” da una parte debba avere un certo rilievo e dall’altra sia smentito da persone – e dagli atti che ne conseguono – un po’ meschine.