PREMESSA.
Avrei dovuto pubblicare questo articolo il 28 gennaio, purtroppo però non ho fatto in tempo. Vent’anni fa a Mostar infuriava la guerra dei Balcani, scoppiata all’indomani della dissoluzione dell’ex Jugoslavia e che vedeva contrapposte due nazioni, la Bosnia e l’Erzegovina, e tre gruppi etnici: serbi, croati e musulmani. Una guerra dimenticata, forse, ma che ha causato circa 80mila vittime, tra soldati e civili. Tra queste, anche un giornalista della Rai, Marco Luchetta, l’operatore Alessandro “Saša” Ota e il tecnico di ripresa Dario D’Angelo.
Non ho fatto in tempo a pubblicare questo post per l’anniversario, dicevo, perché non volevo fare un articolo di cronaca, non sono una giornalista. Volevo metterci il cuore, anche se ne è uscito un pezzo perlopiù informativo. Mi scuso in anticipo, specie con chi dovesse leggere questa pagina e ne sa più di me, per le inesattezze o per eventuali superficialità. Non potevo dilungarmi oltre, è evidente.
Questo mio post vuole ricordare quel tragico evento ma in particolare, senza nulla togliere alle altre vittime, la figura di Marco Luchetta che ho avuto il privilegio di conoscere. Una persona speciale che dedicava la sua vita all’adorata famiglia – la moglie Daniela, detta Dea, e i due figli Carolina e Andrea – e alla professione che aveva scelto, onorandola con l’impegno e lo spirito di sacrificio che lo distingueva.
Ricordo ancora Marco al mare, quando, libero dagli impegni professionali, non mancava mai di raggiungere i suoi cari, dedicandosi al gioco con i bambini, occasione che gli permetteva di far emergere quello spirito “fanciullino” che bene si coniugava con l’aspetto di eterno ragazzo, grazie anche alla frangia ribelle che amava portare sugli occhi.
Marco aveva 41 anni quando, quel 28 gennaio 1994, una granata pose termine alla sua breve vita, assieme ai suoi compagni di lavoro con cui condivideva un unico scopo: testimoniare gli orrori di una guerra di cui troppi, ora come allora, ignorano l’esistenza.

QUEL TRAGICO VENERDÌ
Marco, Saša e Dario, tutti dipendenti della sede Rai di Trieste, erano partiti dal capoluogo giuliano qualche giorno prima per recarsi a Mostar, città dell’Erzegovina che aveva dichiarato la propria indipendenza, in seguito allo scoppio della guerra.
Nel 1993, i croati bosniaci e i bosniaci musulmani cominciarono una lunga lotta per il controllo di Mostar. I croati lanciarono un’offensiva il 9 maggio durante la quale bombardarono senza tregua il quartiere musulmano, riducendolo in gran parte in rovina, comprese numerose moschee e case del periodo ottomano. Durante la guerra i croati crearono dei campi di concentramento per i musulmani e lo stesso fecero i musulmani per i croati.
Il conflitto nei Balcani aveva visto fin da subito Marco Luchetta come inviato Rai. La decisione di recarsi nella parte più calda della guerra, la città di Mostar appunto, fu presa per il desiderio di testimoniare le atrocità subite dalla popolazione, specialmente le donne, vittime di stupri, e i bambini. Non doveva essere un servizio come un altro, ma un vero e proprio reportage per il tg1 sui “bambini senza nome”, nati dagli stupri etnici o figli di genitori dispersi.
Quel tragico venerdì 28 gennaio 1994 la troupe si trova in una situazione di emergenza e, raggiunta la parte est della città, in un quartiere musulmano assediato dai bombardamenti, il giornalista e i due operatori si fermano nei pressi di una cantina che funge da rifugio per decine di persone tra cui molti bambini. Proprio per salvare una di queste piccole vittime della guerra, vengono sorpresi dallo scoppio di una granata. I tre fanno scudo con il proprio corpo al piccolo Zlatko che li aveva seguiti all’esterno del rifugio. Dovevano prendere le attrezzature per le riprese e Marco stava per riaccompagnare all’interno il bambino quando la “palla di fuoco” – come dirà Zlatko – li ha centrati uccidendoli sul colpo.

NON SONO MORTI INVANO
La scomparsa di Marco e dei due colleghi getta nella disperazione tre famiglie e tutti coloro che ne avevano apprezzate le doti professionali e umane.
Luchetta lasciò due figli ancora piccoli: Carolina aveva dieci anni e Andrea nove. Non so se questi piccoli orfani abbiano mai pensato quanto fosse ingiusto l’aver perso il papà a causa di un bambino sconosciuto che il genitore aveva voluto salvare. Non so nemmeno se abbiano mai considerato il loro papà un eroe. So per certo che Marco non avrebbe mai voluto essere considerato tale.
Perché la terribile perdita non sia avvenuta invano, la moglie di Marco, Daniela Schifani-Corfini, decide di far nascere una fondazione che renda indelebile il ricordo del marito e dei colleghi e possa aiutare i bambini vittime delle guerre. In breve tempo dopo la tragedia nasce la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo, cui si aggiunge il nome di Miran Hrovatin, l’operatore giuliano morto pochi mesi dopo assieme alla giornalista Ilaria Alpi, in un agguato a Mogadiscio.
Come si legge sul sito della Fondazione, la finalità è quella di supportare famiglie d’altri Paesi che, oltre al disagio di vivere o di aver vissuto recentemente guerra e/o guerriglia, hanno l’ulteriore sfortuna di avere un figlio affetto da gravi forme tumorali o che necessiti d’intervento chirurgico non fattibile in patria.
Il primo ad essere assistito dalla ONLUS appena nata fu proprio Zlatko, che allora aveva solo cinque anni. Quella maledetta granata gli aveva procurato, oltreché un comprensibile choc che gli impediva di dormire la notte senza avere incubi, un problema di udito. Dapprima fu ospitato a Trieste, assieme alla mamma ventiquattrenne, per essere curato presso l’ospedale infantile Burlo Garofalo, istituto di eccellenza non solo in regione ma a livello nazionale, e poi aiutato a raggiungere la Svezia, dove la sua famiglia poté ricongiungersi al padre che, in fuga, aveva raggiunto il Paese scandinavo.

LA FONDAZIONE LUCHETTA OTA D’ANGELO E HROVATIN
In questi vent’anni la Fondazione è cresciuta molto grazie alla generosità dei cittadini e di vari enti pubblici e privati. Quotidianamente dei volontari provvedono al trasporto dei piccoli ospiti presso gli ospedali competenti per le cure necessarie, aiutando le loro famiglie nell’espletamento delle pratiche mediche, burocratiche e provvedendo a tutte le altre necessità.
All’inizio, e fino al 1998, la Fondazione è stata operativa nel ristretto spazio offerto dal primo appartamento di via Fabio Severo. Poi è nata la casa di prima accoglienza situata in via Valussi a Trieste; qui trovano posto negli anni decine di ospiti che trascorrono con i loro familiari periodi più o meno lunghi di degenza durante le cure nel vicino ospedale pediatrico.
Nel 2005 è stato possibile acquistare, da parte della Fondazione, un altro immobile, uno spazioso appartamento ubicato in via Rossetti. Pochi giorni fa, in occasione del ventesimo anniversario della morte di Marco, Saša e Dario, la Fondazione ha inaugurato a Trieste il suo terzo luogo di accoglienza: il nuovo centro di via Chiadino 7. Come rivela Daniela Luchetta, lo spazio è stato offerto gratuitamente da una famiglia che preferisce restare nell’anonimato. La struttura permetterà di ospitare una decina di persone in più.
Attualmente la Fondazione, presieduta da Daniela Luchetta, ha una sede amministrativa, due case di accoglienza nel capoluogo giuliano, dieci appartamenti per nuclei familiari i cui bambini hanno bisogno di cure più protratte nel tempo, quattro autovetture per le quotidiane attività logistiche di supporto alle famiglie e ai pazienti.
Può inoltre contare sulla collaborazione di circa sessanta volontari che dedicano tempo e forze a questa piccola-grande comunità, dove convivono persone di etnia diversa, talvolta anche nemiche nel Paese da cui provengono, ma unite dalle stesse necessità e grate in ugual modo per tutto il sostegno e le amorevoli cure che ricevono. La fatica dei tanti volontari ha ottenuto, nel 2009, un riconoscimento: l’assegnazione del “Premio Barcola 2009” che il Presidente del Premio, dott. Alberto Cattaruzza, ha commentato con le seguenti motivazioni:
Sono quindi particolarmente onorato di annunciare il conferimento del Premio Barcola 16a edizione ai Volontari della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin per la loro opera inesausta a favore dei bimbi bisognosi di cure mediche e di supporto alle loro famiglie, opera che può costituire eccezionale vanto per la città di Trieste tutta.

BAMBINI DA TUTTO IL MONDO
In due decenni la Fondazione ha ospitato centinaia di bambini e familiari da Africa, Asia, Sud America, Europa orientale e penisola balcanica. Paesi in cui era impossibile garantire cure adeguate per quei bimbi che a Trieste hanno ritrovato la speranza di superare la malattia. La percentuale di guarigione dei piccoli ospiti è molto alta ed è stimata intorno al 94%. «Oggi la Fondazione opera su due fronti – spiega la presidente Daniela Luchetta -: quello dei bambini che necessitano di cure, ospiti dei centri di via Valussi e via Rossetti, e quello dell’aiuto a famiglie in difficoltà, che si è aperto attraverso la convenzione stipulata col Comune e permette a oggi di ospitare sei nuclei familiari con bambini. Ma supportiamo anche famiglie che vivono altrove, e sono in difficoltà economica. Anche il Centro raccolta di via Valdirivo 21 (vi confluiscono vestiario e altri generi di aiuti), gestito esclusivamente da volontari, è diventato un riferimento prezioso».
Nel tempo la Fondazione ha moltiplicato il fronte dei suoi interventi cercando anche di sostenere ospedali pediatrici e orfanotrofi nelle aree del mondo che continuano a fare i conti con miseria e guerra.
UN PREMIO PER RICORDARE MARCO E I COLLEGHI
A dieci anni da quel triste 28 gennaio, nasce nel 2004 il Premio Giornalistico Internazionale “Marco Luchetta”, a ricordo dell’impegno dei quattro operatori dell’informazione, morti in guerra, di cui la gran pare dei connazionali ignora l’esistenza.
Proprio in memoria di tutte e quattro le vittime, il premio si articola in più sezioni: oltre a quella intitolata a Marco Luchetta riservata ai giornalisti professionisti della carta stampata e della televisione, c’è la sezione intitolata a Hrovatin per la fotografia, ad Ota per le immagini TV e a D’Angelo per la stampa estera. Vengono ogni anno attribuiti riconoscimenti ai migliori reportage televisivi e quelli riservati alla carta stampata.
Nell’anno d’inaugurazione si aggiudicò il premio principale proprio un amico-blogger, nonché giornalista della Rai, Pino Scaccia che in una corrispondenza per la rubrica Tv7 del Tg1 ha raccontato le condizioni in cui vivono, alla periferia di Nairobi, gli ultimi della terra, migliaia di ragazzi orfani vittime della fame, dell’aids e della droga, aiutati solo da alcuni missionari.
Nel 2012 viene istituito anche il Premio “Testimoni della Storia” riservato al giornalista che meglio ha saputo raccontare ed interpretare un fatto storico o di cronaca, un periodo, un personaggio o un luogo.

ANGELI PER SEMPRE
Ogni estate, nella grande e bellissima piazza dell’Unità d’Italia, affacciata sul mare triestino, o in alternativa nella splendida cornice del teatro lirico “G. Verdi”, la nostra “piccola Scala”, o del Politeama Rossetti, sede del Teatro Stabile del Friuli – Venezia Giulia, si tiene uno spettacolo in occasione dell’assegnazione del Premio Luchetta. “I Nostri Angeli” da dieci anni vengono ricordati con una manifestazione in cui si alternano momenti di dibattito ed intermezzi musicali di vario genere, dal pop al rock alla musica etnica, che rendono anche gioioso il ricordo di questi “custodi” che mai dobbiamo dimenticare.
[altre fonti, oltre al sito della Fondazione già linkato, da cui sono tratte anche le immagini: Il Piccolo, Wikipedia per Mostar, Marco Luchetta e Guerra in Bosnia Erzegovina; Il Corriere]
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