Il Covid-19 non fa più paura. Dall’ormai lontano febbraio pare che la situazione sia migliorata, l’epidemia in Italia è sotto controllo, nonostante il sorgere di focolai in alcune regioni, le terapie intensive sono semivuote, pochi i malati ricoverati in altri reparti, pochi anche i decessi, sempre paragonandoli al numero dei peggiori momenti, ormai si pensa al mare, alle vacanze, alla discoteca, ai divertimenti. Soprattutto, a settembre le scuole devono riaprire senza restrizioni di sorta: tutti in aula appassionatamente. Ci abbracceremo, ci baceremo, tutto sarà come prima. Abbiamo bisogno di normalità.
Tutto giusto, per carità. Ma siamo proprio sicuri che fra meno di due mesi il Covid-19 sarà un lontano ricordo?
Chi lo può dire? Gli esperti, sentenzierà con tono assolutamente certo qualcuno. Sì, ma quali esperti? Possiamo davvero fidarci di quanto dicono, spesso in contraddizione l’uno con l’altro?
Io non ho tutte queste certezze. Non posso dimenticare l’inizio di questa brutta storia, quando la Cina sembrava lontana, quando eravamo sicuri che ci saremmo salvati semplicemente bloccando i voli da quel Paese, quando esperti virologi, come la dott.ssa Gismondo dell’ospedale Sacco di Milano, si divertivano a ridicolizzare i “colleghi” più cauti, voci autorevoli del mondo della medicina, specialmente della microbiologia e virologia, che avevano fin da subito messo tutti in allerta. Figuriamoci, il Covid-19 è poco più di un’influenza, sosteneva la Gismondo, anzi i decessi sono pochi, meno di quanti ne causi il virus stagionale, muoiono i vecchi e comunque chi è già afflitto da altre patologie.
Qualcuno ha provato a smentirla. Non faccio nomi e cognomi perché, purtroppo, questa vicenda che riguarda la salute pubblica che è un bene comune, è diventata una questione politica. Io non mi schiero mai dalla parte di chi condivide le mie idee politiche (anche se, obiettivamente, so più da quale parte non stare che da quale parte stare) su questioni che richiedono soprattutto il buonsenso. Un’opinione personale, in questi casi, rimane tale se non supportata da fatti obiettivi, inconfutabili. Ho dato credito alla dott.ssa Gismondi fidandomi della sua chiara fama (personalmente non l’avevo mai sentita nominare, come la maggior parte di noi, ma il curriculum è di tutto rispetto) poi ho iniziato a ragionare con la mia testa affidandomi alle statistiche. Non c’è stato bisogno di ulteriori smentite riguardo alle affermazioni forse troppo precipitose della virologa: ci hanno pensato i fatti stessi.
Ha taciuto per molto tempo, la dott.ssa Gismondo. L’ha fatto, credo, affidandosi al buonsenso. Qualcuno ne ha chiesto il licenziamento? No.
C’è, tuttavia, chi sta lontano dalle provette e dai microscopi dei laboratori, sta in corsia, persone che indossano camici di colore diverso ma tutte unite dalla stessa passione per la propria professione, dalla stessa coscienza con cui si sono assunte e si assumono la responsabilità nei confronti di questo virus insidioso che nel mondo continua a mietere vittime: i medici e il personale sanitario in genere. Queste sono le sole persone che hanno potuto toccare con mano la gravità della situazione nei momenti peggiori, che hanno dovuto arrendersi, impotenti, di fronte alla morte di migliaia di persone, che hanno trovato la forza di rimanere in piedi ore ed ore, senza mai guardare l’orologio, che hanno stretto le mani a chi non ce l’ha fatta, che hanno accarezzato per l’ultima volta i pazienti privati della vicinanza dei propri cari. Non sono eroi, come tengono a precisare, hanno fatto il loro dovere, dimostrando dedizione nei confronti della professione che hanno scelto consapevoli che la loro missione è quella di salvare la vita e non di lasciarla andare via. Eppure sono stati testimoni di morte, gli unici a essere rimasti in stretto contatto con il maledetto Covid-19 che ha portato via anche molti di loro. Queste sono le cose che non dobbiamo mai dimenticare.
Ora c’è un infermiere di Cremona che mette in guardia: il Covid-19 non è un lontano ricordo, i contagi aumentano, le persone si ammalano, alcune gravemente.
Ci mette la faccia e il nome, nel testo postato sul suo account Facebook: Luca Alini. Dice cose inconfutabili:
“Il coronavirus non si è dimenticato di fare il suo lavoro e da bravo virus fa quello che deve: infetta nuovi ospiti per sopravvivere. Niente di più e niente di meno. Noi esseri umani, invece, dall’alto della nostra intelligenza ed evoluzione tecnologica e scientifica, facciamo finta che non esista, qualcuno pensa non sia mai esistito […] anche se per fortuna la situazione non è grave “come a febbraio o a marzo o all’inizio di aprile, quando i Covid erano 30 su 30 in reparto più altrettanti ricoverati in altri reparti, quando su 30 pazienti 26 erano ventilati”, non possiamo permetterci di dimenticare che “il virus esiste, non è magicamente sparito e sta mietendo ancora vittime in altre parti del mondo. Da noi ha già dato, ma non sta scritto da nessuna parte che non possa ricominciare a farsi vivo”. (LINK all’articolo da cui è tratto il passaggio)
Si è attirato un sacco di critiche quell’infermiere. Ha dovuto cancellare il post, dopo che l’Azienda sanitaria dell’ospedale presso cui lavora, attraverso le parole del Direttore sanitario Rosario Canino, si è affrettata a ridimensionare l’allarme: “Non sono i casi gravi di marzo. Ci sono stati dei ricoveri in questi giorni in reparti ordinari, in parte legati a focolai già noti”.
C’è chi accusa Luca Alini di procurato allarme, chi ne chiede a gran voce il licenziamento. Eppure le parole del suo post sono dettate dalla saggezza e soprattutto dalla consapevolezza di chi ha dovuto far fronte a un’emergenza inattesa e che certamente non può essere smentita dato che i numeri parlano da sé: quasi 35mila vittime, più di 240mila casi accertati. I casi crescono e decrescono con effetto altalena, i morti ci sono ancora sebbene in numero limitato. Ma questo quadro non dà garanzie per il futuro, dice solo l’unica cosa certa: il virus c’è, non è sparito. Se poi diamo un’occhiata a ciò che accade nel mondo, la pandemia sfiora i 12,5 milioni di contagi da Covid-19, di cui 3 milioni solo negli Stati Uniti.
Allora non iniziamo a dire ciò che ci ha tratti in inganno mesi fa: sì, ma l’America, settentrionale o meridionale che sia, è lontana e i voli dai Paesi non sicuri sono stati bloccati. Esattamente questo accadde alla fine di gennaio per i voli dalla Cina, eppure il coronavirus è entrato di prepotenza nel nostro Paese da ogni dove, seguendo strade alternative. Non certo per sua iniziativa.
Che cos’ha detto di sbagliato l’infermiere cremonese? “Non sta scritto da nessuna parte che non possa ricominciare a farsi vivo”. Nulla che possa essere oggettivamente smentito.
La stessa Gismondo sull’eventualità dello scoppio di nuovi focolai in autunno, ha recentemente dichiarato: «Certamente ci saranno ancora focolai e saranno più di adesso. Ma noi, a differenza di quanto è accaduto a marzo, non verremo colti di sorpresa».
Che il virus ci abbia giocato un brutto scherzo, per di più in pieno clima carnevalesco, è sicuro. Sulla sorpresa avrei delle riserve. Quando si viene colti di sorpresa significa che quello che è accaduto non era prevedibile. Il Covid-19 non era previsto, certamente, ma le falle del nostro sistema sanitario hanno messo in luce la poca disponibilità di chi ci governa, e ci ha governato, a prevenire o almeno a gestire situazioni di emergenza. Da noi si preferisce curare piuttosto che prevenire – nonostante il motto “prevenire è meglio che curare” – ma quando si ha di fronte un nemico invisibile che non può essere affrontato con armi certe (una cura sicura ancora non c’è e il vaccino chissà quando verrà prodotto e con quali costi), allora emerge non solo la difficoltà di curare ma anche, a volte, l’impossibilità di farlo per mancanza di uomini e mezzi.
Le conseguenze dei tagli alla Sanità – come del resto quelli alla scuola – sono di fronte agli occhi di tutti. Questa è una certezza.
Ma forse c’è un’altra verità da non sottovalutare: la mancanza di responsabilità da parte di chi, contro ogni evidenza scientifica, fa finta che tutto andrà bene, che nessun pericolo è imminente e che, nella peggiore delle ipotesi, l’esperienza ci salverà. Così vediamo la noncuranza di quelli che si accalcano nelle strade della movida, nelle spiagge perché di sacrifici ne abbiamo fatti tanti durante il lockdown e abbiamo bisogno di ossigenarci (anche i malati di Covid19 avrebbero avuto bisogno di maschere di ossigeno che non c’erano…), di quelli che non indossano la mascherina anche se dovrebbero, tanto non serve, e che non rispettano la distanza di sicurezza. Li abbiamo di fronte agli occhi, ogni giorno, quando siamo al supermercato o facciamo la fila alla Posta e ci stanno appiccicati addosso. Nei luoghi aperti non serve, così io che la indosso sempre proteggo chi mi incrocia sul marciapiede standomi a pochi centimetri mentre io non sono affatto protetta.
Cosa abbiamo imparato dalle interminabili settimane di segregazione? A che cosa è servito quel sacrificio? Sicuramente ad arginare il fenomeno e a rendere, per quanto possibile, meno grave la situazione. Se allentiamo le difese, in nome della vita da vivere che è un diritto sacrosanto specialmente dopo la reclusione, tutto potrebbe ricominciare da capo.
Non voglio essere catastrofista e in verità cerco di guardare al futuro con ottimismo. Forse quello che mi manca è la fiducia nel genere umano che, una volta passata la tempesta, si dà alla pazza gioia infischiandosene del senso civico che dovrebbe essere lo strumento migliore per vivere la collettività con equilibrio e mirando al bene comune. Perché le cose capitano, oggi a me domani a te, ma se collaboriamo forse ce la caviamo meglio entrambi.
Questa è l’unica verità che conosco.
[immagine Gismondo da questo sito; immagine Alini da questo sito]
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