
Non so se l’avete notato: da qualche tempo va di moda non indossare le calze (o i collant) in tutte le stagioni. Specie nello star system uscire di casa con le gambe coperte, d’inverno soprattutto, per recarsi a qualche serata mondana, alle sfilate di moda, a qualche trasmissione televisiva come ospiti, alla consegna di un premio o semplicemente per fare shopping in centro, pare sia diventato molto out. Insomma, sotto il cappotto niente … o quasi.
Ricordo un matrimonio a cui partecipai, appena ventenne, in pieno luglio. La temperatura era prossima ai 30° eppure mia madre mi obbligò ad indossare un collant velatissimo perché, diceva, andare a nozze senza calze era una cosa davvero da cafoni. Così, con addosso il mio bel vestitino di seta pura color rosa (confezionato dalle mani di fata della mia mamma), i collant e il cappellino in testa, in tinta con l’abito e con tanto di veletta (altro accessorio cui non si deve rinunciare mai, secondo la genitrice, in occasione di un matrimonio), uscii di casa e … fui derisa da tutti. Ecco il prezzo che si deve (doveva?) pagare per essere eleganti. Ma, come diceva l’amato Poeta: tra li lazzi sorbi / si disconvien fruttare al dolce fico (lo lascio al maschile ché è meglio).
Per il mio matrimonio scelsi di indossare le calze e il reggicalze, uno di quelli che mia mamma indossava negli anni Cinquanta, tutto di raso e pizzo guarnito con un piccolo nastro di seta azzurro … la tradizione che impone alla sposa di indossare qualcosa di vecchio e di azzurro era salva. Naturalmente nessuno ebbe da dire alcunché, anche perché nessuno mi sollevò la vaporosa gonna dell’abito da sposa né io l’alzai, come si usa, per fare vedere la giarrettiera.
Insomma, per la mamma non è concepibile andare a teatro o a qualche cerimonia pubblica senza indossare le calze. Ma quando sono state inventate?
Già nelle tombe dei faraoni egizi sono stati ritrovati frammenti di calze lavorate a maglia, mentre si sa che gli antichi Romani avvolgevano le gambe con fasce di tela o lana. L’uso delle calze (parola che deriva da calcea, d’uso nel latino tardo settentrionale, derivata dal maschile calceus che indicava la scarpetta di cuoio fine indossata in casa oppure nella commedia teatrale, che a sua volta sembra derivare da calx, “tallone”) era un tempo esclusiva delle donne più ricche e comunque non era un vezzo poiché una signora non poteva andare in giro mostrando le gambe. Fu così che solo nel Medioevo, dopo il 1300, si diffusero le calze di panno e di seta, lunghe fino al ginocchio e quasi sempre di colore rosso.
Solo intorno al 1400 le dame veneziane diffusero la moda delle calze lunghe, antenate della più moderna calzamaglia, ricamate a mano e impreziosite da trine e merletti.
Nel 1589 l’inglese William Lee inventò il primo telaio per produrre le calze in serie. La produzione divenne sempre più imponente con il passare dei decenni, fino ad arrivare, nel Seicento, alla nascita della potente corporazione inglese dei “calzettai”.
Durante il Rinascimento fecero anche la loro comparsa le prime giarrettiere che, in verità, erano solo dei laccetti che stringevano le calze sulle gambe.
Nel Seicento si impose il corsetto, una specie di guaina che avvolgeva il corpo della donna da sotto il seno fino al ventre, composto da tela rinforzata da stecche. Ben presto divenne l’indumento intimo per eccellenza; nell’Ottocento, infatti, tutte le donne volevano avere il “vitino da vespa” (Rossella O’Hara docet).

Proprio nel XIX secolo l’utilizzo delle calze, di lana o seta, ebbe il suo exploit. Poiché era sconveniente per una donna mostrare le gambe, le calze portavano un decoro (intarsio o ricamo) sul collo del piede o sulla caviglia. Erano sorrette dalla giarrettiera che, secondo una leggenda, fu inventata da Gustav Eiffel (sì, proprio quello della torre parigina!), ma in realtà fu il merciaio Fereol Dedieu a idearne, nel 1876, un prototipo destinato ad essere sostituito dal più comodo reggicalze, creato dal sarto Paul Poiret attorno al 1910. Pare che l’immagine di Marlene Dietrich, seducente nel suo reggicalze nero, che comparve nella locandina del film L’angelo azzurro, abbia contribuito a lanciare questo
indumento intimo.

Fu, però, soltanto negli anni Trenta che l’uso delle calze si impose definitivamente, grazie all’invenzione della fibra di nylon, la prima fibra sintetica definita “resistente come l’acciaio e delicata come una ragnatela”. La ditta che ne iniziò la produzione si trovava negli Stati Uniti d’America.
Il chimico francese Eleuthère Irènèe DuPont de Nemours, immigrato nello stato americano del Delaware, nel 1802 aveva aperto un impianto per la produzione di polvere nera. Da quella piccola azienda di tipo familiare nel 1938 uscì il nylon inventato da Wallace H. Carothers.
La vendita delle calze di nylon all’inizio fu esclusiva di pochi negozi di Wilmington, il centro in cui aveva sede la DuPont de Nemours. Ma la richiesta che ben presto provenne da tutto il Paese, convinse la piccola azienda a distribuire il prodotto sul mercato americano. Dopo il primo anno le vendite avevano già raggiunto la quota di 64.000.000 paia, decretandone il successo.
Erano calze eleganti con la cucitura dietro la gamba che aveva il pregio di impreziosire l’arto femminile. Tant’è che quando, con lo scoppio della II Guerra Mondiale, la produzione fu interrotta, le donne si disegnavano sulle gambe quella cucitura posteriore, quasi potessero rinunciare alle calze ma non al vezzo.
Negli anni Cinquanta si assiste a un vero e proprio boom: le calze di nylon rinunciano alla cucitura ma vengono prodotte in svariati colori e velature. La produzione lievita e i costi diminuiscono, portando l’indumento intimo alla portata di tutte le gambe, o quasi.

Quando, negli anni Sessanta, sempre grazie al marchio DuPont, viene lanciato sul mercato un nuovo materiale sintetico, la lycra, inizialmente utilizzata nelle calze medicali, il passo verso i collant è breve. Contemporaneamente all’invenzione della minigonna, idea geniale dell’inglese Mary Quant, s’impone il collant di pizzo, antesignano dei più moderni collant decorati in modo vario e dei nuovissimi footless (o leggins che dir si voglia). Siamo arrivati agli anni Settanta e la fantasia delle case produttrici di collant pare sfrenata. Contemporaneamente tornano di moda le calze ma le giarrettiere e i reggicalze sono definitivamente chiusi nei bauli delle nonne e bisnonne: è ormai giunta l’ora delle autoreggenti.
Insomma, da questa breve “storia della calza” si può dedurre che la storia della biancheria intima è parallela a quella della liberazione femminile: il cambiamento dei modi di vestire segna il passaggio dalla condizione sociale di costrizione a quella di libertà. Sembra quasi che ora si sia imboccata la strada a ritroso oppure che la libertà vada intesa, oggi, come esibizione della nudità, libertà conquistata dopo aver messo nel cassetto le calze e i collant. Peccato, però, che non tutte le donne siano delle top model (anche loro, comunque, non sono perfette) e che così si mettano a nudo anche i difetti: cellulite, in primis, ma anche fragilità capillare, vene varicose, rughe dovute all’età, pelle cascante per le più magre e cuscinetti adiposi per le più in carne.
E chiamiamola libertà. A me pare solo mancanza di buon gusto.

[immagine sotto il titolo da questo sito; immagine da “Via col vento” da questo sito; immagine Marlene Dietrich da questo sito; foto di Sofia Loren da questo sito; foto di Anne Bancroft da questo sito. FONTI: abitiantichi.it, wikipedia, calze.com, liberaeva.com]
Mi piace:
Mi piace Caricamento...