LIBRI: “L’AMORE CHE DURA” di LIDIA RAVERA

L’AUTRICE
Lidia Ravera, classe 1951, è una scrittrice e giornalista che si è fatta conoscere nel 1976 con la pubblicazione del romanzo Porci con le ali, alla cui stesura ha collaborato il neuropsichiatra Marco Lombardo Radice.

Oltre alla sua attività di scrittrice, ha collaborato a numerose sceneggiature per il cinema e per alcune serie televisive della RAI e scrive per Il fatto quotidiano e Donna Moderna.
Ha pubblicato numerosi romanzi. Le seduzioni dell’inverno (Nottetempo, 2007), è stato finalista al Premio Strega 2008. Altri titoli importanti sono In fondo, a sinistra… (Melampo, 2005), Il dio zitto (Nottetempo, 2008), La guerra dei figli (Garzanti, 2010), Piccoli uomini. Maschi ritratti dell’Italia di oggi (Il Saggiatore, 2011). Con Bompiani Lidia Ravera ha pubblicato i più recenti: Piangi pure (2013) che è risultato vincitore assoluto al Premio Nazionale Letterario Pisa 2013 sezione Narrativa, La festa è finita (2014) e Gli scaduti (2015).
Del 2019 L’amore che dura, edito da Bompiani, la storia di un amore nato al tempo della rivoluzione femminista che in qualche modo si riallaccia al primo romanzo di successo Porci con le ali.

IL ROMANZO

Carlo è un regista di discreta fama, da anni emigrato a New York, che torna a Roma, la città in cui è nato e ha scoperto l’amore, quello vero, quello che dura per sempre, in occasione della presentazione dell’ultimo film. Non una pellicola qualunque, perché è autobiografica e narra, con riferimenti fin troppo espliciti, gli inizi della sua storia d’amore con Emma, nata ai tempi del liceo e sfociata in un matrimonio che non è destinato a durare.
Le aspirazioni di Carlo, che vuole emigrare oltreoceano per crescere professionalmente, non fanno cedere la moglie la quale, pur amandolo, lo lascia andare per la sua strada. Lui negli Stati Uniti ottiene il successo sperato e si lega ad altre donne, fino al rapporto duraturo con Sara. Lei a Roma continua a insegnare, legata indissolubilmente ai “figli per finta” come chiama i suoi studenti, incontra un uomo, Alberto, totalmente diverso da Carlo che le garantisce un futuro, mette al mondo una figlia, Franny, e sembra totalmente appagata da una vita poco movimentata ma con solide basi. Questo è quanto si conviene a una donna e a una madre.

Il film di Carlo ricostruisce fedelmente l’amore adolescenziale che l’aveva legato a Emma. Lei non gradisce questo “mettere in piazza” la loro storia d’amore e si vendica scrivendo un articolo su una rivista on line per stroncarlo.

Quando Carlo arriva a Roma per presentare il suo film, i due hanno un appuntamento. Prima di raggiungere l’uomo, Emma scrive una lettera con la quale cercherà di chiarire alcune cose che da troppi anni, venti per l’esattezza, sono rimaste in sospeso:

«Gli dirà tutto.
Improvvisamente ha una voglia matta di parlargli, di confessare, di scagionarsi e poi poterlo abbracciare. […] È una dichiarazione di amicizia, e anche di fedeltà al passato.
Un gesto unico di sottomissione. Con la forza dei gesti, che si annidano nella forza del silenzio.
Si mostrerà pentita di aver scritto quella recensione maligna, senza dover spiegare che cosa l’ha spinta a farlo.» (pag. 11)

All’appuntamento Emma non arriverà mai. Lui riesce a vederla da lontano, mentre in bicicletta lo sta raggiungendo al solito bar. Poi un incidente lascerà ancora la questione in sospeso. La donna finisce in ospedale ed è sottoposta a un intervento chirurgico alla testa. Da quel momento la verità non può più attendere.
In una borsa abbandonata sul luogo dell’incidente, cui nessuno fa caso come fosse un segno del destino, Carlo trova dei quaderni, un pezzetto di storia della vita di Emma a lui sconosciuta. L’uomo deve fare i conti con la realtà che ha di fronte: il secondo marito della donna che non ha mai smesso di amare, una figlia di cui ignorava l’esistenza, un segreto che forse Emma era pronta a rivelargli, se non si fosse trovata incosciente in una sala operatoria. L’intervento le salva la vita, la memoria ritornerà ma nulla sarà più come prima.

«Mentre ricordi confusi fluttuano come alghe intorno a un oggetto sommerso, incomincia a vedere se stessa quel venerdì mattina, con la giacchetta blu e il panciotto fiorito, mentre va all’appuntamento con Carlo, in bicicletta, dopo aver preso quella vecchia borsa di tela, dopo averci messo dentro quei vecchi quaderni.
La scena si compone, si scompone, si compone di nuovo, manca sempre una tessera, ma il quadro alla fine è chiaro. (pag. 373)

Forse non tutto è perduto. Forse nonostante i silenzi, la lontananza, il ritrovarsi e il perdersi di nuovo, l’amore che dura ha un altro po’ di strada da fare.

***

Il romanzo racconta una lunga storia d’amore in tutte le sue sfaccettature. Non un amore ma tanti amori che oltrepassano ostacoli, a volte vengono bloccati nel loro evolversi, altre rispondono a pure convenzioni, altre ancora si nutrono del ricordo non solo dei momenti vissuti ma anche dell’assenza. Tutti questi amori hanno in comune il fatto di durare nel tempo, di non lasciarsi sopraffare dallo scorrere degli anni, anzi, vengono alimentati dal tempo che talvolta è nemico ma sa essere un buon amico, quando una riflessione è dovuta anche senza la pretesa di cambiare le cose, piuttosto di dare altre forme alla vita vissuta e da vivere.

Quali sono questi amori?

L’amore che non conosce confini, nemmeno quelli materiali, che esistono e separano. È l’amore di Emma per Carlo, un amore che dura perché nonostante l’abbandono, lascia una traccia di sé. È la passione vera, quella che nasce in un cuore acerbo, poco abituato ad amare, e lo fa crescere fino a trasformalo in un sentimento maturo che non si può nascondere. Anche quando la ragione si rifiuta di assecondare il cuore.

L’amore che si nutre di stima, fiducia, è l’amore affidabile che non tradirà mai. Questo è l’amore che Alberto prova per Emma, incondizionato nonostante la “presenza –assenza” dell’altro, di chi non ha saputo arrivare a compromessi e ha rinunciato all’amore anche senza rinunciare mai del tutto alla donna amata.

L’amore per il prossimo, un amore che si dà senza chiedere nulla in cambio. È l’amore che Emma riserva al suo lavoro, ai suoi studenti, a Samantha, giovane allieva che rimane incinta e alla quale la protagonista spalanca le porte di casa, anche se questa decisione di proteggere la giovane e la vita che porta in grembo mette a dura prova gli equilibri familiari.

L’amore per la scrittura cui Emma affida i pensieri che sulle pagine dei quaderni prendono forma e custodiscono segreti che un giorno smetteranno di essere tali. Anche se la confessione non è mai facile perché la colpa di aver mentito agli altri per mentire a se stessa è un peso che negli anni diventa insopportabile.

L’amore materno che dura perché i figli si amano senza condizioni. È un amore che non smette mai di crescere e con esso la consapevolezza che la verità non si può negare. Un amore senza verità non è degno di questo nome.

L’unico amore che non ha un suo tempo ma che, nella narrazione, è solo una scintilla che si accende alimentando l’amore più grande, è quello paterno. Un amore negato cui Carlo non può voltare le spalle, anche se non rientra, almeno non rientrava, nei suoi progetti di vita.

L’amore che dura è un romanzo che non lascia indifferenti grazie allo spessore psicologico dei personaggi che vengono messi a nudo soprattutto nella loro fragilità. I piani narrativi sono tanti come le voci narranti. Con l’intrecciarsi di eventi passati, più o meno lontani, e presenti l’autrice cattura l’attenzione del lettore costruendo una storia a più voci, alternando la terza persona alla prima, attraverso varie tipologie testuali, dalle pagine di diario (i quaderni di Emma) alle lettere, persino e-mail verso la fine del racconto.

La scrittura è curata, semplice nelle parti dialogiche, che sono molto presenti per rendere dinamica la parte narrativa, a volte lirico specie nelle parti in cui la narrazione cede il passo alla riflessione.

[immagine sotto il titolo da questo sito ©Anna-Nadalig]

QUANDO RIPENSO AL MIO PRIMO AMORE…


Se devo ripensare al mio primo amore non so esattamente a chi rivolgere la mente. Nel post dedicato a questo argomento (Il primo amore non si scorda mai ma è meglio non cercarlo), leggendo i numerosi commenti dei lettori che hanno lasciato le loro testimonianze, mi sono resa conto che non necessariamente è il primo amore a restare incollato nella nostra memoria. Infatti molti hanno parlato genericamente di un “grande amore” che non sempre coincide con il primo.

Secondo la mia esperienza, il primo forse è quello maggiormente destinato al dimenticatoio, specialmente se si è risolto in un filarino adolescenziale che ha lasciato molta tenerezza ma poche tracce di passione vera e propria. Piuttosto si tende a ricordare la prima storia importante o la “prima volta”, anche se quest’ultima può essere collegata a un episodio certamente bello della propria vita ma che si è concluso in breve tempo.

Il primo ragazzo che mi ha fatto battere forte il cuore, quando ero poco più che una bambina, ha caratterizzato sei mesi importanti della mia vita: quelli in cui ho compreso che le tante promesse fatte dagli “uomini” sono come foglie al vento. Mi lasciò per una ragazza un po’ più grande – davvero poco più grande, in realtà – da cui poteva ottenere qualcosa in più di semplici bacetti e gite domenicali sul Carso triestino. Chi vuol capire…

La mia prima storia importante risale ai tempi del liceo ed è durata due anni. Finì male, ahimè, ma di questo forse parlerò in un altro post (chissà… non so). Non l’ho più rivisto, l’ho solo intravisto molti anni dopo (ero sposata e già mamma) in una via del centro e si è girato dall’altra parte. Quando non si riesce a superare il risentimento…

Prima di passare al “terzo” vorrei soffermarmi sulla possibilità di rimanere amici fra ex. Nel secondo caso, come si è capito, non ci fu nulla da fare. Con il mio primo ragazzo, dopo una parentesi burrascosa (divenni “amica” della sua nuova ragazza e feci di tutto per intromettermi nella loro relazione, capitando “per caso” a casa di lei e rompendo le… uova nel paniere!), l’amicizia ci fu e fu anche molto bella. Non potemmo in effetti perderci di vista poiché il mio secondo amore era un compagno di classe del primo e si frequentavano regolarmente. Di costui divenni la “parrucchiera” prediletta quindi ricordo tanti tagli di capelli riusciti alla perfezione e la consapevolezza che potevo avere un mestiere in mano. Il classico piano B, per intenderci.

Il terzo ragazzo era quello di cui parlo QUI. Fu una storia breve ma intensa. Mi lasciò lui e fu molto difficile dimenticarlo anche perché trascorrevamo, con le nostre famiglie, le vacanze estive nella stessa località e frequentavamo la stessa numerosissima compagnia quindi, voglia o non voglia, almeno per quel periodo dovevamo sopportarci.

Nel frattempo io avevo incontrato mio marito e lui aveva conosciuto quella che poi sarebbe diventata sua moglie. Incredibile ma vero, lui divenne amico del mio fidanzato (tanto da proporgli di fargli da testimone di nozze!) e io amica di lei, nonostante fosse la responsabile della nostra rottura. Ciò dimostra che io non sono proprio capace di serbare rancore…

Sarei bugiarda se non dicessi che la nuova frequentazione non aveva risvegliato in noi i lontani ricordi, legati a un’esperienza della vita di entrambi difficile da dimenticare. Però ha prevalso la razionalità e la consapevolezza che tra noi qualcosa non aveva funzionato e che, a distanza di tempo e con i legami importanti che avevamo stretto con i nostri partner, un ritorno di fiamma non avrebbe portato nulla di buono.

L’amicizia durò molti anni. Matrimoni, figli, domeniche passate assieme… mai un vero e proprio ricordo di ciò che c’era stato tra noi. Eravamo amici, soltanto amici. Poi iniziammo a vederci più di rado finché la nostra frequentazione si interruppe senza traumi per nessuno. Ci sono cose che a un certo punto finiscono e amen.

Non so quanto possa essere stato interessante per i lettori questo breve excursus sui miei amori giovanili ma mi serviva per tornare all’argomento del post linkato.

Nei numerosi commenti, come dicevo, si fa spesso riferimento a un grande amore, non necessariamente il primo. Molte volte si tratta di persone felicemente sposate – almeno così si dichiarano… – che a un certo punto della vita ripensano a un antico amore e sentono prepotentemente il desiderio di un nuovo incontro. Diciamo che nell’era dei social l’obiettivo non è così difficile da raggiungere, tuttavia spesso anche un timido approccio, solo “per curiosità” e, almeno idealmente, privo di implicazioni emotive forti, può trasformarsi nell’inizio di una crisi esistenziale di cui non si aveva assolutamente sentore.

Se leggete le mie risposte, spesso volte a dissuadere più che a persuadere, faccio capire chiaramente che la “curiosità” non è abbastanza, il desiderio di incontrare un vecchio amore non è solo voglia di tenerezza. Insomma, secondo me se la vita sentimentale è appagante, non si sente nessun bisogno di rivedere una persona con cui non si avevano più contatti da 10, 20 o 30 anni. D’altra parte, se si è soli non si può riempire la solitudine anche solo fantasticando su un amore passato che, a distanza di tanto tempo, finiamo per idealizzare. La delusione è dietro l’angolo e non è esattamente il modo migliore per sollevare l’animo afflitto per la mancanza di un lui o una lei.

In particolare mi ha colpito uno degli ultimi commenti giunti, firmato da un certo Roger. Lo riporto in parte:

Ciao a tutti, sono un uomo di 49 anni sposato da 23 e con un figlio di 20. Amo mia moglie e la mia famiglia. Ho trascorso 4 anni della mia adolescenza con una ragazza. Ci siamo lasciati che ne avevo 20 ma ho sempre pensato che un pezzettino del mio cuore se lo fosse portato via. Per me è stata una storia molto importante che mi ha segnato profondamente. […] L’ho contatta e dopo un paio di mesi di chat ci siamo incontrati. […] Da quel giorno ci siamo sempre messaggiati con un progressivo aumento di intensità nei contenuti fino a un mese fa quando mi ha chiesto di rivedermi. Ovviamente ho accettato ed è stato un incontro molto passionale. Niente sesso (“solo” intensi abbracci e baci) ma un turbinio di emozioni e sensazioni meravigliose. Ci siamo ripromessi di vivere questa storia da persone mature e senza colpi di testa. Mi sono reso conto che lei mi è entrata dentro trent’anni fa e non ne è più uscita. Quello che mi fa specie è che non ho sensi di colpa nei confronti di mia moglie (che ripeto amo tantissimo) perché non la privo di qualcosa per dare all’altra, non so se mi spiego. Ciò che do alla mia ex non potrei darlo a nessun’altra.
La vita è strana…..

Roger dice di amare moltissimo sua moglie e lo ripete. Perché? Forse perché deve autoconvincersi che questa storia non può influire sulla sua vita matrimoniale. Accetta una relazione “platonica” (mica tanto, poi) perché «lei mi è entrata dentro trent’anni fa e non ne è più uscita». Conclude, quindi, dicendo che «La vita è strana…».

Personalmente non credo che la vita sia strana, non la sua almeno. Credo invece che “la terza incomoda” nel suo ménage familiare abbia un posto molto più rilevante di quanto non ammetta lo stesso Roger.

Dato che la passione ha una breve durata e le relazioni, anche molto lunghe, sono soggette a usura non nego che effettivamente il tenero ricordo di un vecchio amore possa risvegliare la curiosità di un nuovo incontro, ma ritengo che tra il pensiero e l’azione debba necessariamente esserci un freno, a meno che non ci sia davvero una crisi in atto.

Il detto “chiodo scaccia chiodo” decisamente non fa per me.

E voi vorreste incontrare una vecchia fiamma?

[Nell’immagine io e il mio “terzo amore”. © Immagine coperta da copyright. La pubblicità per la Coca-Cola è gratis. 🙂 ]

MATRIMONI E ALTRE “CORBELLERIE”

matimonio-un-annoRagazzacci, che, per non saper che fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro.

Così pensava don Abbondio quando, trovandosi nei pasticci per colpa della minaccia dei bravi di don Rodrigo, se la prende con Renzo e Lucia. “Ragazzacci” che non pensano ad altro che all’amore e addirittura vogliono sposarsi.

Ma i nostri tempi sono decisamente diversi. Ci si sposa poco, si convive di più, l’amore non è eterno, data la durata media dei matrimoni. (ne ho parlato QUI)
Nessun sacerdote condividerebbe i pensieri del curato manzoniano. Anzi, vista la crisi delle unioni celebrate davanti a Dio, i ministri della Chiesa sarebbero ben lieti di fare gli “straordinari”, celebrando matrimoni anche di notte.

Eppure ci sono “ragazzacci” che ancora pensano alle nozze. Coppie che, nonostante il rito religioso sia passato di moda, hanno ancora il coraggio di giurarsi fedeltà eterna. Ma il matrimonio come dev’essere?

L’annuncio con largo anticipo.
Sarò io strana, ma non riesco mai a fare programmi a lungo termine. La gente che prenota le vacanze da un anno all’altro (anche i miei genitori lo facevano…) non la capisco. Io non ce la farei. Sarà per questo che da vent’anni non vado in vacanza.
Prenotare l’aereo sei mesi prima per pagare di meno? Non ci penso neppure. Il pessimismo mi porta a pensare che magari succede qualcosa e perdo pure i soldi. Pochi ma li perderei comunque.
Figuriamoci se sarei capace di pensare al matrimonio un anno prima…
Eppure ci sono coppie che annunciano le nozze con largo anticipo, informando pure parenti e amici. “Siete liberi il 29 settembre del prossimo anno?”. A questa domanda posso rispondere in due modi: se sono ottimista, dico che non so nemmeno quello che farò domani; se, invece, mi trovano in giornata nera, rispondo che non so se domani sarò viva.

sposa

Il vestito della sposa.
L’abito che la donna indosserà alle nozze è di fondamentale importanza. Mesi prima – se non anni – si inizia sfogliando le riviste in cerca di ispirazione. Confesso che anch’io l’ho fatto. Poi ho scelto un abito molto diverso da quelli che mi avevano colpita sulle pagine patinate delle riviste specializzate. Ne deduco che non serva poi a molto, se non a sognare. Ammesso che si sia particolarmente romantiche.
Mi chiedo, però: ma come fai a scegliere l’abito un anno prima? Non è questione di stile – le mode cambiano ma non così in fretta – bensì di taglia. E se poi ingrassi? O magari dimagrisci per lo stress da matrimonio (a me è successo… 12 chili in tre mesi)? Vabbè, stringere il vestito si può ma allargarlo non sempre è possibile né si possono perdere i chili acquistati con la bacchetta magica.
Sarà, ma forse a causa del mio pessimo rapporto con la bilancia, acquistare il vestito un anno prima non mi sarebbe mai venuto in mente.

La scelta del ristorante.
Evidentemente questa mania di decidere di sposarsi con largo anticipo si è diffusa a macchia d’olio. Per me è incredibile che, con ben 12 mesi di anticipo, si fatichi a trovare un ristorante libero. Eppure succede. O i locali più gettonati sono pochi oppure – cosa molto più probabile – tutti i futuri sposi scelgono la data un anno prima e tutti decidono di sposarsi nello stesso periodo. Dovessi ancora convolare a nozze, per me la cosa sarebbe insopportabile.

Trucco e parrucco.
Per le spose ormai c’è il catalogo dove si possono scegliere l’acconciatura e il trucco preferiti. La scelta è ampia ma, una volta presa la decisione, non sia mai che si attenda il giorno del matrimonio per farsi fare l’acconciatura e il trucco. Le prove sono assolutamente necessarie. E non ne basta una, per carità. Metti che l’acconciatura scelta sul catalogo non sia la migliore per il tuo viso. E il trucco? Non esiste il trucco per la sposa perfetta e, soprattutto, non è detto che il make-up preferito sia proprio quello che sta bene con la tua faccia. E prova che ti riprova, spendi bigliettoni da 100 euro senza nemmeno accorgertene e del tutto inutilmente, visto che il trucco lo togli la sera prima di andare a dormire e al primo shampoo i capelli ritornano com’erano prima.
Lo ripeto: sarò strana ma non mi è mai passato per la testa – letteralmente – di fare le prove di trucco e parrucco. Mi sono affidata ciecamente alla mia parrucchiera – e non a un hair designer come si dice adesso – e per il trucco mi sono arrangiata da sola. Vi posso assicurare che l’acconciatura e il trucco hanno tenuto perfettamente dalle quattro di pomeriggio alle tre di notte. Non mi sono nemmeno tolta il velo al ristorante, per dire.

Per concludere, io davvero non capisco tutte queste complicazioni. La vita è già tanto complicata di suo…
Mi sono laureata a febbraio, ho deciso di sposarmi a maggio, a giugno ancora non avevamo trovato casa e il 31 agosto eravamo davanti al sacerdote apprestandoci a passare la vita assieme. Il vestito era ok, il ristorante l’abbiamo trovato senza difficoltà, la Chiesa non era libera il 1 settembre, come volevamo, e abbiamo accettato di anticipare al sabato precedente. Senza fare prove di trucco e parrucco ero bellissima (quale sposa non lo è?) ugualmente. Stanchissima per aver passato due mesi di preparativi intensi. Figuriamoci se avessi iniziato a pensarci un anno prima… probabilmente nel frattempo avrei deciso di non sposarmi più.

[immagine abito da sposa da questo sito]

PERCHE’ IL DDL SULLE UNIONI CIVILI E’ UNA BRUTTA COPIA DEL MATRIMONIO PER FAVORIRE I GAY

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Più di una volta ho affrontato, su questo blog, l’argomento “convivenza” dichiarando la necessità di una legge che tuteli le coppie che non sono sposate, in modo da garantire per esse dei diritti e, naturalmente, dei doveri.

Nel tempo sono state proposte e dibattute varie soluzioni al problema, dai cosiddetti PACS ai DICO, senza ottenere nulla a livello giuridico. Ora, tuttavia, sembra che l’approvazione del DDL Cirinnà (che risale al marzo 2013) sia diventata una priorità per il nostro governo. Vediamo perché.

Negli ultimi anni sempre più coppie omosessuali hanno chiesto presso i Comuni di residenza il riconoscimento legale del loro matrimonio contratto all’estero. Alcuni sindaci hanno dato il loro assenso per la registrazione all’anagrafe di questi matrimoni, altri si sono dimostrati contrari e il ministro dell’Interno Alfano ha diramato, già nel 2014, una circolare in cui chiedeva ai prefetti di cancellare le trascrizioni delle nozze celebrate all’estero tra persone dello stesso sesso.

Una vera e propria crociata malvista dalle associazioni gay che si appellano all’Europa – sì, quella che ci chiede sempre tutto in nome dell’unità – e minacciano ricorsi alla Corte di Giustizia Europea. Sicché, come già successo con la famigerata #buonascuola e le 90mila assunzioni dei docenti precari per evitare sanzioni (dato che la Corte Europea aveva già condannato l’Italia dai tempi della Gelmini), il governo italiano “cala le braghe” (scusatemi l’espressione colorita) e si affretta a far votare una Legge che garantirebbe agli omosessuali il riconoscimento giuridico della loro unione, pur non chiamandolo matrimonio.

Ma alle coppie eterosessuali che convivono chi ci pensa? Mi si dirà, a questo punto, che per gli etero c’è sempre il matrimonio. Certamente, ma ci sono anche coppie che non possono sposarsi. Molti preferiscono la convivenza per non impegnarsi, non lo nego. Tuttavia in alcuni casi la convivenza è un obbligo e sono pronta a portare due esempi.

Una mia conoscente ha convissuto per più di vent’anni con un uomo sposato che non ha potuto divorziare perché con la moglie aveva in comune affari e proprietà, naturalmente in regime di comunione di beni. Anche volendo mutare la comunione in separazione, non avrebbe potuto farlo senza il consenso della moglie, e comunque cambiare regime è costoso. Per farla breve, il compagno della mia conoscente, sapendo di essere gravemente ammalato, ha fatto in modo di garantirle almeno l’usufrutto a vita dell’appartamento in cui vivevano, soluzione osteggiata dagli eredi alla morte di lui e che è costata alla donna, oltre alle sofferenze morali, l’iter legale per ottenere il rispetto della volontà del compagno.

Un’altra mia conoscente ha convissuto per 20 anni con un uomo sposato la cui moglie si è sempre rifiutata di concedergli il divorzio. Ora, lo so che in certi casi ci sono dei mezzi legali per ottenere il divorzio comunque, ma vuoi per pigrizia vuoi perché forse l’uomo non si aspettava di morire così presto, alla fine la convivente è rimasta da sola, con due figli non ancora autonomi economicamente e senza un lavoro, visto che il compagno l’aveva praticamente obbligata a fare la casalinga.

Potrei aggiungere l’esempio di molti giovani che, comprando casa e arredandola, hanno speso tutti i risparmi e non hanno soldi a sufficienza per sposarsi. E non mi si venga a dire che, volendo, si va dal prete o dall’ufficiale di Stato Civile con due testimoni e il gioco è fatto. Ci sono delle convenzioni da rispettare e, sebbene al giorno d’oggi non sia così scontato che ci si sposi una sola volta nella vita, di quel giorno tutti vorrebbero avere un bel ricordo, potendo condividere la loro felicità con le persone vicine.

Tornando al DDL Cirinnà, la cosiddetta stepchild adoption non sarebbe aberrante di per sé (non sto qui a discutere sul fatto che i bambini hanno bisogno di una mamma e un papà quali figure di riferimento ecc. ecc.) se non costituisse una possibile premessa a maternità surrogate per le coppie di uomini. Per quanto riguarda le donne, la fecondazione assistita per le single è già possibile, compresa l’eterologa, e il DDL non sposterebbe di una virgola una situazione già in essere.

Su questo tema è nata una discussione sul blog dell’amica Diemme che vi invito a seguire, se interessati all’argomento.

In conclusione, a mio parere, questo DDL favorisce le unioni gay a scapito di quelle etero. Come al solito, dunque, si tratta di una discriminazione al contrario.

L’UOMO IN CUCINA: SI SALVI CHI PUÒ


Cari amici (e lettori occasionali), in questo periodo sto trascurando il blog (dovrei dire i blog, compreso quello di cui pochi sanno che è in attesa dell’estate 😉 ). Non sono a corto di idee, anzi. Nella mia testa ne frullano molte. Il tempo è poco, considerato che alla fine delle lezioni ci sono un sacco di cose burocratiche da sbrigare e le 24 ore della giornata mi stanno decisamente strette.

Pensa che ti ripensa, ho ricordato l’invito rivoltomi tempo fa dall’amica Diemme: quello di ripubblicare a puntate un vecchio post sugli uomini in casa. Probabilmente la maggior parte di voi lettori abituali lo conosce già, ma ci sono sempre i recenti “acquisti” che ne ignorano l’esistenza.

Ecco quindi la prima puntata: L’UOMO IN CUCINA.

Premetto che si tratta di un post ironico, basato esclusivamente sulla mia esperienza, che non ha alcuna presunzione di essere un trattato scientifico né di dire cose universalmente valide. Lo sottolineo perché allora qualcuno si è offeso …

L’intento è, dunque, quello di farsi due risate (sempre che ci riesca a suscitarle ma i riscontri allora sono stati più che buoni) in questa tarda primavera che sembra più estate avanzata, con i 33 gradi che il termometro esterno segna, e i 29 e mezzo interni … non vi dico che allegria lavorare davanti al pc!

Non mi resta che augurarvi una buona lettura … o rilettura, naturalmente.
Per chi proprio non ce la fa ad attendere le altre puntate – ovviamente chi non ha letto il post intero pubblicato qualche anno fa), può continuare a leggere QUI.

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PREMESSA

Gli uomini in casa? Che palle! Certi uomini, non tutti, a vederli girar per casa, ti fanno venire due palle così anche se non le hai, altri, invece, sanno essere disponibili a darti una mano cosicché li perdoni quando, per caso, le palle te le fanno girare lo stesso.

Detto questo, si sarà capito che ho esperienza di entrambi i generi. Esperienza diretta, intendo. E posso fare dei confronti molto esemplificativi prendendo in esame il comportamento degli uomini che fanno parte della mia famiglia, parenti diretti e acquisiti, giovani e vecchi.
Prima di tutto bisogna dire che c’è sempre un uomo che si propone come esempio, giusto o sbagliato che sia, e qualche altro che lo emula, nel bene e nel male. Poi ci sono le donne: quelle sanno esattamente come raddrizzare gli uomini nel caso in cui non si comportino a dovere. Ma è anche vero che c’è qualche uomo che se ne frega del buon intento della donna in questione, anche se i modi magari possono apparire un po’ bruschi ma lo scopo è quasi umanitario. Quello è il genere uomo-che-non-si-piega-fossi-matto-manco-per-sogno-che-hai-ragione-tu. E questa è la specie peggiore perché difficilmente addomesticabile. Che si fa allora? Quello che non si dovrebbe fare con gli amici animali d’estate: li si abbandona. Sempre che, presa da un rimorso improvviso o dominata, a sua volta, da un opportunismo incontrollabile del tipo me-lo-tengo-così-com’è-tanto-c’è-di-peggio, la donna in questione non rinunci ad addomesticare il suo uomo. Probabilmente se ne pentirà per tutto il resto della vita.

Prima di elencare i pregi e difetti degli uomini in casa, mi faccio una domanda: perché una donna in casa trova sempre qualcosa da fare e l’uomo no? Perché una donna gira come una trottola cercando di sbrigare le faccende domestiche o anche di portarsi un po’ avanti con il lavoro, mentre l’uomo vive in simbiosi con il telecomando della TV, stravaccato sul divano, oppure si fionda davanti al pc a cazzeggiare? La risposta è: non l’ho mai capito. Però bisogna dire che certi uomini, anche se hanno la tendenza a non fare nulla, se correttamente sollecitati, rinunciano a cazzeggiare e danno una mano. In questo caso, la differenza fra un uomo e una donna è che il primo ha bisogno di istruzioni, la seconda no. E non si tratta per nulla di un particolare insignificante.

L’UOMO IN CUCINA.
Se per caso qualcuna ha la fortuna di avere un marito disponibile a preparare qualche manicaretto, o semplicemente a cucinare il rancio quotidiano, allora sa perfettamente che l’uomo-cuoco non sa fare nulla autonomamente: lui ha sempre bisogno di un aiuto cuoco e di una sguattera che gli corre dietro con lo straccio per evitare che la cucina diventi una sorta di palude o un campo di battaglia con tanto di cadaveri abbandonati sul terreno. La donna-cuoca, invece, fa tutto da sola: prepara gli ingredienti che le servono, tagliando, sminuzzando, sbucciando, battendo, aprendo e più verbi si elencano più si rende l’idea, cucina, senza aver bisogno che nessuno le passi la padella o il sale o le spezie o l’olio e via dicendo. Poi, dopo aver cucinato e servito a tavola –quindi fa anche la cameriera-, pulisce la cucina e carica la lavastoviglie, se ce l’ha, altrimenti lava i piatti a mano.
L’uomo, invece, che fa? Se cucina ha bisogno sempre di una mano, non serve a tavola, tantomeno pulisce. Ricordo che tanti anni fa, quando ero in attesa del secondogenito e dovevo stare a riposo, mio marito lavava i piatti ma mai il fornello. Avendoglielo fatto notare, mi fu riposto: “se domani si deve cucinare di nuovo a che serve pulire oggi?” Poi non stupiamoci che qualche fornello che viene esibito negli spot che pubblicizzano gli spray supersgrassanti sia in condizioni pietose: vi avrà di certo cucinato un uomo per settimane senza mai pulire.

Mio marito cucina solo quando non ci sono oppure ho 38 di febbre … se ho 37 e mezzo e mi vede girar per casa pensa che io stia bene (in realtà sto già malissimo visto che la mia temperatura normale si aggira sui 35 e 8). Quando cucina, sporca dappertutto e se a casa ci sono i figli, li arruola subito. Loro sbuffano ma gli danno una mano, ovvero lo aiuta perlopiù il secondogenito perché il primo figlio deve aver preso tutto da suo nonno paterno.

Mio suocero era un buon uomo, molto generoso, mi voleva bene come ad una figlia, spesso mi invitava al ristorante ma in casa non sapeva fare assolutamente nulla. Lui si vantava di non saper mettere sul fuoco nemmeno la caffettiera –preventivamente preparata da qualcun altro-, non sapeva nemmeno dove si trovassero i piatti e i bicchieri. Lui in casa non ha mai fatto nulla e quando gli facevamo notare che avrebbe potuto imparare a far qualcosa, per non dipendere dalle sue “donne” (leggi badanti), rispondeva che i soldi per andare al bar a bere il caffè e al ristorante per cenare non gli mancavano.
La colpa non era tutta sua, naturalmente.
Mia suocera era una santa donna, ma ha sbagliato a viziare a questo modo suo marito. Era, però, una donna d’altri tempi: lasciò il lavoro non appena messa al mondo la prima figlia e dedicarsi alla famiglia fu l’unica occupazione che svolse finché ne ebbe le forze.
Ma le donne ora lavorano quasi tutte –al sud un po’ meno perché gli uomini evidentemente sono come mio suocero- e hanno bisogno di aiuto, così gli uomini s’ingegnano anche se, come dicevo, devono essere debitamente istruiti. Io mio marito l’ho istruito benino, ma mai come mia mamma ha fatto con mio papà.

Mio papà, per iniziare, è un bravo cuoco. Rimasto orfano di padre da bambino, stava sempre attaccato alla gonna di mia nonna e guardandola ha imparato a cucinare. Lui, nonostante mia mamma brontoli lo stesso, non ha bisogno di aiuto cuochi né di sguattere: la cucina è il suo regno, quindi sa esattamente dove trovare le stoviglie che gli servono, e, una volta cucinato, mette tutto a posto e pulisce. Sa caricare la lavastoviglie, anche se non c’è nessuno che lo fa meglio di mia madre, e, se necessario, lava tutte le pentole a mano.

Mio figlio minore ha ereditato da mio padre la passione per la cucina: s’inventa pietanze strane, guarda, quando può, “La prova del cuoco” e prende degli spunti, ha estro e non si perde mai d’animo, nemmeno quando il frigorifero è semivuoto. Lui in cucina mi sostituisce a meraviglia e, se me ne devo andar via per qualche giorno, posso stare tranquilla. Dipendesse da suo fratello, si mangerebbero solo kebab e BigMc. Il mio “piccolo”, però, una cosa da suo padre l’ha presa: non lava il fornello. Anche lui è convinto che sia fatica sprecata.

[to be continued; immagine sposi da questo sito]

CHI HA PAURA DEGLI OMOSESSUALI?

omosessualità
Omofobia: è proprio la parola che non riesco a digerire. Se guardiamo all’etimologia, deriverebbe da due termini greci: ομοίος [homoios] (stesso, medesimo) e fobos (paura). Ne consegue che la parola dovrebbe rimandare a una “paura dello stesso”, ma non ha senso. Dovremmo, dunque, considerare il prefisso “omo” come un’abbreviazione del termine “omosessuale” e allora ci siamo: omofobia significa “paura dell’omosessuale”. Sì, ma perché paura? Chi ha paura dell’omosessualità?

 

Effettivamente è proprio quella “fobia” che porta fuori strada. Il suffisso “fobia”, infatti, rimanda a un concetto clinico (claustrofobia= paura degli ambienti chiusi, aracnofobia= paura dei ragni …) ma nel caso in questione è chiaro che la paura non c’entra nulla. Dovremmo dire piuttosto “avversione” e in effetti con questo termine si indica un comportamento avverso, di conseguenza intollerante e discriminante, nei confronti della pratica omosessuale.

 

Ma c’è, tuttavia, qualcuno che ha paura dell’omosessualità, che teme il “diverso”, ciò che si discosta dai canoni consueti. Si teme, in altre parole, che venga infranto l’equilibrio naturale delle cose. Spaventa la possibilità che i gay si sposino, che possano adottare dei bambini, spaventa, quindi, il solo concetto di “famiglia omosessuale” che pure esiste di fatto, se non per legge (almeno non qui da noi).

 

Le ricerche psicosociali evidenziano come l’omofobia sia maggiormente legata a caratteristiche personali quali: anzianità, basso livello di istruzione, idee religiose fondamentaliste, l’essere autoritari oppure avere atteggiamenti tradizionalisti rispetto ai ruoli di genere. Non è un caso, a mio avviso, che la maggior parte delle persone che nutrono avversione nei confronti del mondo gay, appartengano al genere maschile. Se ci pensate bene, dà molto più fastidio agli uomini pensare alle relazioni omosessuali piuttosto che alle donne. E questo accade, secondo me, perché i maschi, più delle femmine, sono portati a ricondurre l’omosessualità alla sfera prettamente sessuale, in altre parole a ciò che accade a una coppia gay, in tal caso di uomini, sotto le lenzuola. Tutto ciò trascurando la sfera affettiva che, sempre secondo il mio punto di vista, ha una centralità importante anche nelle relazioni omosessuali, che ci piaccia oppure no.

 

Ho sentito questa riflessione come un atto dovuto prima di affrontare, non senza imbarazzo, un discorso che in qualche modo è collegato al post precedente, in cui trattavo il programma governativo francese ABCD de l’ègalitè, a proposito del superamento del concetto di famiglia tradizionale.

Già allora ho chiarito che il mutamento sociale che ha portato a ciò non mi disturba a patto che, per non discriminare i nuovi modelli, non si demoliscano le tradizioni consolidate (poter festeggiare la festa della mamma o del papà, potersi firmare con la dicitura “mamma” e “papà” e non genitore 1 e 2 …).  Da qui a dire che “ho paura” del mondo gay ce ne vuole.

 

Il commento di un lettore, che preferisco non nominare, mi ha lasciata perplessa. Ho deciso di non pubblicarlo anche perché, se avessi voluto replicare, avrei occupato tanto spazio da superare quello concesso all’articolo. Di qui la decisione di questo nuovo post.

Ma c’è anche un altro motivo per cui ho preso la decisione di non pubblicare quel commento: il tono sprezzante con cui veniva affrontato l’argomento, con una tale sicumera da lasciare spiazzata me che pure sono una con pochi peli sulla lingua. Senza contare gli appellativi ormai desueti, anche perché, quelli sì, considerati omofobi, con cui la persona in questione si riferiva agli omosessuali.

 

Il lettore a un certo punto dice: «me ne infischio del ”politically correct” quando c’è in gioco il futuro e la dignità dei nostri figli». Ora, io sono molto aperta di fronte alle opinioni degli altri, anche se, in caso di divergenza, difendo con le unghie e con i denti le mie. C’è una cosa che, tuttavia, non sopporto: il fatto che chi scrive qui dimentichi che questa è casa mia e che sono io a stabilire le regole. Basta dare un’occhiata al disclaimer sulla homepage e si capisce che i commenti che giudico offensivi o formulati facendo uso di parole che ritengo inaccettabili non passeranno il filtro della moderazione.

Detto questo, se il lettore, persona che conosco e che ha goduto nei mesi passati della mia stima, se ne infischia del politically correct, io no.

 

adozioni-gay

Proseguendo nella sua esternazione, il lettore presagisce il futuro della società (non so se mondiale o solo italiana) basata sulle unioni tra due uomini o due donne, con la possibilità di adottare dei figli il cui destino sarebbe segnato: diventare essi stessi omosessuali.

È ovvio che non c’è nulla di scientificamente provato in ciò, anzi, sembra che al contrario i figli di coppie gay abbiano, essi sì, la fobia di diventarlo a loro volta (attenzione, non mi baso su studi specifici ma solo sul “sentito dire”).

 

Sono sincera: non sono favorevole all’adozione da parte delle coppie omosessuali, l’ho detto più volte, fidandomi del parere di chi è più esperto di me. Ho affrontato questo discorso altrove e naturalmente ognuno tira l’acqua al suo mulino quindi è logico che ci saranno sempre delle controargomentazioni da parte di chi ha interesse a difendere una legge che permetta l’adozione all’interno di una coppia gay.

Ma anche ammettendo che i bambini con i genitori dello stesso sesso crescano in perfetta sintonia con il mondo che li circonda, non subiscano traumi di sorta, non vengano derisi da chi ha una mamma e un papà e percepiti come “diversi” (si sa che i primi a discriminare sono proprio i più piccoli, anche se l’educazione ricevuta conta moltissimo), so che in Italia l’adozione è un percorso accidentato per le coppie eterosessuali. Quindi, prima di aprire alle coppie omosex sarebbe utile rendere l’adozione meno complessa per i coniugi, altrimenti sarebbero proprio le coppie etero a venir discriminate.

 

Tornando al nostro lettore, nonostante gli studi abbiano dimostrato che l’omosessualità non è una malattia né un capriccio, piuttosto una questione genetica, egli nega si tratti di disfunzioni ormonali o fisiologiche ma solo di ricercata depravazione e di triviale amoralità, confermando le ipotesi accreditate secondo le quali l’omofobia si fonda su dei preconcetti che investono la sfera etica. Stiamo attenti: l’etica è qualcosa di diverso dalla religione, nel senso che esiste una morale laica del tutto svincolata dalla fede e basata piuttosto sul pregiudizio, nel vero senso della parola: “giudicare a priori” senza, quindi, solide argomentazioni.

 

Ciò non toglie che, volenti o nolenti, la diffusione del Cristianesimo ha un ruolo predominante sui costumi di una società.

antica roma omosex

Se consideriamo, infatti, l’antica Roma, l’omosessualità, strettamente maschile (quella femminile era considerata una mostruosità) era una pratica accettata e condivisa, che poteva dare ancor più prestigio agli uomini di potere. Il padrone si prendeva ogni libertà nei confronti dello schiavo giovane, il cosiddetto puer, ed egli era onorato di prestare tali particolari servigi al padrone. Da parte sua, il padrone dimostrava il suo potere sottomettendo lo schiavo ai suoi voleri, fossero pure quelli sessuali. Ciò almeno fino al matrimonio: poi gli “amichetti” dovevano vivere nell’ombra, veri e propri concubini che attendevano pazientemente che il loro amato padrone lasciasse il talamo nuziale per passare sotto le loro lenzuola. E guai se la moglie veniva a conoscenza di questi rapporti omosessuali! Ne era profondamente gelosa, molto di più rispetto alle amanti femmine. (sull’amore nell’antica Roma suggerisco la lettura di Dammi mille baci di Eva Cantarella, Feltrinelli editore … illuminante”!)

 

Poi, come dicevo, è arrivato il Cristianesimo e con la sua morale ha fatto piazza pulita di tali turpitudini … almeno a parole. L’esempio di Sodoma e Gomorra poteva bastare per dissuadere le relazioni omosessuali che, tuttavia, continuavano ad esistere nell’ombra.

 

In conclusione mi chiedo: come si fa a considerare tutto ciò un tabù al giorno d’oggi?

E poi, se lo stesso Papa Francesco, a proposito dell’omosessualità, ha detto: “Chi sono io per giudicare?”, chi siamo noi per farlo?

LA BUONA NOTIZIA DEL VENERDÌ: CON IL CUSCINO CHE SI GONFIA BASTA NOTTI INSONNI SE IL PARTNER RUSSA

russare
La notizia di per sé può sembrare abbastanza banale: di metodi per non russare mentre si dorme ce ne sono tanti ed è anche vero che, con un po’ di pazienza, al ronfronf del partner ci si abitua pure. Ma forse questa invenzione è davvero efficace, se non altro potrebbe avere il merito di salvare qualche matrimonio.

Si tratta di un cuscino antirussamento. Ce ne sono già in circolazione di diversi tipi, ma questo è un po’ speciale: si chiama ‘Snore Activated Nudging Pillow’, è in poliuretano ed è dotato di un microfono integrato che capta le vibrazioni sonore liberate dai russatori. In questo modo rileva il rumore e spinge chi dorme a cambiare posizione, facendo gonfiare una camera d’aria interna, che aumenta la profondità del cuscino di tre pollici (circa 7,5 cm), abbastanza per far spostare la testa o il corpo a chi dorme.

Il cuscino è anche dotato di un’impostazione ritardante: una pausa di 30 minuti che permette a chi lo usa di prendere sonno senza essere disturbato da improvvisi rigonfiamenti.
Si può, inoltre, regolare la sensibilità del microfono in base al tipo di rumore emesso, leggero o pesante, o di disattivarlo.

Il cuscino anti-russamento si può acquistare solo on line sul sito del rivenditore di New York, Hammacher Schlemmer. L’unica pecca è il costo non proprio economico: 149,95 dollari. Ma è anche vero che salvare un matrimonio … non ha prezzo.

[fonte: Focus; immagine tratta da questo sito]

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LE MIE ALTRE BUONE NOTIZIE

VIAGGIO DI NOZZE INFINITO CON ABITO DA SPOSA IN VALIGIA

jennifer sposa parigi
Molto singolare l’esperienza di due coniugi americani che da cinque anni rivivono la luna di miele, viaggiando ogni estate e scattando decine e decine di fotografie in cui lei è immancabilmente immortalata con addosso l’abito da sposa.

“E ‘iniziato al nostro matrimonio”, ha detto Jeff riguardo al progetto fotografico che si è evoluto dalle nozze della coppia di Medford (New Jersey, Stati Uniti) avvenute su un cratere vulcanico dell’isola di Pasqua il 18 marzo 2008. “Volevamo andare in qualche posto spirituale, iconico e non troppo turistico”. Direi che ci sono proprio riusciti e da quel dì il viaggio di nozze per i due fortunati sposi è un’esperienza da ripetere. Né Jeff e la sua sposa Jennifer hanno alcuna intenzione di interromperlo. Dopo ben cinque anni di viaggi di nozze, con relativi scatti di lei in abito da sposa, altri viaggi sono in programma per il 2014, con mete orientali: Singapore, Thailandia e Cambogia.

Dal giorno del loro matrimonio i coniugi americani hanno viaggiato in ben diciannove paesi: Cile, Svizzera, Cina, USA, Egitto, Nuova Zelanda, Ungheria, Francia, Italia, Città del Vaticano, Perù, Islanda, Norvegia, Giamaica, Bahamas, Grand Cayman, Honduras, Grecia e Russia. Hanno percorso, con in valigia l’immancabile abito bianco che Jennifer indossava il giorno delle nozze (pagato solo 400 dollari, tra l’altro!), circa 147,500 miglia (più o meno 240.000 km), scattando 148 foto, alcune di esse veramente originali. Ad esempio, quelle che vedono la sposa ormai non più novella immersa nelle acque caraibiche, con tanto di pinne e maschera subacquea, oppure in groppa ad un cavallo nelle acque cristalline delle Bahamas. Ma altri scenari per nulla usuali, specie per delle foto di nozze, sono stati scelti da Jeff per immortalare la moglie: il campo da hockey su ghiaccio dei Philadelphia Flyers e quello da basket dei Philadelphia Sixers, ad esempio. E che dire della posa per nulla tranquilla di fronte all’avanzare di un karateca affatto intimorito dalla bella sposina?
Molto più rassicuranti gli enormi eucalipti che si sono lasciati sfiorare dalla delicata mano di Jennifer, intenta a dipingere i loro tronchi nel Maui (Hawaii).

Insomma, scatti che devono essere visti e apprezzati per la loro originalità e bellezza. Potete farlo QUI oppure QUI (il blog dedicato all’insolita avventura dei coniugi Salvage). Ma una carrellata la potete trovare anche nel video in fondo all’articolo.

Recentemente è stato pubblicato il libro One dress, one woman, one world che contiene gli scatti fatti durante i viaggi.
Jennifer sta attualmente scrivendo un diario romantico della loro storia e spera di pubblicarlo nel giorno di San Valentino. I due coniugi sono, però, ancora alla ricerca di un editore. Nel caso in cui nessuno si facesse avanti, hanno comunque intenzione di pubblicare in proprio la loro Romantic Memoire.
Non fatico a credere che prima del 14 febbraio 2014 qualche editore si sarà reso disponibile per la pubblicazione.

Che altro dire? Auguri e figli maschi … in questa romantica e infinita luna di miele il tempo di concepire un bebè di certo non mancherà.

KEIRA E VALERIA, SPOSE DI MAGGIO

99-237644-000007Lei è Keira Knightley, attrice inglese, classe 1985, con alle spalle una carriera di tutto rispetto. Una persona semplice, alquanto schiva, ricca e famosa ma non per questo si è montata la testa. Ricordo la polemica scoppiata nel 2004 quando nella locandina di King Arthur (pellicola che non ebbe molto successo di pubblico ma che consacrò definitivamente Keira, nelle vesti della regina Ginevra) le ritoccarono il seno, poco generoso, e lei si infuriò. Da allora sono passati nove anni e la sua spontaneità emerge anche dalle fotografie del suo matrimonio.
Il 4 maggio l’attrice ha sposato, in Provenza, James Righton, tastierista della rock band Klaxons. Il rito civile è stato celebrato nel municipio di Mazon alla presenza di soli 11 persone. Poi la coppia ha festeggiato le nozze con una cinquantina di invitati, fra amici e parenti, nel casale di famiglia.
La sposa indossava un abito semplice – dicono riciclato – e delle graziose ballerine ai piedi. Un semplice completo blue per lui che sembra poco più che adolescente.

marini sposaQuest’altra sposa di maggio non credo abbia bisogno di presentazioni. Ieri la quarantaseienne show girl italiana, la Valeriona nazionale, ha sposato l’imprenditore Giovanni Cottone nella basilica dell’Ara Pacis Coeli di Roma. Fasciata da un abito, ovviamente bianco, stile sirena tutto pizzo e velo con strascico, è arrivata davanti alla chiesa e subito protetta, grazie a qualche decina di bodyguard, dall’assalto dei paparazzi (uno dei quali pare abbia bestemmiato al suo arrivo) ansiosi di riprenderla. Per coprire la sposa sono stati utilizzati degli ombrelli bianchi perché l’esclusiva delle fotografie era già stata concessa a qualche rivista. Senza contare la diretta Tv della cerimonia, mandata in onda su Rai 1 all’interno della rubrica “Così è la vita”, condotta da Lorella Cuccarini.
Otto testimoni per gli sposi, quattro a testa, fra cui celebrità come la Cucinotta, la Trump e Bertinotti. A seguire un ricevimento a Villa Piccolomini con 700 invitati a cui la Marini ha chiesto «un tocco d’oro nel proprio look».

Dicono che la classe non sia acqua. Personalmente credo che l’eleganza, la sobrietà, il bon ton siano insiti nel codice genetico di una persona. C’è che ci nasce e chi no.

[foto Keira da questo sito; foto Valeria da questo sito]

NOZZE DI DIAMANTE

nozze diamante
Maria (per gli amici Mariuccia, per i nipoti [come zia] e per il marito Ucci) e Vittorio si sono sposati un freddissimo (bora e qualche grado sottozero) 4 gennaio del 1953.

Oggi, 4 gennaio 2013 a Trieste non soffiava la bora, splendeva il sole e, nelle ore più calde, il termometro segnava 11°. Una bellissima giornata scaldata, oltre che dal sole, anche da tante persone che, strette attorno ai due “sposi”, hanno brindato ai loro 60 anni di matrimonio e alla loro futura felicità.

L’argomento di discussione affrontato dalla maggior parte degli invitati è stato: un matrimonio che dura da 60 anni è inconcepibile al giorno d’oggi.

Ora, non bisogna per forza essere catastrofisti e pensare che le unioni, ufficializzate in Chiesa oppure al Comune, siano destinate a fallire, quando va bene, nel giro di qualche lustro. Infatti, è sufficiente riflettere sull’età media in cui ci si sposa: 35 anni. Ora, per quanto la vita umana si sia allungata, arrivare in due a 95 anni pare comunque un’impresa ardua.

Maria e Vittorio sessant’anni fa erano giovanissimi: di lei non dirò l’età (potrebbe anche punirmi selvaggiamente!) ma dirò che lui non aveva nemmeno compiuto 21 anni e, essendo orfano di entrambi i genitori, suo fratello aveva dovuto firmare il consenso. E dire che sarebbe bastato aspettare poche settimane … ma il desiderio di impalmare la bella Ucci era talmente grande da non poter attendere oltre.

La domanda più quotata sempre dagli invitati alla festa di “nozze” è stata: ma come si fa a far durare un matrimonio ben 60 anni?

Io un’idea ce l’avrei, conoscendo molto da vicino i due protagonisti dei festeggiamenti: una santa pazienza da parte di lui e una grande capacità di convincere da parte di lei. Ovvero: fare in modo che lui faccia tutto (o quasi) quello che vuole lei, facendogli tuttavia credere di farlo spontaneamente. 🙂

Insomma, chi non vorrebbe un marito che ogni mattina ti porta il caffè a letto, da sessant’anni, che sa cucinare (e non solo per sopravvivere), va a fare la spesa, all’occorrenza dà una mano con le pulizie, non ti fa mai mancare nulla né sa dirti di no pure quando sarebbe cosa assai sensata dirtelo?

Qual è, dunque, il segreto di un’unione così longeva, allietata da due figli fantastici (una leggermente più dell’altro 😉 ) e da tre nipoti bellissimi?

Io credo che sia soprattutto un grande, grandissimo amore, simile alla devozione, qualcosa di molto vicino al divino che innalza gli uomini al cielo.

Forse è questo che, nelle coppie più giovani, viene a mancare presto. L’amore è come un fuoco che divampa impetuoso per poi spegnersi al primo fiato di vento. L’Amore vero, quello che avvicina gli uomini a Dio è, invece, un fuoco che non teme la pioggia, le nuvole, le tempeste … sa che, superato il momento in cui teme davvero di spegnersi, riprenderà vigore come e più di prima.

Questo è l’Amore che tiene uniti i miei genitori da ben più di sessant’anni, considerando il fidanzamento che credo fosse durato quattro anni.

Questo è L’Amore che Kahlil Gibran definisce Sublime:

Un amore sublime non conosce invidia né gelosia perché è ricco, e non fa del corpo una meta perché risiede

nello spirito. È una forte attrazione che riempie l’anima di gioia. È una breccia profonda che colma il

cuore di festosità. È una magia che ha tramutato il mio sogno in paradiso e mi ha reso la vita simile a un

bel sogno.

da Le ali spezzate

So che Mamma e Papà non leggeranno mai questo post ma mi fa piacere dedicare loro questi versi bellissimi che credo tutte le mogli e i mariti dovrebbero tenere a mente, nei momenti di crisi e in quelli di felicità.

Infine, dedico ai miei meravigliosi genitori una canzone di Eros Ramazzotti da cui estrapolo alcune parti che mi sembrano quanto mai appropriate, parole che immagino attraversare la mente di mio Papà ogni volta che guarda mia Mamma negli occhi … da più di 60 anni.

Com’è cominciata io non saprei
la storia infinita con te
che sei diventata la mia lei
di tutta una vita per me
ci vuole passione con te
e un briciolo di pazzia
ci vuole pensiero perciò
lavoro di fantasia

[…]

com’è che non passa con gli anni miei
la voglia infinita di te
cos’è quel mistero che ancora sei
che porto qui dentro di me
Saranno i momenti che ho
quegli attimi che mi dai