Stamattina vi ho visti tutti concentrati, da lontano. Con quei fogli a quadretti davanti, a cercare le risposte ai quesiti della prova di matematica, a provare e riprovare, qualcuno tranquillo, sicuro di quel che stava facendo, qualcun altro molto più perplesso. Alcuni inquieti, con quel movimento sussultorio delle gambe che tante volte ho osservato durante l’esecuzione dei compiti in classe. Le ragazze con i capelli raccolti, con quel caldo insopportabile, quel caldo che doveva proprio arrivare improvviso, in concomitanza con l’inizio degli esami. Un caldo che solo una “vecchia” prof come me può sopportare tenendo ostinatamente i capelli sciolti. Ma sudavo, eccome se sudavo.
Anche ieri mattina vi ho visti tutti concentrati, da lontano. Con i fogli a righe davanti, intenti a ricomporre in ordine i pensieri sparsi per elaborare un tema decente, Almeno, spero lo sia stato. Non so nemmeno che tracce avete scelto, avrei voluto passare veloce fra i banchi e sbirciare qua e là. Me l’hanno impedito, ovvero mi hanno consigliato di chiedere l’autorizzazione alla presidente che, però, in quel momento non c’era. E me l’avrebbe data, certamente, l’autorizzazione, la conosco da così tanti anni … alla fine ho rinunciato però sono riuscita a vedere qualche testa che si sollevava dal foglio, come se aveste percepito la mia presenza. Come quando, durante i compiti, smettevate immediatamente di parlottare un secondo prima del mio passaggio dalle vostre parti.
Mi sembra così strano, così ingiusto che io non sia lì con voi ad accompagnarvi nell’ultima avventura da liceali. È come se mancasse qualcosa, è come se quel cordone ombelicale che ha tenuti uniti a me tutti voi facesse fatica a spezzarsi. I miei allievi! Una parola che ha origine dal verbo latino alo, nutro. Eh sì, vi faccio ancora una lezione di latino, l’ultima. Nutrire trasmettendo il sapere senza rinunciare alle emozioni, nutrire dei cuccioli che, ormai svezzati, stanno per prendere il volo. Questo è il nostro mestiere, quella cosa meravigliosa chiamata “insegnamento”.
Anche stamattina, quando poi mi sono avvicinata per sorvegliare la classe che mi era stata assegnata, ho visto gli sguardi alzarsi da quel foglio a quadretti. Ho percepito qualche sussurro, qualcosa come “sono quelle le scarpe arancioni”, l’ultimo acquisto di cui avevo parlato con alcune di voi. Sì, sono quelle. Belle vero? Mi avete definito una prof elegante: quella di oggi forse è stata l’ultima lezione. O forse no.
In teoria da oggi dovrebbero iniziare le mie vacanze. In pratica ho ancora delle questioni burocratiche da sbrigare negli uffici. Potrei farlo domani o magari sabato mattina. Mi toglierei il pensiero e da lunedì sarei davvero libera da impegni. Ma voi non ci sarete, nei prossimi giorni. E allora credo proprio che andrò negli uffici lunedì, farò un veloce passaggio fra i banchi per regalarvi un sorriso di incoraggiamento. Avviso subito le ragazze che non avrò le scarpe arancioni: non avete idea del numero esorbitante di vesciche che mi hanno procurato in tre ore di passeggiate su e giù per il corridoio. Neanche avessi fatto la maratona di New York …
E poi magari ci sarò anche per gli orali. Al diavolo le vacanze! Inizieranno per me e per voi nello stesso momento. Verrò a sostenervi, ad incoraggiarvi, a pregare con voi o a fare esercizi di respirazione assieme ai più tesi di voi. Non verrò ad ascoltarvi, lo prometto. Oddio, se proprio qualcuno me lo chiedesse … non sarebbe professionale ma chiedendo il permesso magari lo si potrebbe fare. E forse sarò ancora assieme a voi ad aspettare con il batticuore l’esposizione dei voti. Perché, ormai è chiaro, io senza di voi non ci posso stare.
Sono afflitta dalla sindrome da inizio vacanze, quella sensazione di vuoto, come se qualcosa mancasse, come lo stomaco che brontola quando ha fame … Ogni anno arriva inesorabilmente con gli stessi sintomi. Ed è inutile che mi ripeta che sono stanca, stanchissima, che ho bisogno di riposo, che ho tante cose da fare in casa (ad esempio, cambiare il guardaroba visto che nell’armadio ho ancora i vestiti invernali e quelli estivi sono appesi sparsi ovunque capiti in quasi tutta la casa). È proprio inutile che ripensi a quanta fatica abbia fatto per arrivare alla fine delle lezioni, con tutti quei compiti da correggere, tutte le interrogazioni da fare (nelle altre classi perché voi ve la siete cavata alla grande!), quella voglia di starmene a casa senza fare assolutamente nulla, almeno per qualche giorno. Eppure non ho ancora incominciato. Anche questo pomeriggio, tornata a casa quasi alle quattro, avrei voluto sedermi sul divano e dormire fino alle otto di stasera. E invece sono qui a scrivere a voi, di voi, per voi. Un post l’ho dedicato alle quinte negli ultimi quattro anni. Per voi non avrei fatto un’eccezione, tanto più che, in barba a quel che si dice, che tutti gli studenti sono uguali come ogni scarrafone è bello a mamma sua, ci sono classi e classi. Attenti, non sto dicendo che gli studenti non sono tutti uguali all’interno della stessa classe (non sarebbe deontologicamente corretto nemmeno pensarlo), sto dicendo che non tutte le classi sono uguali e la vostra è una di quelle speciali.
Questo non è un post d’addio, non so nemmeno se lo leggerete, presi come siete dallo studio per le ultime prove. È solo un post che nasce dalla voglia di esprimere il mio dispiacere nel non potervi accompagnare fino in fondo, anche se so che siete in buonissime mani. È un post che dovevo scrivere per dirvi ciò che, nel ruolo di insegnante o quello di commissario, non avrei potuto dirvi. Per farvi sentire la mia vicinanza e il mio tifo per voi, un tale tifo che nemmeno per l’Italia agli Europei di calcio!
Nel “libro della memoria” uno spazio per voi ci sarà sempre. Spero che anche voi manteniate di me un buon ricordo e … non giratevi dall’altra parte se mi incontrate per strada!
Buona fortuna, ragazzi.