IL DETERSIVO DI TOTTI E LA PUBBLICITÀ AL MASCHILE

“Hai provato il detersivo di Totti?”, mi chiede mia mamma.

La mia mente corre agli spot anni Settanta, dove il testimonial dello stesso detersivo per lavatrici, versione in polvere nel fustino cilindrico, era l’indimenticabile Paolo Ferrari, attore di grande talento che girava di città in città per proporre alle casalinghe di scambiare il fustino del loro detersivo preferito con due di un’altra marca. Naturalmente tutte rifiutavano.

I testimonial nella pubblicità ci sono sempre stati.

Ricordo Ernesto Calindri che, seduto a un tavolino nel bel mezzo del traffico, sorseggiava con ostentata tranquillità il “suo” amaro contro il logorio della vita moderna. Oggi come oggi, rischierebbe di essere travolto nel traffico impazzito delle città e altro che amaro: lo stress cui siamo sottoposti non è qualcosa da mandar giù con un bicchierino di amaro al carciofo.

E Tino Scotti, ve lo ricordate? Aveva un modo simpatico di convincere a ingoiare un lassativo con quel “basta la parola” che rendeva quel problema così semplice da risolvere. E dire che adesso i prodotti maggiormente pubblicizzati producono l’effetto contrario, basti pensare alla disinvoltura con la quale, uomini e donne per par condicio, fanno l’elenco dei disturbi intestinali legati al colon irritabile… a proposito di stress.

Ricordo con tenerezza il simpatico sorriso di Carlo Dapporto, nel ruolo di Agostino il cameriere, che rimane affascinato dalla cliente dai denti bianchi e splindenti (Giorgia Moll) grazie al dentifricio del capitano.

A proposito di detersivi, indimenticabile è anche l’uomo in ammollo: Franco Cerri, per provare l’efficacia del prodotto reclamizzato anche sullo sporco impossibile, stava in ammollo nella vasca da bagno. Un remind dello spot fu mandato in onda qualche anno fa (l’uomo che, con la camicia macchiata di gelato, si butta nella fontana pubblica aggiungendo il detersivo in polvere, sotto lo sguardo inorridito delle signore presenti) ma rimase un tentativo maldestro di riproporre un modello che ormai non convince più nessuno. Molto meglio Totti alle prese con la capsula 3 in 1. Almeno lui non si butta nella lavatrice per testare l’efficacia del prodotto che pubblicizza.

Erano gli anni del Carosello che per tutti, specialmente per noi bambini, era uno spettacolo irrinunciabile. Le storie raccontate erano spesso siparietti divertenti recitati da grandi attori e cantanti. Ve la ricordate Mina, testimonial di una famosa azienda che produce pasta? Lo charme della tigre di Cremona nulla ha a che fare con Claudia Gerini in camice bianco e il suo “rigorosamente”.

Ma torniamo all’uomo nella pubblicità attuale: com’è? Diciamo che o ha problemi con la dentiera, poveretto, ma li risolve grazie all’adesivo, oppure fa la pipì dieci volte a notte e non vuole dirlo alla moglie. Ma lei, intelligente, va in farmacia e acquista un integratore che fa dormire sonni tranquilli a entrambi. Consigliare il marito a farsi visitare da un urologo, no?

Gli uomini non sono tutti così sfortunati. Ci sono anche quelli belli e aitanti che danno mostra di sé, per pubblicizzare i più svariati prodotti. Qualcuno, però, mi deve spiegare perché quel giovane dal fisico michelangiolesco, per convincere il pubblico che un dato sito immobiliare con le sue proposte ti fa sentire subito a casa nel primo appartamento che vedi (una fortuna sfacciata!), deve sfoggiare il lato b desnudo: ma c’è davvero bisogno di mettere in mostra due chiappe per pubblicizzare le offerte immobiliari?

Anni fa mi sarei ubriacata di Jagermaister sentendo la voce sensuale e l’accento esotico di Raz Degan mentre pronunciava la frase: “Non bevevo Jagermeister… non so perché”.
Quel suo modo sexy di concludere lo spot con “Sono fatti miei” lo rendeva così intrigante da battere qualsiasi belloccio odierno in capacità persuasiva, anche senza esibire il lato b.

Nel ripercorrere vecchi spot mi rendo conto che forse sto invecchiando (togliamo il “forse”, va). Totti, comunque, lo lascio a mia mamma.

UNA BIONDA SEMPRE DISPONIBILE… MEGLIO SE GHIACCIATA: LA BIRRA

peroniA metà degli anni Sessanta un famosissimo spot rilanciava il consumo della birra, che come vedremo affonda le sue radici nell’antichità, grazie alla sensualità, non volgare ma molto accattivante, di una modella bionda (negli anni seguenti sostituita da altre bellezze nordiche) che rivolgeva agli spettatori un ammicante invito: “Chiamami Peroni, sarò la tua birra”.

Tutt’oggi la birra è una delle bevande più apprezzate – dai giovani forse un po’ troppo, dato che all’alcol si avvicinano precocemente proprio grazie alla bevanda spumeggiante -, tanto che anche i monaci benedettini di Norcia hanno fondato un birrificio per contrastare la crisi.

monaciUt laetificet cor. Dio ha dato il pane all’uomo per rinforzare il cuore e il vino per allietarlo. Il salmo 103 recita più o meno così. «Solo che noi al posto del vino preferiamo la birra». Frate Agostino Wilmeth, 23enne originario del South Carolina, è uno dei monaci benedettini di Norcia e così spiega la nascita del birrificio di cui è il manager. Birra Nursia è nata nel 2012 da un’idea di alcuni frati che, per sostenere le spese dell’abbazia, hanno pensato di far rientrare in quel labora della regola di San Benedetto anche la lavorazione di malto e luppolo. (QUI potete leggere un reportage completo).

Un ritorno al passato se consideriamo che nel Medioevo proprio ai monaci fu affidato il compito di preservare dall’oblio l’arte di fare birra. Esattamente come negli scriptoria gli zelanti amanuensi vestiti con l’umile saio copiavano diligentemente e con notevole arte i manoscritti dell’epoca classica.

monaci-birraFurono proprio i monaci ad introdurre precise regole igieniche e tecnologiche: il luppolo è usato come aromatizzante per la prima volta al posto di tante spezie, piante officinali e bacche.
Ma le origini della birra ci riportano nella fertile Mesopotamia, una delle terre della cosiddetta mezzaluna, dove 4500 anni fa si coltivava l’orzo, il cereale dalla cui fermentazione si ricava la bevanda bionda.

Probabilmente la sua nascita è dovuta all’abitudine di conservare i cereali nell’acqua, un ambiente favorevole per innescare i processi di maltazione e poi di fermentazione. Presso i Sumeri, ogni persona, in base al censo, aveva diritto giornalmente ad una certa quantità e qualità di birra: dai due litri di birra chiara per gli operai ai cinque litri di birra pregiata per i governatori.

I Babilonesi ne conoscevano almeno venti varietà e, fedeli al detto occhio per occhio…, punivano chi annacquava la birra destinata alla vendita con l’annegamento del colpevole nella bevanda stessa.
In breve, l’arte del produrre la birra raggiunse gli Egizi che a loro volta la fecero conoscere ai Greci, agli Ebrei, agli Etruschi e ai Celti, mentre i Romani, che pur la conoscevano (personaggi illustri come Cesare, Augusto e Nerone ne appezzarono le qualità) preferivano il vino considerato bevanda più “civile”.

birra spot inglese

Nel XIII secolo Suor Hilgedard von Bingen, botanica dell’Abbazia di St. Rupert in Germania, scoprì che il luppolo aveva anche proprietà conservanti, oltre al fatto che donasse alla bevanda il tipico aroma. Sempre in Germania nacque la figura del mastro birraio, assieme alle scuole di formazione di questa figura professionale, ma furono soprattutto gli Inglesi ad apprezzarne l’aroma e a diffonderne il consumo, tanto che già nel 1300 in Inghilterra i tipici pub proliferavano, non senza pagarne le conseguenze: i governanti, infatti, ben presto imposero le tasse sulla birra. Nello stesso tempo la sua diffusione fu incoraggiata per questioni igieniche, dato che per ottenere la birra l’acqua doveva essere bollita e quindi era sterilizzata.
Va detto che gli inglesi si opposero a lungo al luppolo come aromatizzante canonico della birra. Da qui nasce la distinzione tra la tradizionale “ale” e la “beer” contenente il luppolo.
Nel XVI secolo vennero emanati editti sulla produzione della tipica bevanda, tra cui il famoso “editto sulla purezza” del 1516 che codifica in modo definitivo gli ingredienti della birra: malto d’orzo, luppolo ed acqua.

In Italia la birra, chiamata “cervogia” (parola facilmente accostabile, a livello fonetico, allo spagnolo cerveza che deve la sua origine al nome romano della dea Ceres la quale a sua volta “regala” la radice alla parola “cereale”) continuò ad essere apprezzata ad ogni livello sociale durante la dominazione longobarda. Nel Basso Medioevo il consumo crebbe soprattutto nel nord Italia tra le classi abbienti, ma era appannaggio quasi esclusivo degli uomini, poiché per le donne l’assunzione poteva avvenire solo sotto controllo medico. Si trattava, tuttavia, sempre di un prodotto di importazione, dato che sul territorio nazionale ancora non se ne produceva.

Nel nostro Paese la prima fabbrica di birra fu aperta nel 1789 a Nizza (allora territorio piemontese) da Giovanni Baldassarre Ketter. Un secolo dopo le fabbriche erano già 140 (tutte dislocate nel nord Italia) per una produzione pari a 161.000 hl; nel 1910 la produzione è quasi quadruplicata (598.000 hl).

Still life with a keg of beer and hops.
Still life with a keg of beer and hops.

La birra prodotta fino al secolo scorso era sempre ottenuta mediante la fermentazione alta, ma nell’Ottocento, grazie anche agli studi di E.C. Hansen che isolò il saccharomyces carlsbergensis, oggi il lievito più usato per far fermentare il malto, fu possibile l’introduzione della bassa fermentazione. Di seguito, l’utilizzo dell’impianto frigorifero nella produzione permise di produrre birra secondo il metodo lager (che richiede temperature di 4-10 °C) anche nella stagione estiva, procedimento tutt’oggi largamente usato. A ciò si aggiunge la scoperta della pastorizzazione, grazie agli studi di Louis Pasteur (Étude sûr la bière, 1876) da cui prende il nome, che permette l’eliminazione dei microrganismi oggi indispensabile nella preparazione delle bevande.

dreherNel primo dopoguerra assistiamo al consolidamento di quelle aziende che diventeranno poi protagoniste del mercato italiano come la Wuhrer di Brescia, la Dreher di Trieste, la Peroni, la Moretti di Udine e molte altre industrie che hanno modo di espandersi grazie all’aumento del consumo della bevanda prodotta: già 3,5 litri a testa nel 1925.
La concorrenza sul mercato vinicolo spinge, quindi, i produttori di vino a far approvare varie leggi per contrastare il consumo di birra: la legge Marescalchi del 1927 impone l’utilizzo del 15% di riso, a scapito della qualità; viene introdotto, inoltre, un dazio straordinario di 40 lire per ettolitro e la birra può essere venduta solamente al dettaglio in bar, birrerie e trattorie. In molti comuni il dazio è indicato con l’applicazione di una fascetta sul collo di ogni bottiglia causando perdita di tempo e intralcio ai commercianti.

L’aumento del prezzo, associato anche al secondo periodo bellico che interessa il Novecento, fa diminuire notevolmente il consumo di birra, provocando la crisi di molte industrie. Nel dopoguerra il consumo torna nuovamente a salire e nel 1950 si raggiungono i livelli produttivi del 1925 (1.550.000 hl). Per tutti gli anni Cinquanta comunque la birra è considerata una bevanda dissetante al pari di aranciate e gassose e viene consumata prevalentemente nella stagione estiva. Con gli anni Sessanta, infine, la bevanda color oro s’impone definitivamente tra gli usi alimentari degli italiani. Ecco perché proprio in quel periodo la pubblicità della Peroni furoreggia, donando alla famosa bevanda gialla le fattezze di una bionda mozzafiato, sempre disponibile… meglio se ghiacciata.

[immagine monaco e boccali di birra da questo sito; foto monaci dal sito birranursia.it; immagine Dreher da questo sito; immagine spot inglese da questo sito]

FIGLIO SOMARO, GENITORI FELICI. SUCCEDE NELLO SPOT CITROEN

Che i genitori abbiano poco tempo da dedicare ai figli è cosa nota. Che siano parecchio distratti anche quando sono a casa e non sappiano ascoltarli, è cosa che già vent’anni fa, o giù di lì, affermava lo psichiatra Crepet quando scrisse il saggio Non siamo capaci di ascoltarli.

Ma che dei genitori gioiscano per una pagella indecorosa del figlio somaro, solo perché tre ore prima hanno acquistato un’automobile dal prezzo conveniente, risulta davvero poco credibile. A meno che con la macchina nuova il giorno dopo non si rechino a scuola a picchiare gli insegnanti…

Uno spot scandaloso. E il garante che fa? Si è scomodato, qualche anno fa, per un papà con tanti figli avuti da più donne, sempre nello spot di un’autovettura e se non sbaglio della stessa azienda, e se ne sta zitto davanti ad una pubblicità così indecorosa?

Già i genitori hanno la testa tra le nuvole…

SPOT GAY FRIENDLY DI UNA NOTA MARCA DI TELEFONIA: VE NE ERAVATE ACCORTI?

Dopo lo spot della famosa ditta di surgelati in cui una madre ammicca al figlio che le rivela la sua omosessualità, il nuovo spot di una nota azienda telefonica propone, con la complicità del testimonial Fabio Volo, un altro bel quadretto familiare: due mamme gay. Almeno questo è ciò che si dice in giro per il web.

Confesso che, pur avendo visto più volte lo spot in questione, non mi ero accorta che si trattasse di uno spot gay friendly.
Fra le altre immagini che scorrono velocemente sullo schermo – d’altronde si tratta di pochi secondi – si vede una giovane donna agitata, presumibilmente in una sala d’aspetto d’ospedale, e un’altra, ben più matura, secondo me, che ha appena partorito e stringe fra le braccia il suo bimbo. La giovane raggiunge la puerpera e la bacia sulla fronte. Tutto qui.

Ora, è vero che uno spot pubblicitario non viene quasi mai osservato con attenzione. Personalmente, se sto guardando un programma alla tv, approfitto delle pause pubblicitarie per fare tutt’altro. Lo spot l’ho visto più che guardato ma questo tenero frammento di vita non l’avevo correttamente interpretato. Mi era parso piuttosto che la giovane donna aspettasse con ansia l’arrivo di un fratellino o di una sorellina. Mai avrei pensato che si trattasse di “due mamme“.

Due cose mi disturbano in questo spot. La prima è che la mamma, cioè quella che ha partorito, è a mio parere un po’ troppo in età e chi mi segue sa come la pensi sulle maternità tardive.
La seconda è che abbiamo tanto lottato, noi donne, per far entrare i mariti o i compagni in sala parto, e vogliamo lasciare fuori proprio una donna? Che sia lesbica poco importa, magari il prossimo figlio lo potrebbe mettere al mondo lei …

Pensandoci bene, c’è una terza cosa che mi disturba assai: la presenza di Fabio Volo. Ma questa è un’altra storia.

IO NON CAPISCO LA RAGAZZA DELLO SPOT TRIVAGO

Ricordate la ragazza punk, che chiamerò Nina, e il bel tipo, barbuto, con i capelli lunghi, che chiamerò Jack, della vecchia pubblicità Trivago? Tipi decisamente diversi. In comune avevano, allora, solo l’albergo. Ma lei è più furba: sceglie la tariffa minore per avere gli stessi servizi di lui. Ganza la ragazza.

Lei e lui, nello stesso hotel, s’incontrano in piscina, nasce la complicità, lo sguardo è ammiccante … La sera si ritrovano, lui tirato a lucido, con i capelli raccolti, in un abito nero elegante, bello da far paura … lei, vestita molto easy, con i capelli sparati, mastica un chewing gum e fa pure la bolla. Entrano in ascensore e … non ci vuole una fervida fantasia per immaginare il seguito.

Due anni dopo, ritroviamo Jack e Nina a Berlino. Un viaggio romantico assieme, ancora una volta nello stesso albergo. Belli come il sole, simpatici, complici fino quasi a scambiarsi lo spazzolino da denti. Lei è meno punk, lui è più easy, senza rinunciare alla classe che l’aveva contraddistinto nel precedente spot. In una scena porta la sua amata in braccio fino alla porta della camera. Bello, galante e …. ricco, se due anni prima poteva spendere decisamente di più per dimorare nello stesso hotel di Nina.

Una voce fuori campo, al termine dello spot, dice: “Quando prenoto voglio farlo al minor prezzo. Forse chiedo troppo?”

Ma, allora, bella mia, non hai capito nulla della vita! Che caspita t’importa del minor prezzo quando lui poteva permettersi di pagare molto più di te? Hai trovato un uomo bello, galante, romantico e ricco … fatti furba e cogli al balzo l’occasione per non badare a spese!

Chiedi troppo? No, troppo poco.

BRAVA EMMA! (QUELLA DELLO SPOT)

Da un po’ non mi occupo di spot pubblicitari ma questo non può proprio passare inosservato.
C’è un marito pedante che sembra la versione tecnologica dell’avvocato Furio Zòccano, personaggio di Verdone nel film Bianco Rosso e Verdone, che non lascia in pace la povera moglie Magda la quale alla fine si vendica tradendolo con un play boy appena conosciuto. E c’è una moglie che non ne vuol sapere di tecnologia, per nulla intenzionata a lasciare l’amata carta, specie se si tratta di leggere un buon libro o rilassarsi con il sudoku.

Il marito non perde occasione di far notare alla consorte il suo atteggiamento retrogrado, semplicemente pronunciando il suo nome, Emma, con aria di rimprovero e quasi di compassione. Ma la signora non vuol capire che con un tablet si risolve tutto … o quasi.

Che dite? La vendetta della moglie tormentata è davvero simpatica. Io avei perfino dato un aiutino alla natura con qualche goccia di guttalax nella minestra del maritino. 🙂

IL CASO ENZO TORTORA IN TV E LO SPOT INFELICE

Non so chi di voi abbia visto la fiction in due puntate sul caso di Enzo Tortora, il popolare presentatore accusato e condannato ingiustamente per associazione camorrista e spaccio di stupefacenti. Anzi, so per certo che l’ha visto Quarchedundepegi perché ne ha parlato in questo suo post. Dice che l’ha rattristato e che l’ha fatto riflettere sulla Giustizia italiana. Condivido pienamente. Non ho trattenuto le lacrime quando, verso la fine, è stato trasmesso uno spezzone originale della puntata di Portobello che il conduttore ha affrontato da uomo libero, dopo l’assoluzione in Appello, confermata in seguito dalla Cassazione. Purtroppo, come si sa, breve fu la sua vita in seguito, troppo breve per godersi appieno la libertà agognata e per poter dimenticare i mesi di carcere seguiti dagli arresti domiciliari che gli furono concessi per sopraggiunti problemi di salute. Dopo quell’esperienza si ammalò di tumore per spegnersi all’età di sessant’anni.

Bravo Ricky Tognazzi, protagonista e regista, ma brava anche Carlotta Natoli, più portata forse per i ruoli comici ma nella sua interpretazione dell’amatissima sorella di Tortora, Anna, ci ha offerto una prova d’attrice al di sopra delle più rosee aspettative.

Non voglio dilungarmi troppo sulla fiction che mi è piaciuta ma non è stata il massimo. Ho apprezzato di più, se devo essere sincera, la miniserie su Walter Chiari interpretata magistralmente da Alessio Boni. Tognazzi mi è sembrato un po’ modesto, o forse dipende dal fatto che, come lui stesso ha dichiarato, non era sua intenzione imitare Tortora ma farne una sua personale reinterpretazione a beneficio dei giovani che non conoscono la sua storia.

Le vicissitudini giudiziarie del popolare presentatore sono invece ben note a noi adulti. Sembra incredibile che sia stato architettato un piano ad hoc, con la complicità dei maggiori capi camorra, ai danni di una persona onesta, apparentemente senza alcun motivo.
Come si ricorderà tra i principali accusatori di Tortora c’era il camorrista “pentito” Giovanni Melluso, detto “Gianni il bello”, lo stesso che nel 1985 accusò Walter Chiari di spaccio di cocaina, assieme al cantautore Franco Califano. Il popolare comico e presentatore venne prosciolto in istruttoria.

Insomma, lo stesso Melluso segnò la vita di due grandi della tv italiana.

Non so se avete fatto caso, ma alla fine della fiction su Tortora, lo sponsor era … calzature Melluso.

Ma come si fa, dico io, ad accettare che una ditta omonima del principale accusatore di Enzo Tortora sponsorizzi la miniserie in due puntate? Una scelta davvero infelice.

ANTÒ FA CALDO!

Correva l’anno 2001, lo spot pubblicizzava una nota marca di tè freddo e regalava la grande notorietà ad una giovane attrice partenopea: Luisa Ranieri, ora moglie felice del commissario Montalbano, Luca Zingaretti, e madre di Emma.

Lo spot è stato un vero tormentone di quell’estate di undici anni fa e ancora adesso, con il caldo che fa e non sembra darci tregua, sarà ritornato alla mente di molti. Tutti a ricordarsi della sensuale Luisa che, nel letto, cercava di allontanare il bell’Antò perché faceva troppo caldo. Ma lui chi era? L’affascinante Edoardo Sylos Labini, attore teatrale preso in prestito dalla tv solo negli ultimi anni ed interprete di alcuni spot pubblicitari.

Nel 2004 fa il bis: nelle vesti di Antò questa volta ha al suo fianco la bella Karin Proja, altra giovane attrice, che lo mette in imbarazzo a passeggio in una città sicula (credo Siracusa) assolata e soffocata dall’afa, con le sue forme provocanti e la scollatura che più scollata di così non si può.
Naturalmente, dopo aver bevuto il solito tè freddo, Antò si precipita a casa con la dolce lei, finalmente rifocillata.

Non so perché ma, a parte il fatto che il tè in questione non è nemmeno buono e onestamente non credo abbia effetti afrodisiaci, penso che quella di Antò sia ormai una specie estinta. Infatti, più recentemente il bell’Antonio è stato sostituito da uno strafottente Ciro che per rinfrescarsi non trova di meglio da fare che … buttarsi nel mare. Naturalmente, dopo aver bevuto una bottiglietta di tè.

BAMBINE IN VETRINA ANZICHÉ AL CENTRO ESTIVO

Che fare dei bimbi nel periodo estivo se i genitori lavorano e non hanno a chi affidarli? La cosa più semplice da fare sarebbe rivolgersi alle cooperative che gestiscono i centri estivi. Soluzione che piace ai genitori ma anche ai figli che hanno così occasione di rimanere a contatto con i coetanei senza aspettare la ripresa delle lezioni. Per di più giocando e divertendosi.

Ma una madre particolarmente creativa, d’accordo con altre madri “colleghe”, ha trovato un’altra soluzione, chiamiamola così: mettere le bambine, sue e delle altre madri consenzienti, nella vetrina del suo negozio. Le bimbe giocano davanti agli increduli passanti, a volte distese su dei soffici piumoni, altre su una spiaggia artificiale in costume da bagno. Addosso rigorosamente i capi di abbigliamento venduti dalla padrona del negozio, mamma di due di esse. Le altre, di età compresa tra i cinque e i sette anni, sono figlie di altri commercianti della zona.

Manuela Montemezzani, artefice di questa singolare iniziativa, si difende dagli attacchi di chi ritiene la trovata alquanto sconveniente, dicendo che il quartiere (siamo a Pavia) in cui ha aperto da poco la sua attività commerciale è morto e mettere le bimbe in vetrina avrebbe contribuito a dare una scossa. Non c’è che dire: missione compiuta. Se l’intento era quello di far parlare di sé c’è riuscita in pieno, visto che la notizia è apparsa sui giornali nazionali (QUI Il Corriere da cui è tratta anche la foto).

Ma che dicono i suoi concittadini? Sembra che gli unici ad aver sollevato obiezioni siano stati alcuni sindacalisti cui la signora ha risposto per le rime. Perplesso il sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, che non condanna l’iniziativa anche se gli sembra una forzatura, una trovata non particolarmente azzeccata.

Persino l’aiuto parroco della chiesa vicina chiude un occhio: «Con i tempi che corrono, bisogna stare attenti. Ma se poi uno vuol vedere del male in una cosa così, allora guardiamoci attorno. Tra tv e pubblicità…».

Scusate ma io sono allibita. Non solo dal fatto in sé, deprecabile a mio avviso, ma anche dalle parole di un prete che ritiene peggiore la tv e la pubblicità dell’esporre in vetrina delle bambine come fossero merce. Evidentemente non sa distinguere tra finzione e realtà.

A me questa realtà non piace. Sulla tv posso anche discuterne ma è tutt’altro argomento.

CHARLOTTE CASIRAGHI: UNA PRINCIPESSA BELLISSIMA PER GUCCI


Credo sia la principessa più bella del mondo occidentale: Charlotte Casiraghi, venticinque anni, la figlia secondogenita che la principessa Carolina di Monaco ebbe dallo sfortunato matrimonio con Stefano Casiraghi (morto tragicamente nel 1990), è stata scelta dalla maison Gucci quale testimonial per il novantesimo compleanno.

Appassionata di equitazione, la bella Charlotte ha anche partecipato ad alcune gare di salto ad ostacoli. Proprio per questa sua passione, Frida Giannini, direttore creativo della prestigiosa maison italiana l’ha scelta per un servizio fotografico in una scuderia dove la principessa monegasca (quarta in linea di successione al trono di Monaco) posa accanto ad uno splendido purosangue. Gli scatti sono opera di Peter Lindbergh e la campagna pubblicitaria, al via oggi, sarà su tutti i giornali e cartelloni pubblicitari d’Italia.

Alcune delle foto sono visibili a questo LINK. Potete guardare anche il VIDEO pubblicato oggi su Il Corriere.

Sebbene non tenga particolarmente alla Festa della Donna, mi è sembrato carino rendere omaggio a questa donna bellissima che di certo fa sognare molti uomini ma è gradita anche a molte donne, non solo per la sua bellezza ma anche per la sua eleganza e, nonostante tutto, la sua semplicità.