SCUOLA: BAMBINI VITTIME DEI BULLI O DEGLI/DELLE INSEGNANTI?

Stamattina, grazie ad una segnalazione che ho trovato in sala insegnanti al mio arrivo a scuola (come sempre con largo anticipo!), ho letto un articolo che Massimo Gramellini ha pubblicato sul quotidiano La Stampa, dal titolo Il bambino e il congiuntivo. Con la sua solita ironia, il giornalista faceva una riflessione su un caso emerso grazie a Flavia Amabile che, nel suo blog, ha pubblicato la lettera di una madre amareggiata perché il figlio di nove anni, bravo, intelligente ed educato, è da quattro anni, cioè dall’inizio della scuola elementare, vittima dei soliti bulli che lo prendono in giro per la sua “diversità”: si esprime, infatti, con un linguaggio curato e conosce perfettamente l’uso del congiuntivo. (QUI potete leggere il post che ho pubblicato sull’altro mio blog, laprofonline)

Ora, anche se ormai da mesi pubblico sull’altro blog gli articoli che concernono la scuola, vorrei fare qui una mia riflessione su questo episodio, prendendo in esame la lettera di questa mamma sfiduciata e la risposta della dirigente della scuola frequentata dal figlio. (QUI potete leggere entrambi i testi) Lo faccio in questa sede perché la vicenda ha risvegliato in me antichi ricordi e riaperto ferite mai rimarginate, risalenti alla mia esperienza di madre alle prese con gli insegnanti dei figli.

Scrive, dunque, la mamma del bambino oggetto di scherno, descrivendo l’esperienza del figlio all’inizio della scuola primaria, dopo un periodo felice passato in quella dell’infanzia:

Poi sono arrivate le elementari, e il suo piccolo incubo quotidiano. È arrivata la sua identificazione come un bambino “diverso”, perché usa il congiuntivo, non fa a botte, ha spesso delle cose da dire sugli argomenti trattati in classe. Da “diverso” a “bersaglio” il passo è breve: mio figlio vive da quattro anni giorni in cui la violenza (quella verbale più di quella fisica) fa parte delle sue giornate.
Ho parlato con le madri dei bambini interessati e la risposta è stata – in sintesi – “sono bambini”.
Ho parlato con le insegnanti e la risposta è stata – in sintesi – “sì, ma non se la può prendere per tutto, e se noi non cogliamo gli altri bambini sul fatto, non possiamo farci niente”.
Ho parlato con la preside e la risposta è stata – in sintesi – che avrebbe provveduto.
[…]
Mi chiedo come sia possibile non vedere, non sentire. Perché io lo vedo, come fuori dalla scuola questi bulletti in erba lo apostrofano. Più di una persona mi ha riferito di aver notato questi atteggiamenti nei suoi confronti.
È bizzarro che solo nelle mura scolastiche tutto ciò passi inosservato. Come se su 20 bambini su cui dividere l’attenzione uno sia sempre fuori fuoco, e quello sia sempre lo stesso. Come se il concetto di “vince il più forte” fosse nel programma di studi
.

Sono parole che fanno riflettere, che rimandano ad una scuola – elementare, per giunta! – in cui vige la regola del più forte, in cui chi è più debole, pur trattandosi di una debolezza solo apparente, non ha strumenti con cui difendersi, non ha alleati su cui contare. E non sto parlando di bambini.

Risponde la dirigente della scuola frequentata dal bimbo:

A proposito del comportamento dei compagni verso T. , la maestra mi ha riferito che, non appena accadono episodi di questo tipo, nei confronti di qualsiasi alunno della classe, l’intervento delle insegnanti è immediato nel richiamare gli autori del fatto. Fa parte infatti dell’operato delle docenti educare i bambini al rispetto reciproco e alla tolleranza nel rapportarsi quotidianamente tra di loro.

Dunque, le maestre avrebbero agito sempre in modo tempestivo, educando al rispetto e alla tolleranza. Avrebbero, in altre parole, fatto il loro dovere. Mi chiedo: se gli episodi continuano da quattro anni, forse l’aspetto educativo da solo non basta. Nonostante io sia convinta che, specie quando si ha a che fare con bambini piccoli, le punizioni dovrebbero essere evitate il più possibile, sono anche dell’idea che, qualora l’intervento prettamente educativo non sia sufficiente, si debba procedere, con i mezzi idonei e adatti all’età (che ignoro, non avendo mai insegnato alle elementari ma che delle maestre degne di questo nome devono saper utilizzare), a punire i diretti interessati. La punizione dei colpevoli, la giusta sanzione per una trasgressione (non è forse un trasgredire alle regole prendersi gioco ripetutamente di un compagno?) sono a volte gli unici mezzi, accanto all’educazione alla convivenza civile, con cui si possono ottenere dei risultati.

Prosegue la dirigente:

La docente in questione ha sempre operato costruttivamente; ha sempre goduto anche della stima dei genitori della classe, stima manifestata apertamente alla fine di ogni anno scolastico, anche con scritti inviati alla Dirigenza, auspicanti la permanenza della docente, incaricata annuale, nella classe anche per l’anno successivo.
Da ultimo, l’Istituto Comprensivo, di cui la scuola elementare di Via Fabriano fa parte, ha alle spalle una lunga tradizione di accoglienza, parte integrante del POF dell’Istituto, declinata attraverso iniziative e pratiche quotidiane di tolleranza, rispetto, solidarietà
.

Ed ecco entrare in scena i luoghi comuni e quel burocratese usato e abusato ogni volta che sia necessario difendersi dalle accuse. E vediamoli uno ad uno questi luoghi comuni.

Le insegnanti stimate. Che vuol dire? Che sono preparate culturalmente? Oppure che, accanto alle conoscenze, certamente apprezzabili, dei contenuti delle materie insegnate e delle corrette metodologie didattiche, hanno anche una adeguata preparazione nell’ambito della psicologia infantile e della psicopedagogia? Perché la preparazione culturale in assenza delle altre competenze vale ben poco.
E poi, se l’insegnante in questione è stimata ed apprezzata dagli altri genitori significa ben poco se anche una sola madre racconta vicende di tale gravità accadute sotto i suoi occhi. O forse la maestra è stimata perché lascia che i bulletti facciano la loro parte indisturbati, ed è quindi apprezzata dalle loro famiglie.

Altra nota dolente: il POF. Quando non si sa cosa dire, si tira fuori il famoso POF, documento imposto a tutte le scuole, di ogni ordine e grado, dal momento in cui si ha avuto la pretesa di equiparare le scuole a delle aziende. Una carta dei servizi arricchita dai contenuti disciplinari, nulla di più. Allora, siccome nel POF di quell’istituto sta scritto che la scuola ha una lunga tradizione di accoglienza che presuppone iniziative e pratiche quotidiane di tolleranza, rispetto, solidarietà, quel bimbo, che sa usare i congiuntivi ed è quotidianamente vessato dai compagni, deve adattarsi lui a quel tipo di accoglienza? Deve stare al gioco? Deve rispettare lui quel clima impostato sulla tolleranza, il rispetto e la solidarietà? Sta a vedere che è lui l’intollerante perché manifesta, anche se soltanto entro le mura domestiche, il disagio che gli deriva dal fatto di essere vittima di scherzi e atteggiamenti volti allo scherno. Scusate ma non capisco.

Man mano che procedo nello scrivere questo post mi rendo conto che l’argomento sarebbe stato più adatto al blog laprofonline. Ma, come avevo anticipato, questa vicenda mi ha riportato indietro nel tempo ed è giunta l’ora di raccontare la mia esperienza.

Il mio primogenito era uno scolaro vivace, curioso e attento fino alla terza elementare. Poi, sostituite due maestre su tre, le cose sono cambiate.
Durante l’inverno accadeva spesso che, arrivata l’ora di preparare lo zaino, al termine delle lezioni, e prepararsi per l’uscita, lui non trovasse berretto e sciarpa. Era sempre l’ultimo ad uscire e, dato che nessuna maestra aspettava la sua uscita, non capivamo mai il perché del suo ritardo. Poi, un giorno confessò che i suoi compagni gli nascondevano il berretto e la sciarpa, quindi doveva cercarli in ogni angolo dell’aula e qualche volta anche fuori, nei corridoi e nei bagni. Con grande insistenza riuscimmo a fargli ripetere la frase che la maestra gli aveva rivolto il giorno in cui lo vedemmo parecchio abbacchiato e volemmo conoscerne il motivo: “Ninin [appellativo con cui qui in Friuli ci si rivolge ai bambini in tono affettuoso, equivalente a tesoro … quel giorno, però, il tono della maestra doveva essere parecchio ironico] non posso ogni giorno stare qui ad aspettare che tu ritrovi i tuoi indumenti, devo andare a pranzo“. Detto questo, se ne andò.
A questo punto dovrei ricordare, per chi non lo sapesse, che le maestre hanno l’obbligo di attendere fuori dalla scuola finché l’ultimo scolaro sia stato prelevato, nonché accertarsi che le persone che vengono a prendere i bambini siano conosciute e autorizzate. Per un periodo dovetti delegare per iscritto la baby-sitter a prendere mio figlio al rientro pomeridiano, essendo io occupata nella frequenza di un corso all’università.
In seguito all’episodio descritto mandai mio marito dalla maestra. Volevo evitare il confronto, sempre sgradevole, tra insegnanti e gli raccomandai di tenersi calmo ma fermo nel manifestare la propria contrarietà riguardo all’atteggiamento assunto da quella insegnante nei confronti del bambino. Ritornò ancora più abbacchiato dei figlio. Mi riferì che la signora gli aveva detto, testualmente: “E’ suo figlio che si deve svegliare, altrimenti non imparerà mai a vivere”. Da quel giorno assistemmo al degrado irreparabile dei rapporti con quella e le altre insegnanti, perché lei era una specie di leader. Non protestammo mai, né oralmente né per iscritto, rivolgendoci al direttore, sperando che mio figlio se la cavasse da solo, mantenendo sempre un comportamento educato e nello stesso tempo indifferente nei confronti di giochini stupidi come quelli. Alla fine i compagni si stufarono.

E che dire quando un insegnante diventa bullo a sua volta? L’episodio riguarda il mio secondogenito, di tutt’altro carattere rispetto al fratello: vivacissimo, deciso, testardo, intraprendente … ho finito gli aggettivi ma, pregi o difetti che fossero, ne aveva in quantità impressionante. La vicenda ebbe luogo in seconda media.
Terminata la lezione di educazione fisica, arrivato nello spogliatoio il mio piccolo (lo chiamo così tuttora che ha 22 anni!) non trovò più i suoi vestiti. Non era l’unico, comunque. Cerca che ti ricerca, lui e i suoi compagni trovarono gli indumenti nelle tazze dei water. Subito si rivolsero al docente, raccontando l’accaduto. Lui scoppiò a ridere e, senza smettere, li mandò in aula. Pensate che sia finita qui? No. Mio figlio e gli altri, non avendo avuto alcun supporto da parte del professore, si recarono, in pantaloncini corti e canotta (abbigliamento con cui tornò a casa alla fine delle lezioni … era marzo!), in presidenza. Raccontarono il fatto e il preside chiese subito a chi avessero chiesto il permesso di parlare con lui, se all’insegnante di educazione fisica o quello dell’ora successiva. Risposta: “a nessuno, il prof N. ci ha riso dietro e siamo venuti qui direttamente”. Risultato: mio figlio fu sospeso per due giorni dalle lezioni per insubordinazione. Gli altri no perché lui fu accusato di averli sobillati.
E i responsabili della bravata? Mai scoperti. Non chiedemmo neppure i danni per la tuta da ginnastica “finita” nel water e ovviamente facemmo una lavata di capo a nostro figlio che comunque avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione per conferire con il dirigente.

Altro episodio, sempre con protagonista il piccolo e il docente di educazione fisica, alla fine della terza media. Ultimo giorno di scuola, prima dell’inizio delle lezioni: mio figlio si trovava in cortile, pronto a varcare il portone d’ingresso, quando gli finì addosso un gavettone (effettivamente un secchio colmo d’acqua) gettato dalla finestra dell’aula insegnanti. Gliel’aveva tirato il professore di educazione fisica che, anche in quella occasione, scoppiò in una fragorosa risata. Mio figlio tornò a casa per cambiarsi e pretese di essere riaccompagnato a scuola dal padre senza giustificazione scritta perché, diceva, “mica ho fatto ritardo per colpa mia, io ero già davanti alla porta, pronto per salire in classe”. Anche in quell’episodio fu lui la vittima: non solo il preside pretese ugualmente la giustificazione per il ritardo ma gli fu anche detto che si trattava in fondo di uno scherzo innocente, da ultimo giorno di scuola. Peccato che fuori ci fossero 15 gradi e che a scuola non potesse disporre di una stufa per asciugarsi gli abiti inzuppati.

Ecco, allora io mi chiedo: perché i genitori devono sempre stare zitti (per evitare ritorsioni) e se parlano non vengono mai creduti?

MONDIALI DI NUOTO E GOSSIP A BORDO VASCA: PELLEGRINI-MARIN-MAGNINI, PROTAGONISTI DA SOAP

Non sono un’appassionata di nuoto (nemmeno di gossip, se è per questo) ma fa sempre piacere sentire che i nostri azzurri si distinguono, a livello mondiale, conquistando medaglie di metallo più o meno prezioso. I successi nello sport (specie se NON si tratta di CALCIO) sono sempre per me motivo di orgoglio perché penso che qualsiasi disciplina sportiva, se praticata con passione e con onestà, faccia bene al fisico e allo spirito degli atleti nonché all’orgoglio nazionale.

Non sopporto, invece, il gossip mescolato ai successi sportivi ed il divismo degli atleti. Sui calciatori ormai ci siamo abituati a sentirne di cotte e di crude, così come ci siamo fatti una ragione che arrotondino i già lauti compensi con la pubblicità. D’altra parte, tra attori, cantanti, presentatori, comici e chi più ne ha più ne metta, pare che la pubblicità sia diventata appannaggio dei divi dello spettacolo e quelli dello sport non vogliono essere da meno. In fondo anche lo sport sta diventando spettacolo ed è già capitato che qualche sportivo, abbandonata la propria disciplina per motivi di età o altro, si sia dato alla recitazione (chi ha dimenticato Tomba, ad esempio? spero tutti …), quindi recitare negli spot pubblicitari può anche essere un modo per prepararsi una carriera futura. Prendiamo ad esempio Totti: inizia ad essere bravino nella recitazione, non vi pare?

Tornando al gossip, penso che i tifosi siano un po’ come i fan di un attore o un’attrice, o dei cantanti: vogliono sapere tutto ciò che riguarda la loro vita privata, matrimonio, figli, corna … così si sentono ancora più partecipi e quasi parenti acquisiti o amici dei loro beniamini. La curiosità è femmina, si dice, ma molte volte anche i maschi sono molto curiosi e i redattori delle riviste specializzate lo sanno: capita, ad esempio, che il gossip invada anche i settimanali che trattano di calcio o di automobilismo.
Detto questo, credo sia lecito che anche sugli sportivi si parli e sparli. Ma quello che è successo a Shangai, in occasione degli ultimi campionati del mondo di nuoto, mi fa onestamente indignare. Protagonisti, come si sa, i tre nuotatori più chiacchierati del momento: Federica Pellegrini, Luca Marin e il “terzo incomodo” Filippo Magnini … ovvero, il triangolo dei bermuda, visto che si tratta di un capo di abbigliamento molto adatto all’ambiente del nuoto. Potrebbe essere anche ribattezzato trinangolo degli infradito ma non avrebbe lo stesso effetto.

Vediamoli, uno ad uno, questi campioni del nuoto italiano. Lei, Federica Pellegrini, Fede per gli amici e i tifosi, è una vera e propria prima donna. Lo sa bene e sfrutta ogni occasione per ricordarcelo. Lei è una che si allena mangiando biscotti, anche se, come osserva Selvaggia Lucarelli in un recente post del suo pensatoio, riportato anche dal mio amico frz40 sul suo blog, la regina del gossip da Shangai sembra occuparsi di tutt’altro nel suo tempo libero.

Federica è una tipa tosta, determinata, ottiene ciò che vuole, specie se parliamo di uomini. Anni fa, quand’era ancora ai suoi esordi nel mondo del nuoto, era riuscita a scippare il fidanzato alla Manadou, sua acerrima rivale ma anche suo modello, a quanto sembra. La Manadou, da poco mamma, deve aver ispirato Fede quando ha annunciato, poco prima di questi mondiali, che avrebbe potuto rinunciare anche a Londra per mettere in cantiere un figlio … proposito passato in secondo piano, visto che ha scaricato il potenziale padre del possibile figlio, nonché ex fidanzato della nuotatrice francese: Luca Marin.

Determinata, la nostra Fede, ma anche un po’ str***a. Ma lo dico in senso buono e con cognizione di causa. Come si fa a scaricare un fidanzato, bello, buono e bravo come Luca, proprio alla vigilia di un campionato mondiale? Be’, io lo so, almeno posso immaginarlo visto che mi sono trovata, quando avevo diciassette anni, in una situazione simile: ho dato il benservito, come si suol dire, al moroso poco prima del suo orale dell’esame di maturità. Dire str***a è poco …

La differenza tra la mia esperienza e quella della Pellegrini sta nel fatto che io, dopo aver piantato il boy-friend, potevo godermi le vacanze e nel frattempo farmi rodere dal rimorso o dai sensi di colpa; lei, invece, ha fatto le valigie per Shangai, ben consapevole che Luca se lo sarebbe trovato di fronte ogni giorno e che, dovendosi impegnare in un mondiale, non avrebbe potuto lasciarsi andare ai sensi di colpa o rimorsi eventuali.
Diciamo, dunque, che Federica è davvero una persona in grado di lasciarsi alle spalle il passato, concentrarsi sul presente, perseguire i suoi obiettivi come niente fosse, senza pensare che ha spezzato il cuore del povero Marin che, ottenuti risultati scarsi nelle gare a Shangai, si scusa ai microfoni delle tv di tutto il mondo, o quasi, dicendo “Ho perso cinque chili in venti giorni e alla fine della gara la benzina manca. Comunque, dopo tutto quello che è successo in questi Mondiali, mi ritengo soddisfatto”. E aggiunge: “Io sono ancora innamorato e tutta la vicenda mi fa male: ma da questa storia ho capito tante cose e sono sicuro che mi aiuterà a tornare più forte di prima”.

Insomma, mentre la regina del nuoto si gode le sue medaglie, c’è chi si strugge pensando di aver perso l’amore della sua vita e non si dà pace. Al punto da fare una piazzata in albergo, davanti alla porta della camera di Federica dove pare non fosse sola ma in compagnia di un altro. L’altro è Filippo Magnini, portabandiera dell’Italia a questi mondiali, anche lui rivelatosi decisamente scarso. Ma anche lui, poveretto, ha avuto i suoi pensieri: “Sto male da due giorni sono triste e il grosso dispiacere è questo: mi è stato rovinato un mondiale. Adesso non me ne frega più niente. Voglio solo tornare a casa e chiarire tutto. A casa c’è gente che sta male: la mia ragazza, la famiglia. Sono due giorni che faccio le due di notte per parlare con casa”. Insomma, Filippo si difende dai gossip e dice che Federica è solo un’amica e che ha una fidanzata a casa che l’aspetta. Per quest’ultima non deve essere facile assistere inerme a questa raffica di gossip che, guarda caso, non ha avuto origine perché ci si interessi di lui, Filippo, o di Luca. In questa storia gli uomini sono delle comparse. La vera protagonista è sempre lei, Federica.

Da Pesaro, dove vive, la fidanzata di Magnini, Cristiana Nardini, dice: “Mi fido di lui ma voglio guardarlo negli occhi“. Eh, bella mia, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, come insegna la saggezza popolare. Questo ieri; ma oggi cosa dirà di fronte all’ennesimo gossip, pubblicato su La Stampa di Torino, che vede Federica e Filippo protagonisti di un tête-à-tête a base di bacetti e coccole, al Bar Rouge di Shangai?

In conclusione, mi sto chiedendo a chi siano davvero interessati questi mondiali di nuoto e chi sa quante medaglie hanno collezionato i nostri atleti. Secondo me i più sono interessati a sapere quanti amanti, veri o presunti, abbia la sirena Pellegrini.

P.S. Luca Marin ha tutta la mia comprensione.

[fonti: Tgcom e gossip.virgilio.it]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 2 AGOSTO 2011

Caro Marin naufrago della Pellegrini, perdoni se rispondo a una lettera che lei non mi ha scritto, ma alcuni lettori mi hanno chiesto di spedirgliela. È tale l’umore collettivo, depredato da Borse e borsaioli, che si sente l’esigenza di evadere in un dolore più puro. In questi giorni lei incarna in mondovisione quel che, nel nostro piccolo, almeno una volta siamo stati o saremo un po’ tutti: l’innamorato abbandonato e tradito. Il suo strazio è passato attraverso tutte le fasi della narrativa sentimentale, a cominciare dall’equivoco sulla «pausa di riflessione», che per chi ama ancora rappresenta una sosta ai box, mentre per chi ha smesso di amare è solo la scorciatoia che lo dispensa dall’imbarazzo di un discorso d’addio.

Quando lei archiviò la Manaudou e si trasferì da una primatista mondiale all’altra, la consacrai simbolo di un uomo nuovo: il maschio femmina, altruista e sensibile, che sa infondere sicurezza a compagne ingombranti senza smarrire quella in se stesso. Si tratta di un equilibrio magico, e a vent’anni parecchio provvisorio. Appena uno dei due smette di nuotare, l’amore affoga e non esiste virata che lo rimetta a galla. Ma mi creda: non è mai un altro maschio ad affondare la coppia. Può essere solo una scialuppa con cui la sua ex ha riguadagnato la riva, in attesa di ripartire verso un altrove che non contempla né lui né lei, caro Marin. Non presti orecchio alla voce livida della gelosia. Faccia conto di aver preso un malanno e si metta a letto per un mese senza guardare la tv. E senza andarci, possibilmente. Guarirà. E sarà pronto per togliersi il gusto a lei ignoto di innamorarsi di un’ignota.

FIRMATO MASSIMO GRAMELLINI E PUBBLICATO SU LA STAMPA.IT

SEGNALO ANCHE LA LETTURA DI UN ARTICOLO FIRMATO DA TOMMASO PELLIZZARI (PER “LA 27ESIMA ORA”, BLOG DE IL CORRIERE.IT): Luca Marin: uno sciupafemmine? No, un maschio sciupato

LA GIUSTIZIA DEFICIENTE by MASSIMO GRAMELLINI

Sul quotidiano La Stampa, all’interno della rubrica Buongiorno, Massimo Gramellini commenta così la sentenza del Tribunale di Palermo che ha condannato ad un anno di carcere Giuseppa Valido, 59 anni, insegnante ormai in pensione:

Nella primavera del 2007, a Palermo, un alunno di scuola media aveva canzonato un compagno, dandogli simpaticamente del finocchio e facendolo simpaticamente piangere davanti a tutta la classe. La vecchia professoressa di lettere si era accanita contro il mattacchione e, anziché spedirlo ai provini di «Amici», lo aveva messo dietro il banco a scrivere cento volte sul quaderno «io sono un deficiente». Lui aveva scritto cento volte «deficente» senza la i, dimostrando così di avere le carte in regola per sfondare non solo in tv ma anche in Parlamento. Poi era corso a lamentarsi da papà, che di fronte all’affronto intollerabile inferto al ramo intellettuale della famiglia aveva denunciato la prof ai carabinieri, non prima di averle urlato in faccia: «Mio figlio sarà un deficiente, ma lei è una gran c…».

C’è voluto del tempo per ottenere giustizia, però ieri alla fine l’aguzzina è stata condannata: un anno di carcere con la condizionale per abuso di mezzi di disciplina, nonostante l’accusa avesse chiesto solo 14 giorni. Che vi serva da lezione, cari insegnanti. La prossima volta che un alunno umilierà un compagno di fronte a tutti, aggiungete al coro il vostro sghignazzo e non avrete nulla da temere. A patto che l’umiliato non si impicchi in bagno, come altre volte è accaduto, perché allora vi accuseranno di non aver saputo prevenire la tragedia. E il simpatico umorista di Palermo finalmente vendicato? Lo immaginiamo ormai cresciuto, tutto suo padre, intento a scrivere cento volte sul quaderno «io sono intelligiente» e stavolta senza dimenticare la i.

Per il legale dell’insegnante, Sergio Visconti, «non è stata fatta giustizia. La mia cliente è profondamente offesa ed amareggiata. Si sente tradita dalle istituzioni». Di parere contrario il padre dell’alunno: «Ha avuto quello che si meritava. Doveva pagare il conto. Dopo quella punizione sono stato costretto a portare mio figlio dalla psicologo». (da Il Messaggero)

Io mi permetto solo un commento: il bambino andava punito, è vero. Non a quel modo, però. Una pubblica umiliazione se non è proprio abuso dei mezzi di correzione, va sempre evitata. Nel caso specifico, inoltre, la professoressa ha, come si suol dire, reso pan per focaccia. Il bullo ha umiliato il compagno, lei ha umiliato il bullo. Occhio per occhio dente per dente, insomma. Tutt’altro che educativo.

Insomma, una punizione esemplare, come l’utilizzo del bullo in alcuni servizi utili alla comunità, anche per far sentire l’alunno parte della comunità stessa, in cui vige la regola del rispetto reciproco. E poi il dialogo, unico strumento utile per ottenere qualcosa. E dallo psicologo avrebbero dovuto mandarlo comunque, non certo per aver subito l’umiliazione di scrivere cento volte “io sono un deficiente”.

I genitori? Be’, con un figlio così … hanno bisogno soprattutto loro di un sostegno psicologico.

VERONICA LARIO ROMPE IL SILENZIO: “SILVIO E L’AVVOCATO GHEDINI, COPPIA DA SBALLO”

Da mesi non si sentiva più parlare di lei, o meglio lei non parlava più, se non per mezzo dei suoi legali. Veronica Lario, quasi ex signora Berlusconi, riprende la parola e lo fa attraverso il quotidiano La Stampa, lo stesso che ha pubblicato un’intervista all’avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini.

Donna Veronica ha poco gradito alcune affermazioni del legale dell’ex marito, che pare abbia faticato non poco a far da paciere tra i due. Non stento a crederlo: di sicuro il nostro presidente del Consiglio avrebbe risparmiato un bel po’ di soldi che ora dovrà versare sul conto della ex moglie ogni mese. Pare che la cifra su cui i due si sono accordati sia di 300mila euro mensili.

Ma quali osservazioni di Ghedini hanno particolarmente infastidito la signora Lario? Quelle che insinuano che lei non sia stata all’altezza di cotal marito, specie nel ruolo rappresentativo di first lady. Nell’intervista a La Stampa Ghedini ha, infatti, dichiarato: Il presidente fa una vita disperata. C’era una difficoltà di ritmi di vita. Veronica non ha mai voluto andare a Roma, né fare un po’ di rappresentanza con lui. Due vite distanti. Be’, non so quali parole abbiano colpito la suscettibilità di Donna Veronica, ma a me quell’aggettivo “disperata” riferito alla vita condotta da Silvio Berlusconi dà fastidio assai. Posso immaginare quanto fastidio possa generare in chi sbarca a fatica il lunario con la pensione minima.

La reazione della Lario, però, è un tantino sopra le righe: va be’ essere indispettita dalla velata accusa, va be’ essere definita incapace di passare la sua esistenza a far rappresentanza a Roma, ma che addirittura insinui un’amicizia “particolare” tra l’ex marito e il legale più famoso –oltreché più pagato!- d’Italia, mi sembra un’esagerazione. Donna Veronica, in sintesi, vede i due come una coppia perfetta, da sballo: Leggendo quelle parole mi sono detta: Guarda, che voglia proporsi come nuovo compagno del presidente del Consiglio? D’altra parte loro si capiscono, hanno un legame profondo, fatto dagli stessi scopi, chi meglio di loro potrebbe incarnare una complice e felice coppia da sballo?

La signora, come ella stessa ammette, è stanca delle continue interferenze nella sua vita privata: stanca di vedere persone che parlano di un privato che non gli appartiene dicendo grandi sciocchezze.
Nulla da dire, a riguardo: leggere certe insinuazioni può essere snervante davvero. Quello che però mi fa riflettere è che la signora Lario accusa gli altri di dire “grandi sciocchezze”, mentre lei …..

Ma, in fondo, che sarà mai! Hanno accusato Berlusconi di essere pedofilo (quando frequentava l’allora minorenne Noemi Letizia) e di farsela con le escort (la tristemente nota Patrizia D’Addario), se ora l’accusassero di essere gay almeno farebbe una buona azione: costringerebbe la maggioranza degli elettori a non essere omofoba.

[Fonte: La Stampa]

I TAGLI DELLA GELMINI E LE VIRGOLETTE: UN VERO REBUS


Ormai credo sia noto il botta e risposta, ospitato sulle pagine del quotidiano La Stampa, tra il ministro dell’Istruzione, Maristella Gelmini, e Alice, una studentessa di Novi Ligure che si è vista negare l’iscrizione al liceo classico della sua città … causa sovraffollamento.
La ragazza ha espresso il suo disappunto accusando il ministro di averla danneggiata causa i tagli voluti dalla sua riforma; la Gelmini, però, pur esprimendo il suo dispiacere e impegnandosi personalmente a seguire la vicenda di Alice affinché sia trovato per lei un posto nella scuola prescelta, ha replicato asserendo che i “tagli” non c’entrano.

Non intendo adesso esprimere il mio parere sulla questione dei “tagli”, veri o presunti (l’ho già fatto QUI ), ma sull’uso delle virgolette. Eh già, la signora Gelmini nella lettera di risposta ad Alice ha virgolettato la parola tagli, quasi fosse usata impropriamente.
A questo proposito in un articolo sul La tecnica della scuola si legge:

Nel rispondere alla studentessa il Ministro ha proprio usato le virgolette per parlare dei tagli; come dire: la parola esatta è un’altra (ma quale: razionalizzazione ? riorganizzazione ? riduzione ?) , il termine “tagli” lo lasciamo agli agit-prop e a quelli che scendono in piazza con striscioni e palloncini colorati.

Ma, continua l’articolo, è possibile che la studentessa abbia avuto modo di leggere la circolare n. 221 del 13 luglio scorso, emanata dall’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte, in cui si chiarisce che “i tagli da Decreto Interministeriale” sono pari a 1639 posti”. Già, parla proprio di tagli ma non usa le virgolette, a conferma del fatto che quella parolina lì, che tanto disturba il ministro Gelmini, trova la sua legittimazione in un documento ufficiale.

Dopo aver osservato tale discrepanza, l’autore dell’articolo de La tecnica della scuola conclude:

Forse il Ministro farebbe bene a segnalare ai propri uffici periferici che la parola “tagli” – se proprio la si vuole usare – va scritta sempre tra virgolette, in questo modo si evita di indurre in errore i giovani studenti.

Osservazione più che legittima, direi. Ma vorrei sapere cosa ne pensa il ministro. Replicherà o non replicherà? Questo è il dilemma.

LETTERA APERTA DI UNA STUDENTESSA DELUSA AL MINISTRO GELMINI: “IO ESCLUSA PER SORTEGGIO”

Pubblico, e volutamente non commento, una lettera che una studentessa quattordicenne ha inviato al quotidiano La Stampa, perché esclusa dal liceo che aveva scelto per il prossimo anno scolastico … causa riforma Gelmini.

Caro ministro Gelmini,
mi chiamo Alice e ho 14 anni. Ho appena finito l’esame di terza media e pensavo di portare l’attestato alla scuola che avevo scelto per confermare la mia iscrizione al liceo classico. Invece, per colpa dei tagli della sua riforma, mi hanno detto che eravamo in troppi. Che era stata concessa una sola classe di 32 alunni e noi eravamo in 35. Tre di noi erano di troppo e bisognava fare un sorteggio per vedere chi rimaneva fuori.

Hanno estratto il primo numero: «Numero 27!». Il mio numero. Mi stavano dicendo che io non potevo frequentare il liceo classico. Ci sono rimasta così male. Il classico era la mia scelta, la mia ambizione, il mio sogno. Sono triste e arrabbiata. La mia famiglia e i miei insegnanti mi hanno sempre parlato di impegno, di diritti e doveri, di scelte consapevoli. Non mi hanno mai parlato di «sorteggi» e un po’ sono arrabbiata anche con loro.

E ho anche un po’ di paura per il futuro. Quando sarò grande e cercherò un lavoro, sorteggeranno ancora per vedere se c’è un posto per me? Quando sarò vecchia e malata e non ci saranno abbastanza posti negli ospedali, sorteggeranno per vedere se potrò essere curata? Cosa farò se, come ora, non sarò abbastanza fortunata?

Vuole rispondermi, ministro Gelmini? O anche per le lettere si fa un sorteggio per meritarsi una risposta?

Buone vacanze.
Alice

[Fonte: La Stampa]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 16 LUGLIO 2010:
GELMINI RISPONDE AD ALICE

Potete leggere la risposta del ministro Gelmini ad Alice CLICCANDO QUI.

ADOZIONI: L’AMORE NON HA COLORE


È incredibile ma il razzismo rischia di entrare anche nelle case dei bimbi adottivi. C’era bisogno del parere espresso dalla Cassazione, riunita di fronte alle Sezioni Unite, per stabilire che gli aspiranti genitori adottivi non possono esprimere delle preferenze sul colore della pelle e sull’etnia dei bambini che vogliono adottare.

La notizia, riportata dal quotidiano La Stampa , fa riferimento alla vicenda di due coniugi siciliani che, nella domanda di adozione, si era dichiarata disponibile ad adottare fino a due bambini, di età non superiore ai 5 anni senza distinzione di sesso e religione ma non disponibile ad accogliere bambini di pelle scura o diversa da quella tipica europea o in condizione di ritardo evolutivo. Il Tribunale dei Minori di Catania aveva accettato la richiesta, giudicando evidentemente legittime le motivazioni. Di tutt’altro parere l’associazione “Amici dei bambini”, il cui presidente, Marco Griffini, ha presentato un esposto giudicando il decreto del tribunale come una palese discriminazione su base razziale nei confronti di minori di colore e di etnia straniera a quelle presenti in Europa.

L’Aibi, e in particolare il movimento dei genitori adottivi, ritiene che la dichiarazione “mercantile” delle coppie, come quella catanese, avallata dalla decisione del Tribunale, contrasta con il principio del migliore interesse del minore e rivela semplicemente una mancanza di requisiti necessari negli aspiranti genitori, posto che il minore che la coppia si affretta ad accogliere presenterà certamente alcune problematiche in più rispetto ad un minore che ha subito meno traumi.
Ora si attende la decisione delle Sezioni Unite civili, che non avrà ripercussioni sul caso di Catania, ma stabilirà soltanto un orientamento giurisprudenziale.

Che dire? Ritengo che i genitori adottivi abbiano una motivazione per certi versi ancor più forte delle coppie fortunate che possono mettere al mondo dei figli e per questo dovrebbero spalancare la porta di casa ai bambini soli e abbandonati, donando loro tutto l’amore possibile indipendentemente dal colore della pelle, dall’etnia o dagli handicap psicofisici. L’amore non ha colore né etnia e parla una lingua universale che non s’impara ma nasce dal cuore. Evidentemente, però, qualcuno crede che adottare un bambino sia come andare al supermercato dove si può scegliere il prodotto migliore e approfittare dell’offerta più conveniente.

Cosa c’è di più bello dell’immagine dei bimbi della pubblicità “United colour of Benetton”? C’è bisogno di un mondo migliore perché diventi realtà. Per ora è un manifesto sbiadito che qualcuno forse tiene ancora appeso al muro.

STUDENTI DEL SUD MENO PREPARATI: UNA TASK FORCE DI DOCENTI DAL NORD SAREBBE UN’IDEA

Sul quotidiano La Stampa, la giornalista Flavia Amabile relaziona sul rapporto che la Fondazione Agnelli presenterà oggi in merito allo stato di salute della scuola italiana. L’indagine si basa sui dati Ocse-Pisa che si riferiscono ai quindicenni italiani: al sud sono “indietro”, mediamente, di un anno e mezzo rispetto agli studenti del nord Italia. Un dato poco confortante, considerato che “rovinano” la media nazionale, anche se certamente non per colpa loro.

Un quindicenne su tre di quelli che ogni giorno entrano nelle classi dalla Campania alla Calabria, isole comprese, non raggiunge la soglia minima delle conoscenze definita a livello internazionale, spiega l’Amabile. Sembra che le cause siano legate al contesto: anche un “genio” che dovesse essere inserito in una scuola superiore meridionale, non avrebbe le stesse chance rispetto ai coetanei che frequentano le scuole al Nord. Secondo il rapporto, mentre chi frequenta gli istituti superiori in Italia meridionale è destinato ad essere uno studente mediocre, al nord accade il contrario: in qualsiasi scuola ci si iscriva, si otterranno dei risultati comunque buoni. Questo, ovviamente, nel complesso, perché non si può dire che al nord non ci siano dei casi clamorosi di insuccessi scolastici, anche per chi dimostra delle buone potenzialità.

Ci sono, inoltre, delle differenze tra le regioni per quanto riguarda il livello di spesa: Al Sud si è sempre al di sopra del 4% del Pil con una punta del 6% in Calabria. Al Nord, invece, (almeno nelle regioni a statuto ordinario) la quota di Pil destinata all’istruzione scolastica è sempre inferiore al 3% con il minimo di spesa in Lombardia (2,2%) e in Emilia Romagna (2,3%). E’ da queste differenze tra regioni che dovrà dipendere anche ogni decisione futura sul federalismo scolastico, ricorda il rapporto, scrive la giornalista de La Stampa. Quindi, più si spende meno si rende, per dirla in rima. Questo è dovuto anche al fatto che le regioni meno popolate hanno dei plessi di minori dimensioni, ma è d’obbligo osservare che al nord c’è un maggiore investimento nella scuola a tempo pieno, meno richiesta al sud dove le donne sono in percentuale meno occupate nel mondo del lavoro.

Insomma, secondo me bisognerebbe razionalizzare l’utilizzo delle già misere risorse, ma soprattutto investire nella qualità dell’insegnamento. È ovvio che se il livello di preparazione degli studenti del sud è mediocre, anche gli insegnanti, laureati magari con 110 e lode, non saranno preparati tanto quanto i docenti del nord. È un semplice ragionamento e spero che nessuno si offenda. A questo stato di cose, tuttavia, c’è un rimedio: perché non organizzare una task force di docenti specializzati del nord da mandare per qualche anno al sud perché affianchino i colleghi meridionali? In fondo, ci sono gli insegnanti che lavorano all’estero guadagnando un bel po’ di soldi in più e ottenendo dei privilegi anche a livello di pensionamento (almeno fino a qualche anno fa ogni anno all’estero era calcolato come un biennio ai fini pensionistici). Io credo che con una spesa comunque contenuta si potrebbero ottenere dei risultati e si risolverebbe il problema dei precari che occuperebbero, nel frattempo, le cattedre lasciate vacanti dai colleghi in missione speciale nel profondo sud.

A me sembra una bella idea. Purtroppo, però, più che un’idea è un sogno ad occhi aperti.

SULL’IKEA IDEE CHIARE, SULLA POLITICA MENO


Leggo su La Stampa di oggi, quest’articolo di Massimo Gramellini, come sempre molto arguto:

Ad Amburgo gli abitanti di alcuni quartieri del centro hanno partecipato al referendum indetto dai sostenitori di Ikea, favorevoli alla costruzione di una cittadella del mobile nel cuore della città. La percentuale dei votanti (44%) ha abbondantemente superato quella delle ultime elezioni europee. L’amburghese che entra nell’urna (di truciolato, immagino) per esprimersi pro o contro Ikea ha la sensazione che il suo voto produrrà un effetto concreto e duraturo sulla sua esistenza: lo spostamento in centro del parallelepipedo gialloblù, oppure no. Lo stesso amburghese non è animato da identiche certezze quando deve schierarsi fra destra e sinistra. Anzi, di certezze ne ha una, purtroppo: che il suo lavoro, le sue tasse, l’istruzione dei suoi figli – la sua vita, insomma – rimarranno immutati con qualsiasi vincitore. Al massimo peggioreranno un po’. E non solo. Quando vota in massa per decidere il futuro immobiliare di Ikea, l’amburghese si pronuncia su un argomento che conosce. Mentre quando diserta le urne europee non ha alcuna idea di cosa sia l’Europa né alcuna considerazione della medesima. La multinazionale fa parte di lui, la multinazione no.
È così che la democrazia sta cambiando sotto i nostri occhi. Il cittadino accorcia lo sguardo, infiammandosi soltanto per le questioni che lambiscono il suo quartiere. Ma nello stesso tempo lo allarga, fino a sentirsi parte dei destini di un marchio mondiale. E per la politica tradizionale, ancora aggrappata ai fantasmi delle ideologie, l’unico spazio che resta è qualche innocua litigata in tv.

Be’, a me pare che tra gli amburghesi e gli italiani ci siano ben poche differenze: il colosso svedese merita più attenzione della politica, anche perché, ciò che vale per gli abitanti di Amburgo, si adatta perfettamente al profilo dell’italiano medio: il suo lavoro, le sue tasse, l’istruzione dei suoi figli – la sua vita, insomma – rimarranno immutati con qualsiasi vincitore.

Anche nella mia regione, il Friuli Venezia Giulia, il colosso IKEA è sbarcato, portando con sé l’illusione di molti che la crisi sia un’invenzione e che il lavoro ci sia per tutti. O quasi. Certo, a conti fatti, le assunzioni all’Ikea sono state 255 ma il 74% sono part time e solo 45 sul totale sono i contratti a tempo indeterminato. Già, perché bisogna vedere come sarà, in questo angolino del nord est, l’affluenza degli acquirenti. Considerando che all’inaugurazione, nonostante fosse fissata alle 7 del mattino, erano presenti migliaia di persone (la colazione offerta ai vip era a base di salmone, aringhe e vodka!), Ikea può ben sperare in affari d’oro, specie da chi arriva da oltreconfine.

Io un salto all’Ikea l’ho fatto, più per curiosare che per fare acquisti. Due ore passate a girare tra i vari reparti, rispettando rigorosamente il percorso consigliato e segnalato con tanto di frecce per terra. Il gusto svedese è, tuttavia, lontano mille miglia dal nostro: arredamento essenziale, niente “fronzoli” e soprattutto studiato per essere comodo e funzionale. Ma a noi italiani, chissà perché, piace di più il bello ma inutile o scomodo.

L’organizzazione è ineccepibile. Per fare gli acquisti, a seconda del loro volume, sono a disposizione i classici carrelli a quattro ruote, dei “borsoni” gialli e dei carrellini a due ruote, altrettanto gialli. È un colore tipicamente svedese. Quando si arriva alla cassa, l’attenzione è attratta dai cartelloni in cui si legge: “Ti piace il borsone giallo? Ne puoi acquistare uno uguale, blu, per 0,60 centesimi”. Naturalmente invitano i clienti a riporre diligentemente quello giallo che è servito per la spesa: anche se viene in mente di portarselo a casa, la cifra irrisoria per averne uno uguale, imballato e quindi non maneggiato da cento persone e pullulante di batteri, trattiene dalla tentazione che fa, qualche volta, l’uomo ladro. I carrellini sono più difficili da nascondere; tuttavia, un altro cartellone avvisa i clienti che può essere acquistato uno uguale, blu, a soli 9,90 euro. In questo caso, sempre per la modesta cifra richiesta, si mette in funzione il cervello e la memoria visiva per capire se a casa, in garage o in cantina, c’è lo spazio per quel carrellino lì, così conveniente e quanto mai utile. Non c’è che dire: all’Ikea giocano sulla psiche.

Ma non si può andare via da lì senza fare un salto al supermercato, dove vendono solo prodotti alimentari svedesi, dai nomi alquanto strani. Tuttavia, dei cartellini ordinati indicano le caratteristiche del prodotto, onde evitare di comprare qualche schifezza tipicamente svedese che sicuramente non ci piacerà perché non fa parte della nostra dieta mediterranea. Io volevo acquistare una marmellata, ma non una qualsiasi che posso trovare nei nostri supermercati. La mia attenzione è stata catturata da un composto giallognolo che non mi pareva di aver mai visto; in effetti la marmellata in questione era di “bacche polari” che non ho la più pallida idea di cosa siano. D’altra parte sto in Italia, mica al polo nord!
Meglio andare sul sicuro: le polpette svedesi saranno come le nostre, no? Be’ diciamo che le faccio meglio io ma se vado di fretta e nel congelatore ci sono le polpette, svedesi o no, vanno bene lo stesso. Devo dire, però, che il mio stomaco si è ribellato, visto che c’ho messo dieci ore per digerirle …

Alla fine, ho occupato mezzo pomeriggio, ho speso più o meno 50 € in oggetti per la casa quasi del tutto inutili o che comunque avevo già, nonché in cibi indigeribili, ma ora posso dire che sono stata all’Ikea. Chissà perché la gente dimostra di apprezzarti di più se dici di essere andato all’Ikea piuttosto che a vedere una mostra sul Futurismo.

Una cosa, però, mi ha sinceramente disturbata: la pubblicità che annunciava l’imminente apertura dell’Ikea di Villesse. Dappertutto facevano bella mostra di sé dei cartelloni (come quello nella foto in alto) in cui si storpiava il nome della mia bella regione in “Friuli Svezia Giulia”.
Dopo aver letto l’articolo di Gramellini su La Stampa, però, ho preso un’importante decisione: alle prossime elezioni regionali voterò … Ikea.

A SCUOLA CON LA Q. GLI ITALIANI E L’ORTOGRAFIA

Qualche giorno fa sui giornali è apparsa una notizia che deve far riflettere sulle conoscenze che gli italiani hanno della propria lingua: a Pitigliano, in provincia di Grosseto, 61 aspiranti vigili urbani sono stati bocciati al concorso per … troppi errori ortografici! Beh, pensandoci bene, a chi farebbe piacere trovarsi appiccicato al parabrezza l’odiato foglietto rosa infarcito di errori ortografici? La multa non ci farebbe, di per sé, tanto orrore, ma gli errori …

A tal proposito, sul quotidiano La Stampa, la nota scrittrice, nonché docente, Paola Mastrocola scrive:

Esiste una preoccupante nuova ignoranza a cui non possiamo assistere indifferenti. La maggior parte dei quindicenni di oggi che arrivano al liceo non sanno né leggere, né scrivere, né parlare. Hanno perduto il dono della parola: balbettano per mezzo minuto e restano in un silenzio imbarazzante, non capiscono i libri che leggono, non sanno scrivere quello che pensano, non conoscono la grafia corretta della loro lingua, hanno un lessico povero e limitato, non sanno leggere ad alta voce, prendere appunti, studiare, e ricordare quello che hanno letto.

Non sono una fan della Mastrocola ma devo darle in parte ragione. Il problema di fondo è, secondo lei e con il suo pensiero concordo pienamente, la scuola elementare, o primaria che dir si voglia. Non la scuola in sé o la didattica ma il ruolo che la scuola riveste in ambito sociale oggigiorno.
I bambini d’oggi sono molto svegli, è vero. Purtroppo, però, proprio perché hanno mille stimoli che provengono dai diversi luoghi in cui si formano, a scuola devono essere motivati in maniera diversa rispetto ai loro coetanei di trenta o quaranta anni fa. Noi eravamo desiderosi d’imparare perché la scuola rappresentava il luogo di educazione, di formazione e di apprendimento per eccellenza. Le famiglie avevano un ruolo marginale in ambito formativo e si fidavano ciecamente dell’istituzione. Veniva concessa ai maestri e alle maestre la cosiddetta “carta bianca” e nessuno si sognava minimamente di discutere ciò che l’insegnante diceva, faceva, pensava, decideva … Questo rapporto fra scuola e famiglia si fondava sulla fiducia reciproca ed è ciò che manca, oltre agli stimoli, nella scuola italiana oggi.

Ultimamente è emerso un altro problema: una recente indagine di Bankitalia ha insinuato che la scuola pubblica stia scadendo a causa del massiccio numero di immigrati presenti nelle nostre aule scolastiche. Ciò potrebbe portare ad un rilancio della scuola privata con conseguente riduzione dei finanziamenti elargiti dallo Stato per la scuola statale a vantaggio degli istituti privati. Mi permetto di dissentire. È vero che i bambini stranieri, specie quelli con limitate conoscenze linguistiche, hanno bisogno di maggiori attenzioni da parte degli insegnanti e la loro presenza potrebbe rallentare lo svolgimento dei programmi. Di conseguenza, i nostri bambini potrebbero annoiarsi e perdere la motivazione ad apprendere. Tuttavia, ammesso che ciò accada davvero, la colpa non è certamente della scuola, quanto dello Stato che non stanzia i finanziamenti adeguati per supportare gli insegnanti con mediatori culturali e linguistici che faciliterebbero l’insegnamento rivolto ai bambini stranieri. Detto ciò, non è assolutamente vero che la qualità della scuola debba scadere anche perché i docenti italiani, da sempre abituati a lavorare molto guadagnando poco, sanno affrontare anche situazioni di emergenza.
Recentemente il ministro Gelmini ha reso noto che il tetto massimo di stranieri (presumo non ancora sufficientemente padroni della lingua) sarà fissato al 30% per ogni classe. Le intenzioni sono certamente buone, ma bisogna tener conto che, in alcuni contesti regionali, causa anche la scarsa prolificità delle mamme italiane in confronto a quelle straniere, rispettare il tetto non sarà possibile.

Tornando alla Mastrocola, lei sostiene che oggi abbiamo una scuola elementare (molto lodata) in cui si fa preferibilmente teatro, pittura, canto, si dispongono i banchi in cerchio, si fanno gare di corsa nei corridoi e, anche, si leggono dei bei libri tutti insieme. Attività molto belle, divertenti, creative, di una scuola che desidera più che altro insegnare a stare insieme e aborre le nozioni, cioè le conoscenze, bollate ancora, e con insofferenza, come nozionismo.
Anche su questo sono fondamentalmente d’accordo ma non è detto che non si possa insegnare “intrattenendo” i bambini con strumenti ludici. Io credo che non si debba fare di tutta l’erba un fascio e sono convinta che la maggior parte degli insegnanti italiani siano molto validi e preparati. Purtroppo, però, manca da parte dei bambini quel senso del dovere che noi, un tempo, avevamo innato.

Ad esempio: fare i compiti per casa, che spesso costituiscono l’argomento primario di accesi dibattiti su opposti fronti, oltre ad essere un dovere ha anche un’utilità innegabile. L’esercizio domestico serve, infatti, a fissare quelle conoscenze e a consolidare quelle competenze e abilità che a scuola iniziano appena ad essere assimilate. In altre parole, non si riesce ad imparare davvero solo assistendo alle lezioni mattutine, tenendo conto anche del fatto che il periodo di massima attenzione nei discenti è di appena venti minuti per ora. Il che non significa affatto che negli altri quaranta i bambini e i ragazzi si guardano attorno, giocherellano, parlottano con i compagni e della lezione se ne infischiano; significa solo che non possono essere attentissimi per sessanta minuti di fila. Non saremmo capaci neanche noi adulti di tanta attenzione!
Ma qual è generalmente la reazione di grandi e piccoli di fronte ai compiti a casa? Uffa che barba, che noia, che barba, che noia, come diceva la simpatica Mondani in Casa Vianello. Le attività domestiche, insomma, sono un supplizio per l’intera famiglia e spesso vengono svolte in fretta perché c’è la lezione di pianoforte o d’inglese, l’allenamento di calcio o pallacanestro, si deve uscire a far la spesa … Tanto poi, pensano le mamme indaffarate, a scuola correggeranno quello che hanno sbagliato. Niente di più errato: chissà perché le correzioni a scuola non si fanno quasi mai e, diciamolo, gli insegnanti non sempre hanno tempo da investire nel ritiro e controllo dei quaderni di tutta la classe, specie se di scolari ne hanno 25 o 30.

Insomma, i torti e le ragioni non stanno mai da una parte sola. Una maggior collaborazione scuola-famiglia unita ad uno stanziamento adeguato di fondi per migliorare la qualità della scuola pubblica, specie in presenza di classi affollate e costituite da realtà complesse e diversificate, sarebbe la soluzione ideale. Forse gli scolari di oggi fra vent’anni riusciranno a superare un concorso pubblico per vigile urbano.