IL DETERSIVO DI TOTTI E LA PUBBLICITÀ AL MASCHILE

“Hai provato il detersivo di Totti?”, mi chiede mia mamma.

La mia mente corre agli spot anni Settanta, dove il testimonial dello stesso detersivo per lavatrici, versione in polvere nel fustino cilindrico, era l’indimenticabile Paolo Ferrari, attore di grande talento che girava di città in città per proporre alle casalinghe di scambiare il fustino del loro detersivo preferito con due di un’altra marca. Naturalmente tutte rifiutavano.

I testimonial nella pubblicità ci sono sempre stati.

Ricordo Ernesto Calindri che, seduto a un tavolino nel bel mezzo del traffico, sorseggiava con ostentata tranquillità il “suo” amaro contro il logorio della vita moderna. Oggi come oggi, rischierebbe di essere travolto nel traffico impazzito delle città e altro che amaro: lo stress cui siamo sottoposti non è qualcosa da mandar giù con un bicchierino di amaro al carciofo.

E Tino Scotti, ve lo ricordate? Aveva un modo simpatico di convincere a ingoiare un lassativo con quel “basta la parola” che rendeva quel problema così semplice da risolvere. E dire che adesso i prodotti maggiormente pubblicizzati producono l’effetto contrario, basti pensare alla disinvoltura con la quale, uomini e donne per par condicio, fanno l’elenco dei disturbi intestinali legati al colon irritabile… a proposito di stress.

Ricordo con tenerezza il simpatico sorriso di Carlo Dapporto, nel ruolo di Agostino il cameriere, che rimane affascinato dalla cliente dai denti bianchi e splindenti (Giorgia Moll) grazie al dentifricio del capitano.

A proposito di detersivi, indimenticabile è anche l’uomo in ammollo: Franco Cerri, per provare l’efficacia del prodotto reclamizzato anche sullo sporco impossibile, stava in ammollo nella vasca da bagno. Un remind dello spot fu mandato in onda qualche anno fa (l’uomo che, con la camicia macchiata di gelato, si butta nella fontana pubblica aggiungendo il detersivo in polvere, sotto lo sguardo inorridito delle signore presenti) ma rimase un tentativo maldestro di riproporre un modello che ormai non convince più nessuno. Molto meglio Totti alle prese con la capsula 3 in 1. Almeno lui non si butta nella lavatrice per testare l’efficacia del prodotto che pubblicizza.

Erano gli anni del Carosello che per tutti, specialmente per noi bambini, era uno spettacolo irrinunciabile. Le storie raccontate erano spesso siparietti divertenti recitati da grandi attori e cantanti. Ve la ricordate Mina, testimonial di una famosa azienda che produce pasta? Lo charme della tigre di Cremona nulla ha a che fare con Claudia Gerini in camice bianco e il suo “rigorosamente”.

Ma torniamo all’uomo nella pubblicità attuale: com’è? Diciamo che o ha problemi con la dentiera, poveretto, ma li risolve grazie all’adesivo, oppure fa la pipì dieci volte a notte e non vuole dirlo alla moglie. Ma lei, intelligente, va in farmacia e acquista un integratore che fa dormire sonni tranquilli a entrambi. Consigliare il marito a farsi visitare da un urologo, no?

Gli uomini non sono tutti così sfortunati. Ci sono anche quelli belli e aitanti che danno mostra di sé, per pubblicizzare i più svariati prodotti. Qualcuno, però, mi deve spiegare perché quel giovane dal fisico michelangiolesco, per convincere il pubblico che un dato sito immobiliare con le sue proposte ti fa sentire subito a casa nel primo appartamento che vedi (una fortuna sfacciata!), deve sfoggiare il lato b desnudo: ma c’è davvero bisogno di mettere in mostra due chiappe per pubblicizzare le offerte immobiliari?

Anni fa mi sarei ubriacata di Jagermaister sentendo la voce sensuale e l’accento esotico di Raz Degan mentre pronunciava la frase: “Non bevevo Jagermeister… non so perché”.
Quel suo modo sexy di concludere lo spot con “Sono fatti miei” lo rendeva così intrigante da battere qualsiasi belloccio odierno in capacità persuasiva, anche senza esibire il lato b.

Nel ripercorrere vecchi spot mi rendo conto che forse sto invecchiando (togliamo il “forse”, va). Totti, comunque, lo lascio a mia mamma.

QUANDO RIPENSO AL MIO PRIMO AMORE…


Se devo ripensare al mio primo amore non so esattamente a chi rivolgere la mente. Nel post dedicato a questo argomento (Il primo amore non si scorda mai ma è meglio non cercarlo), leggendo i numerosi commenti dei lettori che hanno lasciato le loro testimonianze, mi sono resa conto che non necessariamente è il primo amore a restare incollato nella nostra memoria. Infatti molti hanno parlato genericamente di un “grande amore” che non sempre coincide con il primo.

Secondo la mia esperienza, il primo forse è quello maggiormente destinato al dimenticatoio, specialmente se si è risolto in un filarino adolescenziale che ha lasciato molta tenerezza ma poche tracce di passione vera e propria. Piuttosto si tende a ricordare la prima storia importante o la “prima volta”, anche se quest’ultima può essere collegata a un episodio certamente bello della propria vita ma che si è concluso in breve tempo.

Il primo ragazzo che mi ha fatto battere forte il cuore, quando ero poco più che una bambina, ha caratterizzato sei mesi importanti della mia vita: quelli in cui ho compreso che le tante promesse fatte dagli “uomini” sono come foglie al vento. Mi lasciò per una ragazza un po’ più grande – davvero poco più grande, in realtà – da cui poteva ottenere qualcosa in più di semplici bacetti e gite domenicali sul Carso triestino. Chi vuol capire…

La mia prima storia importante risale ai tempi del liceo ed è durata due anni. Finì male, ahimè, ma di questo forse parlerò in un altro post (chissà… non so). Non l’ho più rivisto, l’ho solo intravisto molti anni dopo (ero sposata e già mamma) in una via del centro e si è girato dall’altra parte. Quando non si riesce a superare il risentimento…

Prima di passare al “terzo” vorrei soffermarmi sulla possibilità di rimanere amici fra ex. Nel secondo caso, come si è capito, non ci fu nulla da fare. Con il mio primo ragazzo, dopo una parentesi burrascosa (divenni “amica” della sua nuova ragazza e feci di tutto per intromettermi nella loro relazione, capitando “per caso” a casa di lei e rompendo le… uova nel paniere!), l’amicizia ci fu e fu anche molto bella. Non potemmo in effetti perderci di vista poiché il mio secondo amore era un compagno di classe del primo e si frequentavano regolarmente. Di costui divenni la “parrucchiera” prediletta quindi ricordo tanti tagli di capelli riusciti alla perfezione e la consapevolezza che potevo avere un mestiere in mano. Il classico piano B, per intenderci.

Il terzo ragazzo era quello di cui parlo QUI. Fu una storia breve ma intensa. Mi lasciò lui e fu molto difficile dimenticarlo anche perché trascorrevamo, con le nostre famiglie, le vacanze estive nella stessa località e frequentavamo la stessa numerosissima compagnia quindi, voglia o non voglia, almeno per quel periodo dovevamo sopportarci.

Nel frattempo io avevo incontrato mio marito e lui aveva conosciuto quella che poi sarebbe diventata sua moglie. Incredibile ma vero, lui divenne amico del mio fidanzato (tanto da proporgli di fargli da testimone di nozze!) e io amica di lei, nonostante fosse la responsabile della nostra rottura. Ciò dimostra che io non sono proprio capace di serbare rancore…

Sarei bugiarda se non dicessi che la nuova frequentazione non aveva risvegliato in noi i lontani ricordi, legati a un’esperienza della vita di entrambi difficile da dimenticare. Però ha prevalso la razionalità e la consapevolezza che tra noi qualcosa non aveva funzionato e che, a distanza di tempo e con i legami importanti che avevamo stretto con i nostri partner, un ritorno di fiamma non avrebbe portato nulla di buono.

L’amicizia durò molti anni. Matrimoni, figli, domeniche passate assieme… mai un vero e proprio ricordo di ciò che c’era stato tra noi. Eravamo amici, soltanto amici. Poi iniziammo a vederci più di rado finché la nostra frequentazione si interruppe senza traumi per nessuno. Ci sono cose che a un certo punto finiscono e amen.

Non so quanto possa essere stato interessante per i lettori questo breve excursus sui miei amori giovanili ma mi serviva per tornare all’argomento del post linkato.

Nei numerosi commenti, come dicevo, si fa spesso riferimento a un grande amore, non necessariamente il primo. Molte volte si tratta di persone felicemente sposate – almeno così si dichiarano… – che a un certo punto della vita ripensano a un antico amore e sentono prepotentemente il desiderio di un nuovo incontro. Diciamo che nell’era dei social l’obiettivo non è così difficile da raggiungere, tuttavia spesso anche un timido approccio, solo “per curiosità” e, almeno idealmente, privo di implicazioni emotive forti, può trasformarsi nell’inizio di una crisi esistenziale di cui non si aveva assolutamente sentore.

Se leggete le mie risposte, spesso volte a dissuadere più che a persuadere, faccio capire chiaramente che la “curiosità” non è abbastanza, il desiderio di incontrare un vecchio amore non è solo voglia di tenerezza. Insomma, secondo me se la vita sentimentale è appagante, non si sente nessun bisogno di rivedere una persona con cui non si avevano più contatti da 10, 20 o 30 anni. D’altra parte, se si è soli non si può riempire la solitudine anche solo fantasticando su un amore passato che, a distanza di tanto tempo, finiamo per idealizzare. La delusione è dietro l’angolo e non è esattamente il modo migliore per sollevare l’animo afflitto per la mancanza di un lui o una lei.

In particolare mi ha colpito uno degli ultimi commenti giunti, firmato da un certo Roger. Lo riporto in parte:

Ciao a tutti, sono un uomo di 49 anni sposato da 23 e con un figlio di 20. Amo mia moglie e la mia famiglia. Ho trascorso 4 anni della mia adolescenza con una ragazza. Ci siamo lasciati che ne avevo 20 ma ho sempre pensato che un pezzettino del mio cuore se lo fosse portato via. Per me è stata una storia molto importante che mi ha segnato profondamente. […] L’ho contatta e dopo un paio di mesi di chat ci siamo incontrati. […] Da quel giorno ci siamo sempre messaggiati con un progressivo aumento di intensità nei contenuti fino a un mese fa quando mi ha chiesto di rivedermi. Ovviamente ho accettato ed è stato un incontro molto passionale. Niente sesso (“solo” intensi abbracci e baci) ma un turbinio di emozioni e sensazioni meravigliose. Ci siamo ripromessi di vivere questa storia da persone mature e senza colpi di testa. Mi sono reso conto che lei mi è entrata dentro trent’anni fa e non ne è più uscita. Quello che mi fa specie è che non ho sensi di colpa nei confronti di mia moglie (che ripeto amo tantissimo) perché non la privo di qualcosa per dare all’altra, non so se mi spiego. Ciò che do alla mia ex non potrei darlo a nessun’altra.
La vita è strana…..

Roger dice di amare moltissimo sua moglie e lo ripete. Perché? Forse perché deve autoconvincersi che questa storia non può influire sulla sua vita matrimoniale. Accetta una relazione “platonica” (mica tanto, poi) perché «lei mi è entrata dentro trent’anni fa e non ne è più uscita». Conclude, quindi, dicendo che «La vita è strana…».

Personalmente non credo che la vita sia strana, non la sua almeno. Credo invece che “la terza incomoda” nel suo ménage familiare abbia un posto molto più rilevante di quanto non ammetta lo stesso Roger.

Dato che la passione ha una breve durata e le relazioni, anche molto lunghe, sono soggette a usura non nego che effettivamente il tenero ricordo di un vecchio amore possa risvegliare la curiosità di un nuovo incontro, ma ritengo che tra il pensiero e l’azione debba necessariamente esserci un freno, a meno che non ci sia davvero una crisi in atto.

Il detto “chiodo scaccia chiodo” decisamente non fa per me.

E voi vorreste incontrare una vecchia fiamma?

[Nell’immagine io e il mio “terzo amore”. © Immagine coperta da copyright. La pubblicità per la Coca-Cola è gratis. 🙂 ]

MATRIMONI E ALTRE “CORBELLERIE”

matimonio-un-annoRagazzacci, che, per non saper che fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro.

Così pensava don Abbondio quando, trovandosi nei pasticci per colpa della minaccia dei bravi di don Rodrigo, se la prende con Renzo e Lucia. “Ragazzacci” che non pensano ad altro che all’amore e addirittura vogliono sposarsi.

Ma i nostri tempi sono decisamente diversi. Ci si sposa poco, si convive di più, l’amore non è eterno, data la durata media dei matrimoni. (ne ho parlato QUI)
Nessun sacerdote condividerebbe i pensieri del curato manzoniano. Anzi, vista la crisi delle unioni celebrate davanti a Dio, i ministri della Chiesa sarebbero ben lieti di fare gli “straordinari”, celebrando matrimoni anche di notte.

Eppure ci sono “ragazzacci” che ancora pensano alle nozze. Coppie che, nonostante il rito religioso sia passato di moda, hanno ancora il coraggio di giurarsi fedeltà eterna. Ma il matrimonio come dev’essere?

L’annuncio con largo anticipo.
Sarò io strana, ma non riesco mai a fare programmi a lungo termine. La gente che prenota le vacanze da un anno all’altro (anche i miei genitori lo facevano…) non la capisco. Io non ce la farei. Sarà per questo che da vent’anni non vado in vacanza.
Prenotare l’aereo sei mesi prima per pagare di meno? Non ci penso neppure. Il pessimismo mi porta a pensare che magari succede qualcosa e perdo pure i soldi. Pochi ma li perderei comunque.
Figuriamoci se sarei capace di pensare al matrimonio un anno prima…
Eppure ci sono coppie che annunciano le nozze con largo anticipo, informando pure parenti e amici. “Siete liberi il 29 settembre del prossimo anno?”. A questa domanda posso rispondere in due modi: se sono ottimista, dico che non so nemmeno quello che farò domani; se, invece, mi trovano in giornata nera, rispondo che non so se domani sarò viva.

sposa

Il vestito della sposa.
L’abito che la donna indosserà alle nozze è di fondamentale importanza. Mesi prima – se non anni – si inizia sfogliando le riviste in cerca di ispirazione. Confesso che anch’io l’ho fatto. Poi ho scelto un abito molto diverso da quelli che mi avevano colpita sulle pagine patinate delle riviste specializzate. Ne deduco che non serva poi a molto, se non a sognare. Ammesso che si sia particolarmente romantiche.
Mi chiedo, però: ma come fai a scegliere l’abito un anno prima? Non è questione di stile – le mode cambiano ma non così in fretta – bensì di taglia. E se poi ingrassi? O magari dimagrisci per lo stress da matrimonio (a me è successo… 12 chili in tre mesi)? Vabbè, stringere il vestito si può ma allargarlo non sempre è possibile né si possono perdere i chili acquistati con la bacchetta magica.
Sarà, ma forse a causa del mio pessimo rapporto con la bilancia, acquistare il vestito un anno prima non mi sarebbe mai venuto in mente.

La scelta del ristorante.
Evidentemente questa mania di decidere di sposarsi con largo anticipo si è diffusa a macchia d’olio. Per me è incredibile che, con ben 12 mesi di anticipo, si fatichi a trovare un ristorante libero. Eppure succede. O i locali più gettonati sono pochi oppure – cosa molto più probabile – tutti i futuri sposi scelgono la data un anno prima e tutti decidono di sposarsi nello stesso periodo. Dovessi ancora convolare a nozze, per me la cosa sarebbe insopportabile.

Trucco e parrucco.
Per le spose ormai c’è il catalogo dove si possono scegliere l’acconciatura e il trucco preferiti. La scelta è ampia ma, una volta presa la decisione, non sia mai che si attenda il giorno del matrimonio per farsi fare l’acconciatura e il trucco. Le prove sono assolutamente necessarie. E non ne basta una, per carità. Metti che l’acconciatura scelta sul catalogo non sia la migliore per il tuo viso. E il trucco? Non esiste il trucco per la sposa perfetta e, soprattutto, non è detto che il make-up preferito sia proprio quello che sta bene con la tua faccia. E prova che ti riprova, spendi bigliettoni da 100 euro senza nemmeno accorgertene e del tutto inutilmente, visto che il trucco lo togli la sera prima di andare a dormire e al primo shampoo i capelli ritornano com’erano prima.
Lo ripeto: sarò strana ma non mi è mai passato per la testa – letteralmente – di fare le prove di trucco e parrucco. Mi sono affidata ciecamente alla mia parrucchiera – e non a un hair designer come si dice adesso – e per il trucco mi sono arrangiata da sola. Vi posso assicurare che l’acconciatura e il trucco hanno tenuto perfettamente dalle quattro di pomeriggio alle tre di notte. Non mi sono nemmeno tolta il velo al ristorante, per dire.

Per concludere, io davvero non capisco tutte queste complicazioni. La vita è già tanto complicata di suo…
Mi sono laureata a febbraio, ho deciso di sposarmi a maggio, a giugno ancora non avevamo trovato casa e il 31 agosto eravamo davanti al sacerdote apprestandoci a passare la vita assieme. Il vestito era ok, il ristorante l’abbiamo trovato senza difficoltà, la Chiesa non era libera il 1 settembre, come volevamo, e abbiamo accettato di anticipare al sabato precedente. Senza fare prove di trucco e parrucco ero bellissima (quale sposa non lo è?) ugualmente. Stanchissima per aver passato due mesi di preparativi intensi. Figuriamoci se avessi iniziato a pensarci un anno prima… probabilmente nel frattempo avrei deciso di non sposarmi più.

[immagine abito da sposa da questo sito]

PERCHE’ IL DDL SULLE UNIONI CIVILI E’ UNA BRUTTA COPIA DEL MATRIMONIO PER FAVORIRE I GAY

diritti-alle-coppie
Più di una volta ho affrontato, su questo blog, l’argomento “convivenza” dichiarando la necessità di una legge che tuteli le coppie che non sono sposate, in modo da garantire per esse dei diritti e, naturalmente, dei doveri.

Nel tempo sono state proposte e dibattute varie soluzioni al problema, dai cosiddetti PACS ai DICO, senza ottenere nulla a livello giuridico. Ora, tuttavia, sembra che l’approvazione del DDL Cirinnà (che risale al marzo 2013) sia diventata una priorità per il nostro governo. Vediamo perché.

Negli ultimi anni sempre più coppie omosessuali hanno chiesto presso i Comuni di residenza il riconoscimento legale del loro matrimonio contratto all’estero. Alcuni sindaci hanno dato il loro assenso per la registrazione all’anagrafe di questi matrimoni, altri si sono dimostrati contrari e il ministro dell’Interno Alfano ha diramato, già nel 2014, una circolare in cui chiedeva ai prefetti di cancellare le trascrizioni delle nozze celebrate all’estero tra persone dello stesso sesso.

Una vera e propria crociata malvista dalle associazioni gay che si appellano all’Europa – sì, quella che ci chiede sempre tutto in nome dell’unità – e minacciano ricorsi alla Corte di Giustizia Europea. Sicché, come già successo con la famigerata #buonascuola e le 90mila assunzioni dei docenti precari per evitare sanzioni (dato che la Corte Europea aveva già condannato l’Italia dai tempi della Gelmini), il governo italiano “cala le braghe” (scusatemi l’espressione colorita) e si affretta a far votare una Legge che garantirebbe agli omosessuali il riconoscimento giuridico della loro unione, pur non chiamandolo matrimonio.

Ma alle coppie eterosessuali che convivono chi ci pensa? Mi si dirà, a questo punto, che per gli etero c’è sempre il matrimonio. Certamente, ma ci sono anche coppie che non possono sposarsi. Molti preferiscono la convivenza per non impegnarsi, non lo nego. Tuttavia in alcuni casi la convivenza è un obbligo e sono pronta a portare due esempi.

Una mia conoscente ha convissuto per più di vent’anni con un uomo sposato che non ha potuto divorziare perché con la moglie aveva in comune affari e proprietà, naturalmente in regime di comunione di beni. Anche volendo mutare la comunione in separazione, non avrebbe potuto farlo senza il consenso della moglie, e comunque cambiare regime è costoso. Per farla breve, il compagno della mia conoscente, sapendo di essere gravemente ammalato, ha fatto in modo di garantirle almeno l’usufrutto a vita dell’appartamento in cui vivevano, soluzione osteggiata dagli eredi alla morte di lui e che è costata alla donna, oltre alle sofferenze morali, l’iter legale per ottenere il rispetto della volontà del compagno.

Un’altra mia conoscente ha convissuto per 20 anni con un uomo sposato la cui moglie si è sempre rifiutata di concedergli il divorzio. Ora, lo so che in certi casi ci sono dei mezzi legali per ottenere il divorzio comunque, ma vuoi per pigrizia vuoi perché forse l’uomo non si aspettava di morire così presto, alla fine la convivente è rimasta da sola, con due figli non ancora autonomi economicamente e senza un lavoro, visto che il compagno l’aveva praticamente obbligata a fare la casalinga.

Potrei aggiungere l’esempio di molti giovani che, comprando casa e arredandola, hanno speso tutti i risparmi e non hanno soldi a sufficienza per sposarsi. E non mi si venga a dire che, volendo, si va dal prete o dall’ufficiale di Stato Civile con due testimoni e il gioco è fatto. Ci sono delle convenzioni da rispettare e, sebbene al giorno d’oggi non sia così scontato che ci si sposi una sola volta nella vita, di quel giorno tutti vorrebbero avere un bel ricordo, potendo condividere la loro felicità con le persone vicine.

Tornando al DDL Cirinnà, la cosiddetta stepchild adoption non sarebbe aberrante di per sé (non sto qui a discutere sul fatto che i bambini hanno bisogno di una mamma e un papà quali figure di riferimento ecc. ecc.) se non costituisse una possibile premessa a maternità surrogate per le coppie di uomini. Per quanto riguarda le donne, la fecondazione assistita per le single è già possibile, compresa l’eterologa, e il DDL non sposterebbe di una virgola una situazione già in essere.

Su questo tema è nata una discussione sul blog dell’amica Diemme che vi invito a seguire, se interessati all’argomento.

In conclusione, a mio parere, questo DDL favorisce le unioni gay a scapito di quelle etero. Come al solito, dunque, si tratta di una discriminazione al contrario.

L’UOMO IN CASA: LA SPESA AL SUPERMERCATO

Questa è la quarta puntata de “L’uomo in casa”, tratta da un post vecchio che però rimane sempre attuale. Se la vostra dolce metà ama venire al supermercato con voi, spero sia un po’ meglio dell’esemplare preso in considerazione: mio marito.

Buona lettura!

L’uomo al supermercato.
A parte mio suocero, che non ha mai fatto la spesa né accompagnato sua moglie al supermercato, credo che oggigiorno quasi tutti gli uomini ogni tanto facciano la spesa o diano una mano alla propria compagna. In genere, l’uomo da supermercato è quello che spinge il carrello. Probabilmente le donne sono convinte che lo faccia per galanteria. In realtà il suo intento è un altro: dimostrare di essere lui padrone della situazione. Se solo provi, approfittando di un attimo di distrazione, a portarglielo via, t’insegue urlando e rivendicando il proprio diritto alla conduzione dello stesso. Talvolta l’operazione non riesce e l’uomo lo strappa letteralmente dalle mani alla sua compagna. Così succede che poi lui se ne vada per conto suo a girare fra gli scaffali mentre lei si carica di merce finché può e, arrancando, raggiunge il suo uomo – conduttore, scaraventando il carico nel carrello. Qualche volta capita che, essendo sparito il marito, si depositi la merce nel carrello altrui e te ne accorgi solo se lì ci trovi il cibo per gatti e tu il gatto non ce l’hai oppure una confezione di tampax di cui tu non hai più assolutamente bisogno.

Quando un uomo va a fare la spesa da solo è la fine: il 90% della merce acquistata è del tutto inutile e… fa ingrassare! Quando accompagna la moglie, scarica nel carrello quanto più dolci può: biscotti di ogni tipo, tavolette di cioccolata, merendine, barattoli di marmellata e di nutella … Con aria di trionfo poi ti guarda ed esclama: “sono per me, non per te; tu devi stare a dieta”.
Insomma, quando l’uomo accompagna la donna al supermercato sembra che sia in procinto di scoppiare la terza guerra mondiale. Peccato, però, che poi alla cassa, mentre lui è impegnato a stivare alla perfezione la merce nel carrello in previsione di riporla nei sacchetti che, regolarmente, dimentica in macchina, sia la donna a tirar fuori la carta di credito.

LE DONNE

VIRGINIA-WOOLF-

Le donne hanno illuminato come fiaccole le opere di tutti i poeti dal principio dei tempi. […] I nomi si affollano alla mente, e non richiamano l’idea di donne mancanti “di personalità e di carattere”. Infatti, se la donna non avesse altra esistenza che nella letteratura maschile, la si immaginerebbe una persona di estrema importanza, molto varia; eroica e meschina, splendida e sordida; infinitamente bella ed estremamente odiosa, grande come l’uomo, e, pensano alcuni, anche più grande.
Ma questa è la donna nella letteratura. Nella realtà, come osserva il professor Trevelyan, veniva rinchiusa, picchiata e malmenata.

Ne emerge un essere un essere molto strano e composito. Immaginativamente, ha un’importanza enorme; praticamente, è del tutto insignificante. Pervade la poesia, da una copertina all’altra; è quasi assente dalla storia. Nella letteratura, domina la vita dei re e dei conquistatori; nella realtà, era la schiava di qualunque ragazzo i cui genitori le avessero messo a forza un anello al dito. Dalle sue labbra escono alcune tra le parole più ispirate, alcuni tra i pensieri più profondi della letteratura; nella vita reale non sapeva quasi leggere, scriveva a malapena, ed era proprietà del marito.

[da Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, prima pubblicazione 24 ottobre 1929]

Ho letto il saggio di Virginia Woolf l’estate scorsa. Devo essere sincera: non l’ho gradito molto. Tuttavia, recentemente l’ho riscoperto. L’occasione mi è stata data da una domanda rivolta ad un’allieva durante l’orale dell’Esame di Stato (che domani finalmente si conclude).

Partendo da questa citazione (per la verità molto ridotta rispetto al passo riportato), ho chiesto alla candidata quale fosse, secondo lei, la donna più celebrata della letteratura italiana di tutti i tempi. Avevo in mente Dante e la sua Beatrice… e chi, sennò?

Lascio da parte l’esame e mi soffermo qui a riflettere sulle parole della scrittrice inglese, che non possiamo fare a meno di condividere. La pubblicazione del saggio risale al 1929, eppure queste considerazioni non sono così lontane da una certa realtà, distante da noi occidentali, eppure abbastanza vicina, considerando il fenomeno dell’immigrazione, specie quella che interessa le popolazioni provenienti dall’area islamica.

Recentemente Papa Francesco ha difeso la dignità della donna.
«Come cristiani,- ha detto in occasione dell’udienza generale in piazza San Pietro, lo scorso aprile – dobbiamo diventare più esigenti a tale riguardo. Per esempio: sostenere con decisione il diritto all’uguale retribuzione per uguale lavoro; perché si dà per scontato che le donne devono guadagnare meno degli uomini? No! Hanno gli stessi diritti. La disparità è un puro scandalo!»

Com’è nel suo stile, non “assolve” nemmeno i testi sacri.
«È una forma di maschilismo, – ha proseguito – che sempre vuole dominare la donna. Facciamo la brutta figura che ha fatto Adamo, quando Dio gli ha detto: ‘Ma perché hai mangiato il frutto?’, e lui: ‘Lei me l’ha dato’. E la colpa è della donna. Povera donna! Dobbiamo difendere le donne, eh!”.

Ma davvero è sempre colpa della donna?

L’UOMO IN CASA E IL FERRO DA STIRO

Ecco la terza puntata del post “Gli uomini in casa, che palle!”.

Mai come in questo periodo avrei voluto un uomo che sappia stirare. Provate a stirare con una mano sola …
Al giorno d’oggi credo che siano molti gli uomini in grado di stirare – e di fare molte altre cose in casa – se non altro perchè i matrimoni o le convivenze durano molto poco e si assiste sempre più frequentemente al fenomeno dei “single di ritorno” … anzi direi quasi una nuova condizione, sempre che non decidano di tornare da mamma.

Ma che dire dei cinquantenni attuali?

L’uomo e il ferro da stiro.
Purtroppo il ferro da stiro è un oggetto sconosciuto ai più. Non dico mio suocero, ma nemmeno mio papà credo abbia mai stirato. Mio marito, più per un attacco di malinconia che per altro, in tanti anni di matrimonio ha voluto stirare solo qualche fazzoletto: dice che gli ricorda la sua infanzia, quando sua mamma lo lasciava stirare i fazzoletti … a parte che ora è solo lui ad usarli, visto che tutti gli altri utilizzano i kleenex, ma mi chiedo perché mia suocera non abbia insistito facendogli, magari, stirare anche le camicie e le lenzuola.
Gli uomini non sanno stirare ma pare abbiano anche una scarsa capacità di distinguere gli indumenti stirati da quelli che non lo sono. Oppure, pretendono che la donna-stiratrice sia alquanto sollecita nello stirare tutti gli indumenti di cui abbisognano, nonostante possiedano un numero indefinito di “doppioni”. Prendiamo, ad esempio, le camicie: perché mai, dico io, se nell’armadio trovano ben stipate diciannove camicie, vogliono assolutamente indossare, proprio quel giorno, la ventesima che è ancora da stirare?
Però ci sono donne particolarmente esigenti che istruiscono i loro uomini, grandi e piccini, ad armeggiare con il ferro a vapore. Ricordo che una mia cugina, avendo quattro uomini in casa, tra marito e figli, esigeva che ciascuno si stirasse le proprie cose. Che carattere! Ho sempre pensato che fosse un buon esempio per me e, invece, i miei tre uomini con il ferro da stiro non se la cavano proprio per niente. A parte mio figlio piccolo che ogni tanto si stira le sue cose. L’altro giorno l’ho visto armeggiare sull’asse ma ho notato che il ferro era staccato. “Che fai con il ferro spento?”, gli ho chiesto esterrefatta, anche perché lui è uno che si arrangia (sa pure cucire!!!). “Il ferro è pesante, stira anche spento”, ha risposto. Non so perché ma ho pensato di averlo sopravvalutato: lo credevo più intelligente.

L’UOMO IN CASA: LE PULIZIE

lavori domestici Mi ero ripromessa, ai primi di giugno, di ripubblicare a puntate un post che era piaciuto molto e che aveva come argomento “gli uomini in casa”. Naturalmente me ne sono dimenticata, almeno fino ad oggi. Perché? Perché oggi ho iniziato a pulire la casa alle 7 e ho terminato alle 14, essendomi messa in testa di lavare le tende della camera da letto. Il problema non è lavare le tende. Mio marito, contrariato per aver dovuto preparare il pranzo e mettersi a tavola senza di me, come tutti gli uomini crede che lavare le tende significhi: tirarle giù, metterle in lavatrice e rimetterle su. Il procedimento in effetti è corretto. Le tende a pacchetto hanno il vantaggio di non dover essere stirate perché, se messe su bagnate, con il peso metallico alla base si stirano da sole. Le donne, però, sanno bene che non si lavano le tende senza pulire gli infissi (non solo i vetri!). Dato che tirandole giù si alza un bel polverone (almeno qui di polvere ce n’è a chili, pare impossibile ma appena finito di spolverare, è già di nuovo depositata sui mobili), si deve spolverare tutto e visto che ci siamo, spostiamo comò e comodini, diamo una bella pulita dietro … e come si fa a passare uno straccio e basta? Almeno una volta all’anno (le tende le lavo solo a fine estate, tranne le tendine dei bagni e della cucina che lavo ogni sei mesi) si dovrà pure lavare con acqua e detergente. E il lampadario? Visto che ci siamo e abbiamo la scala bell’e pronta, puliamo pure quello. E la porta? Massì, l’acqua (al terzo cambio!) è ancora pulita, laviamo per bene anche la porta. Insomma, quando mio marito è rientrato e mi ha trovata ancora in alto mare (più che altro in alto … sulla scala), mi ha guardata con l’aria di chi si sta chiedendo come mai per lavare le tende (che poi è la lavatrice a farlo!) si deve impiegare così tanto tempo. Che volete che vi dica? Uomini. Buona lettura! L’uomo e le pulizie.

Diciamolo subito: per l’uomo la casa è sempre pulita. La polvere non la vede o, se la vede, è convinto che, come per il fornello che non necessita di pulizia dato che si deve cucinare ogni giorno e lo si sporca di nuovo 😦 , anche togliendola si depositerà subito quindi è inutile spolverare. Il pavimento è sempre pulito anche se in controluce si vede benissimo che c’è un dito di polvere, specie sotto il tavolo del soggiorno dove non si passa mai, e i “gatti” si rincorrono allegramente per tutta la casa, in particolar modo d’inverno quando si usano piumini e coperte. Se sfortunatamente i pavimenti sono coperti da tappeti, non solo l’uomo non nota i pelucchi che si sono formati sul tessuto, come fosse una specie di autoproduzione, tipo le foglie che crescono dalle piante, ma ritiene che sotto il tappeto non ci sia proprio nulla da pulire perché è il tappeto stesso che protegge il pavimento dal sozzume prodotto in superficie. Un luogo in cui nessun uomo entra per pulire, nemmeno mio padre che pure è diligente e segue le istruzioni di mia mamma, è il bagno. Avete presente quella vecchia pubblicità della colf che arriva in casa dei nuovi datori di lavoro armata di tavoletta profumata per il water dicendo: “Io arrivo presto, vado via presto e il water non lo lavo mai?”. Ecco: gli uomini devono aver ispirato gli autori di quello spot. E che dire del lavandino? Specie quando qualcuno sbadato preme malamente il tubetto del dentifricio, che va dappertutto meno che sullo spazzolino, o quando qualcuno si fa la barba e pulisce la testina del rasoio elettrico sbattocchiandola sul bordo o, cosa ancor peggiore, usa il rasoio tradizionale e sbattocchia il pennello con il sapone, sempre sul bordo, per eliminare quello in eccesso? Il lavandino tristemente deturpato da avanzi di ogni genere non necessita di essere lavato. Il discorso è sempre quello del fornello, purtroppo. E il pavimento del bagno? Chissà perché quando è un uomo a lavarsi le mani, lo si capisce subito dalla scia di gocce che lascia nel breve, brevissimo spazio che intercorre tra il lavandino e l’asciugamano. Non parliamo poi del bidet … E quando un uomo fa pipì, non ho mai capito il motivo per cui debba appoggiare una mano sulle piastrelle di fronte a lui, lasciando le impronte che solo noi donne vediamo. Ciò vale pure per le manate che lasciano sui vetri delle porte e delle finestre, essendo agli uomini sconosciuto l’uso delle maniglie. Insomma, tutto quello che un uomo sporca secondo lui non è necessario pulire. Quando un uomo vede una donna con lo straccio in mano, non sa dir altro che: “Ma sei proprio maniaca!”. Certo, se loro non sporcassero, noi non saremmo così maniache.

IO NON CAPISCO LA RAGAZZA DELLO SPOT TRIVAGO

Ricordate la ragazza punk, che chiamerò Nina, e il bel tipo, barbuto, con i capelli lunghi, che chiamerò Jack, della vecchia pubblicità Trivago? Tipi decisamente diversi. In comune avevano, allora, solo l’albergo. Ma lei è più furba: sceglie la tariffa minore per avere gli stessi servizi di lui. Ganza la ragazza.

Lei e lui, nello stesso hotel, s’incontrano in piscina, nasce la complicità, lo sguardo è ammiccante … La sera si ritrovano, lui tirato a lucido, con i capelli raccolti, in un abito nero elegante, bello da far paura … lei, vestita molto easy, con i capelli sparati, mastica un chewing gum e fa pure la bolla. Entrano in ascensore e … non ci vuole una fervida fantasia per immaginare il seguito.

Due anni dopo, ritroviamo Jack e Nina a Berlino. Un viaggio romantico assieme, ancora una volta nello stesso albergo. Belli come il sole, simpatici, complici fino quasi a scambiarsi lo spazzolino da denti. Lei è meno punk, lui è più easy, senza rinunciare alla classe che l’aveva contraddistinto nel precedente spot. In una scena porta la sua amata in braccio fino alla porta della camera. Bello, galante e …. ricco, se due anni prima poteva spendere decisamente di più per dimorare nello stesso hotel di Nina.

Una voce fuori campo, al termine dello spot, dice: “Quando prenoto voglio farlo al minor prezzo. Forse chiedo troppo?”

Ma, allora, bella mia, non hai capito nulla della vita! Che caspita t’importa del minor prezzo quando lui poteva permettersi di pagare molto più di te? Hai trovato un uomo bello, galante, romantico e ricco … fatti furba e cogli al balzo l’occasione per non badare a spese!

Chiedi troppo? No, troppo poco.

L’UOMO IN CUCINA: SI SALVI CHI PUÒ


Cari amici (e lettori occasionali), in questo periodo sto trascurando il blog (dovrei dire i blog, compreso quello di cui pochi sanno che è in attesa dell’estate 😉 ). Non sono a corto di idee, anzi. Nella mia testa ne frullano molte. Il tempo è poco, considerato che alla fine delle lezioni ci sono un sacco di cose burocratiche da sbrigare e le 24 ore della giornata mi stanno decisamente strette.

Pensa che ti ripensa, ho ricordato l’invito rivoltomi tempo fa dall’amica Diemme: quello di ripubblicare a puntate un vecchio post sugli uomini in casa. Probabilmente la maggior parte di voi lettori abituali lo conosce già, ma ci sono sempre i recenti “acquisti” che ne ignorano l’esistenza.

Ecco quindi la prima puntata: L’UOMO IN CUCINA.

Premetto che si tratta di un post ironico, basato esclusivamente sulla mia esperienza, che non ha alcuna presunzione di essere un trattato scientifico né di dire cose universalmente valide. Lo sottolineo perché allora qualcuno si è offeso …

L’intento è, dunque, quello di farsi due risate (sempre che ci riesca a suscitarle ma i riscontri allora sono stati più che buoni) in questa tarda primavera che sembra più estate avanzata, con i 33 gradi che il termometro esterno segna, e i 29 e mezzo interni … non vi dico che allegria lavorare davanti al pc!

Non mi resta che augurarvi una buona lettura … o rilettura, naturalmente.
Per chi proprio non ce la fa ad attendere le altre puntate – ovviamente chi non ha letto il post intero pubblicato qualche anno fa), può continuare a leggere QUI.

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PREMESSA

Gli uomini in casa? Che palle! Certi uomini, non tutti, a vederli girar per casa, ti fanno venire due palle così anche se non le hai, altri, invece, sanno essere disponibili a darti una mano cosicché li perdoni quando, per caso, le palle te le fanno girare lo stesso.

Detto questo, si sarà capito che ho esperienza di entrambi i generi. Esperienza diretta, intendo. E posso fare dei confronti molto esemplificativi prendendo in esame il comportamento degli uomini che fanno parte della mia famiglia, parenti diretti e acquisiti, giovani e vecchi.
Prima di tutto bisogna dire che c’è sempre un uomo che si propone come esempio, giusto o sbagliato che sia, e qualche altro che lo emula, nel bene e nel male. Poi ci sono le donne: quelle sanno esattamente come raddrizzare gli uomini nel caso in cui non si comportino a dovere. Ma è anche vero che c’è qualche uomo che se ne frega del buon intento della donna in questione, anche se i modi magari possono apparire un po’ bruschi ma lo scopo è quasi umanitario. Quello è il genere uomo-che-non-si-piega-fossi-matto-manco-per-sogno-che-hai-ragione-tu. E questa è la specie peggiore perché difficilmente addomesticabile. Che si fa allora? Quello che non si dovrebbe fare con gli amici animali d’estate: li si abbandona. Sempre che, presa da un rimorso improvviso o dominata, a sua volta, da un opportunismo incontrollabile del tipo me-lo-tengo-così-com’è-tanto-c’è-di-peggio, la donna in questione non rinunci ad addomesticare il suo uomo. Probabilmente se ne pentirà per tutto il resto della vita.

Prima di elencare i pregi e difetti degli uomini in casa, mi faccio una domanda: perché una donna in casa trova sempre qualcosa da fare e l’uomo no? Perché una donna gira come una trottola cercando di sbrigare le faccende domestiche o anche di portarsi un po’ avanti con il lavoro, mentre l’uomo vive in simbiosi con il telecomando della TV, stravaccato sul divano, oppure si fionda davanti al pc a cazzeggiare? La risposta è: non l’ho mai capito. Però bisogna dire che certi uomini, anche se hanno la tendenza a non fare nulla, se correttamente sollecitati, rinunciano a cazzeggiare e danno una mano. In questo caso, la differenza fra un uomo e una donna è che il primo ha bisogno di istruzioni, la seconda no. E non si tratta per nulla di un particolare insignificante.

L’UOMO IN CUCINA.
Se per caso qualcuna ha la fortuna di avere un marito disponibile a preparare qualche manicaretto, o semplicemente a cucinare il rancio quotidiano, allora sa perfettamente che l’uomo-cuoco non sa fare nulla autonomamente: lui ha sempre bisogno di un aiuto cuoco e di una sguattera che gli corre dietro con lo straccio per evitare che la cucina diventi una sorta di palude o un campo di battaglia con tanto di cadaveri abbandonati sul terreno. La donna-cuoca, invece, fa tutto da sola: prepara gli ingredienti che le servono, tagliando, sminuzzando, sbucciando, battendo, aprendo e più verbi si elencano più si rende l’idea, cucina, senza aver bisogno che nessuno le passi la padella o il sale o le spezie o l’olio e via dicendo. Poi, dopo aver cucinato e servito a tavola –quindi fa anche la cameriera-, pulisce la cucina e carica la lavastoviglie, se ce l’ha, altrimenti lava i piatti a mano.
L’uomo, invece, che fa? Se cucina ha bisogno sempre di una mano, non serve a tavola, tantomeno pulisce. Ricordo che tanti anni fa, quando ero in attesa del secondogenito e dovevo stare a riposo, mio marito lavava i piatti ma mai il fornello. Avendoglielo fatto notare, mi fu riposto: “se domani si deve cucinare di nuovo a che serve pulire oggi?” Poi non stupiamoci che qualche fornello che viene esibito negli spot che pubblicizzano gli spray supersgrassanti sia in condizioni pietose: vi avrà di certo cucinato un uomo per settimane senza mai pulire.

Mio marito cucina solo quando non ci sono oppure ho 38 di febbre … se ho 37 e mezzo e mi vede girar per casa pensa che io stia bene (in realtà sto già malissimo visto che la mia temperatura normale si aggira sui 35 e 8). Quando cucina, sporca dappertutto e se a casa ci sono i figli, li arruola subito. Loro sbuffano ma gli danno una mano, ovvero lo aiuta perlopiù il secondogenito perché il primo figlio deve aver preso tutto da suo nonno paterno.

Mio suocero era un buon uomo, molto generoso, mi voleva bene come ad una figlia, spesso mi invitava al ristorante ma in casa non sapeva fare assolutamente nulla. Lui si vantava di non saper mettere sul fuoco nemmeno la caffettiera –preventivamente preparata da qualcun altro-, non sapeva nemmeno dove si trovassero i piatti e i bicchieri. Lui in casa non ha mai fatto nulla e quando gli facevamo notare che avrebbe potuto imparare a far qualcosa, per non dipendere dalle sue “donne” (leggi badanti), rispondeva che i soldi per andare al bar a bere il caffè e al ristorante per cenare non gli mancavano.
La colpa non era tutta sua, naturalmente.
Mia suocera era una santa donna, ma ha sbagliato a viziare a questo modo suo marito. Era, però, una donna d’altri tempi: lasciò il lavoro non appena messa al mondo la prima figlia e dedicarsi alla famiglia fu l’unica occupazione che svolse finché ne ebbe le forze.
Ma le donne ora lavorano quasi tutte –al sud un po’ meno perché gli uomini evidentemente sono come mio suocero- e hanno bisogno di aiuto, così gli uomini s’ingegnano anche se, come dicevo, devono essere debitamente istruiti. Io mio marito l’ho istruito benino, ma mai come mia mamma ha fatto con mio papà.

Mio papà, per iniziare, è un bravo cuoco. Rimasto orfano di padre da bambino, stava sempre attaccato alla gonna di mia nonna e guardandola ha imparato a cucinare. Lui, nonostante mia mamma brontoli lo stesso, non ha bisogno di aiuto cuochi né di sguattere: la cucina è il suo regno, quindi sa esattamente dove trovare le stoviglie che gli servono, e, una volta cucinato, mette tutto a posto e pulisce. Sa caricare la lavastoviglie, anche se non c’è nessuno che lo fa meglio di mia madre, e, se necessario, lava tutte le pentole a mano.

Mio figlio minore ha ereditato da mio padre la passione per la cucina: s’inventa pietanze strane, guarda, quando può, “La prova del cuoco” e prende degli spunti, ha estro e non si perde mai d’animo, nemmeno quando il frigorifero è semivuoto. Lui in cucina mi sostituisce a meraviglia e, se me ne devo andar via per qualche giorno, posso stare tranquilla. Dipendesse da suo fratello, si mangerebbero solo kebab e BigMc. Il mio “piccolo”, però, una cosa da suo padre l’ha presa: non lava il fornello. Anche lui è convinto che sia fatica sprecata.

[to be continued; immagine sposi da questo sito]