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Leggendo le ultime novità sul caso Misseri (preferisco ricordare il cognome dei carnefici piuttosto che quello di una vittima innocente), ho ripensato ad un vecchio film di Visconti il cui titolo ricordavo come “ritratto di famiglia in un interno”, mentre, in realtà, si parla di “gruppo”. Poco importa, quello che conta è il “ritratto” che si va via via delineando di questa famiglia da mesi al centro della cronaca nera, in cui i ruoli si sono spesso confusi, ribaltati, lasciando dubbi e interrogativi sulle versioni date dai vari componenti.
Il “ritratto” di questa famiglia vede in primo piano Sabrina, ventidue anni, cugina della piccola vittima, e Michele, rispettivamente padre e zio delle due ragazze. Sullo sfondo, un po’ sfuocate, le immagini della signora Cosima, la moglie del presunto carnefice, e Valentina, rispettivamente sorella e figlia dei due protagonisti.
Fin dall’inizio, fin da quel 6 ottobre, giorno in cui è stato scoperto il corpo della vittima, tutti abbiamo pensato che la confessione di Michele Misseri fosse l’unica possibile. Ci eravamo meravigliati, forse, del ruolo marginale che l’uomo aveva avuto all’inizio della vicenda, il 26 agosto, fino al ritrovamento “casuale” del telefonino bruciato. Allora era parso strano, comunque, che si trattasse solo di una casualità ed avevamo assistito all’improvvisa entrata in scena di quest’uomo, piccolo, magro, dagli occhi di ghiaccio, in cui curiosamente sembrano specchiarsi quelli della sua vittima, un uomo schivo, fino a quel momento, che approfitta dei riflettori puntati su di lui, a causa di questo strano ritrovamento, per manifestare la sua disperazione, fino ad allora repressa, per la morte della nipotina. Una nipotina, esile e bionda, così diversa dalle corpulente figlie di Michele, che lui amava proprio come fosse sangue del suo sangue.
Le lacrime di Misseri, apparentemente sincere, hanno però permesso agli inquirenti di percorrere un’altra strada nelle indagini: una scomparsa ormai accertata come non volontaria, una “questione di famiglia”. Perché, fino ad allora, è stato trascurato l’accorato appello di mamma Concetta: “Cercate in famiglia”? Ma che cosa mai poteva nascondere quella famiglia in cui la piccola scomparsa era considerata una di casa? E quella casa, quali segreti mai poteva celare? Una casa-nido in cui la piccola aveva sempre trovato protezione, accolta da tutti i componenti della famiglia come una di loro.
Ma il ritrovamento del telefonino aveva portato le indagini proprio in quella direzione, aprendo le porte di casa Misseri, del garage, e sconfinando all’esterno, nei terreni di proprietà di quell’uomo, tutto casa, lavoro e famiglia, anzi solitario entro le mura della sua stessa casa. Uno che si faceva i fatti suoi, che dormiva sulla sedia a sdraio in cucina, che aveva da tempo rinunciato al ruolo di capofamiglia, lui, unico uomo fra tre donne, dominato da loro, in particolare da Sabrina, una virago che, in qualsiasi contesto, voleva essere al centro dell’attenzione.
Sabrina, l’amata cugina, anzi un’amica, la migliore. Un punto di riferimento per la piccola che, dal “basso” dei suoi quindici anni, si faceva dominare dalla cugina più grande. Almeno fino alla scorsa estate. Si sa, a quell’età i cambiamenti sono all’ordine del giorno: ci si sveglia al mattino e ci si sente diversi, più forti, stufi di apparire sullo sfondo, semplici comparse, si cerca il primo piano, il ruolo da protagonista.
La piccola, soffrendo per il modo brusco e autoritario con cui viene trattata dalla cugina più grande, si ribella a modo suo, rivolgendo le sue attenzioni ad un ragazzo più “vecchio”, quasi in cerca di protezione, lei che, specie dopo l’allontanamento da casa del padre e del fratello, sta vivendo all’interno di un universo femminile che inizia a starle stretto.
Ivano, detto “L’Alain Delon di Avetrana”, il ragazzo con il quale Sabrina aveva un legame speciale, su cui aveva messo gli occhi la cuginetta, diventa all’improvviso il casus belli, proprio il giorno prima di quel 26 agosto, l’ultimo passato all’interno delle mura domestiche, quel giorno in cui una gita al mare avrebbe forse dato modo alle due cugine di chiarirsi. Un chiarimento cui probabilmente la piccola voleva arrivare, dopo aver sfogato la sua rabbia e la sua delusione sulle pagine del diario.
Quell’infatuazione, ovvero la gelosia che ne è scaturita, poteva essere un movente perfetto per un delitto ma forse anche un motivo plausibile per l’allontanamento volontario, ipotesi, quest’ultima, che si affievoliva sempre più man mano che passavano le settimane. Gli inquirenti sanno bene che, in questi casi, i minori ritornano sui loro passi quando si rendono conto di non poter sopravvivere, senza soldi e senza un rifugio, quando non hanno un punto di riferimento preciso. E quale poteva essere, in questo caso, un punto di riferimento preciso? Ivano era al suo posto, a casa sua, continuava a negare che ci fosse un legame sentimentale con Sabrina e che avesse fatto delle esplicite advances alla cuginetta. Lui non poteva averla rapita, tantomeno uccisa. Perché mai? Temeva forse le ire delle cugina gelosa? Troppo debole, come movente, troppo rischioso. Molto meglio rimanere in disparte, farsi i fatti propri, lasciare che Sabrina parlasse, anche a sproposito, di una gelosia che non aveva motivo di esistere.
Lo scenario cambia, però, quel 6 ottobre: la confessione, allucinante, di Misseri spazza definitivamente il dubbio su un “caso di gelosia”, per aprire uno squarcio su quella famiglia di cui fino ad allora era sembrato che la sola Sabrina facesse parte. La matassa si dipana e dai fili di lana ormai liberi prende forma un delitto efferato, con un corredo di particolari raccapriccianti, messo in atto per nascondere una colpa che nessuno, fino ad allora, aveva preso in considerazione. Quell’uomo insignificante aveva prestato delle attenzioni moleste alla nipotina: bisognava farla tacere, per sempre.
Eppure, nelle pagine del diario della piccola non c’è traccia di questo deplorevole fatto. Aveva scritto della gelosia manifestata da Sabrina a causa di Ivano, ma nessuna riga, nessun riferimento neppure velato alle molestie subite dallo zio. Strano, anche se si può supporre che chi è vittima di molestie familiari voglia solo rimuovere un evento che percepisce come una vergogna. Insomma, è cosa su cui tacere.
![sabrina_michele_misseri](https://marisamoles.wordpress.com/wp-content/uploads/2010/11/sabrina_michele_misseri.jpg?w=300&h=219)
In questo scenario pazzesco, i due componenti della famiglia Misseri, Michele e Sabrina, hanno dei ruoli differenti a seconda della versione fornita da ciascuno: lui indica la figlia come l’unica omicida e, pur cambiando versione per ben sette volte, si ritaglia il ruolo dell’aiutante nell’occultamento del cadavere. Ma non nega la violenza post mortem, una cosa atroce che da sola è sufficiente per attribuirgli il nome di mostro. Lei dice che il padre è pazzo, che ha fatto tutto da solo, che si è inventato ogni cosa. Non cede, Sabrina, nemmeno di un millimetro. L’ha detto anche la signora Concetta, madre della vittima: è un’altra Annamaria Franzoni, non confesserà mai. D’altra parte, a conforto della tesi del padre ci sono solo indizi, mancano prove schiaccianti. La verità, quando verrà fuori e se verrà fuori, forse ci lascerà spiazzati.
Insomma, i Misseri sembrano usciti dal teatro pirandelliano: a volte appaiono come dei personaggi che “recitano a soggetto”, altre i protagonisti di Così è (se vi pare). Ad un certo punto della commedia di Pirandello, nella vana ricerca della Verità, si assiste ad una sorta di ballottaggio fra i due personaggi principali, riguardo alla pazzia:
Eh caro! chi è il pazzo di noi due? Eh lo so: io dico TU! e tu col dito indichi me. Va là che, a tu per tu, ci conosciamo bene noi due. Il guaio è che, come ti vedo io, gli altri non ti vedono… Tu per gli altri diventi un fantasma! Eppure, vedi questi pazzi? senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! e credono che sia una cosa diversa.
Ecco, questa è la famiglia Misseri, ovvero la famiglia dei Misteri.
Così è, se vi pare.