DA PAPA A PELLEGRINO

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«Grazie per il vostro amore e il vostro sostegno. Possiate sperimentare sempre la gioia di mettere Cristo al centro della vostra vita». È l’ultimo tweet di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI.

Da poco più di mezzora Joseph Ratzinger non siede più al soglio pontificio. Ha scelto di essere un semplice pellegrino. Alle 20 in punto, con la chiusura del portone di Castel Gandolfo, dove un elicottero l’ha portato in volo alle 17.50, partendo dai giardini vaticani, la missione di Benedetto XVI può dirsi conclusa. Ratzinger, che sarà detto “Papa emerito” e continuerà ad essere apostrofato come “Sua Santità”, indosserà la talare semplice bianca senza mantellina, mentre l’anello piscatorio e il suggello verranno resi inservibili, in modo che nessun altro potrà mai indossarli.

Un evento storico, è stato detto. Certamente il 2013 rimarrà, forse a lungo o forse no (in fondo Ratzinger ha creato un precedente), nella storia della Chiesa come l’anno dei due Papi.

Testimoni, che ci piaccia o no, di un cambiamento da raccontare ai figli e ai nipoti, alle generazioni future che forse non si stupiranno più delle dimissioni di un Papa.

[foto dal Corriere]

FUORI DAL PARLAMENTO CON PENSIONI D’ORO

Parlamento-Italiano
Li chiamano i “trombatati”, espressione che non mi piace nemmeno un po’ ma tant’è …
Stiamo parlando dei politici “illustri” (si fa per dire) che, causa avvento delle 5 stelle grilline (perché non “grilliane”?), sono rimasti a bocca asciutta. Dopo un’onorata (sempre si fa per dire) carriera politica, le porte del Parlamento per loro si chiudono inesorabilmente. Però il futuro che si prospetta non è niente male: il portafoglio, fra buoni uscita e pensioni, sarà decisamente più gonfio di quello della stragrande maggioranza di italiani.

Il primo “trombato” eccellente (idem, come sopra) è Gianfranco Fini: l’ex Presidente della Camera fra un paio di mesi intascherà l’assegno di fine mandato (una sorta di liquidazione che spetta ai non eletti, dopo anni di onorevole carriera), che dovrebbe ammontare a circa 260 mila euro netti. Essendo stato eletto per la prima volta nel 1983, Fini può ritirarsi prima dei 65 anni (e perché io devo aspettare i 67 e sono pure una donna?) e si potrà godere la sua pensione d’oro: 6.200 euro mensili, netti netti.

Altro escluso di lusso è Antonio Di Pietro, ex magistrato votato alla politica dal 1996 (nel 1998 ha fondato Italia dei valori), che potrà godere di un assegno di fine mandato ammontante a 60 mila euro, perché ne aveva già ricevuto uno quando fu “bocciato” la prima volta. Anche lui dal mese di aprile otterrà la pensione da parlamentare di circa 4.300 euro netti al mese.

Il più giovane dei “trombati” è Italo Bocchino (classe 1967) che lascia il parlamento con un assegno di fine mandato da 150 mila euro ma non ha diritto né al vitalizio né la pensione per altri diciassette anni. Poveretto! Dovrà iscriversi al collocamento …

E che dire di Emma Bonino? Anche ai Radicali questa volta non è andata bene ma, dopo una lunga carriera politica, il vicepresidente del Senato uscente otterrà una liquidazione da 60 mila euro e una pensione di tutto rispetto: 6.500 euro mensili.

Altro veterano è Franco Marini, già presidente del Senato, che si dovrà accontentare di una liquidazione da 188 mila euro e una pensione mensile netta da 5.300 euro … in aggiunta a quella di cui già gode come sindacalista.

Mi fermo qua e non faccio commenti. Le elezioni sono andate come tutti sanno e le prospettive sono tutt’altro che buone. Una cosa è certa: la politica in Italia costa troppo e gode di privilegi che noi comuni mortali nemmeno immaginiamo. Intanto, però, NOI continuiamo a pagare.

[LINK della fonte]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 28 FEBBRAIO 2013

Adesso lo so che farò arrabbiare molti di voi che, numerosi, state leggendo (o avete letto) questo post.
Sul Corriere di oggi, infatti, viene posto all’attenzione dei lettori il “caso Formigoni“.

Roberto Formigoni, governatore della Regione Lombardia per 18 anni, per il suo «reinserimento» non in una vita normale, bensì in Senato, si porterà a casa un bell’assegno: fra i 450 e i 500 mila euro lordi, secondo i primi approssimativi calcoli.
Così spiega Sergio Rizzo, autore del pezzo:

[…] in Lombardia, come in Puglia, la buonuscita dei consiglieri si calcola in ragione di una annualità lorda per ogni mandato di cinque anni. Un meccanismo quasi due volte e mezzo più favorevole rispetto al tfr dei comuni mortali.

Considerando il numero di politici che si trovano nella stessa situazione di Formigoni, l’Italia (cioè noi!) dovrà sborsare più o meno 5 milioni, se tutti i 43 non rieletti fossero stati in carica per il solo ultimo mandato.
Anche il Lazio non è da meno: 3 milioni e mezzo tenendo conto che questa volta la liquidazione spetterà alla stragrande maggioranza degli ex consiglieri.

Che dire? Faccio solo notare che, a proposito di tfr, lo Stato è stato “condannato” dalla Cassazione a rimborsare le trattenute indebitamente applicate sugli stipendi dei dipendenti pubblici (me compresa) per un anno e mezzo. Fatti i calcoli, avrei dovuto avere un rimborso di circa 1.550 euro. Ma il governo Monti che ha fatto? Con un decreto d’urgenza ha ri-trasformato (praticamente un tocco di bacchetta magica!) il tfr in tfs (il trattamento di fine servizio che era stato sostituito), su cui le trattenute erano legittime. 😦

ANNA KARENINA, IL FILM

Questo pomeriggio, nonostante la mia antipatia per le sale cinematografiche (troppo caldo, troppo alto il volume del suono, troppo scomode le poltrone, niente pause per fumare una sigaretta … benedetta la pubblicità in tv!), sono andata a vedere il film di Joe Wright Anna Karenina, tratto dall’omonimo romanzo di Lev Tolstoj. La trama del romanzo è nota a tutti: Anna, una donna sposata a un alto funzionario russo e madre di un bambino, si innamora del giovane conte Vronskij, al cui fascino cerca di resistere, più per uno scrupolo morale che per convinzione. Vinta dalla passione, alla fine la donna cede e vive un amore travolgente con il conte da cui ha una bambina. Lasciata la famiglia per seguire l’amato, ben presto si rende conto che l’insano sentimento che la lega ad Aleksej l’ha emarginata dalla società e privata dei privilegi di cui prima godeva nella San Pietroburgo altolocata. Alla fine cede sotto il macigno dei sensi di colpa, soprattutto ritenendo inutile il sacrificio per un uomo che pensa non l’ami più. La gelosia la porta ad un gesto disperato: si lancia sotto un treno in corsa.

E ora veniamo al film. Certamente non è facile fare una trasposizione cinematografica di un romanzo importante e ricco di sfaccettature come il capolavoro di Tolstoj. Soprattutto non è facile raccontare una storia già nota ai più senza destare curiosità. Il merito del regista Wright è senz’altro quello di aver creato un prodotto teatrale, con tanto di scenografie semoventi, dove i personaggi si muovono, per la gran parte della pellicola, passando di scena in scena e, soprattutto, evadendo dallo spazio teatrale consueto per conquistare le quinte e gli spazi aerei che, attraverso le impalcature, sovrastano il palcoscenico.
All’inzio questa messa in scena non mi ha convinta. Ero quasi infastidita perché non riuscivo a concepire soprattutto la mancanza di scene esterne. Insomma, quella Russia così cara a Tolstoj che in pratica non si vede, eccezion fatta per qualche distesa di neve o, nella stagione migliore, di prati fioriti e spazi agresti con tanto di contadini intenti nella mietitura. Un limite, a parer mio, che non rende giustizia al romanzo che trova, però, una gradevole lettura nelle scene dei balli con coreografie stupende e abiti magnifici.

anna-kareninaQuanto ai protagonisti, Keira Knightley (già musa ispiratrice di Wright in Espiazione e Orgolio & Pregiudizio) nei panni della Karenina non convince fino in fondo. Bellissima ma un po’ acerba, non pronta ad interpretare un personaggio così complesso come Anna. Sembra più una giovinetta alle prese con il primo amore. Ma effettivamente, a pensarci bene, ai tempi i matrimoni avevano ben poco a che spartire con l’amore, sicché per la sventurata il conte Vronskij potrebbe benissimo essere il primo vero amore della sua vita. Lui, interpretato dal giovanissimo (anche troppo) Aaron Johnson, poco più che ventenne, è talmente bello, con gli occhi azzurri e i riccioli biondi, da essere quasi un Adone senz’ali.

L’interpretazione che più mi ha convinta è stata quella del marito tradito: un Alexei Karenin magistralmente interpretato da Jude Law, con una compostezza e una sobrietà che rende merito alla dignità del personaggio, se non a quella del marito della fedifraga.
Infine, una nota di merito a Emily Watson nei panni della contessa Lydia.

Per concludere, un film passabile nel complesso, a tratti persino bello. Però ammetto che le due ore e 10 minuti sono volate, nonostante l’assenza di pause. Ah, la musica è bellissima grazie al nostro Dario Marianelli, candidato al premio Oscar 2013 per la miglior colonna sonora.

MODA’ A SANREMO CON UN BRANO DELLA COLONNA SONORA DI “BIANCA COME IL LATTE …”

Non ho seguito molto, almeno finora, Sanremo ma devo dire che la canzone dei Modà, “Se si potesse non morire”, mi ha colpito molto. Lo stile è quello, inutile negarlo, un po’ ripetitivo rispetto ad altri successi. Però, ascoltando le parole e seguendo la melodia, questo pezzo mi raccontava qualcosa di nuovo e, nello stesso tempo, di già sentito.

Ho scoperto solo da qualche minuto – non seguo molto giornali e tv che parlano del festival della canzone italiana, in questi giorni – che il pezzo dei Modà è uno dei brani compresi nella colonna sonora del film, in uscita il 4 aprile, tratto dal best seller di Alessandro D’Avenia Bianca come il latte rossa come il sangue. Alessandro ne ha dato notizia sul suo blog da cui ho scaricato il video sotto.

Buon ascolto e buona visione … aspettando il 4 aprile.

PER SAN VALENTINO …

… volevo regalarvi una poesia, ma è troppo banale.

Volevo scrivere io dei versi, ma non ho la penna lirica né il cuore innamorato che la guidi.

Ho pensato a una coppia di innamorati, quelli che stanno assieme da tanti anni che San Valentino per loro è ogni giorno.

Ho trovato l’unica coppia che so quanto s’ama anche se loro non se lo chiedono mai, dopo più di 60 anni.

mamma papà fidanzati

Sono mamma e papà, bellissimi, da fidanzati.

cuore frecciaAUGURI A TUTTI GLI INNAMORATI!

L’amore non è eterno ma speriamo almeno che duri.

TRA SAN REMO E SAN VALENTINO IL PAPA C’HA MESSO LO ZAMPINO

papa ratzingerCom’è noto lunedì scorso Papa Benedetto XVI ha annunciato le sue dimissioni. Fatto inaudito, scioccante, epocale … e via, i commenti monopolizzano i media.

Non stiamo qui a discutere sul perché abbia scelto proprio l’11 febbraio. L’ultima ipotesi fantasiosa è quella che riguarda la somma dei numeri di tale data, 18, multiplo di 6, numero del diavolo. Ma va’ al diavolo … la disputa tra Gesù e il diavolo, tra l’altro, è stata oggetto di discussione da parte del teologo Ratzinger, ma non credo avesse in mente proprio questo.

La scelta della data ha un altro perché: tra San Remo e San valentino il Papa c’ha messo lo zampino. Grazie alla sua decisione ci ha salvati dall’uragano mediatico che puntualmente ogni anno proviene dalla cittadina ligure che del Santo porta il nome. San Remo è passato in secondo piano: prima viene il Papa, le sue dimissioni, tutti i quesiti che ora l’opinione pubblica si pone: come dovremo chiamarlo una volta lasciato il Soglio di San Pietro? E se si stabilisce nella piccola struttura conventuale all’intero dei giardini vaticani, incontrando il Papa, quello in carica, come si appelleranno a vicenda? Sua Santità a Eminenza? Sua Eccellenza per entrambi? E quando Ratzinger morirà, avrà diritto ad essere sepolto in San Pietro, assieme ai suoi predecessori?

luciana littizzettoPersino Bruno Vespa ha dedicato l’intera prima serata di lunedì alla rinuncia papale, relegando in seconda il festival canoro più famoso al mondo. Già, com’è San Remo ai tempi della spending review? Be’, il budget è quello che è, non ne poteva uscire un Sanremo migliore. Se non altro hanno risparmiato un bel po’ di stoffa per i vestiti della Littizzetto, anche se sarebbe stato meglio coprirle le gambe. Vabbè che i collant 250 denari (per fortuna anche qui abbiamo risparmiato qualche euro!) gliele coprono abbastanza ma in fatto di eleganza, lasciamo perdere.
Quand’è arrivata in carrozza si è visto benissimo che la fatina Smemorina ha fatto il lavoro a metà: ha trasformato la zucca in carrozza, i topini in splendidi cavalli bianchi ma la Lucianina l’ha lasciata così com’era. D’altronde le fate i miracoli non li sanno fare e nemmeno San Remo.

Anche gli ospiti sono decisamente modesti. Quel Crozza lì, ad esempio, non ha certo il carisma di un Benigni che se non altro come saltinbanco fa sempre la sua bella figura. E poi, si son mai sentiti fischi durante i monologhi del Roberto nazionale? Ma nemmeno in direzione del Celentano vestito Armani in limited edition, anzi exclusive edition stile raccolta differenziata. Ve lo ricordate? Il modesto smoking di Crozza sarà costato un decimo …

santo-san-valentinoPassando all’altro Santo, Valentino, il Papa dimissionario ci ha salvato dai servizi di rito dei tiggì: quanto spenderanno in media gli innamorati fra fiori, regali, cene a lume di candela? Che regalo fare al proprio amore per non ripetersi, specie se la coppia è di lunga data? E quali versi scegliere per omaggiare l’amore della propria vita, o quanto meno pro tempore ché l’amore, si sa, non è più eterno? Ratzinger ci ha salvato anche da questo. Pensate un po’ quale vantaggio insperato ha avuto la rinuncia papale.

Papa Benedetto XVI, secondo me, sarà pur sempre il Papa (se Berlusconi continua ad essere Presidente e lo sarà a futura memoria), San valentino è pur sempre San Valentino, ma San Remo non è più San Remo, hanno eliminato pure lo storico stacchetto: San Remo è sempre San Remo. L’avete notato?

E dire che non volevo scrivere nulla su Sanremo quest’anno. A pensarci bene, però, il post è sul Papa … e sui santi.

PAPA RATZINGER: DIMISSIONI “PER IL BENE DELLA CHIESA”. GLI ALTRI PAPI DIMISSIONARI NELLA STORIA

ratzinger

Il Papa lascia il pontificato dal 28 febbraio. Lo ha annunciato personalmente, in latino, durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. La notizia è stata confermata dal Vaticano. Joseph Ratzinger, nato il 16 aprile 1927, era stato eletto papa dal conclave il 19 aprile 2005, dopo la morte di Giovanni Paolo II.
REAZIONI – «Un fulmine a ciel sereno» reagisce il decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano, commentando la decisione di Benedetto XVI. [DAL CORRIERE]

Al momento ho pensato ad uno scherzo di carnevale, poi mi è tornato in mente Celestino V, colui che fece per viltade il gran rifiuto. Però è anche vero che Benedetto XVI ha una bella età e certamente non la caparbietà di Giovanni Paolo II. Per Ratzinger il pontificato è stato un lavoro, per Wojtyla una vera missione. Almeno, questo è il mio modestissimo parere.

Ecco il testo che papa Ratzinger ha letto, in Latino, al termine del concistoro di questa mattina:

Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per
comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per
l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino
. Sono
ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non
solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di
oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della
fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore
sia del corpo, sia dell’animo
, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da
dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo,
ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero
di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile
2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro,
sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del
nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete
portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la
sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere
il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore,
con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio
.

Una decisione senza dubbio ponderata, un desiderio, quello di ritirarsi a vita privata, già manifestato negli ultimi due anni. Allora, però, ne aveva resi partecipi i suoi collaboratori che, evidentemente, l’avevano dissuaso. Ora, come fa notare lo stesso decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano, appare come “un fulmine a ciel sereno”. Non ne aveva parlato con nessuno anche se più volte aveva dichiarato che «un papa ha diritto di dimettersi».

In passato, tuttavia, aveva rinunciato alle dimissioni in quanto la Chiesa, gravata da scandali (pedofilia, preti gay …) aveva bisogno di una guida salda né Benedetto XVI aveva intenzione di scaricare ad altri la patata bollente. La situazione ora non è migliore, a mio parere, e certamente il momento scelto è uno dei più importanti per la Chiesa cattolica. Nell’imminenza del periodo di Quaresima, in preparazione alla Santa Pasqua, forse i pressanti impegni che proprio questa festività religiosa prevedono l’hanno scoraggiato.

Il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, durante la conferenza stampa ha espresso fiducia nel fatto che per la santa Pasqua sul soglio pontificio possa sedersi il successore di Benedetto XVI: «Dal primo di marzo, dopo le dimissioni del 28 febbraio, inizierà l’iter per l’elezione del nuovo Papa. – precisa Lombardi – Non sappiamo ora la data del Conclave, ma ovviamente non ci saranno i novendiali (i 9 giorni di lutto dopo la morte del Pontefice) così nel giro di un paio di settimane, nel mese di marzo, avremo il nuovo Papa».

LE DIMISSIONI DI UN PAPA: CASO ECCEZIONALE NELLA STORIA DELLA CHIESA

celestino vPrima di Benedetto XVI l’episodio più celebre, da me ricordato all’inizio di questo post, è il “gran rifiuto” di Papa Celestino V. Pietro da Morrone fu eletto il 29 agosto 1254, dopo un conclave durato ben due anni. Celestino V aveva quasi ottant’anni all’epoca e rinunciò alla carica dopo soli quattro mesi, forse temendo di trovarsi invischiato nelle mire politiche di Carlo d’Angiò che in seguito fu ben accolto dal successore Bonifacio VIII, pontefice odiato dall’Alighieri proprio per la sua intromissione nella vita politica di Firenze.
A distanza di secoli, tuttavia, la memoria di Pietro da Morrone è stata riabilitata e il Papa è ricordato come uomo di straordinaria fede e di buon senso.

Due secoli dopo fu la volta di Gregorio XII, Papa dal 19 dicembre 1406 al 4 luglio 1415. Una volta eletto si adoperò per porre fine al “grande scisma” fra i pontefici di Roma e quelli di Avignone ma, non riuscendovi, preferì a rinunciare al pontificato.

Il primo caso di abdicazione dal soglio pontificio fu, tuttavia, quello di Papa Clemente I (in carica dal 88 al 97 d.C., ai tempi dell’imperatore Domiziano, in piena persecuzione contro i Cristiani), che rinunciò alla carica a favore di Evaristo, perché arrestato ed esiliato non voleva che i fedeli rimanessero senza una guida spirituale.

[LINK della fonte]

ARTICOLO AGGIORNATO, ORE 14.00

LE POESIE DIMENTICATE: “L’AQUILONE” di GIOVANNI PASCOLI

Pietro Lerda aquiloni
PREMESSA:
Inauguro con questa delicata poesia, ricordo dei miei studi liceali, una sezione dedicata alle poesie scomparse dai manuali scolastici. Purtroppo molte liriche che hanno appassionato gli studenti nella seconda metà del secolo scorso, non vengono più trattate nei programmi scolastici. Accolgo, quindi, l’invito che qualche lettore mi ha fatto, intervenendo sul blog o scrivendomi in privato, a commentare qualcuna di queste poesie dimenticate dai curatori delle antologie scolastiche (almeno di quelle in uso nelle scuole superiori) ma mai del tutto scomparse dai nostri cuori.

pascoli giovaneGiovanni Pascoli (1855-1912), noto poeta romagnolo, compì gran parte dei suoi studi presso il Collegio Raffaello di Urbino, retto dai padri Scolopi. Entratovi a sette anni, nel 1862, assieme ai fratelli Giacomo e Luigi, vi rimase fino al 1871, concludendo la prima classe liceale.
La morte del padre, avvenuta il 10 agosto 1867, avvenimento che traumatizzò il giovane Pascoli, provocò un cambiamento del curricolo di studi cui era già stato avviato: la famiglia, infatti, avrebbe voluto che proseguisse gli studi in ambito tecnico per succedere al padre nel ruolo di amministratore della tenuta dei principi di Torlonia, a San Mauro. Il poeta, però, dopo l’uscita dal collegio di Urbino, riuscì a frequentare il secondo anno di liceo classico a Rimini e l’ultimo anno presso il collegio degli Scolopi di Firenze nel 1872. Bocciato a giugno nelle materie scientifiche, riparò ad ottobre sostenendo gli esami a Cesena.
Grazie ad una borsa di studio e all’interessamento di Giosue Carducci, che in lui intravide delle doti letterarie, si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’università di Bologna dove si laureò a pieni voti, dopo varie vicissitudini, nel 1882, ottenendo in seguito un incarico di insegnamento al liceo di Matera.
Dal 1897 al 1903 Pascoli insegnò Letteratura Latina all’Università di Messina. Qui compose la poesia L’aquilone, rievocando momenti lieti e tristi passati al collegio di Urbino. La lirica fa parte della raccolta Primi poemetti che il poeta pubblicò, nell’edizione definitiva, nel 1904.

Dal punto di vista metrico, la lirica è composta da 21 terzine di endecasillabi più un verso isolato che la conclude. Lo schema metrico è ABA, BCB, CDC, rima incatenata detta anche terza rima. La stessa usata da Dante Alighieri per la sua Commedia. Qui, tuttavia, il metro scelto non appare affatto solenne, anzi, si fa discorsivo e le rime spesso nemmeno si avvertono.

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento
.

A Messina, complice il clima mite, già a febbraio si respira un tepore primaverile: è quel qualcosa di nuovo che porta con sé l’antico, i ricordi dell’infanzia passata in quel convento dei Cappuccini, a Urbino, dove il poeta immagina siano già spuntate le viole tra le foglie ormai morte che il vento agita ai piedi delle querce.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch’erbose hanno le soglie:

un’aria d’altro luogo e d’altro mese
e d’altra vita: un’aria celestina
che regga molte bianche ali sospese…

sì, gli aquiloni! E’ questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera

bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso
.

L’aria tiepida scioglie la terra indurita dal ghiaccio, accarezza le soglie cosparse d’erba delle chiese di campagna; è l’aria di un luogo diverso da quello in cui Pascoli si trova, quella che respirava nella sua infanzia (d’altra vita) e in un mese diverso. A Urbino, infatti, la primavera tarda ad arrivare rispetto a Messina, in cui ora vive. Ed ecco che sospinti da quell’aria celestina i ricordi vagano nel rievocare le bianche ali sospese: gli aquiloni.
È una mattina senza scuola, gli scolari felici, in gruppo, sono usciti tra le siepi spoglie e spinose di rovo e di biancospino. Fra i bianchi fiori primaverili si intravedeva ancora qualche bacca rossa, reminescenza autunnale. Sui rami degli alberi, ancora spogli, saltellava sulle sue zampette il pettirosso e la lucertola faceva capolino tra le foglie aride di un fossato.

Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.

S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.

S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla
lassù, lassù… Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto… – Chi strilla
?

bambina-con-aquilone

Ora il ricordo si fa più nitido e alle immagini della natura si sovrappongono quelle dei compagni. Il poeta ricorda che, dall’alto di un colle che sovrasta Urbino, con il favore del vento ciascuno libera nel cielo turchese il suo aquilone che qui assume l’aspetto di una stella cometa che ondeggia, quasi sospesa in precario equilibrio, trova un ostacolo poi riprende il volo e si libra leggera nell’aria. Quando l’aquilone si rialza, il movimento viene accompagnato dall’urlo dei bambini.
Particolarmente efficace, nella seconda terzina riportata qua sopra, i verbi elencati per asindeto, quasi a voler seguire l’avventura aerea della cometa, e quell’ultimo s’inalza ripreso, in anafora, all’inizio delle strofe che seguono.
Delicata l’immagine dell’aquilone che prende il volo, quasi a rubare il filo dalle manine dei bimbi, paragonato ad un fiore che si libera dallo stelo per andare a rifiorire altrove. E poi i piedi dei piccoli che sulle punte sembrano spiccare il volo, mentre la corsa, o forse l’emozione, rende il loro petto ansimante. Gli occhi (la pupilla è una sineddoche) seguono anch’essi trepidanti il volo dell’aquilone che sembra portare tutto con sé in cielo, il viso e il cuore.
Il volo continua sempre più in alto finché un colpo di vento devia il volo dell’aquilone, accompagnato da uno strillo. Di chi è quella voce?

Sono le voci della camerata mia:
le conosco tutte all’improvviso,
una dolce, una acuta, una velata…

A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! E te, sì, che abbandoni
su l’omero il pallor muto del viso.

Sì: dissi sopra te l’orazioni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni
!

Le ricorda tutte quelle voci, il poeta. Sono quelle dei suoi compagni di camerata, riesce a distinguerle ad una ad una, non appena si affacciano alla sua memoria. Tutte, e ciascuna con la sua caratteristica propria: qualcuna dolce, un’altra acuta, un’altra ancora velata, forse di pianto. E anche i volti dei compagni visitano nuovamente la mente di Pascoli, uno in particolare: quello di chi ha abbandonato sulla spalla del poeta il viso pallido e muto.
È forse l’amico più caro, per lui il poeta giovinetto aveva pianto e pregato, invano. Un fanciullo che non aveva goduto dello spettacolo sulla collina, che non era riuscito a vedere gli aquiloni cadere. Felice, nonostante tutto, perché aveva goduto dell’età più bella e la morte l’aveva sottratto ai dolori della vita.
In questi versi ritorna, seppur attraverso immagini delicate, quel male di vivere, mai celato, che accompagnò il poeta durante la sua esistenza contrassegnata da numerosi lutti, iniziati con la scomparsa del padre che causò in lui un trauma mai superato. Ecco, dunque, che la morte in giovane età è, per Pascoli, una morte felice.

cassatt_mary_mother_combing_childs_hair_1879

Tu eri tutto bianco, io mi rammento:
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.

Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!

Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore

ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch’io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto…

L’autore qui ricorda il pallore di quel bimbo, il bianco che contrasta con il rosso delle ginocchia causato dalle preghiere che erano costretti a recitare piegati sul pavimento.
Nelle terzine che seguono, l’anafora di quell’oh iniziale racchiude il pensiero pascoliano sulla morte, una morte che anche il poeta sente vicina. Eppure quel fanciullo morì felice, stringendo al petto il suo giocattolo preferito assieme alla sua giovane vita troncata anzitempo, come i petali bianchi di un fiore non ancora sbocciato del tutto. Una dolce morte che accompagnò il bimbo nell’estremo riposo sotto le zolle, tranquillo e solo.

Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!

Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda

tua madre… adagio, per non farti male.

Per Pascoli la morte felice del compagno è caratterizzata dall’immagine di chi giunge alla fine della vita ancora ansimante, sudato e accaldato dalla corsa fatta per salire il colle, facendo a gara con i compagni per chi arriva primo. E per primo è arrivato alla meta finale: ha ancora i capelli biondi, quel bimbo, l’età non li ha fatti ingrigire. La sua testolina, che custodisce immutate le infantili illusioni, ora riposa fredda sul guanciale mentre la madre pettina dolcemente la chioma, creando un’onda, adagio per non fare male al figlio che non vide cadere al vento altro che gli aquiloni.

[le immagini: “Aquiloni” di Pietro Lerda da questo sito; “Bambina con l’aquilone” da questo sito; “Madre pettina bambino” di Mary Cassat da questo sito; barra divisoria da questo sito]

DIO SPIEGATO A MIO FIGLIO

FIGLIO (commentando la strage di bambini in Connecticut): Tu dici sempre che Dio è buono e allora perché ha permesso questo?

MADRE: Lui è buono ma non può star dietro a tutto ciò che succede nel mondo …

F: Come? Lui non è onnisciente e onnipotente?

M: Certo ma ha dotato gli uomini del libero arbitrio, possono scegliere tra il bene e il male.

F: Ma se li ha fatti a Sua immagine e somiglianza dovrebbero essere tutti buoni.

M: Ha fatto Adamo ed Eva a Sua immagine e somiglianza e sai com’è andata a finire …

F: Ecco, vedi, allora non è vero che è buono, avrebbe dovuto perdonarli.

M: Lui perdona chi è sinceramente pentito, forse loro non lo erano. E poi doveva dare un segnale: attenzione, se non obbedite a me finite male …

F: E poi ha mandato sulla croce Suo Figlio. Ti pare un buon padre quello che fa uccidere un figlio? Avrebbe potuto impedirlo.

M: Ma era un disegno, Dio sapeva che il sacrificio era necessario, così ha cancellato il peccato di Adamo ed Eva, con il battesimo.

F: E chi non è battezzato?

M: Chi non è battezzato non è colpevole. Anche Dante mette i bambini morti senza battesimo nel Limbo.

F: E quando diventano grandi?

M: Se vogliono essere battezzati bene … non è mica obbligatorio credere in Dio ed essere cattolici.

F: Ma se siamo tutti Suoi figli, non ama anche quelli che non credono in Lui, come un buon padre?

M: Certamente, ma quelli del Suo amore non sanno che farsene.

F (dopo aver pensato ad altri mali nel mondo): E perché permette che ci siano le guerre o che la gente muoia di fame?

M: Te l’ho detto: è sempre la faccenda del libero arbitrio …

F: Ma che dici? La gente mica muore di fame per libero arbitrio!

M: Sì, ma è anche vero che non può impedire le malattie, le carestie, la povertà o le calamità naturali …

F: Vedi che non è buono?

M: Ma che c’entra? Lui ci ama, sono gli uomini che non si amano l’un l’altro e che, per brama di potere, provocano danni al prossimo. E poi, anche Caino ha ucciso Abele che non gli aveva fatto nulla.

F: Caino era invidioso perché Dio aveva preferito il sacrificio del fratello. Un buon padre non fa differenza fra i figli.

M: Sì, ma lui legge nell’animo e sa chi è buono e chi è cattivo. Caino era cattivo dentro e voleva metterlo alla prova.

F: Ma scusa, se Abele era buono dentro, perché ha lasciato che fosse ucciso? Non poteva punire Caino che era cattivo?

M: Dio non punisce, è una falsa opinione quella delle punizioni divine.

F: Va bene ma alla fine ha punito quello buono …

M: Senti, Dio è un mistero, non possiamo dare una spiegazione a tutto …

F: E perché dovrei credere a qualcosa che non può essere spiegato?

F: Ci sei?

M: C 6: colpita e affondata.

LA MADONNA CANDELORA E LA PRIMAVERA CHE VERRÀ … TARDI

madonnacandelora
Il 2 febbraio la Chiesa celebra la Madonna Candelora perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo che illumina la strada ai fedeli. In realtà la festa ricorda la presentazione di Gesù bambino al Tempio e, nello stesso tempo, la purificazione di Maria. Infatti, secondo l’usanza ebraica, una donna era considerata impura per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre.

Fino a qualche decennio fa, a pensarci bene, in occasione del battesimo la Chiesa non ammetteva che la mamma del bambino portasse alla fonte il suo piccolo in braccio. Da qui l’usanza di presentare il nuovo nato da parte della madrina, mentre la madre doveva rimanere in fondo alla chiesa. La donna nel periodo post partum era, infatti, considerata impura e non degna di avvicinarsi all’altare. Fortunatamente quest’usanza non c’è più e il battezzando è portato alla fonte direttamente dalla mamma, anche se è vero che difficilmente i genitori hanno la possibilità di far celebrare l’ingresso del loro piccolo nella comunità dei cristiani entro i primi quaranta giorni dalla nascita.

Tornando a questa festa, come spesso accade, essa ha origini precristiane. Tra le tante leggende, quella che più facilmente si può accostare alla festività della Candelora è dedicata alla dea Februa (espiazione) o Iuno Febrata (Giunone), madre di Marte dio della guerra, dea deputata a presiedere ai riti di purificazione a cui si sottoponevano le donne dopo il parto. Questa festa veniva celebrata alle Calende di febbraio, il primo giorno del mese secondo l’antico calendario romano. Era usanza portare per le vie della città i Ceri di Februa per tenere lontano le negatività. Lo stesso nome del mese deriva dal latino februus che significa “purificante”, quindi c’è uno stretto legame tra l’antico rito e il nome della Candelora attribuito dalla Chiesa alla madre di Gesù.

Un’altra tradizione associa la Candelora ai riti pagani dei Lupercali (Lupercalia), in onore del dio Fauno Lupercus (protettore del bestiame) o, secondo Dionigi di Alicarnasso, in ricordo della lupa nutrice di Romolo e Remo. Questa festa veniva, però, celebrata il 13 febbraio: la tradizione vuole che i sacerdoti, detti Luperci, andassero per le strade muniti di cinghie di cuoio, ricavate dalla pelle degli animali sacrificati, percuotendo gli uomini in segno di penitenza o toccando le donne per dar loro fertilità. Le origini di questa usanza sarebbero da ricercare nella leggenda secondo la quale la dea Giunone Lucina (o Lucezia) aveva reso feconde le Sabine, incapaci di procreare dopo il ratto, suggerendo all’aruspice di toccarle con delle strisce di pelle (februa o amiculum Iunonis), ricavate dalla pelle di un “becco” (caprone) a lei immolato.

Già ai tempi di Papa Gelasio (V secolo) il senato romano abolì la festa pagana dei Lupercali, sostituendola con la celebrazione della Madonna Candelora. In seguito, l’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, anticipò la ricorrenza al 2 febbraio.

Il 2 febbraio e la festività della Candelora sono legati anche a molti detti popolari che, pur cambiando nella forma, mantengono la stessa sostanza: dal tempo atmosferico che caratterizza questa giornata si fanno pronostici sull’arrivo più o meno tempestivo della primavera.
Da nord a sud d’Italia i proverbi sulla Candelora dicono che se la giornata è piovosa la primavera è ancora lontana, mentre se splende il sole essa è più vicina.
Questa tradizione è probabilmente legata ad altri riti che venivano compiuti all’inizio di febbraio: quelli in onore di Cerere, dea della fertilità e delle messi, madre di madre di Proserpina. La fanciulla era stata rapita da Plutone, dio dell’Oltretomba, e la madre, disperata, l’aveva cercata a lungo alla luce delle fiaccole. Nel frattempo la natura era abbandonata a se stessa e gli agricoltori pregavano affinché Demetra tornasse ad occuparsi di loro. Quando la dea scoprì il rapimento della figlia, con Plutone arrivò ad un compromesso: la giovane sarebbe rimasta con lo sposo nel regno degli Inferi per sei mesi, quelli in cui la natura riposa (autunno e inverno), mentre la madre avrebbe potuto godere della compagnia della figlia nella rimanente parte dell’anno in cui la natura era più rigogliosa.
Dalle fiaccole portate da Demetra alla ricerca della figlia deriverebbe la Candelora cristiana (festum candelorum), appunto l’usanza dell’accensione delle candele il 2 febbraio.

Tornando ai proverbi sulla Candelora e il tempo, a Roma si dice:

Quanno viè la Candelora
da l’inverno sémo fóra,
ma se piove o tira vènto,
ne l’inverno semo dentro
.

In Romagna, invece, l’interpretazione è proprio opposta:

Per la Candelora,
se piove o nevica,
dall’inverno siamo fuori;
ma se non piove,
abbiamo ancora quaranta giorni di inverno
.

Anche in Friuli si va controcorrente:

A la Madone-cjandelore,
s’al è nulât il frêt al è lât,
s’al è seren il frêt al ven
.

[Alla Madonna della Candelora se c’è nuvolo il freddo è andato, se c’è sereno il freddo viene]

A Trieste il detto è legato ai due fenomeni della bora chiara (con il sole) e di quella scura (accompagnata dalla pioggia):

Se la vien con sol e bora
de l’inverno semo fora.
Se la vien con piova e vento,
de l’inverno semo drento
.

Che dire? Pare che friulani e triestini siano in disaccordo anche su questo! Io, tuttavia, non tradisco le mie origini: qui piove a dirotto dalla scorsa notte e nel pomeriggio si è alzato il vento … per maggior sicurezza, ho interpellato mia mamma e ho saputo che a Trieste xe piova e vento (bora scura), quindi temo proprio che la primavera sia ancora lontana.

Segnalo anche questo bell’articolo di Laurin42: *2 febbraio, il giorno dell’orso.

[fonti: Wikipedia, genova.erasuperba.it, meteogiornale.it; nell’immagine: “Madonna della Candelora delle Piume”, primi anni del secolo XXI, olio su tela, cm 30 x 40, collezione privata G. B. C., Bergamo, dal sito baroccoandino.com]