Negli ultimi tempi è salito alla ribalta l’on. Roberto Cota della Lega Nord. Come spesso capita, non per pubbliche virtù ma per vizi … non del tutto privati. Oddio, vizi, in effetti, non è la parola più appropriata; diciamo timori, se proprio non vogliamo mettere il dito nella piaga. Se, invece, ci piace essere cattivi, diremo che si tratta di paura del diverso, di chi ha una cultura differente, di chi per questi motivi può essere considerato pericoloso. Tuttavia, questa è solo un’interpretazione, forse la più frequente ma, credo, la meno probabile. Perché? Semplicemente perché quando si dà un significato ad un’affermazione, si legge solo la “lettera”, non sempre si riesce a coglierne lo spirito.
In verità, la proposta concernente le classi ponte a me non dispiaceva e non credo che l’on. Cota volesse esprimere quella che è stata interpretata come una presa di posizione xenofoba. L’ho scritto in un commento ad un post di un altro blog, alla cui lettura vi rimando per non essere ripetitiva. Di recente il ministro Maria Stella Gelmini ha sottolineato che non faremo classi separate. Le classi ponte saranno corsi di italiano, magari pomeridiani, per consentire agli alunni stranieri di imparare la lingua il più rapidamente possibile. Quindi potremo stare tutti tranquilli perché non ci sarà discriminazione alcuna e non credo che questa interpretazione possa essere considerata troppo distante dall’idea dell’onorevole Cota.
Ora si parla della moratoria, chiesta sempre dallo zelante Cota, per la costruzione di nuove moschee in Italia. Prima di puntare il dito, ancora una volta, dobbiamo considerare che la proposta fa seguito ad un episodio che a tutti può sembrare allarmante: l’arresto di due marocchini per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, a Macherio nel Milanese. Qui non si tratta di essere razzisti o xenofobi, ma semplicemente di essere realisti. È plausibile essere sospettosi e avere delle riserve riguardo al corretto utilizzo delle moschee da parte degli islamici. Va bene se si riserva ad esse la funzione per cui un luogo di culto nasce: pregare, celebrare i riti, aggregarsi tra fedeli. La “chiesa”, concepita come “casa del Signore”, sia esso chiamato Dio o Allah, è un diritto che non dovrebbe essere negato a nessuna comunità. Tuttavia, se un centro di aggregazione cela un recondito fine destabilizzatore, anche se non imputabile a tutti i fedeli, allora bisogna riflettere.
Marcello Sorgi su “La Stampa” commenta l’episodio in questi termini: ”Bloccare nuove moschee e centri culturali, almeno fino a quando non sia stata sottoscritta un’intesa tra lo Stato italiano e gli islamici: avanzata ieri dopo l’arresto di due marocchini a Milano, accusati di preparare attentati, e dopo l’allarme lanciato dal ministro dell’Interno Maroni, la proposta della Lega Nord ha subito suscitato molte reazioni, dal Pd a Rifondazione comunista, che arrivano a definirla «incostituzionale».
A questo punto, diamo un’occhiata alla Costituzione (sconosciuta ai più, eppure nell’era di Internet basta un clic per avere tutte le informazioni!).
L’articolo 19 garantisce l’esercizio della libertà religiosa in privato e in pubblico, e di conseguenza la costruzione di edifici dedicati al culto.
Ma l’articolo 8 – successivo a quello che riconosce il Concordato con il Vaticano e regola i rapporti con i cattolici – stabilisce che anche per le altre religioni la libertà va esercitata all’interno di intese con lo Stato italiano.
Ed eccoci al punto cruciale. Appare legittimo, dunque, che lo Stato prenda una posizione in merito alla questione. Nel momento in cui un luogo di culto può apparire una “minaccia” se non gestito e controllato a dovere, si può intervenire con la chiusura dello stesso, ma anche con lo stop alla costruzione di nuovi centri, sempre per motivi di sicurezza. Niente di scandaloso, dunque.
Da parte sua, anche il Vaticano esprime il suo parere. Il segretario della CEI, monsignor Mariano Crociata, è del parere che noi dobbiamo garantire che i musulmani presenti nel nostro Paese possano coltivare la loro religione in maniera appropriata. Sottolineando che, non essendoci, in Italia, un unico islam e neppure un solo Stato di riferimento per tutti i musulmani, aggiunge che è necessario, pur in questa complessità, che le altre religioni siano coltivate perché diventino condizione di inserimento, di integrazione, di stabilità e anche di sviluppo religioso che preluda a un dialogo, a una possibilità di convivenza nel rispetto reciproco. Più che giusto. Ciò non toglie, però, che lo Stato eserciti il dovuto controllo e prenda i provvedimenti del caso.
Molto più accomodante appare mons. Ravasi , presidente del pontificio consiglio della Cultura della Santa Sede. Egli, come riportato dal Corriere, ritiene che un luogo di culto in quanto tale è sempre sorgente di comunione e di dialogo; il “ problema” nasce quando il luogo di culto assume tipologie che sono eterogenee alla propria identità: in questo caso la convivenza sociale e lo Stato in particolare esigono una verifica, un controllo. E anche su questo possiamo essere d’accordo.
Ma veniamo al dibattito politico. Superfluo dire che l’opposizione ha espresso il proprio orrore attraverso le voci di parlamentari appartenenti a diversi schieramenti. Tuttavia, una voce fuori dal coro c’è: è quella di Paola Binetti (Pd). La senatrice sostiene che se la moratoria va intesa come momento di riflessione per decidere il da farsi può essere una buona soluzione. Se invece deve essere considerato solo un modo per impedire a qualcuno di professare la propria fede, allora no.
Certo, è difficile a priori stabilire quale sia il vero obiettivo della moratoria, tuttavia credo che lo Stato, qualora prenda una decisione in tal senso, debba in ogni caso garantire il rispetto della Costituzione. Impedire a chicchessia la libertà religiosa è, questo sì, anticostituzionale. Ma lo Stato lo sa.
Forse noi italiani non siamo sufficientemente “aperti”, trincerati dietro a sospetti e timori. Altrove, in Europa, quell’Europa che chiamiamo “unita”, la pensano diversamente. Prendiamo l’Inghilterra, ad esempio: nonostante l’attentato del 7 luglio 2005 a Londra, mi sembra che i sudditi della regina Elisabetta siano più aperti e meno timorosi. È di ieri la notizia che si sta pensando di creare nelle scuole britanniche una stanza apposita per la preghiera degli studenti musulmani. Un atto di civiltà, se vogliamo, molto meno plateale e discutibile delle iniziative, assai diffuse in Italia, volte a togliere il crocefisso dalle aule. A parte il fatto che ormai il povero “Cristo in croce” è sempre meno presente all’interno degli edifici scolastici italiani, ma obiettivamente che male può fare? Credo che questa sia una presa di posizione degli atei celata dietro un falso rispetto della religione altrui.
Ma a Londra, l’apertura verso l’islam, in certi casi, appare forse esagerata. È stato stabilito, infatti, che, in occasione dei giochi del 2012, i servizi igienici del Parco Olimpico debbano essere costruiti in modo che i musulmani non siano rivolti di fronte alla Mecca mentre sono seduti sul wc. La religione islamica vieta infatti ai musulmani di stare di fronte alla Kiblah – in direzione della preghiera – quando ci si serve della toilette. Non solo, lo scorso anno migliaia di sterline dei contribuenti sono state utilizzate per garantire che i servizi igienici del carcere di Brixton a Londra non offendessero la legge islamica. Credo che una proposta del genere in Italia solleverebbe un bel po’ di polemiche e farebbe discutere l’opinione pubblica per settimane, facendo dimenticare anche la crisi economica.
Inoltre, mentre monsignor Crociata (nessun cognome potrebbe sembrare più appropriato in tale contesto!) ritiene improbabile che in Italia si possa introdurre la sharia, in Gran Bretagna il primo tribunale islamico fu istituito nel 1982 a Leyton, a est di Londra. Suhaib Hasan, membro del Cerf (Consiglio europeo per le ricerche e la fatwa), spiega che la comunità islamica vuole alcuni dei diritti sharaitici nell’ambito dello statuto personale islamico in tema di matrimonio, divorzio, eredità e diritti della seconda moglie, senza intenzione alcuna di amputare la mano del ladro o a lapidare l’adultera o l’adultero. Meno male! In un’Europa Unita che pone come conditio sine qua non per l’ingresso dei nuovi Paesi la rinuncia alla pratica della pena di morte, ci consola il fatto che la comunità islamica inglese non abbia intenzioni cruente.
In conclusione, non mi sembra giusto negare alcun diritto ai seguaci di Allah, purché la loro pratica religiosa si attenga ai corretti comportamenti attribuibili ai fedeli di ogni religione. Quello su cui si può discutere è che la tolleranza, giusta e sacrosanta, nei loro confronti sia contraccambiata da richieste che vadano oltre il limite accettabile. Certo, sono liberissimi di praticare anche la poligamia, sempre che la nostra legge glielo permetta. A questo proposito, anche per sdrammatizzare un po’, mi piace citare una battuta di Umberto Bossi. All’imam Yahya Pallavicini, incontrato alla Camera dei Deputati, che gli chiedeva se temesse che i mussulmani volessero introdurre in Italia la poligamia, il senatur rispose: “non ho niente contro la poligamia. Il problema sarebbero le quattro suocere…”. (www.islamicità.it )
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