Qualche giorno fa sui giornali è apparsa una notizia che deve far riflettere sulle conoscenze che gli italiani hanno della propria lingua: a Pitigliano, in provincia di Grosseto, 61 aspiranti vigili urbani sono stati bocciati al concorso per … troppi errori ortografici! Beh, pensandoci bene, a chi farebbe piacere trovarsi appiccicato al parabrezza l’odiato foglietto rosa infarcito di errori ortografici? La multa non ci farebbe, di per sé, tanto orrore, ma gli errori …
A tal proposito, sul quotidiano La Stampa, la nota scrittrice, nonché docente, Paola Mastrocola scrive:
Esiste una preoccupante nuova ignoranza a cui non possiamo assistere indifferenti. La maggior parte dei quindicenni di oggi che arrivano al liceo non sanno né leggere, né scrivere, né parlare. Hanno perduto il dono della parola: balbettano per mezzo minuto e restano in un silenzio imbarazzante, non capiscono i libri che leggono, non sanno scrivere quello che pensano, non conoscono la grafia corretta della loro lingua, hanno un lessico povero e limitato, non sanno leggere ad alta voce, prendere appunti, studiare, e ricordare quello che hanno letto.
Non sono una fan della Mastrocola ma devo darle in parte ragione. Il problema di fondo è, secondo lei e con il suo pensiero concordo pienamente, la scuola elementare, o primaria che dir si voglia. Non la scuola in sé o la didattica ma il ruolo che la scuola riveste in ambito sociale oggigiorno.
I bambini d’oggi sono molto svegli, è vero. Purtroppo, però, proprio perché hanno mille stimoli che provengono dai diversi luoghi in cui si formano, a scuola devono essere motivati in maniera diversa rispetto ai loro coetanei di trenta o quaranta anni fa. Noi eravamo desiderosi d’imparare perché la scuola rappresentava il luogo di educazione, di formazione e di apprendimento per eccellenza. Le famiglie avevano un ruolo marginale in ambito formativo e si fidavano ciecamente dell’istituzione. Veniva concessa ai maestri e alle maestre la cosiddetta “carta bianca” e nessuno si sognava minimamente di discutere ciò che l’insegnante diceva, faceva, pensava, decideva … Questo rapporto fra scuola e famiglia si fondava sulla fiducia reciproca ed è ciò che manca, oltre agli stimoli, nella scuola italiana oggi.
Ultimamente è emerso un altro problema: una recente indagine di Bankitalia ha insinuato che la scuola pubblica stia scadendo a causa del massiccio numero di immigrati presenti nelle nostre aule scolastiche. Ciò potrebbe portare ad un rilancio della scuola privata con conseguente riduzione dei finanziamenti elargiti dallo Stato per la scuola statale a vantaggio degli istituti privati. Mi permetto di dissentire. È vero che i bambini stranieri, specie quelli con limitate conoscenze linguistiche, hanno bisogno di maggiori attenzioni da parte degli insegnanti e la loro presenza potrebbe rallentare lo svolgimento dei programmi. Di conseguenza, i nostri bambini potrebbero annoiarsi e perdere la motivazione ad apprendere. Tuttavia, ammesso che ciò accada davvero, la colpa non è certamente della scuola, quanto dello Stato che non stanzia i finanziamenti adeguati per supportare gli insegnanti con mediatori culturali e linguistici che faciliterebbero l’insegnamento rivolto ai bambini stranieri. Detto ciò, non è assolutamente vero che la qualità della scuola debba scadere anche perché i docenti italiani, da sempre abituati a lavorare molto guadagnando poco, sanno affrontare anche situazioni di emergenza.
Recentemente il ministro Gelmini ha reso noto che il tetto massimo di stranieri (presumo non ancora sufficientemente padroni della lingua) sarà fissato al 30% per ogni classe. Le intenzioni sono certamente buone, ma bisogna tener conto che, in alcuni contesti regionali, causa anche la scarsa prolificità delle mamme italiane in confronto a quelle straniere, rispettare il tetto non sarà possibile.
Tornando alla Mastrocola, lei sostiene che oggi abbiamo una scuola elementare (molto lodata) in cui si fa preferibilmente teatro, pittura, canto, si dispongono i banchi in cerchio, si fanno gare di corsa nei corridoi e, anche, si leggono dei bei libri tutti insieme. Attività molto belle, divertenti, creative, di una scuola che desidera più che altro insegnare a stare insieme e aborre le nozioni, cioè le conoscenze, bollate ancora, e con insofferenza, come nozionismo.
Anche su questo sono fondamentalmente d’accordo ma non è detto che non si possa insegnare “intrattenendo” i bambini con strumenti ludici. Io credo che non si debba fare di tutta l’erba un fascio e sono convinta che la maggior parte degli insegnanti italiani siano molto validi e preparati. Purtroppo, però, manca da parte dei bambini quel senso del dovere che noi, un tempo, avevamo innato.
Ad esempio: fare i compiti per casa, che spesso costituiscono l’argomento primario di accesi dibattiti su opposti fronti, oltre ad essere un dovere ha anche un’utilità innegabile. L’esercizio domestico serve, infatti, a fissare quelle conoscenze e a consolidare quelle competenze e abilità che a scuola iniziano appena ad essere assimilate. In altre parole, non si riesce ad imparare davvero solo assistendo alle lezioni mattutine, tenendo conto anche del fatto che il periodo di massima attenzione nei discenti è di appena venti minuti per ora. Il che non significa affatto che negli altri quaranta i bambini e i ragazzi si guardano attorno, giocherellano, parlottano con i compagni e della lezione se ne infischiano; significa solo che non possono essere attentissimi per sessanta minuti di fila. Non saremmo capaci neanche noi adulti di tanta attenzione!
Ma qual è generalmente la reazione di grandi e piccoli di fronte ai compiti a casa? Uffa che barba, che noia, che barba, che noia, come diceva la simpatica Mondani in Casa Vianello. Le attività domestiche, insomma, sono un supplizio per l’intera famiglia e spesso vengono svolte in fretta perché c’è la lezione di pianoforte o d’inglese, l’allenamento di calcio o pallacanestro, si deve uscire a far la spesa … Tanto poi, pensano le mamme indaffarate, a scuola correggeranno quello che hanno sbagliato. Niente di più errato: chissà perché le correzioni a scuola non si fanno quasi mai e, diciamolo, gli insegnanti non sempre hanno tempo da investire nel ritiro e controllo dei quaderni di tutta la classe, specie se di scolari ne hanno 25 o 30.
Insomma, i torti e le ragioni non stanno mai da una parte sola. Una maggior collaborazione scuola-famiglia unita ad uno stanziamento adeguato di fondi per migliorare la qualità della scuola pubblica, specie in presenza di classi affollate e costituite da realtà complesse e diversificate, sarebbe la soluzione ideale. Forse gli scolari di oggi fra vent’anni riusciranno a superare un concorso pubblico per vigile urbano.