20 PAROLE POSSON BASTAR … PER I NOSTRI GIOVANI

Secondo una ricerca inglese, condotta da Tony McEnery, professore di Linguistica alla Lancaster University, le nuove generazioni usano un linguaggio ridotto all’osso, per quanto riguarda il lessico. Nonostante il loro dizionario si attesti intorno ai quarantamila termini noti, alla fine nelle loro conversazioni si limitano all’uso di trecento parole al massimo. Non solo, i vocaboli più ricorrenti negli scambi con i coetanei via web sarebbero solo venti.

La reazione della neo-consulente del governo britannico per le politiche sulla comunicazione giovanile, Jean Gross, è di seria preoccupazione. Il motivo? I giovani, sostiene la Gross, usano una comunicazione essenziale, fatta perlopiù di sigle, come accade per gli sms. “Ma devono capire che ottocento parole non sono sufficienti per conquistare un lavoro e avere successo nella vita”, conclude.
Sentendo come si esprimono i teenager, sembra di essere di fronte a messaggi in codice, anche perché spesso gli argomenti preferiti sono quelli che ai meno giovani sono del tutto sconosciuti. Il linguista David Crystal ha osservato, sulle pagine del Times: “Tanta gente non capisce come i giovani possano avere un vocabolario per parlare di hip-hop e non per discorrere di politica. Il fatto è che i ragazzi sviluppano un frasario articolato per parlare di ciò che piace a loro. Ed è un vocabolario che gli studiosi non sono ancora riusciti a misurare”.

Ma la situazione per quanto riguarda i giovani italiani com’è? Non molto diversa, parrebbe. Ed effettivamente quando correggo i compiti di italiano e mi trovo di fronte ad espressioni gergali o a sigle come “xke”, ne ho la conferma. Quello che più sconvolge è osservare la faccia che fanno quando si fa notare loro che un tema dev’essere graficamente curato e scritto con un linguaggio formale, non quello che si può usare, ad esempio, per parlare del più e del meno in compagnia di amici. Be’, la loro faccia è sempre stupita, qualche volta anche contrariata. Quando, poi, osservo che dimostrano delle difficoltà espressive notevoli, sia nello scritto che nel parlato, ho l’impressione che non se ne rendano conto o che comunque accettino il fatto come se rientrasse nell’ordine naturale delle cose. In altre parole, si chiedono: che ci possiamo fare? Loro, quindi, il problema non se lo creano ma io devo rimboccarmi le maniche.

La cosa tragica è comunque un’altra: se usano nel parlato e nello scritto un lessico ristretto, come fanno a capire quando ascoltano una lezione o leggono un libro di testo? Se gli si dice di aprire un dizionario, uno di quei tomi voluminosi contenenti diversi lemmi, diligentemente spiegati, in ordine alfabetico, sgranano gli occhi pensando, probabilmente, a tutta la fatica che dovrebbero fare. La stessa cosa succede quando li vedo arrivare a scuola senza il vocabolario il giorno in cui è fissato una verifica di italiano. Il vocabolario? Ma pesa troppo e occupa tutto lo zaino! Quindi si lascia a casa.

Io credo che i giovani d’oggi siano dei grandi risparmiatori: risparmiano i vocaboli e pure le forze, evitando tutto ciò che costa fatica.

N.B. Ogni riferimento ai miei attuali allievi è puramente casuale.

[fonte: La Repubblica]