IL CROCIFISSO RIMANE AL SUO POSTO, IL GIUDICE NO


Luigi Tosti
, il giudice di Camerino (Macerata) che si era rifiutato di presenziare alle udienze perché nell’aula del tribunale era affisso il crocifisso, è stato rimosso dall’incarico. La sentenza del Csm lo incolpa di “violazione dei doveri istituzionali”.

I fatti risalgono al 2005, nel periodo intercorso tra maggio e luglio, e Tosti, nel 2006, era già stato sospeso dalle sue funzioni, non percependo nemmeno più lo stipendio. La Procura Generale della Cassazione gli aveva contestato il fatto che, nonostante fosse stata messa a disposizione del giudice un’altra aula, priva del crocifisso, lui si era astenuto dall’assolvimento dei suoi compiti, assumendo un atteggiamento che, secondo i colleghi della Cassazione, era considerato lesivo della “credibilità personale e del prestigio dell’istituzione giudiziaria”. Insomma, un esempio da non eseguire e un atteggiamento meritevole di un’ammenda.

Accogliendo la sentenza del Csm, Tosti afferma: “si è scritta una pagina nera per la laicità dello Stato italiano”. Pertanto, ha già annunciato l’intenzione di ricorrere alle sezioni unite civili della Cassazione, ed eventualmente, nel caso di una nuova conferma della condanna, alla Corte europea.

A questo punto, è legittimo temere che la vicenda riguardante il giudice di Camerino possa influire negativamente sul ricorso che il governo ha annunciato contro la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che riguarda la rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici, scuole e tribunali compresi. A tranquillizzare gli animi ci pensa il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino che precisa: Il Csm non è né la Corte Costituzionale né la Corte Europea; non doveva risolvere, e in effetti non ha risolto, la questione della legittimità o meno di tenere il Crocifisso in un’aula giudiziaria. Il dottor Tosti è stato giudicato per essersi rifiutato di tenere comunque udienza fino a quando in tutti i Tribunali d’Italia non fossero stati rimossi i crocifissi.

Alla fine, il crocifisso è rimasto in aula, il giudice no.

[fonte: Il Giornale]

PROSTITUTA A TREDICI ANNI PER UNA RICARICA TELEFONICA

Triste storia quella raccontata da Il Piccolo, quotidiano di Trieste. Triste ma già sentita, purtroppo. Altrove qualcosa di simile è successo, un po’ di tempo fa. Ma leggere che una ragazzina di tredici anni si prostituiva per una ricarica telefonica o un pacchetto di sigarette, fa male al cuore. Soprattutto quello di una mamma come me.

È una vicenda che non merita parole di condanna, solo pietà. Perché se è facile puntare il dito contro le famiglie che non si curano dei figli, magari dicendo “gli sta bene”, come se una prostituta tredicenne avesse bisogno di giudizi e la sua famiglia di una punizione esemplare, certe storie di degrado devono far riflettere. Nessun male viene dal nulla; c’è quasi un sostrato maligno in storie come questa. E infatti, leggendo l’articolo di Claudio Ernè si scopre che la ragazzina aveva iniziato a subire violenze sessuali già a sette anni, da parte di persone cui era affidata dai genitori che non sapevano a chi lasciarla, dovendo assentarsi da casa l’intera giornata per lavorare. In questi casi due sono le possibili reazioni: subire in silenzio, rimanendo traumatizzati al punto da non voler o poter denunciare il sopruso, oppure crescere e credere che quella sia la normalità.

È vero, la tredicenne, autonomamente avviatasi alla vendita di sé, attraverso degli annunci su Internet in cui si fingeva adulta, era consapevole di ciò che faceva e smaliziata a tal punto da vestirsi e truccarsi in modo da sembrare più “vecchia”, mentire sulla sua vera età, chiedere compensi esosi (fino alle 100 euro a prestazione) per poi accontentarsi anche di una ricarica telefonica, una volta compreso che quella cifra non l’avrebbe mai ottenuta. Tuttavia, c’è chi il sesso con lei lo pagava anche 50 euro, come ammette uno dei tre arrestati, un operaio extracomunitario venticinquenne.

Nel carcere del Coroneo si trova rinchiuso il vero carnefice, colui che aveva iniziato ad abusare della giovanissima lolita già sei anni fa. Lui non ha scuse, non può dire che lei gli sembrava più “vecchia”, come hanno cercato di giustificarsi gli altri due. Quest’uomo, sessantacinquenne, era consapevole di violentare una bambina di sette anni e non può certo sottrarsi all’incriminazione, se non per pedofilia, per “abuso di minore”. Tuttavia, nessuna pena può davvero considerarsi equa per un orrore come questo.

L’indagine, condotta dal pm Massimo De Bortoli, ha fatto luce sul degrado di certe realtà familiari, specie quelle in cui vivono bambini abbandonati a se stessi. Il lupo cattivo, quello delle fiabe, non fa più paura. Nemmeno i nuovi “orchi” che non mangiano i bambini ma violentano le bambine. E Internet, in queste fiabe moderne, è quella “rete” in cui qualcuno cade per caso, molti, invece, si lasciano imprigionare dalle sue maglie fittissime che non lasciano scampo, senza rendersi conto che i bambini e gli adolescenti hanno ancora bisogno di credere ai lupi e agli orchi, perché qualcuno verrà comunque a salvarli in tempo.