L’ “ORIZZONTE DEL CUORE” DI UNA MAMMA ADOTTIVA


Due anni fa avevo scritto un post sull’adozione. In particolare, mi soffermavo a riflettere sul caso di una coppia siciliana che aveva espresso il desiderio di adottare un bambino ma non disponibile ad accogliere bambini di pelle scura o diversa da quella tipica europea o in condizione di ritardo evolutivo.

Il caso aveva suscitato molte polemiche, soprattutto da parte dell’Aibi (movimento dei genitori adottivi) ed era approdato alla Corte di Cassazione la quale aveva stabilito che «Il decreto di idoneità’ all’adozione pronunciato dal tribunale dei minorenni non può essere emesso sulla base di riferimenti all’etnia dei minori adottandi, né può contenere indicazioni relative a tale etnia». (potete leggere i post QUI e QUI)

Qualche giorno fa ho ricevuto un bellissimo e toccante commento al primo post. Una mamma adottiva, Luisella, mi ha scritto raccontandomi la sua esperienza. Ve la riporto testualmente:

Luisella detto,
6 maggio 2012 a 11:48 pm

Ciao!
Con due anni di ritardo, ho letto questo interessante blog…
Da mamma adottiva di una bambina congolese, leggendo certe notizie, un po’ mi arrabbio, un po’ sorrido. Col tempo devo imparare a relativizzare.
La mia è, per certi versi, una “storia al contrario”: potevo/posso avere figli biologici e non li ho voluti, il colore della pelle dell’eventuale adottato/a era per me un problema … desideravo un bimbo (anzi una bimba…anche sessista!) colorato. “Bianco” non era il mio orizzonte del cuore. Gli psicologi dell’asl si sono scervellati su queste turbe che di certo mascheravano devianze e, probabilmente, non hanno mai capito un tubo. Ma niente “turbe” o “devianze” hanno impedito a me e a mio marito di coronare il nostro sogno: una bimba di colore.

Il razzismo c’è: il compagno di scuola che si pulisce quando lei lo sfiora, quello che non vuole giocare con bambini “marroni”, quello che le dice “sei brutta”… crescendo sarà peggio. O forse no. Le daremo tutto il possibile, in termini affettivi ed economici. Lei è nostra figlia. merita il meglio. L’aiuteremo ad affrontare la vita e i deficienti, così come sono costretti ad affrontare cattiverie e stupidità i “diversi” in generale.
E poi farà tesoro del mondo.
Un giorno, durante una vacanza in Francia, ha detto, dopo aver visto molte coppie miste con bimbi scuretti-ma-non troppo: “io sposerò un francese”. … Ok, sposa chi vuoi e va’ dove vuoi. Quando sarai grande, figlia mia, tra 15-20 anni, come sarà il mondo? E dove sarai tu? Non so nulla del futuro, nè del mio nè del tuo. Ti amo infinitamente per come sei e per le tue sfumature d’ebano: ti insegnerò a difenderti e a capire che non è sempre il caso di lottare. Il mondo e il futuro possono essere a volte buoni, a volte no. Con tutti: bianchi, gialli, neri, rossi. Era meglio, forse, lasciarti nell’incertezza del tuo paese, a soffrire la fame, la mancanza d’affetto perchè qui, nel mondo dei bianchi, c’è la possibilità di incontrare molti idioti? Sì? No? Da mamma penso di no.

Capisco che le scelte siano per tutti diverse, anch’io mi arrovello, a volte, sulle difficoltà che potrà incontrare mia figlia.
Ma c’è sempre la Francia… cioè la possibilità, per lei, di avere le capacità di spiccare il volo, a suo tempo, per cercare il suo posto nel mondo, che non dovrà essere per forza nè vicino a noi, suoi genitori, nè nel Paese nel quale adesso vive.
Si può essere diversi in mille modi diversi.
Troverà la sua strada e il suo posto nel tempo.
A noi il compito di darle tutti gli strumenti e l’amore possibili per avere spalle larghe e cuore saldo.
Il resto …. è silenzio!

Buonissima serata!

SIAMO TUTTI FRATELLI … O FORSE NO

Ennesima rissa tra preti nella Basilica della Natività a Betlemme (Cisgiordania). Ennesima perché pare che accada frequententemente di assistere a scene degne di un film western, con tanto di scazzottate che poco si addicono all’abito sacro che i protagonisti indossano e al luogo che non è proprio simile ad un saloon.

Il motivo del contendere, questa volta, è una questione di “territorialità”. Ovvero, i preti greco-ortodossi e armeni, protagonisti della rissa, non si sono trovati d’accordo sulla suddivisione delle aeree della Basilica che dovevano essere pulite in vista della celebrazione del Natale (per gli ortodossi, il 7 gennaio).

La Basilica, che risale al VI secolo e, secondo la tradizione, sorge nel luogo in cui era situata la capanna dove nacque Gesù, è co-gestita dai religiosi cattolici romani, greco-ortodossi e armeni. Accade spesso che preti e monaci litighino sulle rispettive competenze.

Ma non eravamo tutti fratelli?

Be’, anche Caino e Abele lo erano

A UDINE OMOSEX È UN PRODOTTO TIPICO … DI CIVILTÀ

Ha suscitato polemiche a non finire l’affissione in città di manifesti che ritraggono degli omosessuali nell’atto di baciarsi. In occasione della giornata mondiale contro l’omofobia, che si celebrerà il 17 maggio, l’amministrazione comunale ha pensato di accompagnare i manifesti con una scritta che propaganda la civiltà, e quindi implicitamente la tolleranza nei confronti delle coppie omosex, come “prodotto tipico friulano” accanto ai prosciutti, al vino e ai formaggi per cui questa regione è nota.

Niente da obiettare sul fatto che la civiltà sia un dovere di tutti i cittadini; ma in questo ritengo che non debbano primeggiare per forza i friulani. Se poi vogliamo essere sinceri, chi vive in Friuli-Venezia Giulia non può ignorare che siano esistite, e purtroppo non ancora sopite, diatribe tra i friulani e i giuliani. Quindi, a parer mio, un chiaro sintomo di civiltà dovrebbe essere rinunciare alle antiche e ingiustificate rivalità tra i friulani e i triestini. E lo dico con cognizione di causa, essendo io una triestina che vive da quasi venticinque anni in Friuli e che ha visto spesso degli atteggiamenti di insofferenza e sospetto da parte degli “autoctoni” non appena dichiaravo la mia origine.

Per molti anni ho dovuto fare i conti con i pregiudizi; ho rinunciato per lungo tempo alla mia identità, cercando di mascherare la mia origine per non essere emarginata, per essere considerata per quello che sono e non per la mia provenienza. Non è stato facile perché, sembra incredibile, ma l’intolleranza nei confronti dei triestini è sempre viva, si trasmette per via ereditaria. Il popolo friulano, popolo di emigranti, che ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza dell’emarginazione, non è ancora riuscito a mandar giù il “boccone amaro”. Più volte ho cercato di capire la ragione di questo atteggiamento, senza risultato. Ovviamente non mi è capitato spesso di sentirmi a disagio rivelando la mia origine, ma so che alla classica e scherzosa domanda “Chi vuoi buttar giù dalla torre: un extracomunitario o un triestino?”, molti sceglierebbero la seconda opzione.

Ma a parte questa mia esperienza personale, gli stessi pregiudizi sono ancora nutriti nei confronti dei meridionali: un paio di mesi fa aveva fatto notizia il licenziamento di un docente napoletano nel pordenonese. Ne avevo scritto questo post e i commenti che avevo ricevuto da due friulani doc avevano un tono molto diverso da quella “civiltà prodotto tipico friulano” che ora si vuol propagandare per combattere contro l’intolleranza nei confronti degli omosessuali.

Insomma, a me pare che ci siano molti modi per dire no ai pregiudizi e all’intolleranza, anche agendo in modo meno plateale, rischiando di urtare la sensibilità di chi, pur rispettando le scelte degli altri, non ha piacere di vedersi di fronte i manifesti descritti. Ad esempio, il presidente della Provincia di Pordenone, altra città in cui è stata diffusa questa campagna, Alessandro Ciriani, ha osservato: «È un’ostentazione pubblica fuori luogo di orientamenti sessuali privati e non è neanche trasgressiva, perché, considerate le immagini con le quali i media ci bombardano ogni giorno, ormai sarebbe più trasgressivo mostrare una famiglia normale».
Da parte sua, il direttore dell’Ufficio di pastorale della famiglia della Diocesi di Udine, don Giuseppe Faccin, ha definito “indecente” il patrocinio dato dal Comune di Udine alla campagna in questione.

A questo punto mi aspetto che prima o poi per la propaganda della “civiltà prodotto tipico friulano” siano affissi dei manifesti in cui un udinese (o pordenonese) baci un triestino. Anche omosex va bene.

[fonte della notizia e foto da Il Gazzettino]

POTETE LEGGERE ALTRI COMMENTI SULL’INIZIATIVA A QUESTO LINK DEL MESSAGGERO VENETO DEL 17/05/2010

FRA CROCI E MINARETI: IL PARERE DI FERDINANDO CAMON

È uscito ieri, nella prima pagina del Messaggero Veneto, un interessante editoriale dello scrittore Ferdinando Camon sul referendum che in Svizzera ha decretato lo stop alla costruzione dei minareti. Solo oggi, però, è accessibile sul sito del quotidiano friulano e mi fa piacere condividere questo bell’articolo con i miei lettori.

Avrei voluto scrivere anch’io un post sul tema ma, per motivi di tempo, non l’ho fatto. Quando ieri mattina ho letto il pezzo di Camon ho pensato che avrei scritto più o meno le stesse cose, anche se lui, essendo scrittore di professione, ha uno stile più elevato rispetto al mio. Ma i concetti espressi sono da me condivisi al 100%. Lo stesso titolo scelto per quest’articolo esprime in modo sintetico ed efficace il suo ed al contempo il mio pensiero: “La paura di chi non sa”. Già, è vero che l’ignoranza e, soprattutto, i pregiudizi portano fuori strada. Alla fine, al di là di qualsiasi logica, generano paura. Ma quando un fenomeno viene analizzato in profondità, come ha fatto Camon, allora tutto è più chiaro e lo spettro del timore si allontana. Purtroppo, però, c’è chi resta della propria idea, senza lasciarsi influenzare, e non ammette l’errore.

Riporto l’articolo così com’è stato pubblicato, limitandomi ad evidenziare le parti in cui concordo maggiormente con le idee espresse dallo scrittore.

LA PAURA DI CHI NON SA

Messaggero Veneto — 01 dicembre 2009

E’ vero che i minareti sono il simbolo più vistoso (e perfino minaccioso) della presenza musulmana, ma non puoi concedere libertà religiosa senza concedere le sedi per il culto e le sedi islamiche in Svizzera, finora, sono soltanto quattro. Quindi il referendum nel quale ha trionfato il no ai nuovi minareti non è un atto di difesa della comunità cristiana, ma un atto di repressione della comunità islamica. Il minareto ha la funzione di ricordare agli islamici le ore della preghiera. Il muezzin chiama col suo canto dal balcone più alto. Il numero di balconi è proporzionale all’autorità di chi ha costruito la moschea. Nessun minareto può avere un numero di balconi superiore a quello (sette) della moschea della Ka’ba, alla Mecca. Il sistema di chiamare i fedeli col canto vien considerato più efficace di quello cristiano, che usa le campane. Il canto del muezzin è un messaggio aperto. Dice: «Allah è il più grande – non vi è alcun dio all’infuori di Allah – e Maometto è il suo profeta – io ne sono testimonio, – affrettatevi alla preghiera». È il collante della umma, la comunità dei fedeli islamici sparsi per il mondo. Se accetti che nel tuo paese ci sia una comunità straniera che lavora, ma non accetti che pratichi la sua religione la privi della sua forza spirituale, la degradi a pura forza-lavoro, forza animale. E questo non è né costituzionale (in senso europeo) né cristiano. Già ora in Svizzera non è ammesso il canto del muezzin. Diverso è il discorso se il minareto e il canto vengono usati per marcare una prevaricazione sui simboli cristiani: un minareto accanto alla Chiesa della Natività a Betlemme sarebbe urtante per ogni cristiano. Lì è nato Gesù, sentire il muezzin che canta: «Non c’è altro dio che Allah» è uno schiaffo in faccia ai cristiani. Usare una religione per schiacciarne un’altra è un oltraggio alla civiltà. Il presidente turco Erdogan ha scritto poesie nelle quali esalta la funzione dei minareti come «baionette» (parola sua). Baionette islamiche non devono esistere né in Svizzera né altrove in Occidente, anzi nel mondo. Compresa la Turchia. Erdogan non può cantare i minareti-baionette e poi lamentarsi che l’Europa tardi ad accogliere la Turchia. La proposta della Lega di inserire la croce nella bandiera italiana è semplicemente blasfema, perché trasforma la croce in una clava da usare come arma per affrontare le baionette. Un segnale velenoso per aprire una guerra di religione nell’Europa del dopo-Duemila. Un gesto anti-cattolico (la Chiesa cattolica esprime la propria sofferenza, che ai fratelli di un’altra religione venga negato un diritto spirituale), anti-cristiano e anti-storico, in un tempo in cui la storia va verso un dialogo tra le civiltà, le culture e le religioni. La croce che la Lega vuol inserire nel tricolore è una croce senza Cristo e senza cristianesimo, un simbolo spietato e aggressivo, che nella Lega starebbe accanto ai concetti di patria come sangue e suolo, di riti pagani come il culto del dio Po, di popolo come razza, di mio come nemico del tuo e quindi di tuo che deve diventare mio. L’esito del referendum svizzero nasce da un deficit d’informazione e di cultura. Si corregge con più informazione e più cultura. I Verdi pensano di correggerlo con una sentenza da chiedere alla Corte di Strasburgo: ma è la stessa Corte che vuol togliere i crocifissi; per lei starà bene che spariscano anche i minareti. E così siamo alle solite: un sopruso non si nota quando tocca i cristiani, balza agli occhi quando tocca gli islamici.

Ferdinando Camon

RAZZISTA CHI LEGGE?

cartellone negro lesbica

Stamattina, mentre fumavo una sigaretta in un angolino del cortile “di servizio” della mia scuola, luogo solitario in cui mi sono autoesiliata -non si fa che parlare di dare il buon esempio! Poi i ragazzi fumano più di me ma questo non ha importanza-, la mia attenzione è stata attirata da un cartellone pubblicitario. Prima di tutto ho riconosciuto la donna ripresa nell’immagine fotografica: ho scoperto dopo, grazie a internet che toglie ogni curiosità, o quasi, che si tratta di una deputata del Pd, Anna Paola Concia, la cui faccia mi era nota poiché l’altra sera era ospite a Matrix su Canale 5 e ha stressato parecchio sottolineando, ad ogni pie’ sospinto, che l’articolo corretto da anteporre a “transessuale” è “la” e non “il”. La puntata, manco a dirlo, era dedicata alla triste vicenda di Piero Marrazzo, quindi non potevano mancare i riferimenti ai transessuali (alle transessuali, per far contenta la Concia). Che fosse un tipo strano, l’onorevole Concia, l’avevo capito; che fosse omosessuale avrei potuto anche intuirlo ma, vista l’ora tarda, la mia perspicacia, che anche in condizioni normali scarseggia, era del tutto annullata dal sonno che incombeva inesorabile su di me, ormai sfinita dalle consuete diciannove ore di attività.

Tornando al cartellone, accanto alla gentile signora era ben visibile un uomo di colore che ho poi scoperto essere, sempre grazie all’insostituibile Google, anche lui un deputato, tale Jean Leonard Touadì. Il testo del messaggio recita: CI CHIAMI SPORCO NEGRO E LESBICA SCHIFOSA, MA TI OFFENDI SE TI CHIAMANO ITALIANO MAFIOSO.
La campagna pubblicitaria è curata dall’ARCI che mette in guardia il lettore con parole minacciose: “IL RAZZISMO È UN BOOMERANG. PRIMA O POI TI RITORNA”.

Ora non vorrei fare la moralista dicendo che un tale cartellone non dovrebbe trovarsi ben in vista in prossimità di una scuola (e pazienza la mia che è un liceo, ma ce n’è uno un po’ più in là proprio di fronte ad una scuola elementare); quello che mi sconvolge, essendo stata costretta a leggere il testo, che mi si rimproveri di essere razzista e omofoba. Non solo, che si creda che io possa offendermi se qualcuno mi chiama “italiana mafiosa”. Prima di tutto, sono dell’idea che ogni uomo/donna abbia pari dignità, a prescindere dal colore della pelle, dalla cultura, religione, lingua, provenienza geografica o tendenze sessuali. Poi, anche se le mie origini sono meridionali, non ho nessun legame di parentela con famiglie mafiose o camorriste che dir si voglia. Io non offendo nessuno, purché nessuno offenda me. Se poi il razzismo è un boomerang, allora il suo effetto non mi sfiora nemmeno, perché razzista non sono.

A questo punto qualcuno potrà obiettare che i cartelli pubblicitari sono nelle strade bene in vista, alla portata di tutti –anzi, sarebbe meglio dire all’occhiata …- e che il messaggio non è rivolto al singolo. Certamente. Ma se un cartello mi invita a mangiare una deliziosa crema spalmabile di cui non sono consumatrice perché il mio colesterolo, già alto, andrebbe alle stelle, sarò libera di scegliere se acquistare quel prodotto o no, ma nessuno mi minaccerà mai, attraverso il messaggio stesso, che se non cederò alle lusinghe di quel bel barattolone mi accadrà qualcosa di male.
Ragion per cui, credo che quella di cui sto parlando non sia una pubblicità, sia un monito. E dà per scontato che chiunque legga sia razzista, così come chiunque veda la crema spalmata su una deliziosa fetta di pane fragrante, sia un consumatore. Ma mentre il consumatore del prodotto è considerato solo potenziale, e infatti si invita qualcuno ad acquistarlo, i due onorevoli, tra l’altro nudi, non mi invitano a non essere razzista, bensì danno per scontato che io lo sia e che sia enormemente infastidita dal fatto che qualcuno mi chiami mafiosa, cosa che nella mia vita non è mai accaduto proprio perché non lo sono, né nei fatti né potenzialmente.

Sarò un po’ rompina, ma questo tipo di pubblicità mi sembra alquanto sconveniente, basandosi solo su delle illazioni. Ma sul sito dell’onorevole Concia, le motivazioni che hanno indotto a questa campagna sono tutt’altre:

pensando a quanto ci assomigliamo noi due, lui nero e io lesbica, e quanto si assomiglia lo sguardo degli altri su di noi, ho concluso che il razzismo non ha solo a che fare con la razza. E’ l’atteggiamento di chi ragiona solo per classifiche. Di chi si sente sempre in serie A, e decide che quelli che non gli somigliano dovrebbero giocare in serie B, a prescindere da quanto valgono.
E’ un atteggiamento di immensa presunzione: ma purtroppo, il razzismo non guarda in faccia nessuno, neanche i presuntuosi. Il razzismo, i miei amici pubblicitari l’hanno pensato proprio come un boomerang, perché se lo fai partire, prima o poi torna al mittente.
[…] Quando un italiano, convinto di giocare a pieno diritto in serie A (in quanto maschio, bianco, eterosessuale, benestante, occidentale, cristiano) si sente dare del mafioso all’estero, ecco che si sente vittima. E soffre. E si agita. Ritiene di essere oggetto di razzismo. Non si accorge che è vittima dello stesso criterio che ha finora applicato, sul lavoro, in metropolitana, pensando di avere più diritto a sedersi degli altri esotici passeggeri. Il boomerang che ha lanciato è cioè tornato al mittente.

Certo, il ragionamento non fa una piega ma, come si suol dire, non è bene fare di tutta l’erba un fascio. Perché adottare uno strumento così provocatorio per sottolineare un concetto tanto semplice e facilmente comprensibile? Ogni uomo e donna hanno pari dignità. L’intolleranza è una cosa abietta e chi la esercita su persone che ritiene inferiori, non ha la capacità di pensare. Ma che all’estero noi tutti passiamo per mafiosi solo perché abitiamo in Italia, è solo un luogo comune che non ha troppe conferme, per fortuna. Almeno, non è mai capitato che qualcuno usasse questo appellativo riferendosi a me. Forse perché ho incontrato persone straniere ma intelligenti. Quelli che non capiscono, invece, che il razzismo e l’omofobia sono un’assurdità, nel momento in cui si trovano davanti a un cartellone cui campeggiano i corpi nudi dei due onorevoli, si fanno una risata e passano avanti con la stessa indifferenza di prima, sempre che non deturpino i cartelli o ci sputino sopra. D’altra parte, chi mai andrebbe a deturpare la pubblicità della crema spalmabile?

Leggo su internet che la campagna pubblicitaria risale al giugno scorso, io però ho visto i cartelloni solo oggi. Ora, io so che qui arriva tutto in ritardo –soprattutto la moda- ma forse c’è un’altra spiegazione a questa “rispolverata” pubblicitaria: non è che l’ARCI abbia diffuso nuovamente tale pubblicità proprio ora che è uscito lo scandalo di Marrazzo e dei suoi incontri intimi con un (una, per accontentare la Concia) transessuale? Il sospetto è legittimo, mi pare. Ma se così fosse, sarebbe un tentativo un po’ patetico di legittimare un comportamento moralmente non condivisibile, facendo leva sulla coscienza di ognuno di noi: se condanni il povero Marrazzo, sei intollerante. Non vorrai mica comportanti in modo così spregevole?

QUANDO IL SENO AL VENTO È QUELLO DI UNA MAMMA

allattamento al senoDi questi tempi, anche se non gradiamo, siamo costretti a vedere corpi di donna nudi ovunque: sui giornali, sia cartacei sia online, nella pubblicità, anche quando si tratta di uno jogurt che poche attinenze ha con il nudo femminile, non solo nella pubblicità televisiva, anche sui cartelloni pubblicitari ben in vista nelle vie cittadine. Questi ultimi,talvolta, causano incidenti perché gli uomini, si sa, si distraggono facilmente quando vedono delle belle donne, in carne ed ossa o su dei maxi schermi poco importa.

Quando, poi, i nudi sono di personaggi famosi, allora il gossip si scatena. Centinaia di foto, per lo più rubate ma il dubbio che il personaggio in questione sia d’accordo con il paparazzo c’è sempre, facilmente accessibili su internet nelle varie photogallery. Incuriositi, uomini e donne, smanettano con il mouse e cliccano all’impazzata, i primi alla ricerca di qualche seno al vento o un bel lato B, come si usa dire oggi, le seconde per invidiare le belle “veline” o per consolarsi quando le foto mettono a nudo, è il caso di dirlo, i difetti di cui anche le donne famose –e formose- sono affette, tipo cellulite e cuscinetti adiposi.

Ma quando il seno viene scoperto non per esibizionismo e ricerca di visibilità, bensì per il gesto più naturale del mondo, l’allattamento di un neonato, allora quel “nudo” può anche dare fastidio. Pare incredibile ma è così. Una mammina in vacanza a Madonna di Campiglio, ospite in un Family Hotel, per giunta, trovandosi costretta ad attaccare al seno la bimba di cinque mesi sbraitante in sala da pranzo, è stata invitata a spostarsi in un altro ambiente perché lo “spettacolo” era poco gradito a qualche cliente.
La donna in questione, una cardiologa trentaseienne di Bergamo, ha scritto una lettera al Corriere che poi l’ha contattata per farsi spiegare meglio l’accaduto. La signora, intervistata al telefono, dice di essere convinta che la protesta non sia arrivata da qualche cliente ma dallo stesso direttore dell’albergo. “La seconda sera che ho allattato Bianca, accanto al nostro tavolo c’era soltanto lui, il direttore”, spiega la mammina e aggiunge: “Oggi gli hotel aprono sempre di più le porte a cani e gatti. Segno, sia chiaro, di grande civiltà. Ma non si capisce perché l’atto di allattare al seno di una madre venga considerato disdicevole”. Ecco, appunto, nulla di disdicevole nel vedere una madre con il suo bimbo attaccato al seno, soprattutto di questi tempi. Ricordo che io, vent’anni fa, al mare mi nascondevo dietro alla cabina, lontano da occhi indiscreti. Ma non perché temessi di essere presa di mira dalle occhiate degli uomini presenti, quanto per non creare imbarazzo nelle persone che potevano vedermi. Questo è il punto della questione: vent’anni fa poteva fare un certo effetto vedere un “seno al vento”, ma ora? Se una mamma che allatta non prova lei imbarazzo nel farsi vedere, che problema c’è per gli altri? Nel caso descritto, lo “spettacolo” avrebbe potuto provocare qualche disturbo digestivo? Non credo. E allora è soltanto una questione di intolleranza … del direttore, s’intende, e non alimentare.