TEMPO DI PAGELLE

pagelle ai profGli scrutini si sono ormai conclusi da tempo, i tabelloni con i voti sono stati esposti e gli studenti italiani possono godersi o meno le meritate vacanze. Ci sarà chi esulterà per una promozione inaspettata, chi già si sta pregustando il regalo per una promozione meritata, altri piangeranno sul latte versato (cioè sull’opportunità sprecata di essere promossi), i più grandi stanno meditando su come organizzare lo studio estivo per “saldare” i debiti.

Ora lo so che qualcuno starà pensando che ho sbagliato blog, che quello più adatto a un post del genere è laprofonline. Vero, ma in realtà la pagella di cui sto per parlare non è quella dei ragazzi bensì la mia.

Sono stata valutata. Nel mio liceo gli studenti hanno deciso di mettere i voti ai prof. Nella massima discrezione, beninteso. Ognuno di noi, se interessato, con una e-mail può richiedere la sua valutazione. Nessun tabellone, nessuna pagella ufficiale per noi. Così hanno stabilito, anche contro il parere del Consiglio di Istituto.

Nelle settimane scorse nei corridoi ho sentito dei commenti. C’è qualcuno che s’è preso una bella sfilza di insufficienze in “spiegazione” e “correttezza”. Qualcuno ci ride su, altri si rammaricano. Ma c’è davvero qualcuno che crede nell’onestà e obiettività del giudizio degli studenti? Più volte ho espresso le mie perplessità e la riflessione più recente la trovate in questo post pubblicato sul Corriere.it.

Per quanto mi riguarda, ho ricevuto la sufficienza in “correttezza” (che poi non so nemmeno cosa s’intenda, credo nella valutazione ma non ne sono sicura) e “spiegazione”. So che la valutazione è il risultato della media dei voti totali e questo mi piace meno. Sono consapevole, infatti, che il gradimento di un docente dipende molto dal clima che si è instaurato in classe e nelle mie tre è stato molto diverso.

In seconda, forse per l’esiguo numero di ore (solo 4 di Italiano) e per la giovane età dei ragazzi, il clima è stato piuttosto formale, a volte un po’ freddino. Bravissimi, devo ammetterlo, tutti promossi a giugno con dei voti più che dignitosi. I miei, però, sono stati decisamente più bassi rispetto a quelli dell’area matematico-scientifica. Non per causa mia, sia chiaro, ma per colpa della preparazione scarsissima in Italiano con cui gli allievi arrivano in prima liceo e io in due anni miracoli non ne ho potuti fare.

In quarta il clima è sempre stato buono. Mi sono arrabbiata più volte per il comportamento troppo esuberante di alcuni, ma a parte questo c’è sempre stata la massima collaborazione da parte mia e loro.

In quinta, nonostante i cinque anni passati assieme, purtroppo già a partire dallo scorso anno qualcosa si è incrinato, il nostro rapporto è stato più volte vicino alla rottura completa e non ho mai capito perché. Facendo il confronto con le classi terminali del passato devo ammettere, a malincuore, che il clima in questa classe non è stato dei migliori e ciò di certo non ha agevolato il lavoro, da entrambe le parti. Se state aspettando il solito post di saluto, che non ho negato nemmeno alla quinta del 2011 nonostante il poco tempo passato assieme (solo un anno), dico subito che non ci sarà.

Detto questo, appare evidente che pur essendo io sempre la stessa, il rapporto che si instaura fra docente e discenti può fare la differenza. Certamente la fa in termini di giudizio … mi sa questi ultimi mi hanno abbassato la media. 😦

Al di là di tutto, credo che la valutazione da parte degli studenti, che deve comunque essere presa con le pinze, possa costituire uno stimolo per migliorare. I voti sulla “disponibilità” e il “rapporto con gli studenti” sono decisamente migliori (8 e 7) e questo mi rincuora. Per il resto, vedrò di impegnarmi maggiormente per migliorare la “correttezza” e la “spiegazione”, anche se mi spiace che in classe nessuno mi abbia mai detto che le mie spiegazioni non sono brillanti e che la correttezza non è una delle doti migliori che possiedo.

[immagine da questo sito]

HO MANGIATO CINESE E CI METTERO’ DUE GIORNI PER DIGERIRE

ristorante cinese
I cinesi devono avere uno stomaco di ferro. Il mio è giustamente uno stomaco italiano, abituato a digerire cibo sano e gustoso – anche senza grassi animali – e giustamente si sta ribellando.

La cucina italiana è famosa in tutto il mondo e se non è considerata la migliore in assoluto, senz’altro è una delle più apprezzate. Non capisco perché le nostre città siano piene di ristoranti esotici che propinano cibo discutibilmente sano e che, dietro al gusto ingannevole, nasconde insidie per lo stomaco poco abituato a simili prelibatezze.

Non ho nulla contro l’esterofilia, ci mancherebbe. Ma posso permettermi di dire che:

– il riso alla cantonese mi ha fatto rimpiangere la mia insalata di riso che con questo caldo rinfresca pure
i ravioli al vapore sembravano fatti di gomma (anche se il ripieno era gustoso)
gli involtini primavera erano talmente croccanti che li ho usati a mo’ di grissini per raccogliere gli immancabili cinque chicchi di riso che proprio non ne vogliono sapere di essere catturati
il pollo speziato (credo al curry) mi ha fatto apprezzare persino i bocconcini di pollo al limone, specialità culinaria (unica, tra l’altro) di mio marito
– le verdure pastellate erano quasi peggio di quelle surgelate che compro al supermercato per le emergenze
– le palline al cocco come dessert non erano all’altezza di quelle che preparo io con la ricotta e il cacao

Se dico questo, secondo voi, faccio “terrorismo culturale”?
(lo so che non potete capire, ma lo chiedo ugualmente).

[immagine da questo sito]

Perché sono felice che l’Italia abbia perso

Un post che avrei voluto scrivere io … a parte l’uso dell’aggettivo “italiota” che sinceramente detesto.

D I S . A M B . I G U A N D O

Sconfitta dell'Italia 2014

Ebbene sì, quando ieri la squadra italiana ha incassato il goal della sconfitta, ho tirato un respirone di sollievo. Fiuuu. E perché mai? Perché sono una snob? Perché sono donna? Ma va là.

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UN PO’ DI …


… NE HO BISOGNO!

Lasciate pure i vostri commenti a tutti i post che volete ma sappiate che per qualche giorno non mi connetterò … anche perché in questo periodo non connetto proprio. 😦

I commenti andranno in coda di moderazione e non li vedrete pubblicati se non al mio ritorno … in connessione. Abbiate pazienza e replicherò appena possibile.

Approfitto per scusarmi con chi ha commentato i recenti post se è mancata la mia replica che di solito arriva, se non proprio tempestiva.

GRAZIE PER LA COMPRENSIONE. A PRESTO.

[FONTI IMMAGINI: Pausa e Diddlina]

L’UOMO IN CUCINA: SI SALVI CHI PUÒ


Cari amici (e lettori occasionali), in questo periodo sto trascurando il blog (dovrei dire i blog, compreso quello di cui pochi sanno che è in attesa dell’estate 😉 ). Non sono a corto di idee, anzi. Nella mia testa ne frullano molte. Il tempo è poco, considerato che alla fine delle lezioni ci sono un sacco di cose burocratiche da sbrigare e le 24 ore della giornata mi stanno decisamente strette.

Pensa che ti ripensa, ho ricordato l’invito rivoltomi tempo fa dall’amica Diemme: quello di ripubblicare a puntate un vecchio post sugli uomini in casa. Probabilmente la maggior parte di voi lettori abituali lo conosce già, ma ci sono sempre i recenti “acquisti” che ne ignorano l’esistenza.

Ecco quindi la prima puntata: L’UOMO IN CUCINA.

Premetto che si tratta di un post ironico, basato esclusivamente sulla mia esperienza, che non ha alcuna presunzione di essere un trattato scientifico né di dire cose universalmente valide. Lo sottolineo perché allora qualcuno si è offeso …

L’intento è, dunque, quello di farsi due risate (sempre che ci riesca a suscitarle ma i riscontri allora sono stati più che buoni) in questa tarda primavera che sembra più estate avanzata, con i 33 gradi che il termometro esterno segna, e i 29 e mezzo interni … non vi dico che allegria lavorare davanti al pc!

Non mi resta che augurarvi una buona lettura … o rilettura, naturalmente.
Per chi proprio non ce la fa ad attendere le altre puntate – ovviamente chi non ha letto il post intero pubblicato qualche anno fa), può continuare a leggere QUI.

statuine-sposi
PREMESSA

Gli uomini in casa? Che palle! Certi uomini, non tutti, a vederli girar per casa, ti fanno venire due palle così anche se non le hai, altri, invece, sanno essere disponibili a darti una mano cosicché li perdoni quando, per caso, le palle te le fanno girare lo stesso.

Detto questo, si sarà capito che ho esperienza di entrambi i generi. Esperienza diretta, intendo. E posso fare dei confronti molto esemplificativi prendendo in esame il comportamento degli uomini che fanno parte della mia famiglia, parenti diretti e acquisiti, giovani e vecchi.
Prima di tutto bisogna dire che c’è sempre un uomo che si propone come esempio, giusto o sbagliato che sia, e qualche altro che lo emula, nel bene e nel male. Poi ci sono le donne: quelle sanno esattamente come raddrizzare gli uomini nel caso in cui non si comportino a dovere. Ma è anche vero che c’è qualche uomo che se ne frega del buon intento della donna in questione, anche se i modi magari possono apparire un po’ bruschi ma lo scopo è quasi umanitario. Quello è il genere uomo-che-non-si-piega-fossi-matto-manco-per-sogno-che-hai-ragione-tu. E questa è la specie peggiore perché difficilmente addomesticabile. Che si fa allora? Quello che non si dovrebbe fare con gli amici animali d’estate: li si abbandona. Sempre che, presa da un rimorso improvviso o dominata, a sua volta, da un opportunismo incontrollabile del tipo me-lo-tengo-così-com’è-tanto-c’è-di-peggio, la donna in questione non rinunci ad addomesticare il suo uomo. Probabilmente se ne pentirà per tutto il resto della vita.

Prima di elencare i pregi e difetti degli uomini in casa, mi faccio una domanda: perché una donna in casa trova sempre qualcosa da fare e l’uomo no? Perché una donna gira come una trottola cercando di sbrigare le faccende domestiche o anche di portarsi un po’ avanti con il lavoro, mentre l’uomo vive in simbiosi con il telecomando della TV, stravaccato sul divano, oppure si fionda davanti al pc a cazzeggiare? La risposta è: non l’ho mai capito. Però bisogna dire che certi uomini, anche se hanno la tendenza a non fare nulla, se correttamente sollecitati, rinunciano a cazzeggiare e danno una mano. In questo caso, la differenza fra un uomo e una donna è che il primo ha bisogno di istruzioni, la seconda no. E non si tratta per nulla di un particolare insignificante.

L’UOMO IN CUCINA.
Se per caso qualcuna ha la fortuna di avere un marito disponibile a preparare qualche manicaretto, o semplicemente a cucinare il rancio quotidiano, allora sa perfettamente che l’uomo-cuoco non sa fare nulla autonomamente: lui ha sempre bisogno di un aiuto cuoco e di una sguattera che gli corre dietro con lo straccio per evitare che la cucina diventi una sorta di palude o un campo di battaglia con tanto di cadaveri abbandonati sul terreno. La donna-cuoca, invece, fa tutto da sola: prepara gli ingredienti che le servono, tagliando, sminuzzando, sbucciando, battendo, aprendo e più verbi si elencano più si rende l’idea, cucina, senza aver bisogno che nessuno le passi la padella o il sale o le spezie o l’olio e via dicendo. Poi, dopo aver cucinato e servito a tavola –quindi fa anche la cameriera-, pulisce la cucina e carica la lavastoviglie, se ce l’ha, altrimenti lava i piatti a mano.
L’uomo, invece, che fa? Se cucina ha bisogno sempre di una mano, non serve a tavola, tantomeno pulisce. Ricordo che tanti anni fa, quando ero in attesa del secondogenito e dovevo stare a riposo, mio marito lavava i piatti ma mai il fornello. Avendoglielo fatto notare, mi fu riposto: “se domani si deve cucinare di nuovo a che serve pulire oggi?” Poi non stupiamoci che qualche fornello che viene esibito negli spot che pubblicizzano gli spray supersgrassanti sia in condizioni pietose: vi avrà di certo cucinato un uomo per settimane senza mai pulire.

Mio marito cucina solo quando non ci sono oppure ho 38 di febbre … se ho 37 e mezzo e mi vede girar per casa pensa che io stia bene (in realtà sto già malissimo visto che la mia temperatura normale si aggira sui 35 e 8). Quando cucina, sporca dappertutto e se a casa ci sono i figli, li arruola subito. Loro sbuffano ma gli danno una mano, ovvero lo aiuta perlopiù il secondogenito perché il primo figlio deve aver preso tutto da suo nonno paterno.

Mio suocero era un buon uomo, molto generoso, mi voleva bene come ad una figlia, spesso mi invitava al ristorante ma in casa non sapeva fare assolutamente nulla. Lui si vantava di non saper mettere sul fuoco nemmeno la caffettiera –preventivamente preparata da qualcun altro-, non sapeva nemmeno dove si trovassero i piatti e i bicchieri. Lui in casa non ha mai fatto nulla e quando gli facevamo notare che avrebbe potuto imparare a far qualcosa, per non dipendere dalle sue “donne” (leggi badanti), rispondeva che i soldi per andare al bar a bere il caffè e al ristorante per cenare non gli mancavano.
La colpa non era tutta sua, naturalmente.
Mia suocera era una santa donna, ma ha sbagliato a viziare a questo modo suo marito. Era, però, una donna d’altri tempi: lasciò il lavoro non appena messa al mondo la prima figlia e dedicarsi alla famiglia fu l’unica occupazione che svolse finché ne ebbe le forze.
Ma le donne ora lavorano quasi tutte –al sud un po’ meno perché gli uomini evidentemente sono come mio suocero- e hanno bisogno di aiuto, così gli uomini s’ingegnano anche se, come dicevo, devono essere debitamente istruiti. Io mio marito l’ho istruito benino, ma mai come mia mamma ha fatto con mio papà.

Mio papà, per iniziare, è un bravo cuoco. Rimasto orfano di padre da bambino, stava sempre attaccato alla gonna di mia nonna e guardandola ha imparato a cucinare. Lui, nonostante mia mamma brontoli lo stesso, non ha bisogno di aiuto cuochi né di sguattere: la cucina è il suo regno, quindi sa esattamente dove trovare le stoviglie che gli servono, e, una volta cucinato, mette tutto a posto e pulisce. Sa caricare la lavastoviglie, anche se non c’è nessuno che lo fa meglio di mia madre, e, se necessario, lava tutte le pentole a mano.

Mio figlio minore ha ereditato da mio padre la passione per la cucina: s’inventa pietanze strane, guarda, quando può, “La prova del cuoco” e prende degli spunti, ha estro e non si perde mai d’animo, nemmeno quando il frigorifero è semivuoto. Lui in cucina mi sostituisce a meraviglia e, se me ne devo andar via per qualche giorno, posso stare tranquilla. Dipendesse da suo fratello, si mangerebbero solo kebab e BigMc. Il mio “piccolo”, però, una cosa da suo padre l’ha presa: non lava il fornello. Anche lui è convinto che sia fatica sprecata.

[to be continued; immagine sposi da questo sito]

LA BUONA NOTIZIA DEL VENERDÌ: UN VITALIZIO PER IL POETA PIERLUIGI CAPPELLO

pierluigicappello
Anche questa settimana rimango nella mia zona. Voglio raccontare una storia, sconosciuta ai più. Una storia che ha come protagonista il poeta friulano Pierluigi Cappello, uno dei più importanti poeti contemporanei che, però, da anni vive ai limiti dell’indigenza.

La vita di Pierluigi Cappello è costellata da successi letterari (non solo raccolte poetiche ma anche romanzi), premi, laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Udine, cittadinanze onorarie. Non solo gioie, anche dolori: 31 anni fa, quand’era solo sedicenne, un brutto incidente lo costrinse sulla sedia a rotelle.

La sua casa, un prefabbricato che risale agli anni del terremoto (quello del 1976 che ha semidistrutto il Friuli), è tutt’altro che confortevole e si sa quanto la gente friulana sia attaccata alla casa, la costruisce mattone dopo mattone con il sudore della fronte. Ma Pierluigi questo non lo può fare e a nulla serve la mobilitazione di tanta gente di buona volontà per fargli avere una casa decente.

Così il giornalista Paolo Medeossi la descrive in un articolo pubblicato sul Messaggero Veneto del 28 settembre 2013:

Le case dei poeti (quelli veri) sono luoghi misteriosi e irraggiungibili se si guarda alle cose con gli occhi consueti e incapaci di un sobbalzo, di un sussulto. Non ci si arriva nemmeno con il tomtom più efficace. Eppure la casa di Pierluigi Cappello, in via San Francesco a Tricesimo, a poche centinaia di metri dal Boschetti [uno dei più rinomati ristoranti friulani, NdA], è un luogo celebre, non solo in Friuli, una meta per tantissimi.

Ci sono spiriti inquieti che partono da lontano, da tutta Italia e anche dall’estero, e arrivano qui bussando timidamente alla porta che scricchiola sempre un po’. Una porta davanti alla quale vige la più assoluta democrazia perché non contano posizione economica, titoli accademici, consenso sociale o che altro, insomma una di quelle banalità che valgono in tempi distratti, fatui e incorporei.

Qui, mentre si bussa e il poeta dice “avanti”, non servono paraventi o cortine fumogene. La poesia (quella vera) ha questo potere: sembra fatta di niente, un intreccio di parole e metrica, eppure è molto concreta nell’indurre, chi vuole, a fare i conti con ciò che si è o si è convinti di essere. E chi trucca le carte è subito smascherato.

Proprio in quel prefabbricato di via San Francesco a Tricesimo una buona notizia ha raggiunto oggi il poeta: il governo Renzi gli ha concesso il vitalizio della legge Bacchelli, “in considerazione dei meriti conseguiti nella carriera artistica”.

Così commenta lo scrittore Tullio Avoledo: «Un anno di Bacchelli a Cappello costa meno di tre mesi di stipendio del portaborse di un parlamentare. Ma nessun portaborse scriverà poesie come quelle di Pierluigi. Che invece ce la fa benissimo a portare una borsa». Nonostante la carrozzina, aggiungo io.

In un periodo in cui solo a sentir parlare di vitalizi arricciamo il naso o spalanchiamo gli occhi per lo stupore davanti a cifre assurde di cui beneficiano ex politici senza troppi meriti, di fronte a questa notizia mi sembra possibile fare solo una cosa: sorridere.

Per chi non conosce questo poeta, riporto una poesia che a me personalmente piace molto:

finestra
Da lontano
Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio,
e non c’è più posto per le parole
e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno
come una perla intorno al singolo grano di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo un nome amato
per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato
.

[immagine di Cappello da questo sito; immagine finestra da questo sito]

ALTRE BUONE NOTIZIE

Pepe Mujica accoglierà 100 bimbi orfani siriani a casa sua di laurin42

LE MIE ALTRE BUONE NOTIZIE

NON ABBIAMO MAI TEMPO PER LEGGERE? TUTTE SCUSE

1856 - Alfred Stevens (jeune femme lisant)

La lettura, in quanto occupazione inesorabilmente solitaria, implica una sensazione di egoismo che è difficile da sostenere con serenità. Una madre che esasperata dal caos domestico si chiude in cucina a stirare prenderà questo piccola azione di barricamento come legittima e giustificata; la stessa madre che si chiude marito e figli fuori dalla camera da letto per leggere mezzora in santa pace lo percepirà come un lusso che è ingiusto concedersi.

Da lettrice che ha sempre mille cose da fare e crede di non avere mai il tempo per leggere, concordo pienamente con questa riflessione di Matteo B. Bianchi (QUI potete leggere l’intero articolo, molto interessante).

Quant’è vero che consideriamo, a volte, la lettura un lusso che non possiamo permetterci, qualcosa che ci svia dai doveri. Un piacere che, immancabilmente, viene dopo ciò che ci sentiamo obbligati a fare. Tuttavia, non pensiamo quasi mai al tempo che sprechiamo durante la giornata, quando accendiamo pigramente la tv anche se non c’è proprio nulla di interessante da vedere, oppure quando stiamo incollati davanti al monitor del pc in attesa di qualcosa di interessante da scoprire.

Concedersi il lusso della lettura, sottraendo il tempo ai doveri, non è cosa da biasimare, né dobbiamo pensare che la lettura ci impegni maggiormente, specie a livello mentale, dello stare in ozio sul divano con il televisore acceso o alla scrivania davanti al computer.

Forse dovremmo volerci un po’ più bene e regalarci qualche ora piacevole in compagnia di un buon libro. E pazienza se non riusciamo a leggere più di 10 o 20 pagine alla volta. C’è sempre il tempo per recuperare.

P.S. detto da una che trova sempre qualsiasi scusa per non leggere durante il periodo scolastico … però è anche vero che con gli occhiali da presbite mi stanco molto, dovendo già leggere o i testi scolastici o i compiti degli studenti. Aggiungo, anche se sono consapevole che possa sembrare una scusa, che faccio molta fatica a concentrarmi e quindi trovo meno impegnativo accendere la tv o stare al pc. 😦

[nell’immagine: Jeune Fille Lisant – 1856 Alfred Stevens (1823-1906) da questo sito]