MISTERIOSA CARLÀ

Leggo quest’articolo sul Corriere e rimango interdetta. In questi giorni non si fa che parlare di G8, dei grandi della terra che si sono incontrati a L’Aquila. Meeting nella terra di terremotati fortemente voluto dal premier Berlusconi con la complicità di Bertolaso che, almeno vedendo la sua faccia nei video che fanno il giro dei TG, tanto felice non sembra. Senz’altro stressato, più che felice.

Finché si parla della crisi economica, dei problemi dell’Africa e del Medio Oriente nulla da eccepire. Ma, purtroppo, l’attenzione si è spesso spostata sulle ladies che hanno accompagnato i mariti e che, probabilmente, di politica non ne capiscono nulla, ed hanno quindi approfittato per fare un tour turistico a Roma e dintorni. Non poteva mancare nemmeno una visitina in Vaticano altrimenti Benedetto XVI si sarebbe offeso. Non sia mai che gli si preferisca un neo-separato come Berlusconi.

Naturalmente si sono sprecati i servizi televisivi e gli articoli sull’abbigliamento delle dame, sui menù (a proposito, la carbonara senza pancetta è improponibile, comunque la ricetta originale prevede l’uso del guanciale … ma questo un cuoco tedesco forse non lo sa), sugli alloggi ricavati nell’ex scuola della Guardia di Finanza e per i quali si è spesa una bella cifra. Per fortuna dicono che il mobilio acquistato sarà sistemato nei prefabbricati che verranno consegnati ai terremotati a settembre. Staremo a vedere.

Fin qui tutto abbastanza normale. Ma che si sprechino fiumi di parole sulla signora Sarkozy, che i giornalisti si perdano ad interrogarsi perché non stia col marito o perché non se ne vada in giro con le altre ladies, mi sembra davvero troppo. Manco a dirlo, s’insinua che Carlà (perché mai quell’accento se il suo nome è italiano?) non abbia piacere di incontrare Berlusconi. Forse perché ai tempi dell’infelice battuta del premier a proposito della carnagione del Presidente Obama si è espressa in questi termini:

Mi sembra strano vedere Berlusconi che prende alla leggera l’elezione di Obama e scherza sul fatto che il presidente eletto è abbronzato, spesso sono felice di essere diventata francese.” (dal TG2 delle 20 e 30 del 9 novembre 2008). Allora Cossiga, che peli sulla lingua non ne ha, aveva replicato: “Anche noi italiani siamo ben lieti che la Bruni non sia più italiana, anzi felici

Ma sulla nazionalità della Bruni c’è un mistero: invitata alla trasmissione di FazioChe tempo che fa” del 25 gennaio scorso, lei ha affermato di avere la doppia cittadinanza italiana e francese, avendo sposato un cittadino francese. Allora mi chiedo: perché mai poco più di due mesi prima si era dichiarata felice di non essere più italiana?

A parte questo, ma a noi che c’importa dei misteri di Carlà? Anzi, che c’importa di Carlà?

ARRIVEDERCI RAGAZZI

Ai miei ragazzi di quinta

Eccomi qua. Conclusi gli esami, esposti i voti sul tabellone ora non mi resta che dedicarvi quest’ultimo post. Dopo aver letto i fiumi di parole con cui avete riempito, a volte faticosamente, i fogli protocollo dei compiti in classe, ora è giusto che scriva io qualcosa per voi, anche se in realtà l’ho già fatto. Ma queste sono davvero le ultime parole prima che le nostre strade si dividano.

Sto guardando la foto che campeggia lassù e mi rendo conto che non so da dove, o meglio da chi incominciare. Faccio delle ipotesi: l’ordine alfabetico no, troppo banale e così tristemente scolastico, lasciamolo perdere ormai che siamo in vacanza; la divisione tra maschi e femmine la scarto perché, tranne poche eccezioni, la promiscuità in questo senso non vi è mai piaciuta; l’ordine in cui posate nella foto è scontato, e poi non saprei comunque se iniziare dal basso o dall’alto, da sinistra o destra … insomma, decido di cominciare dalla prima persona che mi è rimasta ben impressa nella mente all’inizio della seconda. È speciale? vi chiederete, o è la più brava? Magari la più indisciplinata? No, è semplicemente un’immagine di forza e vorrei che la persona in questione si ricordasse sempre di questa forza.

Rivedo Francesca B., accompagnata dalla mamma all’ingresso dell’edificio scolastico; deve prendere l’ascensore, è zoppicante e si aiuta con le stampelle …un infortunio, non so dove, non ricordo bene. D’istinto le dico che avrebbe potuto stare a casa ancora qualche giorno, per riprendersi, ma la mamma si affretta a replicare “Lei non conosce Francesca”. Già, non la conoscevo ancora, ma la conosco adesso. Penso a lei e mi vengono in mente la forza, la determinazione, il rigore, la severità, fin troppa, dimostrata verso se stessa. Un percorso brillante di studi che forse non ha avuto il giusto riconoscimento. L’avevo detto, in classe, parlando della mia compagna, Nilla, la più brava eppure all’esame non ha raggiunto il massimo. Capita, nella vita, ma una piccola sconfitta dev’essere l’input per ricominciare con la stessa determinazione, con una forza ancor maggiore. A Francesca auguro con tutto il cuore di realizzare i suoi sogni e spero, un giorno, di leggere le sue pubblicazioni scientifiche … senza errori di punteggiatura.

Arianna B. si accompagna nella mia mente all’immagine di una libellula, lei ballerina appassionata che tante volte ha fatto qualche volo anche con il pensiero, durante le mie spiegazioni. A che pensava? Mah, forse a nulla in particolare, lei è fatta così, è eterea in tutti i sensi. Il suo tema di maturità sull’amore e l’innamoramento è stato uno dei più belli. Lei stessa ha ammesso di essere stata fortunata: praticamente la traccia rimandava pari pari alla sua tesina sul bacio. Ma la fortuna ha un’importanza relativa, perché l’espressione di un sentimento non rientra nell’abilità di tutti e un tema, anche se tecnicamente ineccepibile, può anche non essere espressivo, può essere ben fatto e basta, senz’anima. Ad Arianna B. auguro di rimanere sempre così spontanea e di non rinunciare a quella svagatezza che, se in un’aula scolastica è poco raccomandabile, nella vita di tutti i giorni diviene una preziosa qualità. Sempre a patto che s’impari a dosarla per bene.

Che dire di Aurelia. Mille volte rimproverata, con quella lingua lunga, sempre freneticamente in attività. E ad ogni richiamo, quel “mi scusi” che mi dava anche un po’ sui nervi. Tant’è che al suo “mi scusi” mormorato con voce mortificata, seguiva quasi sempre il mio “ti scuso ma stai zitta!” pronunciato con voce energica e a volte spazientita. Osservando Aurelia più volte mi sono resa conto del motivo per cui l’esame conclusivo non si chiami più di “maturità”. Spero che il futuro ingegnere dei materiali possa diventare al più presto una persona adulta, anche se quell’aria sbarazzina e quel sorriso un po’ enigmatico fanno di lei l’Aurelia unica che vorrei rimanesse anche dietro il cartellino con su scritto “ing.” che in qualche centro di ricerca vagherà attaccato ad un camice austero che a lei, almeno per ora, si addice poco.

A proposito di sorrisi, mi ritorna in mente quello di Sebastiano, in verità quello del Sebastiano dell’ultimo anno perché negli anni precedenti non si può dire che il sorriso gli si stampasse sulla bocca ad ogni mio richiamo. Anzi, più volte io e lui abbiamo avuto degli scambi di opinione educati ma sempre volti a difendere energicamente ciascuno la propria idea. Sembrava destinato ad un continuo scontro il nostro “rapporto” e invece la sorpresa di quest’ultimo anno mi ha lasciata senza parole. Smessi gli abiti dell’austero pianista, sotto la felpa ha iniziato a battere il cuore di un diciottenne e, devo ammettere, la trasformazione mi è piaciuta. Gli auguro, tuttavia, di realizzare il suo sogno,di indossare spesso l’abito scuro e di diventare una celebrità senza dimenticarsi, però, di mandarmi l’invito a qualche concerto. La sua prova generale l’ha fatta per noi alla conferenza sulla shoa ma, avendo la febbre, non ha forse dato il meglio di sé.

Ci sono poi le coppie, quegli allievi che hanno vissuto cinque anni in simbiosi e che m’impongono di parlare dell’uno e dell’altro in simultanea. Che dire di Marta e Lucrezia? Per anni relegate nell’ultimo banco, dove potevano teoricamente fare quello che volevano, chessò copiare i compiti o studiare le altre materie. Ma quest’ultimo anno la loro arbitraria sistemazione in primo banco ha imposto un’attenzione quasi costante. Davanti ai miei occhi ho potuto vedere due ragazze intente a prendere appunti, con quel frenetico e incessante lavorio di penna che talvolta mi costringeva a rallentare il ritmo della spiegazione. Più solerte Marta di Lucrezia, ma che importa, avranno studiato praticamente sempre assieme e assieme hanno pure scaricato la famosa traduzione di Cicerone dell’ancor più tristemente famoso compito di latino di quarta. Alla fine, però, tutto passa, anche la mia rabbia e ho potuto apprezzarne la serietà nell’ultimo anno. Di loro, però, mi rimarrà per sempre il ricordo della prima interrogazione di latino, in seconda. Anzi, avevo promesso che più che interrogazione sarebbe stata una simulazione, una sorta di prova generale. Il patto era che l’avrei valutata solo se positiva, quell’interrogazione. Ma Lucrezia e Marta, di fronte ad un dignitosissimo 6/7 si sono rifiutate di accettarlo. Mi sembrarono altezzose, sicuramente non simpatiche. Ma poi, di fronte ai quattro e ai cinque futuri, accettati per dovere perché la facoltà di rifiutarli non l’hanno mai più avuta, hanno messo in mostra le loro debolezze e quindi mi hanno costretta a cambiare idea. Che augurio posso fare a Marta e Lucrezia? Successi negli studi a parte, spero che la prima possa finalmente realizzare il sogno di partecipare agli europei di pallacanestro e alla seconda di ballare sempre così bene come l’ho potuta ammirare nell’interpretazione di Cats. Mi auguro, tuttavia, di non vederla mai ai provini di “Amici” di Maria De Filippi!

Un’altra coppia indissolubile è costituita da Caterina S. e Chiara. Anche loro notevolmente chiacchierone, oltre che polemiche. Ne ho apprezzato, tuttavia, la determinazione con cui hanno sempre difeso le loro idee, soprattutto in occasione delle manifestazioni contro la Gelmini. Il botta e risposta fra me e loro se non altro è servito per fare un po’ d’esercizio sull’argomentazione, anche se ben lontana dai toni usati per lo più nelle discussioni scolastiche. Quante volte le ho richiamate perché distratte: Caterina diventava seria subito, Chiara, invece, sorrideva, un po’ come Sebastiano. Non so che cosa faranno in futuro ma me le immagino già sfilare in corteo per protestare contro il governo, specie se la Gelmini rimane il ministro del MIUR. Mi auguro che sappiano trovare la loro strada, anche se non sempre troveranno chi darà loro ragione.

Do un’occhiata alla foto e lo sguardo si posa su Valentina M. Non dimenticherò mai quanto splendida fosse alla cena di matura e spero che le altre non me ne vogliano. È ovvio che tutte le ragazze erano belle ma Valentina M. sembrava proprio un’altra. Una trasformazione incredibile. La osservavo mentre sosteneva l’esame orale: le mani che si strapazzavano l’un l’altra, la voce quasi rotta dalla paura, momenti di silenzio mascherati da riflessione, ma in realtà erano davvero dei vuoti mentali. L’emozione, si sa, gioca brutti scherzi ma è pure vero che Valentina M. avrebbe fatto meglio a non distrarsi durante le lezioni. Ora so che lei starà pensando che mi sono sbagliata, che lei invece era attentissima. Mah, fingiamo di crederle ancora. Quello che non dimenticherò sono le sue interrogazioni dell’ultima ora, proprio l’ultima dell’anno scolastico, non dell’orario giornaliero. Quando sarà grande e farà l’infermiera dovrà stare ben attenta a quello che fa e non potrà rimandare gli impegni. Ma so che s’impegnerà nel suo lavoro con professionalità e serietà perché lei, in effetti, è già una ragazza assennata.

Poi c’è Pierpaolo, arrivato in questa classe in terza. All’inizio tutto timido e riservato ma ha ben presto trovato “pane per i suoi denti”. Trovare gli amici con cui distrarsi durante le lezioni non è stato difficile, solo che lui ha sempre avuto la rara capacità di non farsi vedere, così io davo inevitabilmente la colpa agli altri e lui passava per santo. Non so che cosa farà da grande ma di certo non si perderà d’animo in tutte le situazioni; di faccia tosta, infatti, ne ha in abbondanza. Però, nonostante la stazza non indifferente, che potrebbe spaventare non pochi, nonostante l’aspetto un po’ rude e severo, io so che dentro lui ha un animo sensibile. Pierpaolo sarà, secondo me, un bravo papà, in grado di usare il bastone e la carota dosandoli ben bene.

Se mi chiedo chi dei “miei ragazzi” ha subito una trasformazione più evidente, a parte Sebastiano, nel corso degli anni, rispondo senza esitazione: Sara. Lei all’inizio era aggressiva, non le si poteva dire nulla che saltava subito su. Spesso gliel’ho fatto notare. Le ho detto che nelle relazioni con le persone ci vuole anche un po’ di tatto, di diplomazia. Non credo che le mie parole, o almeno non solo quelle, abbiano compiuto il miracolo, tuttavia il miracolo è realmente avvenuto. Se dovessi definire la Sara di oggi, userei un aggettivo in particolare: saggia. Ha usato la saggezza per riflettere sulle cose, per studiare con regolarità per non trovarsi in difficoltà, per appassionarsi allo studio senza annoiarsi, per relazionarsi con i compagni forse talvolta fingendo di essere accomodante. Ma io sono consapevole che Sara sa esattamente quello che vuole e non si lascerà mai convincere a fare ciò che gli altri vogliono. Vedo per lei un futuro di successi e soddisfazioni nello studio e nel lavoro. È esattamente quello che ha dimostrato di meritarsi.

Quanto a Luca P., ricordo che, quand’era in seconda e anche in terza, passava l’intero intervallo con il panino mezzo mozzicato in mano, intento, più che a mangiare, a dare calci alla pallina fatta con la carta stagnola che prima aveva avvolto il panino, insieme ai suoi amici di sempre: Francesco M. e Giulio. Erano la mia disperazione il giorno in cui dovevo sorvegliare in corridoio, e la disperazione dell’insegnante della quarta ora che li trovava ancora intenti a far merenda, se non tutti e tre, Luca senz’altro. Poi hanno smesso, di giocare, a calcio intendo; definirli oggi delle persone serie è ancora un po’ azzardato. Nello studio sì, hanno raggiunto un buon grado di responsabilità. Giulio forse ancora ci sta lavorando: non dimenticherò mai la sua risposta alle mie domande dal posto: “in questo momento mi sfugge”. Luca P. e Francesco M., tutto sommato, mi sono sembrati più attenti anche se, trovandosi in banco con Sebastiano, alla fine anche loro hanno assunto l’insana abitudine di ridere per sdrammatizzare di fronte ai miei rimproveri. Se poi parliamo di successi scolastici, credo che gli altri non si offendano se definisco Francesco M. ineguagliabile: il tabellone dei voti parla da sé.

Ora è la volta di Caterina T., pianista provetta e discreta latinista … almeno fino in quarta. Lei ha un modo di fare assai pacato, il tono della sua voce raggiunge i decibel appena necessari per farsi sentire da chi non ha problemi di udito. Certamente non portata per la scrittura, ma alla fine nello scritto se l’è cavata discretamente all’esame. La sorpresa, però, è stata decisamente un’altra: il suo inglese quasi perfetto, la pronuncia eccellente, come l’ha definita la stessa professoressa. Sarei stata ore ad ascoltarla e quando è arrivato il mio turno, avrei voluto rivolgerle le domande in inglese. Davvero una brava studentessa che si è fatta in quattro per applicarsi nel migliore dei modi sia a scuola sia al conservatorio. Ora, però, dovrà terminare gli studi musicali, per l’università c’è tempo. Le auguro di diventare una concertista ma credo che sarebbe portata anche per l’insegnamento. So per certo che, visto il suo carattere riflessivo, saprà prendere la decisone migliore.

Un’altra musicista è Valentina G. Di lei ricorderò sempre la poca passione per i temi letterari. Anche all’esame ha scartato quello su Svevo e invece penso che sarebbe riuscita a farlo bene. Mai contenta dei voti presi, credo dubitasse della mia capacità di comprendere il suo talento. Spero che continui a coltivare la sua passione per la musica ma, visto che è una persona sensibile, dietro alla determinazione che costantemente fa apparire, vedo per lei anche un futuro di scrittrice. Chissà! Di lei, però, non potrò mai dimenticare la fantasiosa traduzione di Tacito “tu, labbra impudenti”. Ancora adesso, quando ci penso, non riesco a trattenere una fragorosa risata.

Poi c’è Vanessa, anche lei come Aurelia, sua compagna di banco, molto distratta. Tutte e due intente a chiacchierare per i fatti loro e quando arrivava il mio richiamo, al sorriso impertinente di Aurelia seguiva lo sguardo mortificato di Vanessa. Molti dubbi, poche certezze: ecco il suo ritratto. Sempre in cerca di rassicurazioni, in fondo credo che abbia spesso riposto una grande fiducia nei miei consigli. Poco espansiva, almeno con me, spero che sulla strada che dovrà ancora percorrere incontri chi la capisca e sappia valorizzarne le doti. Quando penso a Vanessa, non posso fare a meno di ricordare il gigantesco mazzo di rose rosse che le sono arrivate a scuola per San Valentino. Confesso che allora l’ho proprio invidiata.

Ora passiamo a qualche maschio se no i ragazzi si offendono perché li lascio per ultimi. Che dire di José? Se dovessi davvero esprimere tutto quello che penso di lui, mi ci vorrebbe un post intero. Dirò solo che ne ho apprezzato la serietà con cui ha preso tutti gli impegni, compreso quello, tutt’altro che facile, di rappresentante di classe, che ha dimostrato altruismo nell’aiutare i compagni in difficoltà, che ha fatto degli sforzi enormi per imparare perfettamente l’italiano. Lui che è di madrelingua spagnola, alla fine ha imparato ad esprimersi meglio di tanti italiani. All’orale sono rimasta strabiliata dalla velocità con cui parlava, anche in inglese, tant’è che la professoressa l’ha dovuto invitare ad andare più piano. Sembrava che volesse sfruttare al meglio il tempo a disposizione. Non ho dubbi sul fatto che altrettanto di corsa si laureerà, non credo voglia perdere tempo. Gli auguro successo negli studi di medicina; magari diventerà un ricercatore di fama internazionale e potrà scrivere trattati in tre lingue. Un bel vantaggio, non c’è che dire.

Quando penso a Nicola *** [parte rimossa su esplicita richiesta dell’interessato]

Francesco V. si è unito al gruppo solo in quinta. Dapprima timido e spaesato, anche se conosceva già Luca R., a quanto pare, si è subito ambientato e ha scelto come compagni i più distratti dei maschi. Una scelta non troppo azzeccata, visto che, come lui stesso ha ammesso, provenendo da una scuola privata aveva qualche lacuna nella preparazione. Ma alla fine ce l’ha fatta a recuperare anche se dal suo modo di fare ho sempre compreso che ogni cosa per lui è faticosa, se potesse non farebbe nulla. La tesina, per esempio, la doveva preparare, come gli altri, entro i primi di maggio ma l’ultimo giorno di scuola, 10 giugno, mi ha avvisato che aveva cambiato idea, nonché titolo. Alla mia domanda “ma l’hai fatta o no?”, ha risposto in modo evasivo. Inutile dire che non ha ancora le idee chiare su cosa farà in futuro: ci deve pensare, non mettiamogli fretta.

Visto che l’ho nominato, veniamo a Luca R. Il suo è stato un percorso scolastico un po’ accidentato ma alla fine ce l’ha fatta. Sinceramente temevo che si scoraggiasse, già alla fine della quarta, e invece in quinta ha tirato fuori la sua grinta, quella stessa che prima gli era servita per combattere in palestra. Ha rinunciato allo sport per lo studio e i risultati si sono visti: l’esame è andato bene, nonostante i suoi timori e la levataccia il giorno dell’orale che avevo caldamente sconsigliato. Il suo fisico, però, ne ha risentito visto che dev’essere calato almeno di una taglia e le spalle di una ventina di centimetri. Ma si rifarà, troverà il tempo per studiare e combattere di nuovo, ormai ha imparato ad organizzarsi. La cosa che ricorderò sempre di lui è la concentrazione durante le verifiche: sembrava che il cervello gli fumasse, ogni tanto un sospiro, non so se di rassegnazione o cosa. Osservandolo, cercavo di indovinare i suoi pensieri e m’immaginavo che si facesse domande di questo tipo: ma perché devo sapere queste cose di Dante o di Pascoli? Che mi servirà nella vita sapere che Cicerone ha scritto il Somnium Scipionis? Non so dare risposte, ma spero che in futuro sentendo nominare i classici latini o italiani si ricordi di me e di quanto l’ho fatto penare per avere la sufficienza, specie in latino.

Che dire di Miriam? Almeno ora non mi sono confusa chiamandola “Irene”. Chissà perché guardandola mi sono intestardita sul fatto che si sarebbe potuta chiamare benissimo anche Irene. Nome a parte, lei è una di quelle persone che meriterebbero una statua, soprattutto per la pazienza dimostrata nel sopportare il compagno di banco un po’ irrequieto. Il bello è che lui, Giovanni, ha avuto più volte il coraggio di addossare alla povera Miriam la responsabilità della sua distrazione perenne. Ma io so che lei è quasi sempre stata attenta; si è distinta per la serietà e per il senso di responsabilità, nonché per la correttezza e la precisione. È una delle poche che non ha inserito le mie materie nella tesina sulla “Sezione aurea”. Io l’ho ascoltata con attenzione, lo giuro, durante l’esposizione all’orale eppure devo confessare che ancora non ho capito cosa sia ‘sta sezione aurea. Ma ammetto i miei limiti in ambito scientifico-matematico: Miriam è stata brava, sono io ad essere completamente refrattaria nei confronti delle discipline in questione. Non ricordo cos’abbia intenzione di fare da grande, ma indipendentemente da questo, io Miriam la vedo soprattutto mamma, allenata com’è in una famiglia numerosa come la sua. Ad ogni modo, le auguro di realizzare qualsiasi altro suo desiderio.

Arianna C. è una ragazza tranquilla. A volte si è lasciata distrarre dalle compagne, ma la scuola l’ha presa sul serio. Il suo cruccio è sempre stato quello di non capire perché sbagliava, ad esempio nei compiti di latino, ed era sempre preoccupata di trovare il sistema per migliorare. Scrupolosa e meticolosa, dunque. Non so quali progetti abbia per il futuro ma credo che la determinazione l’accompagnerà lungo il cammino che deciderà di intraprendere. Quello che non dimenticherò di lei sono i suoi occhioni spalancati, a metà tra lo stupore e lo spavento: forse si è più volte stupita di aver fatto una bella interrogazione, ma più spesso ancora l’ho vista spaventata di fronte alla versione di latino da tradurre. Ora sorriderà felice sapendo di non dover affrontare più un testo di Cicerone.

Di Francesca F. non dimenticherò mai un tema fatto in terza, praticamente la fotocopia del manuale di letteratura. Il sospetto che avesse degli appunti nascosti fu legittimo, ma smentito dall’interrogazione che ne seguì: Francesca F. sapeva tutto davvero, anche se un po’ troppo a memoria per i miei gusti. La invidiai per essere una specie di erede di Pico della Mirandola. Ingiustamente accusata, secondo il suo parere, di fare assenze strategiche, un giorno ero convinta che non ci fosse nonostante fosse presente e tranquillamente seduta al suo posto. Sarà forse per scongiurare il pericolo di una sua assenza all’ultimo giorno di scuola che, vedendola ferma ad aspettare l’autobus, le ho dato un passaggio. L’avrei fatto altre volte, ma quel giorno era speciale proprio perché era l’ultimo. Non ricordo i suoi progetti per il futuro, ma spero che non stia troppo ferma ad aspettare … si sa che il treno, o l’autobus, una volta passato lo si perde per sempre.

Dulcis in fundo, arriviamo a Giovanni. Io e Giovanni, in questi quattro anni, abbiamo applicato alla perfezione, nel rapporto docente-studente, l’ossimoro catulliano: odi et amo. Ad ogni inizio anno puntuale arrivava lo scontro; poi si “faceva pace”: lui prometteva di comportarsi bene, io di non scrivere note sul libretto. Da quando è diventato maggiorenne, tuttavia, la minaccia della nota non è più servita, anche perché, teoricamente, se l’allievo è maggiorenne deve dare il suo consenso ai colloqui fra genitori e insegnanti. La mia correttezza deontologica, però, non ha avuto la meglio sulla determinazione che qualche famiglia ha nell’occuparsi dei figli: maggiorenne o meno, la mamma di Giovanni si è spesso fatta vedere, anche se non avrebbe voluto sentire le continue lamentele. Giovanni è uno di quegli studenti che del “sapere” se ne fa un baffo: l’obiettivo finale era quello di “uscire” e i punticini che ha ottenuto in più rispetto all’atteso, sospirato, a volte agognato 60 sono un gran regalo per lui e una gran sorpresa per me. Ma in fondo che importa se entrambi abbiamo raggiunto l’obiettivo prefissato: per lui quello di non prolungare la permanenza al liceo, per me quello di non incontrarlo nei corridoi. Intendiamoci, mi sarebbe dispiaciuto se fosse stato bocciato. D’altronde, quando ha saputo che comunque la quinta il prossimo anno non l’avrei avuta, si è dato un gran daffare, pensando che un’altra prof paziente come me non l’avrebbe mai più trovata.

Ripensando all’attenzione che i miei ragazzi hanno prestato talvolta alle mie lezioni, confesso che avrei voluto saltare sulla cattedra e declamare i versi di qualche poeta come fa il professor Keating nel film “L’attimo fuggente” quando esclama: “O Capitano, mio capitano!” Chi conosce questi versi? Non lo sapete? È una Poesia di Walt Whitman, che parla di Abramo Lincoln. Ecco, in questa classe potete chiamarmi professor Keating o se siete un po’ più audaci, “O Capitano, mio Capitano”. Non ho trovato questo coraggio, accettando a malincuore che la partecipazione non fosse molto attiva, ma condivido molte delle affermazioni di Keating, come ad esempio: Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.

Guardate il mondo da tutte le angolazioni possibili per trovare lo spazio che ad ognuno meglio si addice. Con coraggio e determinazione capirete da soli qual è la strada migliore da percorrere. Vi lascio, infine, questi versi del poeta amato dal professor Keating affinché vi possano guidare verso una “rinascita”, un percorso nuovo ma naturale che non deve intimidire nessuno:
Nulla è mai veramente perduto, o può essere perduto,
nessuna nascita, forma, identità – nessun oggetto del mondo,
né vita, né forza, né alcuna cosa visibile;
l’apparenza non deve ingannare, né l’ambito mutato confonderti il cervello.
Vasti sono il tempo e lo spazio – vasti i campi della Natura.
Il corpo lento, invecchiato, freddo – le ceneri rimaste dai fuochi di un tempo,
la luce degli occhi divenuta tenue, tornerà puntualmente a risplendere;
il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi;
alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera,
con l’erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.

Walt Whitman

Sperando che questo non sia un addio –ci si può sempre incontrare per strada, no?- vi dico solo: ARRIVEDERCI RAGAZZI!

[ho pubblicato la foto senza chiedere preventivamente l’autorizzazione; se qualcuno ha qualche obiezione, mi lasci un messaggio e la rimuovo immediatamente. Ciò vale, ovviamente, anche per il professor Carlo C. ritratto nella foto in prima fila, beato tra le donne.]