GUARDA CHE LUNA

Non lo volevo scrivere questo pezzo. Non volevo dire cose banali del tipo “lo sbarco dell’uomo sulla luna ha segnato una tappa importante del percorso dell’umanità alla ricerca di nuove esperienze, mettendo alla prova se stessa e i suoi potenti mezzi ….”. Insomma, non volevo scrivere nulla di ciò ma non per svalorizzare un’impresa che ha un valore intrinseco che nessuno può negare, condivisibile o meno. Perché ci sarà sempre qualcuno che criticherà le imprese spaziali, costosissime e mai sicure al 100% (chi non ricorda le disgrazie accadute agli shuttle?). Ma i progetti aerospaziali non si sono mai fermati; le 21 vittime delle missioni avvenute tra il 1961 e il 2003, di cui 16 americani, quattro sovietici e 1 israeliano, non hanno mai intimorito le varie agenzie spaziali. D’altra parte, se così fosse stato, l’uomo non avrebbe mai davvero messo piede sulla luna. E poi, riflettendoci, un numero esiguo di vittime se paragonate ai caduti in guerra, alle vittime delle stragi e degli attentati.

Il programma Apollo iniziò nel 1967 con la missione denominata, appunto, Apollo 1. Ma la missione non ebbe nemmeno inizio: l’equipaggio fu sterminato da un incendio scoppiato durante una simulazione di lancio. La morte dei tre astronauti che si trovavano a bordo servì di certo a migliorare il sistema, ma non scoraggiò gli americani che andarono avanti. Due anni dopo, l’allunaggio dell’Apollo 11 servì a dimostrare che tutto è possibile, che bisogna guardare avanti, che non ci si deve abbattere. D’altra parte, l’esito quasi miracoloso dell’infelice ma nello stesso tempo fortunata missione Apollo 13 (cui Ron Howard dedicò l’omonimo film con Tom Hanks) aveva dimostrato che gli incidenti si possono evitare o quantomeno si deve far fronte a qualsiasi emergenza. E così il programma Apollo continuò fino al 1972 e l’uomo poté rimettere piede sulla superficie lunare. L’ultima missione fu quella dell’Apollo 17 e, oserei dire, dimostrò il coraggio della NASA a non lasciarsi condizionare dai numeri “sfortunati”, visto anche il fallimento dell’Apollo 13. Ma il numero 17 fu comunque l’ultimo. Da allora nessuna impronta umana fu stampata sulla superficie lunare per rimanervi in eterno.

Dell’allunaggio ricordo ben poco, ma l’atmosfera che si respirava in quel lontano 1969 non la dimenticherò mai. Ero una bambina eppure non mi persi quello storico evento, anche se probabilmente nelle lunghe ore passate davanti alla Tv fui colta dal sonno. Allora mi trovavo al mare, in vacanza. Inutile dire che nell’appartamento in affitto non c’era il televisore; non l’avevamo nemmeno a casa perché credo che i miei l’avessero acquistato un anno dopo. Al bar una folla si era riunita per assistere allo spettacolo. Noi eravamo fortunati perché avevamo il posto a sedere –a fronte, credo, di un cospicuo numero di consumazioni acquistate nelle ore passate là, senza schiodarci mai dalla sedia- e potevamo guardare agevolmente la diretta televisiva. Quelle immagini in bianco e nero mi sono passate davanti in questi giorni, innumerevoli volte. Così non riesco a capire quanto davvero mi ricordassi e quanto, invece, mi pare di ricordare vedendo Tito Stagno che annuncia, sbagliando, l’allunaggio. L’errore di Stagno, subito corretto dall’inviato negli USA Ruggero Orlando, e il bisticcio che ne seguì tra i due giornalisti, me lo ricordo benissimo. A parte il fatto che allora non mi pareva importante il momento esatto in cui il modulo lunare toccò veramente il suolo del nostro satellite, l’evento in sé mi apparve prodigioso.

Da quel giorno guardai la luna con occhi diversi. Cercavo di immaginare gli astronauti che passeggiavano, ovvero saltellavano buffamente, sul suolo lunare. Anzi, talvolta credevo di individuarne le sagome, confondendo le ombre che caratterizzano la luna osservata da quaggiù, specialmente se piena. Nonostante sapessi bene che anche la terra è sferica, o quasi, e che noi ci camminiamo sopra come se fosse piatta, mi chiedevo come facessero quegli astronauti a non cadere nello spazio. È evidente che la luna per me era più tonda o forse mi condizionavano le immagini che alla Tv venivano trasmesse: vedevo quegli uomini circondati dal buio, un buio più buio di quello che potevo osservare intorno a me di notte. Un mondo diverso, surreale. Fantasie di bambina, che altro?

Ora guardo la luna ancora una volta con occhi diversi. La vedo violata dall’uomo e incapace di difendersi da questa specie di aggressione umana. La guardo chiedendomi se mai ci sarà una stazione stabile sulla luna, una di quelle “città trasparenti” che ho visto in qualche film di fantascienza. Nel momento in cui mi rispondo di no, comprendo anche che, semmai l’uomo riuscirà a colonizzare il nostro satellite, io non ci sarò più e forse nemmeno i miei nipoti. Se li avrò.

Eppure, a quarant’anni da quel lontano dì, la NASA non ha mai smesso di pensare alla luna. Nel frattempo, però, un altro pianeta ha attirato l’attenzione di chi si occupa di missioni spaziali: Marte. Il pianeta rosso, con quel nome che trasmette la forza, quella di un dio, anzi il dio della Guerra. Quando penso a Marte non mi chiedo se mai l’uomo ci metterà piede, ma mi viene in mente la canzone di David Bowie “Life on Mars?”. C’è vita su Marte? Mah, chissà. Io sono spesso criticata in famiglia per il mio scetticismo, per il mio essere sicura che l’uomo sia davvero unico nell’universo. Non credo che da qualche parte ci possano essere degli ET che ci osservano, tantomeno sono disposta a riporre la mia fiducia nelle parole di chi dice di essere stato rapito dagli alieni. Ma so che questa è solo una mia opinione, sicuramente discutibile.

Altri scettici, però, e ben più importanti di me, hanno messo in dubbio il fatto che l’uomo sia davvero allunato quel 20 luglio del 1969. C’è chi ritiene che la missione Apollo 11 e le successive siano solo un bluff. Di recente mi è capitato sottocchio il libro di William Kaysing Non siamo mai andati sulla luna. Ho sfogliato solo alcune pagine e ne ho parlato a casa. Mio marito, fanatico filoamericano, mi ha ascoltata sgranando gli occhi. Di dubbi sulla veridicità dei fatti nemmeno parlarne, secondo lui. Mi sono sentita alquanto meschina nell’aver dubitato, anche solo per qualche ora, che la missione Apollo 11 avesse avuto luogo veramente. Però poi, senza farlo sapere al mio consorte, ho scovato un sito interessante in cui si parla dei dubbi sorti a seguito delle dichiarazioni di Kaysing e di altri che la pensano come lui. Se pensiamo che dal libro è stata tratta la sceneggiatura del film di successo “Capricorne one”, dobbiamo credere che il dubbio si è insinuato in molti americani, e non solo in loro.

Leggendo le dichiarazioni di Kaysing e le argomentazioni che porta a sostegno della sua tesi, mi sono resa conto che sono davvero convincenti. D’altra parte, dopo aver letto delle controargomentazioni qui, le mie idee si sono fatte ancor più confuse, quindi non merita che ci perda dell’altro tempo. Ma la lettura dei due siti indicati nei link merita davvero un po’ di attenzione.

Da parte mia continuerò a guardare con occhi romantici la luna, dimenticando che l’uomo c’è stato, esattamente come ho fatto nei quarant’anni che mi hanno divisa da quel lontano 20 luglio, pensando che i problemi di quaggiù siano più urgenti rispetto alle future probabili, o forse no, missioni spaziali.

La luna, comunque, continua ad avere per me il suo fascino misterioso. Come quello che esercitò su Ciàula, la prima volta che la scoprì:

Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… C’era la Luna! la Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore
. (da Ciàula scopre la luna di Luigi Pirandello)