HAI LA MEDIA DELL’OTTO? MERITI UN PREMIO DI 150 EURO

Si tratta di un’iniziativa dell’ITIS Feltrinelli di Milano: la Dirigente Scolastica, Annamaria Indinimeo, ha deciso di premiare gli studenti migliori del suo istituto con 150 euro, in contanti e da spendere come vogliono, già alla fine del I quadrimestre. Un premio era stato già istituito, negli scorsi anni, alla fine dell’anno, ma la preside si è resa conto che molti aspettano gli ultimi mesi per impegnarsi a dovere e ha ritenuto giusto che anche chi ha ottenuto buoni risultati alla fine del primo periodo vada premiato.

Il premio sarà erogato attingendo dal fondo d’istituto. Ciò lascia perplessi, anche perché si sente spesso parlare di fondi insufficienti, tanto che talvolta i dirigenti non riescono nemmeno a pagare i supplenti. Ma c’è una spiegazione: gli studenti, che riceveranno il premio domenica prossima all’Open Day, la giornata dedicata ai futuri iscritti e alle loro famiglie, sono solo otto, su un totale di settecento.

Il numero esiguo mi lascia interdetta, anche perché in una tale situazione io mi preoccuperei di attingere al fondo per sostenere gli allievi più deboli e organizzare delle attività in grado di dare nuovi stimoli a chi ha poca voglia di studiare. Non è una scelta positiva, da punto di vista educativo, monetizzare l’impegno: i ragazzi d’oggi sono già fin troppo abituati ad ottenere ciò che vogliono e di soldi, nei loro portafogli, ne girano parecchi. Meglio sarebbe stato offrire loro dei buoni acquisto per libri, Dvd, cd, al limite anche videogiochi, come già si fa in altre scuole.

Favorevole all’iniziativa Paola Mastrocola, scrittrice e docente in un liceo torinese. Definendo coraggiosa l’idea del Feltrinelli e asserendo che gli insegnanti, ormai disperati, non sanno più come far studiare i ragazzi, osserva: È giusto distinguere i bravi, senza temere il verbo discriminare. Una volta si faceva, c’erano i premi delle banche, poi ci siamo entusiasmati a una corsa al ribasso, all’appiattimento. E abbiamo sbagliato. Oggi occorre dare un segnale, dire che questi studenti ci piacciono e vorremmo che aumentassero. Massì, anche con cento euro.

Io so che a me è sempre stato detto che studiare era il mio lavoro e un preciso dovere. Mai usufruito di premi-produzione, né da parte della scuola né da parte dei miei genitori. Sono a favore della meritocrazia ma credo si debba aspettare la fine dell’anno. Dubito che questo premio possa essere uno sprone per gli altri, lo vedo piuttosto come un ulteriore impegno per le otto perle rare che potrebbero anche sentire, grazie ai 150 euro, il peso di una responsabilità di cui forse avrebbero fatto a meno.

[fonte: Il Corriere]

GELMINI E SPERIMENTAZIONE DEL MERITO: ECCO PERCHÉ NO

Ormai è noto che la maggior parte delle scuole coinvolte nella sperimentazione del merito (su proposta univoca del ministro Mariastella Gelmini) ha deliberato, all’interno del Collegio dei Docenti, di non aderire alla proposta. Su diversi siti web compaiono elenchi di scuole che hanno detto no e in altri siti si riportano dei fac-simile di delibere.

Ecco, ad esempio, le motivazioni del no proposte dai Cobas:

 il rinnovato tentativo da parte del Ministero di introdurre nella scuola pubblica dei sistemi di valutazione del merito ha come scopo la diffusione della concorrenza (tra le scuole e all’interno personale docente) e la gerarchizzazione del personale;
 i singoli istituti verranno valutati in gran parte sulla base dei test Invalsi, i quali si sono dimostrati negli anni, del tutto inadeguati a misurare il livello di apprendimento degli alunni e del tutto estranei a valutare l’effettiva funzione della scuola nella crescita delle nuove generazioni;
 le verifiche esterne saranno effettuate da un team la cui “indipendenza” è tutt’altro che evidente e comprovata;
 verrà stilata una graduatoria tra le scuole e, cosa peggiore, individuata una fascia di migliori con una percentuale massima del 25%! (se le scuole fossero tutte allo stesso livello, su che base si dovrebbe scegliere chi fa parte del 25% dei fortunati?)
 verrà istituito un Nucleo ristrettissimo di persone atte a valutare il restante personale, imprimendo un duro colpo ai processi democratici decisionali interni alla scuola, accentrando sempre più i poteri nelle mani di pochi;
tale sperimentazione, se venisse attuata comporterebbe ripercussioni altamente negative per la dignità del lavoro docente, dell’insegnamento come lavoro collettivo e ancora di più per la didattica e lo sviluppo del sapere critico;

A ciò si aggiunga il fatto che la sperimentazione è sottofinanziata (come ho spiegato QUI) e le risorse sono derivate da parte dei risparmi ottenuti grazie ai “tagli” operati in seguito all’applicazione dell’art. 64 della Legge 133 (“tagli” attribuibili all’esigenza del risparmio stabilita da Tremonti piuttosto che dalla Gelmini stessa).
Di tutto questo ho già parlato in altri post; in particolare in questo avevo espresso le mie perplessità che, guarda caso, coincidono con quelle messe in evidenza dal fac-simile di delibera riportato sopra. L’unica cosa che, sinceramente, non mi aspettavo è questo coro di no; anzi, prevedevo una corsa al premio che, invece, non c’è stata. La cosa non può che farmi piacere perché denota la serietà dei docenti che sono stufi di essere presi in giro. Rimane, tuttavia, il sospetto che questa sia una presa di posizione puramente politica, come ho già detto altrove.

Dire no, almeno per me, non significa schierarsi. Qui non si tratta di essere o non essere d’accordo con questo o quel sindacato, non è una questione politica. Si tratta di essere obiettivi e di guardare il mondo della scuola “dal di dentro”, conoscendone le dinamiche. La non condivisione generale vorrà pur dire qualcosa. E non si tratta di concludere, in modo semplicistico, che la scuola italiana, e di conseguenza i docenti, non ha voglia di essere giudicata. La questione non è la valutazione in sé ma il modo in cui si pretende di valutare la scuola che non è un’azienda qualunque, dove chi è bravo e produttivo merita un premio e gli altri a casa. Perché nelle scuole ci sono tante variabili che condizionano i risultati, perché gli allievi costituiscono il “materiale umano” su cui si lavora, non plasmabile o adattabile alle esigenze del mercato. Perché se in Italia ci sono moltissime scuole che funzionano, le altre, quelle che funzionano un po’ meno, si ritroverebbero a fare le cenerentole, senza che nessuno si preoccupi di risollevarle da una condizione di debolezza che può dipendere, ancora una volta, da fattori esterni e dinamiche complesse che non sono necessariamente attribuibili all’incompetenza del corpo docente.

La non condivisione, dunque, non dev’essere letta come un “no perché no”. Piuttosto si deve ricercare la causa di questo no ed io la vedo, in particolare, nella volontà di calare dall’alto un progetto debole e non oggettivo, come dovrebbe essere, senza che nessuno abbia interpellato in primis chi lavora nella scuola e fa tutto il possibile perché non costituisca il fanalino di coda dell’istruzione europea e non europea.
La condivisione sottintende prima di tutto la conoscenza (non a posteriori, bensì a priori), e in secondo luogo la partecipazione. Gli insegnanti e le scuole chiedono di essere coinvolti in un processo che dovrebbe servire a migliorarsi, evitando tuttavia una classifica che si adatta alle canzoni della Top Ten. Noi non abbiamo nulla da vendere; i “nostri” banchi sono quelli su cui siedono dei giovani che hanno diritto di imparare per non essere gli ultimi della classe, non quelli del mercato dove si vende la frutta più bella che talvolta non è nemmeno la più buona.

[l’immagine è tratta da questo sito]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 4 GENNAIO 2011

Mentre prosegue il dibattito fra e con i miei lettori, un esperto in materia, Giorgio Israel, stretto collaboratore del ministro Gelmini nell’ambito della formazione degli insegnanti, esprime la sua disapprovazione sugli strumenti di valutazione proposti dalla Commissione per assegnare l’ormai famigerato “premio al merito” che pare le scuole interpellate rifiutino con decisione.

Riporto sull’argomento, per brevità, un articolo apparso su Tuttoscuola.com in cui si fa un sunto della posizione di Israel, rimandando alla lettura, se interessa, dell’intero articolo che l’autore stesso ha pubblicato sul suo blog (LINK).

No alla valutazione dei docenti da parte di famiglie e studenti, e neppure da parte dell’Invalsi, come prevede la sperimentazione del Ministero: meglio affidarsi a organi ispettivi esterni.

Questa è la posizione espressa da Giorgio Israel, stretto collaboratore del ministro Gelmini in materia di formazione dei docenti, in un suo documento pubblicato nel sito della Gilda degli Insegnanti.

Le osservazioni formulate da Israel contrastano in maniera significativa con le conclusioni della Commissione che ha messo a punto il progetto di sperimentazione del merito, peraltro respinto dai docenti di molte delle scuole interessate. Secondo Israel l’Invalsi deve restare rigorosamente fuori dalla valutazione dei docenti e anche l’ipotesi di fare degli utenti, cioè studenti e famiglie, i principali attori della valutazione della scuola e dei docenti, è una “scorciatoia illusoria” anche perché esposta a gravi errori.

L’idea che la scuola sia un’azienda fornitrice di beni e servizi e che studenti e famiglie ne siano l’utenza è sbagliata: il sistema migliore di valutazione dell’istituto scolastico e dell’insegnante secondo Israel è quello affidato a competenti in materia, che sono gli ispettori e anche gli stessi insegnanti.

Più che test standardizzati servono relazioni dettagliate e libere nello stile e nei contenuti. “Quel che mi sembra fondamentale assumere come punto di vista”, sottolinea Israel – “è che il processo di valutazione deve essere inteso come un processo culturale e non come un processo manageriale

.

Sono particolarmente soddisfatta di pensarla come Israel e di aver fatto le sue stesse obiezioni. Ciò non fa che confermare che qualcosa della scuola ne capisco.

N.B. Anche se l’articolo di Israel è datato 20 novembre 2010, ne ho avuto notizia solo oggi. Lo sottolineo perché qualcuno non pensi che ne ho tratto ispirazione per il post e per i commenti, facendo mie le valutazioni sue.

GELMINI E PROPOSITI SETTEMBRINI: PREMI AL MERITO, CARRIERA DEI DOCENTI, QUALITÀ, DIRITTO ALLO STUDIO E PRECARIATO.

gelmini In un’intervista rilasciata dal ministro Gelmini al direttore di Tuttoscuola Giovanni Vinciguerra (ecco il link) vengono affrontati i problemi più urgenti che sembrano in via di risoluzione. Prima di tutto il precariato che, secondo la Gelmini, è un problema antico e non direttamente imputabile all’attuale governo. Il ministro, infatti, afferma che la responsabilità di questa situazione è di chi ha alimentato per anni l’illusione che, per fare un esempio, su un ascensore di cinque posti ci si potesse salire in otto.
Stamattina, in un’intervista andata in onda su “Settegiorni Parlamento” (Rai 1), la Mariastella più famosa d’Italia ha ribadito il concetto, spiegando che si è venuto a creare un numero troppo alto di precari, una sovrabbondanza conseguente a una politica sbagliata che ha fatto sì che venissero indetti negli anni ’70 – 80 dei concorsi senza fissare un numero di cattedre e creando, quindi, delle false aspettative in molti docenti che si sono adattati al precariato quasi “a vita”.

Il Piano salva-precari è, a detta del ministro, una vera novità che mette i lavoratori della scuola sullo stesso piano di tutti gli altri che, per un motivo o un altro, si ritrovano senza lavoro. In sintesi, in accordo con il ministro del Welfare Sacconi, la Gelmini ha previsto per i precari della scuola un’indennità di disoccupazione della durata di 8 mesi (12 per il personale che ha più di cinquant’anni), il diritto di accedere a tutte le supplenze brevi e di ottenere la docenza in tutti gli interventi a sostegno degli studenti in difficoltà. L’attivazione e la cessazione dell’indennità sarà gestita automaticamente attraverso l’Inps, grazie ad una procedura informatica che consentirà all’insegnante di non presentarsi necessariamente all’Inps o al Centro per l’impiego per chiedere l’indennità. Se non la risoluzione del problema questo appare almeno un passo avanti.

Quanto ai “premi” per i docenti meritevoli, il ministro ritiene che sia giusto riconoscere il maggior impegno di taluni rispetto ad altri che profondono meno tempo ed energie per la scuola. A tale proposito, nell’intervista riportata da Tuttoscuola, la Gelmini afferma: Non si può contare solo sulla buona volontà, o sullo spirito missionario delle persone. Non è la condizione che favorisce i migliori esiti complessivi. Non lo è in nessun ambiente lavorativo o di relazione, non può esserlo neanche nella scuola.. Io, personalmente, da anni mi chiedo perché mai l’insegnamento debba essere una missione e l’impegno maggiore di alcuni docenti debba basarsi sulla buona volontà. Ma riguardo al fatto che gli insegnanti siano sottopagati, mi sono data una risposta che, per certi versi, si allinea con il pensiero espresso dal ministro: se per anni la scuola italiana ha funzionato grazie al “volontariato” dei docenti che, amando il proprio lavoro e avendo una coscienza, non si sono sottratti ai doveri e hanno sempre fatto molto di più per il bene degli allievi (la maggior parte, almeno, se non tutti), è ovvio che allo Stato non convenga pagarli di più. E perché mai? Tanto lavorano lo stesso! Sì, però questa scelta dettata dal senso del dovere ha fatto sì che la professionalità non sia riconosciuta. È come se noi docenti l’avessimo svenduta ed è per questo che io, personalmente, negli ultimi anni ho selezionato le attività extracurricolari, in modo da dare il giusto valore al mio operato ed avere un riconoscimento economico che non sarà equo (i fondi concessi ai singoli istituti sono quel che sono) ma almeno è visibile.
Sempre parlando del merito, la situazione di alcune realtà scolastiche, di cui le cronache si sono occupate nei mesi scorsi, fa pensare che la qualità degli istituti debba essere misurata sulla base del successo scolastico degli allievi, senza trucchi e senza inganni. In altre parole, è inutile aiutare gli studenti agli esami o durante le prove dell’INVALSI per far vedere che i ragazzi sono preparati e i docenti bravi. Falsare i risultati non porta da nessuna parte, tanto meno sulla strada del merito. Quindi, ben venga il riconoscimento dei giusti meriti, ma devono essere anche scoperti i cosiddetti “altarini”. È questa, secondo me, l’impresa più difficile. Senza contare che quando la Gelmini parla di un adeguato sistema di valutazione, cui starebbe lavorando alacremente l’Invalsi, non si sa bene che cosa abbia in mente. C’è da scommettere che nelle scuole in cui conta più il “fumo” dell’ “arrosto” si stiano attrezzando per far valutare una forma che manca assolutamente di sostanza.

Il merito va premiato, sì, ma non solo quello dei docenti. Al MIUR stanno pensando anche agli studenti. La Gelmini informa che in primo luogo occorre premiare gli studenti che raggiungono i risultati migliori. Premiare il loro talento soprattutto in termini di opportunità per il loro futuro. Penso ad esempio a forme che consentano loro di iscriversi in futuro alle università e ai corsi migliori. Questa mi sembra, onestamente, una proposta saggia. Agevolare in tutti i modi, anche con il sostegno economico, gli studenti più meritevoli è doveroso; dall’altra parte, però, è necessario anche arginare il fenomeno della dispersione e dell’abbandono, agevolando il percorso di quelli che, per scarsa autostima o per sfiducia nell’istituzione, si perdono per strada. Non dimentichiamo che tutti hanno diritto allo studio e chi non ce la fa non sempre sceglie di rinunciare a questo diritto (art. 34 della Costituzione Italiana). Ma di questo ho parlato in un altro post.

Nell’intervista a Tuttoscuola la Gelmini promette: entro sei mesi una nuova carriera per gli insegnanti. Il proposito è stato ribadito anche stamattina ai microfoni di Settegiorni Parlamento; in questa sede il ministro ha informato che l’Italia è, insieme alla Grecia, l’unico Paese europeo in cui non esiste per la classe insegnante un avanzamento della carriera ma solo una progressione economica dettata dall’anzianità di servizio. A tal proposito, su Tuttoscuola si legge: Entro sei mesi intendo definire le regole per la carriera dei docenti. Vorrei farlo con il coinvolgimento dei sindacati e delle associazioni professionali. Apriamo un tavolo, sono aperta a consigli, suggerimenti, proposte, non ad una contrattazione sindacale. Se dopo sei mesi si sarà pervenuti a una soluzione condivisa bene, altrimenti il Governo andrà avanti per la propria strada prendendosi tutte le responsabilità. E’ una cosa troppo importante, un passaggio fondamentale per arrivare a quella valorizzazione dei docenti che tutti vogliamo. C’è da scommettere che i sindacati, specie alcuni, non condivideranno le proposte e protesteranno se le decisioni in merito verranno prese autonomamente dal Governo. In ogni caso, speriamo che i buoni propositi e le iniziative di cui parla la Gelmini vadano in porto. La scuola così com’è non funziona: credo sia nell’interesse di tutti farla funzionare al meglio. E pazienza se nelle tasche di noi docenti ci sarà qualche decina di euro in più al massimo. Nella situazione di crisi generale in cui ci troviamo, bisogna accontentarsi e pensare a chi sta peggio.

CARA GELMINI, I SOLDI IN PIÙ NON LI VOGLIO PIÙ

Il titolo del post sembra un po’ cacofonico, quasi in rima, una brutta rima … non so, m’è venuto così. M’è venuta l’idea di scrivere queste quattro righe ( che poi, nonostante le buone intenzioni e il poco, pochissimo tempo, diventano otto, magari sedici o forse trentadue …, insomma diciamo che mi dilungo, non ho la dote della sintesi, nemmeno quando metto gli incisi tra parentesi, così chi mi legge deve tornare indietro e poi i miei allievi si possono risentire quando a margine delle loro belle colonne di foglio protocollo scrivo a grandi lettere NON USARE PERIODI TROPPO LUNGHI DI DIFFICILE LETTURA .. speriamo che, impegnati nello studio, non mi leggano!) …. Oddio, ho perso il filo! Dicevo, m’è venuta l’idea di scrivere queste tot righe (non mi sbilancio) perché ho letto l’intervista che il ministro Mariastella Gelmini ha rilasciato il 19 aprile al Giornale di Vicenza.

Sorvolo sulla questione della riforma delle superiori che partirà nel 2010 e non c’è ragione, dice lei, di fare sperimentazioni o anticipi; non parlerò della questione del maestro unico e della riforma della primaria che non porterà ad esuberi, dice sempre lei, perché parte dalla prima e il modulo resta per gli altri quattro anni; non mi va nemmeno di parlare dei tagli, veri o presunti, di cui ho trattato a sufficienza in altri post; non riaffronto l’argomento dell’inglese alle medie e della seconda lingua che, se uno non ha voglia d’imparare, può anche non studiare e così potenzia l’inglese. No, non ci penso neanche di parlare di tutto questo, visto che i giornali e i blog sono pieni di parole parole parole sul tema… e dire che la Gelmini non è nemmeno una ex show girl, come la Carfagna, penso però che nel ruolo di prima donna ci sguazzi, eccome!

Ho deciso, dunque, di trattare l’unico argomento che per ora ha suscitato il mio interesse: il “premio” promesso ai docenti meritevoli. Ne parla, la Mariastella nazionale, da quando ha posato il suo grazioso (?) sedere sulla sedia di ministro. È stato uno dei primi argomenti affrontati dalla gentile signora, anzi signorina, che dai monitor televisivi, con la messa in piega appena fatta e gli occhialini colorati da snob, ammiccava ai docenti promettendo soldi a palate perché è davvero scandaloso, diceva, che gli insegnanti guadagnino così poco. Finalmente s’è capito, ho intimamente esultato. Quando poi ho udito che i soldi promessi, perché il premio è costituito chiaramente dal vile denaro, mica bruscolini, erano una bella cifra, 7000 euro, ho esultato non più tanto intimamente, non solo per i soldi, ma per una pura e semplice questione di principio: ci sono una sacco di insegnanti che hanno meno titoli di me e lavorano molto meno di me – non parlo dei cosiddetti “fannulloni”, parlo di gente normale che si guadagna lo stipendio senza ammazzarsi di fatica – e che godono, a parità di anzianità, dello stesso stipendio mio che per quel che fanno è già tanto. Io, invece, sempre solerte nell’affrontare gli impegni, pronta ad autoaggiornarmi, a leggere e a scrivere cartelle su cartelle, io che passo interi week end a correggere i compiti, che accetto di ricevere i genitori fuori orario, il sabato perché è la giornata migliore per chi lavora, io che sono pronta ad ascoltare tutti e prolungo quasi giornalmente il mio orario di servizio o non usufruisco delle mie ore libere facendo quello che mi pare, io che, sentendo nostalgia delle riunioni, quando per un mese non ne ho, me le invento … Ma tutto questo Mariastella non lo sa; come posso fare per dirglielo? Beh, non è nemmeno necessario che mi scervelli perché tanto, in un modo o nell’altro, sarà lei, il ministro in persona, probabilmente attraverso moduli complicatissimi, a chiedermi che cosa faccio oltre a passare le mie diciotto ore settimanali nelle aule scolastiche e come lo faccio. Magari interrogherà i miei allievi per assicurarsi che siano ben preparati, o magari chiederà loro se in classe spiego o leggo il libro di testo, o se forse mi aggiorno su ciò che accade nel mondo leggendo il quotidiano. Non è dato sapere ancora quali saranno “le modalità per attribuire queste risorse premianti secondo criteri che riconoscano, appunto, professionalità e qualità delle prestazioni, in linea con quanto accade in quasi tutti i Paesi d’Europa”, dice il ministro. Non resta che attendere, sì, ma fino al 2012 … peggio che un miraggio nel deserto!

Ma mentre attendo pazientemente di conoscere queste modalità, mi ronza per la testa un triste sospetto: non è che grazie a questi soldi in più, scattando l’aliquota, quella malefica aliquota che uno ha il terrore di superare perché la successiva si abbatte come una scure sul già misero stipendio, alla fine prenderò meno soldi di prima? Il fatto è che il sospetto è più che legittimo, soprattutto alla luce di fatti recenti e sconcertanti che hanno riguardato la mia retribuzione che nel bonifico bancario prende il nome di “emolumenti”. Già, perché a febbraio, mentre attendevo l’annunciato aumento, cioè ad occhio e croce quelle misere ottanta euro in più lorde, nella busta paga ho avuto un’amara sorpresa: trecento euro in meno. O almeno questo era il calcolo che potevo fare sulla base del totale degli “emolumenti” recitato dal triste estratto conto bancario … veramente, quella triste ero io, lui, l’estratto conto, non c’entrava per nulla.

Il mistero ebbe una spiegazione all’arrivo del cedolino dello stipendio: una riga sulla colonna denominata “ritenute fiscali” mi rendeva partecipe di un conguaglio, a debito naturalmente, di trecento euro. Chieste le opportune spiegazioni all’ufficio contabilità della scuola, mi è stato risposto che nello scorso anno avevo guadagnato un bel po’ di soldi in più. Detto così, può sembrare che mi sia arricchita con gli straordinari; in realtà avevo tenuto un corso di recupero e ottenuto dei compensi accessori per progetti vari. Non dico il totale, più per pudore che per altro, o per vergogna perché ci sono quelli che l’importo in questione lo guadagnano con gli straordinari di un mese, due al massimo; tuttavia posso garantire che la cifra non si allontanava molto da quella che mi viene attribuita ogni anno sempre a fronte degli stessi impegni. Già, ma allora perché gli anni scorsi non avevo mai pagato un debito fiscale? Perché, mi è stato spiegato, nel frattempo mi è scattato l’aumento per l’anzianità … ah, dico io, è scattato l’aumento, è scattata l’aliquota, a momenti mi scattano anche i nervi, ne avrei ben donde.

La storia, però, non finisce qua. A dimostrazione del fatto che in fin dei conti quello che guadagno non m’interessa poi tanto, nel senso che l’impegno profuso non tiene conto dell’equa retribuzione, altrimenti lavorerei molto meno, un piccolo particolare mi era sfuggito guardando il cedolino dello stipendio: il fatto che accanto alla somma relativa al conguaglio era visibile una data di scadenza: marzo 2009. Così, il mese dopo un’altra mazzata, altre trecento euro! In pratica dovrei ringraziare il generosissimo e solidale ministero dell’Economia e delle Finanze per avermi concesso di pagare il mio “debito” in ben due rate. Mi sono sentita davvero commossa, quasi alle lacrime … o forse quelle erano lacrime di disperazione, magari di rabbia. Boh.

Ma con il mese di aprile potevo finalmente godere del mio integro stipendio con tanto di aumento, o almeno così pensavo. E invece no. Un’altra volta l’estratto conto sputato così gentilmente dal bancomat mi ha riservato una bella sorpresa: rispetto allo stipendio di gennaio, un euro e 34 centesimi in meno. Ma l’aumento dov’è? Io a questa domanda non ho risposta; ma nonostante la mia allergia per i numeri e i calcoli matematici, i conti proprio non tornano. Una cosa, però, l’ho capita: più soldi lo Stato ti dà, più te ne toglie, quindi, cara Gelmini, io quel premio non lo voglio, sempre che me lo meriti, s’intende, perché si rivelerebbe un’arma a doppio taglio.

Concludo con un’altra brutta e cacofonica rima: CARA GELMINI, QUEI SOLDI IN PIÙ TIENITELI PURE TU!