GELMINI E SPERIMENTAZIONE DEL MERITO: ECCO PERCHÉ NO

Ormai è noto che la maggior parte delle scuole coinvolte nella sperimentazione del merito (su proposta univoca del ministro Mariastella Gelmini) ha deliberato, all’interno del Collegio dei Docenti, di non aderire alla proposta. Su diversi siti web compaiono elenchi di scuole che hanno detto no e in altri siti si riportano dei fac-simile di delibere.

Ecco, ad esempio, le motivazioni del no proposte dai Cobas:

 il rinnovato tentativo da parte del Ministero di introdurre nella scuola pubblica dei sistemi di valutazione del merito ha come scopo la diffusione della concorrenza (tra le scuole e all’interno personale docente) e la gerarchizzazione del personale;
 i singoli istituti verranno valutati in gran parte sulla base dei test Invalsi, i quali si sono dimostrati negli anni, del tutto inadeguati a misurare il livello di apprendimento degli alunni e del tutto estranei a valutare l’effettiva funzione della scuola nella crescita delle nuove generazioni;
 le verifiche esterne saranno effettuate da un team la cui “indipendenza” è tutt’altro che evidente e comprovata;
 verrà stilata una graduatoria tra le scuole e, cosa peggiore, individuata una fascia di migliori con una percentuale massima del 25%! (se le scuole fossero tutte allo stesso livello, su che base si dovrebbe scegliere chi fa parte del 25% dei fortunati?)
 verrà istituito un Nucleo ristrettissimo di persone atte a valutare il restante personale, imprimendo un duro colpo ai processi democratici decisionali interni alla scuola, accentrando sempre più i poteri nelle mani di pochi;
tale sperimentazione, se venisse attuata comporterebbe ripercussioni altamente negative per la dignità del lavoro docente, dell’insegnamento come lavoro collettivo e ancora di più per la didattica e lo sviluppo del sapere critico;

A ciò si aggiunga il fatto che la sperimentazione è sottofinanziata (come ho spiegato QUI) e le risorse sono derivate da parte dei risparmi ottenuti grazie ai “tagli” operati in seguito all’applicazione dell’art. 64 della Legge 133 (“tagli” attribuibili all’esigenza del risparmio stabilita da Tremonti piuttosto che dalla Gelmini stessa).
Di tutto questo ho già parlato in altri post; in particolare in questo avevo espresso le mie perplessità che, guarda caso, coincidono con quelle messe in evidenza dal fac-simile di delibera riportato sopra. L’unica cosa che, sinceramente, non mi aspettavo è questo coro di no; anzi, prevedevo una corsa al premio che, invece, non c’è stata. La cosa non può che farmi piacere perché denota la serietà dei docenti che sono stufi di essere presi in giro. Rimane, tuttavia, il sospetto che questa sia una presa di posizione puramente politica, come ho già detto altrove.

Dire no, almeno per me, non significa schierarsi. Qui non si tratta di essere o non essere d’accordo con questo o quel sindacato, non è una questione politica. Si tratta di essere obiettivi e di guardare il mondo della scuola “dal di dentro”, conoscendone le dinamiche. La non condivisione generale vorrà pur dire qualcosa. E non si tratta di concludere, in modo semplicistico, che la scuola italiana, e di conseguenza i docenti, non ha voglia di essere giudicata. La questione non è la valutazione in sé ma il modo in cui si pretende di valutare la scuola che non è un’azienda qualunque, dove chi è bravo e produttivo merita un premio e gli altri a casa. Perché nelle scuole ci sono tante variabili che condizionano i risultati, perché gli allievi costituiscono il “materiale umano” su cui si lavora, non plasmabile o adattabile alle esigenze del mercato. Perché se in Italia ci sono moltissime scuole che funzionano, le altre, quelle che funzionano un po’ meno, si ritroverebbero a fare le cenerentole, senza che nessuno si preoccupi di risollevarle da una condizione di debolezza che può dipendere, ancora una volta, da fattori esterni e dinamiche complesse che non sono necessariamente attribuibili all’incompetenza del corpo docente.

La non condivisione, dunque, non dev’essere letta come un “no perché no”. Piuttosto si deve ricercare la causa di questo no ed io la vedo, in particolare, nella volontà di calare dall’alto un progetto debole e non oggettivo, come dovrebbe essere, senza che nessuno abbia interpellato in primis chi lavora nella scuola e fa tutto il possibile perché non costituisca il fanalino di coda dell’istruzione europea e non europea.
La condivisione sottintende prima di tutto la conoscenza (non a posteriori, bensì a priori), e in secondo luogo la partecipazione. Gli insegnanti e le scuole chiedono di essere coinvolti in un processo che dovrebbe servire a migliorarsi, evitando tuttavia una classifica che si adatta alle canzoni della Top Ten. Noi non abbiamo nulla da vendere; i “nostri” banchi sono quelli su cui siedono dei giovani che hanno diritto di imparare per non essere gli ultimi della classe, non quelli del mercato dove si vende la frutta più bella che talvolta non è nemmeno la più buona.

[l’immagine è tratta da questo sito]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 4 GENNAIO 2011

Mentre prosegue il dibattito fra e con i miei lettori, un esperto in materia, Giorgio Israel, stretto collaboratore del ministro Gelmini nell’ambito della formazione degli insegnanti, esprime la sua disapprovazione sugli strumenti di valutazione proposti dalla Commissione per assegnare l’ormai famigerato “premio al merito” che pare le scuole interpellate rifiutino con decisione.

Riporto sull’argomento, per brevità, un articolo apparso su Tuttoscuola.com in cui si fa un sunto della posizione di Israel, rimandando alla lettura, se interessa, dell’intero articolo che l’autore stesso ha pubblicato sul suo blog (LINK).

No alla valutazione dei docenti da parte di famiglie e studenti, e neppure da parte dell’Invalsi, come prevede la sperimentazione del Ministero: meglio affidarsi a organi ispettivi esterni.

Questa è la posizione espressa da Giorgio Israel, stretto collaboratore del ministro Gelmini in materia di formazione dei docenti, in un suo documento pubblicato nel sito della Gilda degli Insegnanti.

Le osservazioni formulate da Israel contrastano in maniera significativa con le conclusioni della Commissione che ha messo a punto il progetto di sperimentazione del merito, peraltro respinto dai docenti di molte delle scuole interessate. Secondo Israel l’Invalsi deve restare rigorosamente fuori dalla valutazione dei docenti e anche l’ipotesi di fare degli utenti, cioè studenti e famiglie, i principali attori della valutazione della scuola e dei docenti, è una “scorciatoia illusoria” anche perché esposta a gravi errori.

L’idea che la scuola sia un’azienda fornitrice di beni e servizi e che studenti e famiglie ne siano l’utenza è sbagliata: il sistema migliore di valutazione dell’istituto scolastico e dell’insegnante secondo Israel è quello affidato a competenti in materia, che sono gli ispettori e anche gli stessi insegnanti.

Più che test standardizzati servono relazioni dettagliate e libere nello stile e nei contenuti. “Quel che mi sembra fondamentale assumere come punto di vista”, sottolinea Israel – “è che il processo di valutazione deve essere inteso come un processo culturale e non come un processo manageriale

.

Sono particolarmente soddisfatta di pensarla come Israel e di aver fatto le sue stesse obiezioni. Ciò non fa che confermare che qualcosa della scuola ne capisco.

N.B. Anche se l’articolo di Israel è datato 20 novembre 2010, ne ho avuto notizia solo oggi. Lo sottolineo perché qualcuno non pensi che ne ho tratto ispirazione per il post e per i commenti, facendo mie le valutazioni sue.