COMUNICAZIONI IN FAMIGLIA … VIA CELLULARE

Noi mamme dobbiamo ammetterlo: l’invenzione del telefonino ci ha semplificato la vita o almeno ce l’ha resa più serena. Non dico che in prima elementare i figli debbano essere muniti di cellulare. I miei l’hanno avuto uno in terza media e l’altro in prima, semplicemente perché il mio secondogenito si è sempre rifiutato di riconoscere che tra lui e il fratello ci sono quasi due anni di differenza: si è sempre considerato un suo gemello. Su quest’ultimo particolare eviterei qualsiasi commento.

Insomma, ovunque siano, possiamo comunicare con i nostri pargoli, più o meno cresciuti. Sempre che rispondano … anche su questo particolare eviterei qualsiasi commento.
Il fatto è che una volta si diceva che i figli stavano attaccati alla gonna della madre, ora si dice, invece, che stanno attaccati al cellulare. Vivono in simbiosi con quei 100 grammi (è troppo? è troppo poco? Boh, mai controllato il peso dei telefonini …) di metallo. Sembra che il telefonino possa dare qualsiasi riposta, qualsiasi informazione.

Prendiamo oggi, per esempio. Mio marito fuori a pranzo, il pranzo pronto nel frigorifero (con 32 gradi in casa evito accuratamente di mettermi ai fornelli! meglio qualcosa di fresco …), il primogenito già rientrato, io al pc nello studio (il mio angulus su cui prima o poi dovrò scrivere un post), in attesa del rientro del mio piccolo (21 anni, 1 metro e 95 di altezza ma per me sempre piccolo è). Lo sento arrivare, percepisco i suoi passi diretti verso la cucina (la tavola non è ancora apparecchiata, particolare indispensabile per comprendere il resto), poi lo sento parlare. ‘Parla da solo?’, mi chiedo preoccupata. Sento che dice “Ohi, non c’è nessuno qui. Tu dove sei?”. Quasi simultanemente sento mio figlio grande, che è in camera sua, ovvero a pochi metri da me, che dice: “Qui, dove? Tu dove sei?” (mai una volta che rispondesse senza formulare, a sua volta, una domanda!). Rimango basita e prima ancora di riuscire a dire: “Siete due deficienti!”, sento il piccolo che fa: “A casa, ma non c’è nessuno. E la mamma?”. Allora urlo: “Sono in studio! E state parlando, come due deficienti [non potevo fare a meno di dirlo!], al telefonino a pochi passi l’uno dall’altro”.

In casa cala il silenzio per qualche frazione di secondo. Poi il piccolo, dirigendosi verso la camera che condivide con il fratello, grida: “Ma sei un co***one! Perché hai risposto che mi va giù la ricarica?”. E l’altro: “Ecchennessò che stai qua e che sei così co***one da telefonarmi invece di cercarmi per casa!”. (i miei figli si insultano spesso ma vi posso garantire che si amano molto e che io, quando li sento, mi arrabbio moltissimo)

Poi, naturalmente, le ho sentite anch’io: “E perché non mi hai detto ‘ciao, sono qui’ appena mi hai sentito entrare?”. Ed io: “E tu perché, invece di attaccarti al cellulare, non hai provato a chiedere: ‘C’è qualcuno in casa?'”. Nessuna risposta.

Ma, scusate, cosa avreste fatto voi? A parte il fatto che se apro la porta blindata e vedo che non è chiusa con le solite quattro mandate capisco che qualcuno in casa deve esserci (anche se spesso loro si dimenticano di chiuderla quando escono), ma mi viene naturale chiedere: “C’è qualcuno?“. Ai giovani d’oggi evidentemente non viene naturale. Il mondo cambia, è vero, anche le comunicazioni in famiglia cambiano ma, ahimè, non sempre in meglio.