I VOTI AI PROF? MAH!

scuola1Grazie alla segnalazione di un “amico” commentatore, ho letto l’articolo del Corriere sull’iniziativa degli studenti del liceo Berchet di Milano che, assieme ai risultati dei loro scrutini, hanno esposto anche i giudizi sui propri prof. Che sia un primo passo verso la valutazione dei docenti auspicata dal ministro Gelmini, anche in vista di una progressione della carriera? Prima o poi ci saremmo arrivati, indubbiamente, ma che dei ragazzi adolescenti prendano l’iniziativa con il benestare del Dirigente Scolastico mi sembra veramente un tantino azzardato.

Non stupisce che da parte loro i docenti non siano così soddisfatti. E non stiamo parlando di chi è stato “bocciato” o ha rimediato qualche “debito”, magari in “spiegazione”, ovvero nella “capacità di trasmettere il sapere”. Beh, docenti non si nasce, com’è ovvio, ma si diventa, e, diciamolo, i “vecchi” docenti non hanno avuto, nell’ambito della didattica, alcuna preparazione. Per quanto mi riguarda, i concorsi ordinari che ho sostenuto e superato sono stati impostati sul puro nozionismo: i contenuti delle materie che poi si sarebbero insegnate e tutte le leggi che riguardano la scuola, in particolare, e la Pubblica Amministrazione, in generale. Poche nozioni di psicologia e pedagogia rientravano nei programmi ma, almeno a me, nessuno le ha chieste. Mi sorge il dubbio che nemmeno i commissari ne fossero edotti.

Della valutazione degli insegnanti si è parlato anche anni fa, quando il ministro Luigi Berlinguer aveva ipotizzato una specie di quizzone per saggiare la preparazione dei docenti. Ma anche in questo caso, il giudizio si sarebbe limitato alle conoscenze riguardo alle proprie materie. In più ci sarebbe stata una valutazione dei titoli che avrebbe contribuito al “voto” finale. Ricordo che allora ci fu un’insurrezione generale, anche da parte dei sindacalisti, che per la maggior parte sono di sinistra. Eppure il ministro e il governo di allora appartenevano al centro-sinistra. Lo sottolineo perché pare che un po’ di gente che lavora nel mondo della scuola abbia la memoria leggermente corta. Sembra, infatti, che gli errori madornali e le proposte un po’ bislacche siano da imputare solo ai ministri di centro-destra, ma in effetti non è così.

Sempre qualche anno fa il mio Dirigente di allora aveva proposto al Collegio dei Docenti una specie di questionario di gradimento, da somministrare ai ragazzi e alle loro famiglie, per valutare l’operato dei professori. Neanche a dirlo la proposta fu bocciata dai docenti che, stupiti e anche furibondi, ritenevano la questione una vera e propria ingerenza, un’ingiustificata intromissione nel lavoro altrui che quasi quasi avrebbe potuto preannunciare un’indebita violazione della libertà didattica che per i docenti è sacrosanta, quasi come il giorno libero. Certo, una reazione così non è del tutto biasimabile, al di là del fatto che ci sono persone che deliberatamente scelgono di insegnare per fare i loro comodi, sapendo che non c’è nessuno che li controlli e confidando nel fatto che i ragazzi non abbiano il coraggio di protestare. E in questo caso, non servirebbero nemmeno le minacce perché i ragazzi sono consapevoli che certi insegnanti sono un po’ come i clienti del ristorante: hanno sempre ragione. Si potrebbe aggiungere anche che hanno sempre il coltello dalla parte del manico, giusto per rimanere nell’ambito dei modi di dire, e che quel coltello si chiama voto. Non è da sottovalutare, infatti, la capacità di un docente di trovare il modo per “fregare” i propri allievi meritevoli di tale trattamento, ed è una capacità semplice da applicare, in fondo, se si conoscono i punti deboli dei ragazzi destinati alla crudele punizione solo perché hanno osato criticare l’operato dell’insegnante.

Fondamentalmente sarei d’accordo che ci si faccia giudicare dai propri allievi; sono contraria, però, all’esposizione dei “voti”, così come non condivido la prassi di esporre i risultati degli scrutini delle classi. E non mi si venga a dire che comunque i voti dei “bocciati” non vengono esposti al pubblico ludibrio; non è questo il punto, una volta che uno è bocciato i voti si possono immaginare e non è rilevante che abbia avuto più due o tre, o solo quattro e cinque. Quindi a maggior ragione sarei contraria all’esposizione dei voti per i prof perché verrebbe, in questo modo, messa in dubbio la loro professionalità attraverso il giudizio non sempre equo degli allievi. E non sto dicendo che ragazzi di quattordici o diciotto anni non siano in grado di giudicare, sto pensando alla loro obiettività. È naturale che un docente “odiato” da qualcuno, anche se preparato professionalmente e in grado di svolgere al meglio il proprio lavoro, anche dal punto di vista umano, potrebbe risultare un “fannullone”, per usare un’espressione tanto cara al ministro Brunetta, o un incapace. Dall’altro lato, un insegnante molto permissivo, che fa rilassare gli allievi concedendo pause durante le ore, o che li porta un po’ in giardino a scorrazzare così si stancano e non rompono, che non interroga mai perché ha altro da fare, tipo leggere il giornale o mandare sms alla fidanzata, che fa un compito a quadrimestre invece di tre e lo porta corretto tre mesi dopo, che regala i voti e s’inventa il numero delle assenze perché non ha nemmeno voglia di compilare il registro, che inventa pure il programma svolto e lo fa firmare agli allievi tranquillizzandoli che poi non darà il debito a nessuno, questo docente, signori miei, sarebbe un ottimo docente, avrebbe dei voti altissimi e, beandosi del successo ottenuto a fine anno, inviterebbe pure i ragazzi a mangiare la pizza.

Se poi, disgraziatamente, dovesse venir richiesta la valutazione da parte delle famiglie, allora i docenti, almeno alcuni, si troverebbero in un mare di guai. Cercherò di spiegare, in breve, perché le mamme e i papà non sono sempre in grado di giudicare obiettivamente un bravo docente.
Prima di tutto troppo spesso i genitori si fidano di quello che dicono i figli, naturalmente se c’è qualcosa che non va nel rapporto con un determinato docente o se il profitto è negativo; in questo caso la colpa viene addossata all’insegnante che non è capace di spiegare. Anche quando arrivano ai colloqui in cerca di un chiarimento, spesso i genitori non cambiano idea e, alcuni educatamente altri un po’ meno, insinuano che forse, dico forse, il programma va troppo veloce, le interrogazioni sono frettolose, l’insegnante non spiega bene , e magari non rispiega perché ritiene che chi non capisce al volo sia un emerito cretino e merita, quindi, di ripetere l’anno, quando non deve addirittura cambiare scuola o anche andare a zappare i campi perché, secondo molti, nelle aule scolastiche ci sono poche menti pensanti e troppe braccia rubate all’agricoltura. Ora, non dubito che qualche collega sia proprio così, ma ho delle riserve sulla reale obiettività dei ragazzi e sulla capacità dei genitori di comprendere le ragioni degli insegnanti. Questo succede anche perché spesso capita che mamme e papà arrivino ai colloqui ostentando la loro agiatezza .-che si concretizza in gioielli tempestati di diamanti e capi d’abbigliamento firmati- e guardino i docenti dall’alto delle loro centinaia di migliaia di euro di reddito annuo, al basso delle due decine di migliaia cui arriva a stento il guadagno di un docente con una certa anzianità di servizio.

È evidente, però, che ci siano pareri discordi tra ragazzi e genitori di una stessa classe riguardo al medesimo docente. È raro, infatti, che tutti la pensino allo stesso modo e se c’è una coesione tra le parti normalmente è volta a mettere in luce le “pecche” di un determinato docente, quasi mai le virtù. Poi, diciamo anche questo, il giudizio delle parti considerate è assai mutevole. Faccio un esempio: se il proprio figlio è bravo, arrivano al colloquio con un sorriso e si profondono in elogi; se, malauguratamente, il profitto cala, arrivano con il volto scuro, fare minaccioso e pretendono di vedere il compito cui è stato assegnato un due –cosa che, tra l’altro, rientra nei sacrosanti diritti, peccato, però, che del compito valutato con un bell’otto non gliene importi nulla- e poi chiedono anche com’è andato in generale, perché se ci sono tante insufficienze sarebbe da annullare. Insomma, lo stesso docente non può essere giudicato in modo obiettivo se il profitto dell’allievo è altalenante e altrettanto mutevole è l’atteggiamento dei genitori.

Ci sarebbero tante altre cose da dire ma è meglio che mi fermi per non annoiare i lettori. Un’ultima cosa, però, la voglio dire: non sono i prof a non voler essere giudicati, sono i ragazzi a voler fare i grandi e dimostrare anche loro di saper esprimere dei giudizi. Purtroppo però, mentre i docenti quasi mai danno i voti a caso, semmai utilizzano le più svariate griglie di valutazione, i ragazzi non hanno altri strumenti che il loro estro e del loro estro io personalmente non mi fido.

DECRETO GELMINI: SFILANO GLI STUDENTI, IGNORANZA PRÊT À PORTER

studenti contro gelminiEccomi qua, lo sapevo, a parlare del decreto Gelmini. Mi ero riproposta di non farlo: internet e i vari blog pullulano di articoli sul tema … e l’ignoranza regna padrona. Non solo da parte dei blogger, anche da parte di molte persone che si accalorano cercando di difendere la propria opinione nei vari commenti. Ebbene sì, lo ammetto: anch’io ho commentato, molto, forse troppo. A furia di commentare avrei fatto prima a scrivere un post. Ma, prendendo in prestito i sublimi versi di Manzoni, di mille voci al sonito mista la mia non ho.

Che cos’è, allora, che mi ha fatto cambiare idea? Potrei dire lo scontro avuto stamattina a scuola con la dura realtà, ovvero l’autogestione studentesca. Ma forse non è stato quest’evento a scatenare l’estro creativo. Piuttosto il disgusto provato nel seguire i dibattiti televisivi di questi giorni, dove ciascuna parte è convinta che chi gli sta davanti sia un emerito deficiente; nel leggere i quotidiani, ognuno con una sua versione dei fatti a seconda della linea politica appoggiata (ah, dov’è andata a finire l’oggettività del cronista!); nel constatare, attraverso i sevizi dei vari Tg, l’ignoranza di tante persone che, con malcelato protagonismo, hanno approfittato delle telecamere per esprimere la loro opinione.

Ecco, vorrei partire proprio dai servizi dei telegiornali. Sono rimasta allibita soprattutto nel vedere sfilare in corteo genitori, maestri e bimbi, tutti solidali contro l’unico nemico del momento: il ministro Gelmini. A parte il fatto che trovo di cattivo gusto coinvolgere i bambini, sotto la falsa parvenza di una protesta educativa – gli inconsapevoli pargoli non ne capiscono nulla di maestri unici e moduli, ma sono portati a prendere per oro colato tutto ciò che i grandi dicono loro -, la cosa più discutibile è quest’alleanza improbabile tra famiglie ed educatori. Ma quando mai? Da madre e da insegnante so bene quanto sia difficile conciliare le diverse vedute che le due parti hanno in ambito educativo. Gli insegnanti sono spesso rimproverati di non fare il loro dovere, di non assegnare i compiti (i bambini devono essere perennemente occupati: non esiste estate senza l’adorato Libro delle Vacanze!) o di assegnarne troppi, di non capire le esigenze degli scolari e delle famiglie, di non applicare l’insegnamento individualizzato, diritto sacrosanto dei più deboli … potrei continuare ma non voglio dilungarmi troppo. Da parte loro, i maestri sono ben pronti a definire quello scolaro un tonto, quell’altro un incapace, il terzo un ipercinetico e così via. Il tutto senza cercare di venire incontro alle esigenze o di trovare un rimedio alle difficoltà. Ma che alleanza! A meno che sconfiggere il comune nemico non abbia fatto sottoscrivere una specie di tregua tra le due componenti, pronte, però, a riprendere gli scontri una volta calmate le acque.

A proposito di sevizi in TV, c’è stato un bel vedere nei giorni scorsi. Sul Tg regionale, ad esempio, ho ammirato il cipiglio di una maestra prossima alla pensione che condannava il ripristino del maestro unico come un ritorno all’antico. Mai sentito parlare dei corsi e ricorsi storici? La giornalista, con tono un po’ provocatorio, le ha fatto notare che loro due, l’intervistata e l’intervistatrice, erano pur cresciute bene con il maestro unico, quindi dove stava il problema? Inorridita la maestra attempata ha risposto che “i tempi sono cambiati”. A parte la genericità dell’argomentazione, potrei obiettare che se le maestre hanno tanta paura di tornare ad affrontare da sole la classe, non è per via dei programmi, molto più ampi e diversificati, come fanno credere, quanto piuttosto perché si sono abituate a cambiar aula e scolari dopo un tot ore e non saprebbero più starci tanto tempo con un’unica scolaresca. E sapete perché? Perché i bambini, non solo i tempi, sono cambiati e sono sempre più stressanti. E poi, che dire del clima di confronto che si respira, anzi che gli scolari respirano, con il sistema dei moduli? Molto spesso è un clima di scontri, quando non si arriva all’esercizio del potere e dell’autorità da parte di una sola persona, mentre le altre soccombono nel nome del benessere dei bambini. Eh già, perché a scuola si deve stare bene. Sembra che negli ultimi anni questa sia l’esigenza primaria. Non ci si chiede più cosa si fa, cosa si trasmette ai discenti in termini di conoscenze, competenze e abilità; la cosa importante è che loro, i discenti, stiano bene a scuola. Ma quando mai gli scolari, o più in generale gli studenti, stanno bene a scuola? Diciamo che nelle anguste e tristi aule scolastiche ci stanno perché devono. Nemmeno al liceo sanno dare un valore a quello che imparano, figuriamoci alle elementari!

Un’altra intervista, sempre nel solito Tg, mi ha scioccata: un bambino di circa otto anni, interrogato sul motivo per cui stava manifestando contro il reinserimento del maestro unico, ha candidamente risposto “Boh, non so … è meglio così … e poi le mie maestre sono simpatiche!”. Ma qualcuno gliel’ha spiegato che le sue adorate maestre il decreto Gelmini non gliele tocca, visto che il ritorno al maestro unico è graduale, partendo dalla prima del prossimo anno scolastico? Forse non gliel’hanno spiegato. Ma lui è piccolo, che ne può sapere? Sì, ma i grandi lo sanno; e allora, mi chiedo, perché protestano per i tagli degli organici quando il ministro ha assicurato che non ci saranno licenziamenti proprio perché il progressivo ritorno al maestro unico (in cinque anni!) dà modo alle maestre “giovani” di conservare il proprio posto perché la riduzione non è repentina, e a quelle attempate di andare nel frattempo in pensione? E poi, chi ha detto che la riduzione dell’orario a 24 ore faccia sparire il tempo pieno? Proprio perché a fine ciclo ci saranno degli esuberi, e nessuno sarà licenziato, visto che nella Pubblica Amministrazione per perdere il posto bisogna essere proprio dei disgraziati, il tempo pieno sarà garantito proprio per conservare a tutti gli insegnanti il posto di lavoro. Il governo garantisce che “in 5 anni ci saranno 5.750 classi in più con il tempo pieno. Con la media di 21 alunni per classe, in cinque anni 82.950 alunni in più avranno il tempo pieno”. Perché non vogliamo credergli? Persino Napolitano ha affermato in un suo intervento che “non si può dire sempre no”.

Ma veniamo alle proteste degli studenti più grandi. Nelle scuole superiori stanno dilagando l’occupazione e l’autogestione. Di fronte a quella che, dal punto di vista dell’ordine pubblico, è sentita come un’emergenza, Berlusconi ha affermato: “non permetteremo che vengano occupate scuole e università, perché l’occupazione di luoghi pubblici non è dimostrazione dell’applicazione della libertà, non è un fatto di democrazia, è una violenza nei confronti degli altri studenti, delle famiglie, nei confronti delle istituzioni e dello Stato“. E ha concluso: “Convocherò oggi il ministro degli Interni e darò a lui istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine“.
La dichiarazione, legittima e ben argomentata, ha subito suscitato scalpore. Perché? Dobbiamo lasciare che succeda nelle scuole quello che è accaduto lo scorso venerdì a Lecce: “banchi distrutti, finestre in frantumi, cattedre rovesciate e porte rotte, auto dei professori danneggiate e ragazzi cacciati dalle aule …”? L’ho letto su un quotidiano e credo che questa sia un’eventualità non molto remota anche per altre realtà scolastiche. Poi, da parte di un Dirigente Scolastico, è doveroso garantire l’incolumità delle persone, l’integrità dei beni pubblici (le scuole lo sono) e il diritto allo studio che chi non aderisce alla protesta deve poter esercitare.
E ancora, siamo così sicuri che gli studenti degli istituti superiori siano convinti di protestare per il bene della collettività? Sarò maligna, ma sono sempre del parere che solo una piccola percentuale di loro protesta con cognizione di causa. Perdere giorni di scuola è troppo allettante per lasciarsi sfuggire l’occasione. Sia chiaro, non sono contraria alla manifestazione del dissenso in sé, ma non sopporto vedere gente bivaccare in giro per la scuola, mentre le aule sono deserte e i luoghi di dibattito ben poco frequentati. Senza contare che nel programma di autogestione del liceo in cui insegno sono inserite attività ludiche, cioè un eufemismo per dire che possono fare gli affari propri … e dico “affari” per puro autocontrollo, dato che nella mia mente è apparsa repentina tutt’altra parola che, per decenza, ho scacciato subito.

Si potrebbe pensare che io parli in questi termini solo perché sono a favore del Decreto Gelmini. Niente affatto. Parlo a ragion veduta, specialmente dopo che un mio allievo di seconda, che ha aderito all’autogestione, mi ha chiesto con fare ingenuo: “Ma si fa sciopero per i tagli … o per che cosa?”. Se non è ignoranza questa! A parte il fatto che non sanno nemmeno distinguere tra sciopero e autogestione, non sanno nemmeno i motivi della protesta.
A proposito di tagli, anche sull’università si è fatto un gran parlare. Subito a dire che il Decreto porterà alla chiusura di molti atenei. A parte il fatto che il Decreto non parla di ciò: si limita a dire che, qualora le università lo vogliano, potranno trasformarsi in fondazioni. Questo perché i soldi pubblici vengono sprecati. E poi, se guardiamo i dati, in Italia ci sono meno laureati del Cile, nessun ateneo italiano si colloca entro i primi 150 nel mondo, ci sono 327 facoltà con meno di 15 iscritti e addirittura 37 corsi di laurea con un solo studente! Insomma, se il governo deve rendere conto a noi cittadini di come viene speso il denaro pubblico, è un preciso dovere tagliare gli sprechi. Il che non significa licenziare il personale, ma razionalizzare le risorse umane per creare una qualità che, fatte le dovute eccezioni, di fatto non esiste.

Se poi affrontiamo il discorso guardando i dati OCSE, come dice Schleicher, responsabile delle ricerche sull’istruzione, “il vero problema dell’Italia è come vengono spesi i fondi elargiti dallo Stato. Esattamente il contrario di quanto fa, ad esempio, un Paese come la Corea del Sud, dove il numero dei professori è minore e il loro stipendio è più alto”. C’è poi da dire che in Italia solo il 45% degli iscritti all’università arriva alla discussione della tesi, contro una media OCSE del 69%. Quindi, è palese che si debba puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Meno corsi di laurea ma più possibilità di laurearsi e soldi pubblici ben spesi.

Insomma, si continua di parlare di riforma ma nel D.Lg. non c’è alcun barlume di riforma. Quella universitaria è già stata fatta dal ministro Moratti che ha portato, sempre secondo l’OCSE, ad un aumento dei laureati dal 17% del 2000 al 39% del 2006. E, guarda caso, questo piccolo successo è dovuto ad una riforma del centro – destra. Per la riforma delle superiori, ci sono stati due tentativi: quello del ministro Luigi Berlinguer e quello della Moratti. Tutto , poi, si è fermato solo per questioni politiche. Ora la riforma è più che mai necessaria ed è ovvio che parta da quella lasciata in sospeso dalla Moratti, che poi è in parte ripresa da Berlinguer. La Gelmini, però, forse perché troppo giovane e carina per essere affidabile, è già accusata dai media di plagio. Ma signori, nessun plagio: perché non riusciamo a credere che qualcosa di buono sia attribuito dalla sinistra alla destra e viceversa? La scuola è da sempre ostaggio degli scontri politici e ciò ha causato la sua malattia cronica. È ora di finirla: anche il presidente Napolitano ha ammesso che bisogna andare avanti, superando gli antagonismi, per il bene di una scuola malata. Ora più che mai è necessario dare fiducia all’azione del governo. Lo stesso Berlinguer, che non è amico di Berlusconi e non va fuori a cena con la Gelmini, si è dichiarato non del tutto contrario al decreto sulla scuola.
In un’intervista al quotidiano “Il mattino” Luigi Berlinguer ha dichiarato: «Ho l’impressione che una grossa parte di insegnanti abbia vissuto le misure del governo, a torto o a ragione, come un’offesa. ”Io taglio perché la scuola è uno spreco”, questo è il messaggio recepito. Con questa realtà penso che si debbano fare i conti.”
E poi, ancora: «All’interno dello schieramento intravedo una parte che vuole solo tagliare per risparmiare e una parte in cui le istanze europee e dell’Ocse sono presenti. Si lavori per uscire da questa pura contrapposizione e per trovare una via al dialogo. E anche il centrosinistra si batta per cambiare».

In conclusione, non mi illudo che tutta questa baraonda sia il risultato di una profonda riflessione sull’istruzione. Qui si tratta di mettersi tutti al capezzale del malato per trovare una cura insieme. Se ciò non sarà possibile, ben venga l’unica cura possibile, anche se la ricetta viene prescritta da un unico medico. Se il consulto è fuori discussione, l’unica cosa da sperare è che la cura sia efficace.