150 DELL’ITALIA: FESTA SÌ, FESTA NO

“Italia sì, Italia no …” cantava Elio con le sue Storie Tese. Oggi, mentre si discute sulla festa nazionale che pareva già indetta per il 17 marzo, in ricordo dell’unificazione dell’Italia, la questione è un’altra: festa sì? festa no? Per il momento non è chiaro se sarà festa oppure no.

Il 20 gennaio scorso pareva che il Consiglio dei Ministri avesse deliberato per la proclamazione della festa nazionale, una tantum. In occasione del 150esimo anniversario e poi per altri cinquant’anni ci si può tranquillamente dimenticare di quest’evento. Mi chiedo, quindi, come mai altre feste civili continuino ad essere celebrate: il 25 aprile, per esempio, o il 2 giugno.

La proposta ha subito suscitato delle polemiche: la prima ad espirmere la propria contrarietà fu Emma Marcegaglia. Il Paese è in crisi, non è proprio il caso di far festa con il rischio, poi, che si faccia anche il ponte, considerato che il 17 marzo cade di giovedì. In Italia, si sa, i ponti si fanno con facilità, eccetto quello sullo Stretto di Messina di cui si parla da decenni.

A ruota segue la disapprovazione della Lega: Calderoli, infatti, sostiene che in un periodo di crisi come quello attuale appare paradossale caricarsi dei costi di una giornata festiva, un evento significativo quale il 150esimo dell’Unità d’Italia può essere celebrato degnamente lavorando e non restando a casa. Ma che tale obiezione provenga proprio dalla Lega non stupisce nessuno: come ben dice il mio amico frz40 in un commento ad un suo post, se si trattasse dell’anniversario dell’indipendenza della Padania, una settimana di festa, per Calderoli, sarebbe andata benissimo.

Ora ci si mette anche il ministro del MIUR Mariastella Gelmini, contraria alla chiusura delle scuole: «Il miglior modo di celebrare il 17 marzo e’ quello di dedicare questa giornata alla riflessione sui valori dell’Unita’ d’Italia. Io credo che, nella scuola, questo obiettivo non si raggiunga stando a casa. Non si deve equiparare l’anniversario a una qualsiasi giornata di vacanza. E’ giusto invece dedicare le ore di lezione all’approfondimento e alla conoscenza della nostra storia unitaria. In questo modo la scuola potra’ svolgere un ruolo da protagonista nelle celebrazioni».

Mi chiedo, quindi, come mai si rifletta così bene stando a casa sul significato della Liberazione, del giorno dedicato ai lavoratori o quello in cui si ricorda la nascita della Repubblica Italiana. E si riflette standosene tra le quattro mura domestiche – sempre che non lo si faccia durante un’allegra scampagnata fra amici, cosa ben più probabile – tutti gli anni, badate bene. Il 17 marzo, invece, si festeggerebbe solo quest’anno.

Lo stesso tipo di riflessione l’ha fatta anche Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, secondo il quale «non si possono fare guerre di principio su una celebrazione così importante» e aggiunge: «poiché la ricorrenza si può celebrare solo in quell’occasione, se ne dovrà sicuramente parlare in classe, ma non è detto che si debba fare necessariamente il 17 marzo: si può anche creare un dibattito e un confronto sull’Unità d’Italia il giorno prima o il giorno dopo». E se qualcuno ha qualcosa da obiettare sul mancato rispetto dei 200 giorni di lezione, «le scuole potranno rimanere chiuse, per poi recuperare le lezioni non svolte quel giorno attraverso l’eliminazione di una delle vacanze meno rilevanti». Poiché il 25 aprile quest’anno coincide con il Lunedì dell’Angelo e il Primo Maggio cade di domenica, si potrebbe eliminare proprio quel 2 giugno che, a pochi giorni dalla fine delle lezioni, appare pure un po’ scomodo, proprio quando si devono concludere i programmi e terminare le verifiche per la salvezza dei soliti ritardatari.

Senza contare il caos che, proprio nelle scuole, si è venuto a creare. Dopo che a palazzo Chigi il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, solo pochi giorni fa, ha annunciato la festa nazionale per il 17 marzo, in molti istituti è già stato deliberato il giorno di vacanza e in alcuni casi, su richiesta dei genitori, è stato già concordato il fatidico ponte.
Ora i presidi chiedono chiarimenti e lamentano che questo clima polemico abbia contribuito a rovinare la festa.

Insomma, che si faccia o meno festa a scuola, poco importa, sinceramente. Ma è una questione di principio: la Gelmini ha, infatti, caldamente incoraggiato le attività rivolte all’educazione dei fanciulli, delle scuole di ogni ordine e grado, nell’ambito della Cittadinanza e Costituzione. Va da sé che fare un giorno di vacanza in questa occasione per gli studenti rimane sempre un’opportunità in più per dormire fino a tardi ed evitare compiti in classe ed interrogazioni. Ma quel che conta è il messaggio che si lancia: una “festa” è sentita come “vacanza” (a chi mai salterebbe in mente di andare a scuola il giorno di Natale o a Capodanno?); recarsi al lavoro o andare a scuola significherebbe non attribuire ad una “festa” il significato che le è dovuto.

La questione, secondo me, è un’altra ed è politica. Già la Lega ha mostrato la sua contrarietà, dimostrando come questa unità l’Italia ce l’abbia solo sulla carta. Poi ci sono anche le rimostranze che provengono da regioni, diciamo così, separatiste: «Non mi sembra il caso di festeggiare e posso dire che non è una questione etnica e non vogliamo offendere nessuno. I 150 anni per noi non rappresentano soltanto Garibaldi e i moti di fine Ottocento ma ci ricordano la separazione dalla nostra madrepatria austriaca. Noi non abbiamo fatto iniziative per favorire l’Unità d’Italia come altre regioni. Non volevamo nel 1919 e non volevamo nel 1945. Successivamente abbiamo accettato il compromesso dell’autonomia amministrativa. Se gli italiani vorranno parteciparvi lo possono fare, certamente noi non ci opporremo», così si esprime il presidente della giunta provinciale altoatesina, Luis Durnwalder. E noi Italiani lo ringraziamo, naturalmente.

C’è qualcos’altro da aggiungere?

Io una cosa l’avrei: VIVA L’ITALIA!

[Fonti: LINK 1, LINK 2, LINK 3 e LINK 4]

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