SCRITTORI (FORSE) SI NASCE, LETTORI SI DIVENTA

Non amo i romanzi di avventura. Non sono mai riuscito a terminarne uno. Stevenson mi annoia, per non dire di Verne. Persino il grande Conrad mise a dura prova i miei nervi infantili.

Così inizia un articolo autobiografico di Alessandro Piperno, pubblicato su Il Corriere.

Non c’è nulla di male, intendiamoci, se uno scrittore, piuttosto noto e che, a parer mio, rappresenta uno dei pochi esemplari in via d’estinzione tra la fauna scrittoria attuale, confessa di non essere stato attratto dal piacere per la lettura fin dalla più tenera età. Insomma, scrittori forse si nasce ma lettori si diventa. Al di là degli stimoli che in casa e a scuola si possono ricevere, non è detto che ci si appassioni alla lettura. Se si ha a disposizione, ad esempio, una biblioteca paterna come quella di Leopardi, non è scontato che vi passino ore ed ore durante la giovinezza, emulando il poeta recanatese. Anzi, è molto più probabile che si finisca per odiare quella biblioteca e quei libri così a portata di mano. A volte il gusto della ricerca è molto più appassionante.

Capisco che il mio aspetto sedentario possa autorizzare chiunque a immaginarmi precocemente invischiato con carta, inchiostro, fumanti tazze di tè. La verità è che a dodici anni sguazzavo nel tiepido mare dell’analfabetismo di ritorno. I miei sogni di gloria, del tutto convenzionali, si esaurivano in qualche prodezza calcistica o canora. Così prosegue la sua confessione lo scrittore romano, classe 1972.

A dodici anni è più che umano nutrire altri interessi e non essere dei topi da biblioteca. Anch’io a quell’età avevo mille altri interessi, pur coltivati per la maggior parte in ambito culturale, sicché non sarebbe onesto definirmi, rispetto a quei tempi, un’analfabeta di ritorno. Ricordo che un anno prima avevo ricevuto in regalo per il mio compleanno un libro per bambine sceme dal titolo Il birichino di papà. Lo accantonai, trattenendo a stento il disgusto e diprezzo per un dono che, nella classifica dei regali più graditi, stava decisamente all’ultimo posto. Mi trattenni solo perché quel dono proveniva da un ragazzino che mi piaceva assai. Poi realizzai che sicuramente non l’aveva acquistato, nonché scelto, lui ma la sua mamma, quindi non ebbi alcuna remora nell’accantonare quel libro esprimendo liberamente il mio disgusto e il mio disprezzo.
Lo lessi solo qualche anno più tardi. Il primo libro in assoluto che letteralmente divorai fu Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren, ma solo perché seguivo la serie televisiva. Dovevo avere circa tredici anni, se non ricordo male.

Piperno, nel seguito del suo racconto, spiega in che modo si era accostato alla lettura: dopo una delusione amorosa, avendo il ragazzino indetto una specie di sciopero della fame come forma di protesta nei confronti dell’insensibile Viola che aveva ignorato le sue attenzioni, arrivò in soccorso il padre che si presentò in camera sua con un libro e con fare perentorio gli disse: “leggilo“.

Che sciocchezza! L’idea che una cosa pallosa come un libro potesse liberarmi del grumo di desiderio frustrato che mi strozzava l’esofago mi sembrava un insulto. Tuttavia c’era un non so che di familiare nel ragazzino in copertina. Oggi so che si trattava di un quadro di Modigliani intitolato Il figlio del portinaio. Eppure nessuna delle cose che so oggi è in grado di restituirmi l’empatia che mi colse alla sprovvista la prima volta che incrociai quel mesto sguardo di ragazzo. Tutto mi accomunava a lui: solitudine, indolenza, inessenzialità.

Il libro si intitolava “Il segreto”. L’autore era anonimo. Per la precisione Anonimo Triestino. Una specie di inno al mistero. Oh, ecco finalmente un mistero attraente. Il mistero di quel ragazzino senza nome con un segreto da custodire, ovvero il mio stesso mistero, il mio stesso segreto.

Quindi l’attenzione del giovanissimo Alessandro alle prese con la prima delusione d’amore fu catturata dall’immagine di copertina e dal ritrovarsi in quel fanciullo. Il tutto fa pensare che a volte il titolo di un libro non sia l’unica cosa in grado di catturare l’attenzione, né lo scrittore, in questo caso addirittura senza nome. Allora, quando ogni residua resistenza, pur tenace fino a quel momento, si allenta, si prende il libro, lo si sfoglia, quasi ostentando indifferenza, si legge l’introduzione, forse pensando che la lettura del tutto si esaurisca nella rapida scorsa di quella parte. E invece – almeno a Piperno è successo questo – si prosegue. Lo scrittore si sofferma in particolare sulla dedica:

Tutto il turbamento che mi comunicò questa introduzione non era niente a confronto del terremoto emotivo prodotto in me dalla dedica del libro e dal suo incipit.

«A Bianca, nel cui costante pensiero le ho scritto, dedico queste pagine, perché si meravigli, e sorrida di tanta fanciullaggine, e provi forse un po’ di rimpianto».

Se oggi, nel trascriverla, mi colpiscono soprattutto la sintassi macchinosa e il lessico ottocentesco, la prima volta che la lessi mi bastò sostituire al nome Bianca quello della mia volubile amata (una sostituzione non troppo difficile visto che anche il suo nome era un colore), per sentire il groppo in gola premere fin quasi a soffocarmi di commozione. Ero certo di essere il solo uomo sulla faccia della terra che potesse capire una dedica del genere. Così romantica, così nostalgica, così piena di magnanimità. Ma allo stesso tempo così subdolamente ricattatoria!

L’immedesimazione: ecco quel quid che si attendeva. Galeotto fu il libro, dunque. Galeotto nel senso che da allora iniziò l’amore per la lettura che non deve essere mai forzato. Amare i libri deve essere una scelta e l’inizio di questo amore non ha data né età. Quando si viene catturati dalla lettura è per sempre, non importa se abbiamo sei anni, e sappiamo a mala pena leggere, o se ne abbiamo sessanta. L’importamte è che sia una scelta spontanea, non una forzatura come la scuola vorrebbe imporre.

La lettura per diletto si distingue, quindi, da quella scolastica. Ciò non significa che non si possa trovare gradevole una lettura imposta, ma che, almeno nella maggior parte dei casi, l’obbligo uccide il piacere se quel piacere non è già insito nel bambino o nell’adolescente alle prese con le letture scolastiche.

Continua Piperno: L’attacco del libro, invece, era decisamente autocelebrativo: «Non c’è dubbio: io fui un bambino precoce». Possibile che quest’uomo mi avesse letto dentro così bene? Fu la prima volta nella mia vita in cui provai risentimento per un autore che mi aveva rubato l’idea per un romanzo. Molti anni dopo, all’università, sarebbero stati parecchi i professori che avrebbero cercato di inculcarmi due principi fondamentali per leggere un libro:
1) Non identificarsi mai con i personaggi.
2) Non confondere mai la vita del Narratore con quella dell’Autore.

Fu l’Anonimo Triestino a donarmi l’antidoto per resistere al veleno di quei dogmi così assennati e meschini.

Quegli insegnamenti, quella raccomandazione a non immedesimarsi, a non provare a vestire i panni di uno dei personaggi, a non confondere la realtà con la finzione … sono proprio questi gli errori da evitare se si vuole davvero provare il piacere della lettura. Cosa c’è di più bello del calarsi nell’atmosfera magica di un libro, del sentirsi parte della vita dei personaggi, del gioire o piangere insieme a loro, dell’ammirare un paesaggio attraverso l’immaginazione ma con la convinzione che il tramite siano gli occhi stessi di quei personaggi? Cosa c’è di più gratificante dell’abbandono completo della realtà, di cui non si percepiscono più odori, immagini, colori, di cui non si sentono più i suoni, nello sfogliare lento o rapido, a seconda dei gusti personali e dell’abilità di ognuno, le pagine che descrivono la vita vera, annullando la nostra nella finzione? E cosa c’è di più gradevole dell’espressione quasi estasiata che assumiamo, alla fine del libro, quando ormai abbiamo già di fronte la quarta di copertina con quei commenti che non abbiamo letto prima (per non esserne influenzati) e che ora continuiamo ad ignorare perché nulla ci può donare quella beatitudine, quel rapimento quasi estatico che abbiamo conquistato con le sole nostre forze, senza imposizione alcuna?

Ecco, quando queste sensazioni, questo distacco dalla realtà sarà originato da una lettura obbligata, allora potrò anche essere d’accordo sul fatto che i giovani debbano essere obbligati a leggere, secondo i gusti personali dei genitori o degli insegnanti.
Certo, capita di affrontare letture poco piacevoli anche se scelte da noi, un errore di valutazione ci può sempre stare, un consiglio dato da un amico può non rientrare nelle proprie preferenze. Però l’importante è che si sbagli da soli.

Mi rendo conto di essermi allontanata dall’articolo di Piperno, soprattutto dallo spirito della sua confessione che è quello del mistero e della scoperta. Per questo invito i lettori a leggerlo per intero al link de Il Corriere.
Quel che mi importava sottolineare era che nessuno deve sentirsi obbligato a leggere e nessuno deve arrogarsi il diritto di costringere alla lettura. In questo condivido appieno i dieci diritti del lettore elencati da Daniel Pennac nel suo Come un romanzo.

Mi piace concludere con una frase dell’indimenticabile Massimo Troisi: «Io non leggo libri. Perché loro sono in tanti a scrivere, io sono uno a leggere. Non ce la posso fare». Ed effettivamente in Italia si scrive tanto e si legge poco. Che sia anche colpa delle letture imposte agli studenti?

[immagine da questo sito]

Falcone lo ricordo così, con il sorriso

Per commemorare Giovanni Falcone lascio la parola a Pino Scaccia che, molto meglio di quanto potrei fare io, ci lascia un ricordo di questo grande uomo che non temeva nulla e nessuno.
Voglio solo ricordare una sua frase: “La mafia è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà una fine”.
Mi chiedo solo: quando?

La Torre di Babele

Il giorno di Capaci stavo a Mosca. Ricordo che fu uno choc anche per i russi: la notizia ebbe ampio risalto. Con Falcone avevo fatto appena in tempo ad avere un minimo di rapporto. Dopo averlo inutilmente inseguito a Palermo, me l’ero ritrovato faccia a faccia a Oslo. Era il principale relatore in un convegno sulla droga e non mi lasciai sfuggire l’occasione rara di intervistarlo. Mi colpì di lui la pacatezza. Parlava piano, guardandomi negli occhi, ma ogni parola era un macigno. In due minuti mi regalò un’analisi lucida e concreta sulla piovra. Aveva idee chiarissime e il coraggio per portarle avanti. Come hanno ricordato anche all’Fbi fu il primo a intuire, molto prima della globalizzazione, che la lotta al crimine doveva essere universale, senza confini. Era sicuramente un passo avanti tutti gli altri, forse perché veniva dalla Kalsa, un quartiere dove non era facile scegliere da che parte…

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