“LA BUSTINA DI MINERVA” di UMBERTO ECO: “E QUANT’ALTRO”

lettereE quant’altro: un’espressione che detesto. Mi fa venire l’orticaria quasi come “assolutamente sì”. Hai voglia di spiegare a scuola, agli allievi, che “assolutamente” non ha una connotazione positiva, che è nato come avverbio negativo. Loro candidamente replicano che sul dizionario è scritto che si può dire “assolutamente sì”. Per forza, i vari Zingarelli, Sabatini-Coletti e i Devoto-Oli, cari compagni dell’età che fu, hanno deposto le armi davanti agli usi impropri del lessico italiano. Il bell’idioma è morto, facciamocene una ragione.
Personalmente nella riflessione di Umberto Eco, non trovo disdicevole quanto lui l’uso dell’abbreviazione prof. Un tempo sì, la ritenevo alquanto offensiva. Ora non più, anzi, mi sembra quasi un titolo affettuoso più che accademico, un’apostrofe che rimanda all’umanità della persona piuttosto che al suo titolo professionale. Sarà che la scuola è caduta dal suo piedistallo, sta sulla terra e non più innalzata al cielo del beati italofoni, ed è già tanto che non sprofondi nell’inferno più buio. Saremo noi prof dal titolo abbreviato a salvarla dallo sfacelo? Speriamo.

E quant’altro non avrei da dire, se non rivolgere l’invito a voi tutti a leggere questa “Bustina di Minerva” del sempreverde Eco. Mi rammarico, tuttavia, che fra le espressioni in voga nel nostro eloquio (a volte trasformato in turpiloquio) quotidiano, il buon Umberto, paladino del bel parlare, non abbia inserito anche l’insana abitudine di usare “piuttosto che” nell’accezione, tutta sbagliata ma tanto amata da molti, disgiuntiva al posto di “oppure”. Ma questo è un altro libro.

BUONA LETTURA!

umberto_ecoÈ ovvio che le persone che hanno raggiunto un’età sinodale siano infastidite dallo sviluppo della lingua, non riuscendo ad accettare i nuovi usi degli adolescenti. E la loro unica speranza è che questi usi durino lo spazio di un mattino, così come è accaduto con espressioni come “matusa” (anni Cinquanta-Sessanta, e chi la impiega ancora si rivela appunto, lui o lei, come matusa) o “bestiale” (ho udito una signora di incerta età usarlo e ho capito che era ragazza nei lontani anni Cinquanta). Però sino a che i nuovi usi circolano tra i ragazzi, direi che sono affari loro, talora molto divertenti. Diventano urtanti quando ci coinvolgono.

Non ho mai potuto sopportare, diciamo dagli Ottanta in avanti, che mi si chiamasse “prof”. Forse che un ingegnere lo si chiama “ing” e un avvocato “avv”? Al massimo si chiamava “doc” un dottore, ma era nel West, e di solito il doc stava morendo alcolizzato.

Non è che abbia mai protestato esplicitamente, anche perché l’uso rivelava una certa affettuosa confidenza, ma la cosa mi dava noia e me la dà ancora. Meglio quando nel ’68 gli studenti e i bidelli mi chiamavano Umberto e mi davano del tu. Chissà perché quando uno dice “prof” mi viene in mente uno con la faccia di Ricky Memphis.

Un’altra cosa a cui ero abituato è che le donne si dividevano in bionde e brune. A un certo punto “bruna” è diventato forse fuori moda e certo a me evoca le canzoni degli anni Quaranta e le pettinature con la frangetta. Fatto sta che a un certo punto non solo i ragazzi ma anche gli adulti hanno iniziato a parlare di una “mora” (e l’altro giorno ho letto su un giornale che un ballerino classico è un bel moro).

Orribile espressione, perché ai tempi andati “mora” veniva riservato alle odalische musulmane che danzavano sui cadaveri degli ultimi difensori di Famagosta, e oggi mi evoca il richiamo scurrile di un maschiaccio in canottiera che grida a una ragazza che passa “ehi, bella mora!”, e fatalmente si pensa alle maggiorate fisiche di Boccasile, o a giovani italiane che vincevano il concorso Cinquemila Lire Per Un Sorriso, olezzanti di profumi nazional popolari e con una foresta sotto le ascelle. Ma è così, le bionde rimangono bionde (platinate o cenere o paglierino che siano) mentre chi ha capelli scuri diventa una mora, anche se ha il viso di Audrey Hepburn. Insomma, preferisco gli inglesi che dicono “dark-haired” o “brunette”.

Detto questo, non è che sia misoneista, e via via ho assorbito nel mio lessico, se non come parlante attivo almeno come ascoltatore passivo, gasato, rugare, tavanare, sgamare, assurdo, punkabbestia, mitico, pradaiola, pacco, una cifra, lecchino, rinco, fumato, gnocca, cannare, essere fuori come un citofono, caramba, tamarro, abelinato, fighissimo, allupato, bollito, paglia e canna, fancazzista, taroccato, fuso, tirarsela. Ancora giorni fa un quattordicenne mi ha informato che a Roma, anche se si capisce ancora “marinare”, in ogni caso non si usa più “bigiare” ma si dice “pisciare la scuola”.

Comunque, a essere sincero, preferisco i neologismi giovanili al vizio adulto di dire a ogni piè sospinto “e quant’altro”: Non potete dire “e così via” o “eccetera”? Per fortuna son tramontati “attimino” ed “esatto”, per cui l’Italia era diventato il bel paese dove l’esatto suona, ma “quant’altro” rimane anche nei discorsi di persone serie ed è pareggiato in Francia solo dall’uso incontenibile di “incontournable” che serve a dire (udite, udite) che qualcosa è importante (e al massimo è imprescindibile). “Incontournable” è qualcosa che quando lo incontri non puoi giragli intorno ma devi farci i conti, e può essere una persona, un problema, la scadenza del pagamento delle tasse, l’obbligo della museruola per i cani o l’esistenza di Dio.

Pazienza, meglio i vezzi linguistici che l’uso improprio della lingua e, visto che recentemente un nostro deputato, per dire che non l’avrebbe tirata per le lunghe, ha affermato in Parlamento che sarebbe stato “circonciso”, sarebbe stato preferibile che si fosse limitato a dire soltanto “sarò breve, e quant’altro”. Però, almeno, non era antisemita. [LINK all’articolo originale]

12 pensieri riguardo ““LA BUSTINA DI MINERVA” di UMBERTO ECO: “E QUANT’ALTRO”

  1. Lo ammetto, mi ritrovo nella schiera dei tuoi alunni…non sono sconvolta da “assolutamente sì” e neppure da “quant’altro” Neanche “prof” mi sconvolge 😉 Evito di utilizzare “piuttosto che” nell’accezione errata che menzioni, ma non mi viene l’orticaria se lo sento dire.
    E adesso non vorrei peggiorare la situazione, ma, da ignorante, chiedo: la lingua non è da considerarsi in evoluzione? E quando si può accettare un neologismo o un nuovo significato come evoluzione della lingua?

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  2. Molto interessante, non posso commentare, non è la mia lingua, amo ascoltare. Quando arrivai in Italia nel 1980, la parola in voga, fra giovani e non, era, “sono in coma”, anche altri che non ricordo più.

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  3. Marisa, però se ci pensi “assolutamente” significa “in maniera assoluta”, quindi in teoria non dovrebbe avere alcuna accezione positiva o negativa.
    Invece ho faticato tanto per capire cosa volesse dire “mora”, quando, ai tempi, lo sentii per la prima volta.
    In quanto a “prof.” mi sembrava quasi offensivo usarlo, nonostante “professoressa” o “professore” fossero molto lunghi. Qualche anno fa, all’università, invece, fu una professoressa stessa a dirci di chiamarla prof.. Da lì lo ha proprio sdoganato!

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  4. @ Monique

    Ti rispondo prendendo in prestito le parole di Cesare Marchi:

    «Una lingua che non si evolve e rifiuta ogni apporto esterno, è una lingua morta. Ma se si evolve e cambia troppo rapidamente, accettando dall’estero tutto, brillanti e spazzatura, rischia di perdere la sua individualità, e di morire per altra via.»

    @ frz

    Mi sfugge il senso delle tue parole … 🙄

    @ 3theperfectnumber

    Prendo di nuovo in prestito le parole di Cesare Marchi, noto giornalista, scrittore ed ex insegnante con la passione per la lingua italiana, scomparso nel 1992, per consolarti un po’:

    «La nostra lingua è seminata di trabocchetti per gli stranieri che la studiano, figuriamoci per gli italiani, che non la studiano mai.» 🙂

    @ Valentina

    E’ vero quello che dici su “assolutamente” ma io ho studiato – mi pare all’università – che si usa solo in accezione negativa e lo confermò anche Cesare Marchi (questo post me l’ha fatto rievocare 🙂 ) nel suo “Impariamo l’italiano”.

    Quanto a “mora”, figurati che mio suocero lo usava come aggettivo per dire “scura di carnagione”, “abbronzata”. Ricordo che un giorno andai a trovarlo dopo essere stata al mare, e mi apostrofò dicendo “Ma che bella mora!”, facendo rimanere interdetta la signora che si occupava di lui, visto che io sono bionda. E’ evidente che si riferisse all’abbronzatura ma non era così scontato per tutti.

    Io una volta odiavo “prof” ma ora mi ci sono abituata che mi sembra strano quando qualcuno – specie i genitori – mi chiamano professoressa …

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  5. Sei in sintonia con Pan, la sua contro il quant’altro e il piuttosto che è una guerra personale!

    Io ce l’ho solo col “piuttosto che”, intollerabile l’ “attimino” (ho una registrazione in cui lo dico io, hai presente quando saresti disposta a qualsiasi cosa per cancellare le prove di un passato vergognoso? 😯 ), e le citazioni di chi non sa quello che dice, dalla mancia data “in brevi manu” alla persona con “saver fuàr” (lo scrivo come fu pronunciato… ).

    l termine “prof” invece lo vivo come te, un’affettuosa confidenza, un’umanizzazione di quello che una volta veniva vissuto come un cerbero, ma la domanda mi sorge spontanea: come parleranno i nostri nipoti?

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  6. @ Diemme

    Non so come parleranno i nostri nipoti ma, tornando al quesito che si pone Monique, direi che la nostra lingua piuttosto che un’evoluzione sta subendo un’involuzione.

    Ho trovato sul blog di Pan un video che non posso evitare di postare.

    Troppo forte!

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  7. In passato qualcuno mi aveva già manifestato delle perplessità circa “assolutamente sì”, ma io son d’accordo con Valentina: per me “assolutamente” è quasi un rafforzativo ed io lo uso sia con una particella di negazione che di affermazione. Oppure anche isoltamente in risposte a domande come: “sei d’accordo con quanto detto?” “Assolutamente”. Qui il “sì” sarebbe ridondante, ammetto, ma in questo esempio “assolutamente” ha chiaramente un’eccezione positiva, di consenso.
    In quanto a “prof.” non mi disturba più di tanto, mentre il “piuttosto che” non lo tollero: non si potrebbero utilizzare i classici “oppure”, “o”, “in alternativa a”? Esistono!
    Tra l’altro il libro “Piuttosto che”, di cui fornisci il link, l’ho letto ed a mio parere dovrebbero leggerlo anche moltissimi parlanti dell’italiano poco coscienti della propria lingua…

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  8. A me piace quando i miei studenti mi chiamano prof, forse perché io per primo l’ho usato con i miei professori. Quando mi chiamano professore, mi sembra che abbiano un timore nei miei riguardi che non merito, e che non voglio incutere in loro. Anche se i miei studenti da me hanno molto da temere se non studiano 😉
    Quanto all’ “assolutamente sì” , lo vedo come una moda: come ha scritto lo stesso Eco (se non sbaglio), non è sbagliato, ma è brutto perché ha adombrato tutte le altre espressioni equivalenti.
    “E quant’altro” è altrettanto fastidioso, ma se fosse per me sarebbe fastidioso “e via discorrendo” , quindi vedo anch’esso come una moda: prima o poi passerà!

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  9. Grazie Marisa per questa segnalazione: leggo sempre volentieri Umberto Eco e leggevo tutte le settimane “La bustina di Minerva”, perché il nostro professore, col suo stile arguto e senza essere assolutamente pedante, riusciva sempre a insegnarci qualcosa o a raccontare qualche aneddoto interessante.
    Ho segnalato l’articolo anche nella “Scuola che Funziona”.
    A presto!

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  10. @ Scrutatrice

    Probabilmente l’hai sentito da me, conduco da tempo una vera e propria battaglia contro l’ “assolutamente sì”! Come osserva anche Marco, è una vera e propria moda e forse per questo mi infastidisce. Però posso garantire che, anche se “assolutamente” significa “in modo assoluto” e potrebbe essere inteso sia in senso positivo che negativo, i puristi come me lo rifiutano se utilizzato con un’accezione affermativa.

    Il libro è una lettura che, secondo me, dovrebbe essere obbligatoria a scuola, un libro di testo. 🙂

    @ Marco

    Aborro le mode, specie quando riguardano il linguaggio. Come ho detto rispondendo a Monique, è vero che la lingua è in continuo movimento ma è un peccato che i mutamenti riguardino più le storture che gli abbellimenti veri e propri. Oggi in seconda ho fatto una lezione sulla storia delle lingue neolatine e, parlando del passaggio tra il latino classico e quello volgare, ho pensato che anche allora ci saranno stati quelli che hanno storto il naso quando l’uso del “volgare” caballus ha prevalso su equus. O forse no… avevano cose ben più importanti a cui pensare. 😉

    @ map85

    Cara M. Antonella,

    è sempre un piacere risentirti! Mi è arrivata la notifica da “La scuola che funziona” e ti ringrazio per la segnalazione.

    A presto. Un abbraccio.

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