Questa è una di quelle notizie che avrei pubblicato volentieri di venerdì, giornata riservata alle buone notizie. Ma mi ha talmente commossa che non riesco ad attendere fino a venerdì prossimo.
In realtà è una notizia buona solo a metà. Parla di vita ma anche di morte. Parla di pace, soprattutto. Una pace che due popoli vanno cercando da molti decenni, senza trovare un punto d’incontro. Ma questa è la Storia, quella con la esse maiuscola. Quando, invece, si parla di storia, semplicemente di vita vissuta, di piccoli grandi gesti quotidiani, allora le cose sono un po’ diverse.
Yuval Nizri aveva solo undici anni. Viveva in Israele, nella cittadina di Rishon Lezion, e la scorsa settimana è rimasta vittima di un brutto incidente. I suoi genitori, dopo aver perso la figlioletta, hanno fatto un gesto generosissimo che ha salvato la vita ad altre persone: hanno autorizzato l’espianto degli organi di Yuval per la donazione.
In casi come questi generalmente tutto passa sotto silenzio. Invece dal sito isareliano Ynet è stata diffusa la notizia che, tra le persone salvate grazie al cuore e ai polmoni di Yuval, c’è anche Miran, una bambina quasi coetanea della donatrice. Miran era paziente da 10 anni nell’ospedale Schneider di Petah Tikva e ora può sperare in una vita normale, o quasi.
Fino a qui sembra di leggere una notizia speciale, sì, per il gesto generoso dei genitori della piccola israeliana. Quello che appare eccezionale in questa storia è che Miran è una bambina araba.
Fa venire la pelle d’oca la dichiarazione del padre della bambina palestinese. Dopo il trapianto, ha dichiarato al sito Ynet: “Un cuore ebreo batte in una bimba araba. Questa è la prova che i due popoli possono vivere insieme. E che la pace è possibile. Vorrei ricambiare questo dono e riportare in vita Yuval se solo fosse possibile. Siamo tristi e siamo in lutto. Porgiamo le nostre condoglianze alla famiglia di Yuval. Per tutta la vita saremo grati ai suoi genitori che hanno salvato nostra figlia”.
Devo, a questo punto, ringraziare Pino Scaccia che ha riportato questa notizia sul suo blog. Avrei potuto ribloggare il suo post ma, nel leggerlo, mi è tornata in mente una vicenda relativa alla donazione degli organi, di cui ho parlato qualche tempo fa in questo articolo. Quella vicenda suscita spontaneamente una riflessione, alla luce di quanto appena raccontato.
Per chi non avesse voglia di leggerlo interamente, riassumo il post.
A Padova, un marinaio romeno di 53 anni, che lavorava per un armatore italiano, ha avuto un infarto e necessitava di un trapianto. L’ospedale di Padova, però, non eseguì l’intervento con questa giustificazione: il cittadino romeno non aveva diritto ad un cuore italiano, doveva essere trasferito nel suo Paese d’origine e lì operato.
In soccorso del malcapitato è arrivato l’ospedale Santa maria della Misericordia di Udine che ha trapiantato un cuore nuovo all’uomo, salvandogli la vita. La direzione sanitaria del nosocomio friulano ha commentato il fatto con parole appropriate: «la “Nord Italia Transplant” ha come priorità la salute delle persone, non la loro provenienza e la loro cultura.»
La cosa che più mi ha stupito, in quel frangente, è che non mi aspettavo un atteggiamento così ingiusto da parte dei veneti, che considero persone speciali e straordinarie. Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio. Credo, però, che quei medici che a Padova hanno ritenuto inappropriato che nel petto di un uomo romeno battesse un cuore italiano dovrebbero leggersi la notizia di Yuval e dei suoi meravigliosi genitori e farsi un esame di coscienza.
La pace è sempre possibile, anche oltre la vita. La pace sta nei cuori delle persone e il cuore della bimba israeliana che continua a battere nel petto della giovanissima araba ne è la testimonianza più eclatante.
[notizia e foto da Il Messaggero]