BAMBINO CONTESO: MAMMA PRESIDIA LA CASA DI ACCOGLIENZA DOVE SOGGIORNA IL FIGLIO

bambino contesoRicordate il caso del bambino conteso da mamma e papà che ha fatto scalpore nell’ottobre scorso?
Il fatto accadde a Cittadella, in provincia di Padova, un caso apparentemente privato, come presumo ce ne siano tanti in Italia, che divenne di dominio pubblico perché il filmato che riprendeva il prelevamento del bimbo dalla scuola elementare, con l’intervento della Polizia di Stato, fu trasmesso dalla Rai nel corso di una puntata di “Chi l’ha visto?“.

Allora intervenni in un post per difendere l’operato della poliziotta, “rea” di aver risposto alla zia del bambino, la quale energicamente protestava contro il provvedimento, ““io sono un’ispettrice di polizia, lei non è nessuno”. Da allora i riflettori si sono spenti sul caso, com’era giusto che fosse. Ma oggi sul quotidiano “Il Gazzettinola madre del bambino torna a far parlare di sé e lo fa, com’era prevedibile, in modo alquanto plateale.

La signora, infatti, sta presidiando da 48 ore la casa di accoglienza nella quale ha trovato ospitalità il figlio, dopo che un giudice le ha tolto la patria potestà affidandola al padre in via esclusiva. Ricordo che il genitore, di professione avvocato, si era rivolto al tribunale in quanto, dopo la separazione dalla donna, gli era stato impedito di vedere il bimbo con regolarità e, anzi, la famiglia dell’ex aveva fatto quadrato attorno al piccolo per proteggerlo, a loro dire, da un padre violento con cui lui non voleva stare. Fatto sta che il giudice ha dato ragione al papà e ha disposto il provvedimento, discutibile nei modi finché si vuole, che gli è parso più giusto.

La mamma del bambino, dicevo, ora non intende muoversi dalla sua “postazione” davanti alla casa di accoglienza dove soggiorna anche l’ex marito. Non per volontà sua, come sembra.
La donna spiega così la sua presa di posizione: «Da qui non mi muovo finché non mi verranno date delle spiegazioni. Ho portato pazienza, ma le condizioni paritetiche decise dal decreto del giudice, non vengono assolutamente rispettate. Non posso più stare in silenzio. Se fino ad ora la situazione si poteva dire accettabile, adesso non lo è più. Al mio ex sono concesse cose che io non posso fare, ma che non dovrebbe fare neppure lui perché il decreto parla chiaro. Ha portato mio figlio in casa sua dal 23 al 26 febbraio, mentre dovrebbe rimanere nella struttura. Lui più volte ha dormito nella casa quando invece non potrebbe».

Da parte sua il padre del piccolo non commenta la decisione dell’ex moglie, limitandosi a ricordare il provvedimento che ha portato all’allontanamento del bambino dalla casa materna: «Non prendo posizione su quanto detto dalla signora, dico solo che non vuole che mio figlio venga a casa mia e sta presidiando la struttura. Solo questo basta per far capire la situazione. Sono bloccato qui da due giorni perché, se io esco, ha detto che succederanno delle cose, non so cosa. Per decisione del tribunale sono io l’affidatario unico, ho la patria potestà. Quella della mia ex moglie è decaduta, c’è l’ordine di allontanamento come pure per la sua famiglia».

A questo punto mi chiedo: a cos’è servito tutto il clamore suscitato dal video andato in onda su Rai 3? Il caso, come si può notare, non è molto diverso da altre vicende che, purtroppo, vedono coinvolti dei minori contesi fra genitori e in cui giungere ad un accordo sembra impossibile.
Per quanto possano essere discutibili le decisioni prese dal tribunale dei minori, credo che le si debba accettare e, casomai, discutere civilmente la questione, in privato, per il bene del bambino conteso. Gesti plateali come quello fatto ad ottobre non servono a nulla se, dopo quasi cinque mesi, si è esattamente al punto di partenza.

BAMBINO TRASCINATO VIA DA SCUOLA: PERCHE’ IO STO CON L’ISPETTRICE

Finora mi sono astenuta dal commentare qui la vicenda accaduta a Cittadella, che vede protagonista un bambino di dieci anni conteso dai due genitori e il suo allontanamento dalla madre, avvenuto a seguito di una sentenza del Giudice e portato a termine, in modo assai discutibile, alla fine di una mattinata scolastica. L’ho fatto, però, intervenendo con svariati commenti sul blog di Diemme e di Pino Scaccia, nonché sulle pagine de Il corriere on line.

Se ho deciso di scriverne qui ora è perché sono letteralmente esterrefatta dalle minacce, anche di morte, lanciate sul web, nei più disparati siti, all’ispettrice di polizia, la più alta in grado la mattina di mercoledì davanti alla scuola frequentata dal bambino.
Nel video girato dalla zia del minore si sente l’ispettrice che, pressata dalle domande della zia stessa, la quale per tutta la durata delle riprese continua ad insultare con vari epiteti tutti i presenti, rei di aver eseguito un’operazione voluta da un giudice, dice: “Io sono un ispettore di polizia lei non è nessuno”. Battuta infelice, forse, ma che va correttamente interpretata e contestualizzata.

Chi ha guardato il video ha rivolto in particolare l’attenzione sulle scene, certamente drammatiche, in cui si vede il bimbo prelevato con la forza in primis dal padre e, in second’ordine, da alcuni agenti in borghese che evidentemente cercavano di aiutare il genitore ma soprattutto di evitare che il piccolo si facesse male. L’attenzione sull’ispettrice è stata focalizzata esclusivamente per la frase già riportata e subito condannata. Forse, però, bisognerebbe porre attenzione allo stato d’animo di quella donna che, evidentemente, non si aspettava che gli eventi precipitassero. Eventi di cui si sentiva responsabile, per il suo grado, ma dai quali probabilmente era toccata in quando madre.

Scarsa attenzione, forse, è stata prestata anche alle domande della zia che voleva sapere perché non c’era stata la sospensiva dell’esecuzione della sentenza. Cosa che, in quanto parente del bambino ma non genitrice, non aveva alcun diritto di chiedere. L’ispettrice, visibilmente provata, con la frase incriminata, e interpretata quasi come un abuso di autorità, voleva semplicemente dire: “io sono un’ispettrice di polizia e sto facendo il mio lavoro, lei non è nessuno, nemmeno la madre del bambino, mi sta facendo domande cui non posso rispondere e ci sta insultando tutti da mezzora ed è proprio ora che la smetta”. Mi pare che, considerando la sua posizione e nel suo stato d’animo, così può essere interpretata la sua riposta.

La cosa che più fa indignare, secondo me, è che tutti si sono scagliati contro la polizia, prima ancora di sapere che chi ha usato violenza sul bambino è stato proprio il padre, e che il capo della polizia Manganelli si sia profuso immediatamente in scuse, senza un preventivo accertamento sullo svolgimento dei fatti, lasciandosi trasportare dall’onda d’indignazione mediatica che il fatto aveva provocato.

Come ho scritto altrove, confermo la mia posizione: la zia ha fatto male a riprendere il tutto ma soprattutto a mandare il video a “Chi l’ha visto?”. Ha suscitato tanto clamore per una vicenda privata, come ce ne sono tante, purtroppo, senza pensare che proprio lei con questa mossa ha sommato violenza alla violenza nei confronti del nipote. Non lo sostengo solo io, ho sentito testimonianze di psicologi e pedagogisti che la pensano esattamente in questo modo.

Qualcuno dice: meno male che c’era la zia altrimenti tutto sarebbe passato sotto silenzio. Io replico: perché, il clamore mediatico serve davvero a risolvere una questione delicata come questa? Girare un video e darlo in pasto all’opinione pubblica gioverà al piccolo Leonardo? Forse può essere una testimonianza della violenza del padre nei confronti del figlio e, quindi, un punto a suo sfavore, nella causa di affidamento della potestà genitoriale. Ma all’episodio hanno presenziato in tanti, le testimonianze ci sarebbero state comunque. Quel video, invece, aggiunge poco o nulla ai fatti, in particolare, offre delle prove inconfutabili sul comportamento della zia e del nonno del bambino che, infatti, sono stati denunciati per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Una sorta di boomerang, insomma. Purtroppo non indolore nemmeno per il bambino.

BAMBINO DI NOVE ANNI NON PUÒ TORNARE A CASA DA SCUOLA DA SOLO. LA MADRE SI RIVOLGE AL TRIBUNALE


Ci sono delle situazioni che richiedono una certa libertà di scelta, nell’ambito educativo, da parte della famiglia di un minore. Decidere che il figlio, anche se in giovanissima età, possa far ritorno da scuola a casa autonomamente è una di queste. I genitori, che lavorano e quindi non possono andare a prendere il figlio al termine delle lezioni, sanno valutare sia la “maturità” del bambino, la sua affidabilità e la pericolosità che il percorso può offrire ad un bambino di nove anni.

D’altro avviso, però, è una dirigente scolastica di una scuola primaria di Buja (Udine) che ha vietato ad uno scolaro di quarta elementare di rincasare da solo. Nonostante le rimostranze della famiglia, la dirigente in persona ha riaccompagnato il bimbo una volta, poi ha delegato …. i Carabinieri.
Un comportamento inaccettabile, a detta della mamma che non ha accolto favorevolmente, com’è logico, una denuncia per abbandono di minori, subito rientrata, tra l’altro. Un atto dimostrativo da parte della dirigente, insomma.

Un eccesso di zelo da parte della dirigente? Forse. Ciò che appare inspiegabile è il fatto che questa nuova dirigente ha revocato l’autorizzazione, attraverso la quale si sollevava la scuola da ogni responsabilità nel caso nessuno venisse a prelevare il bambino, regolarmente concessa durante lo scorso anno scolastico. Una dichiarazione che, a quanto mi risulta, è accettata di frequente nelle scuole primarie; addirittura c’è qualche dirigente che accoglie la richiesta di autorizzazione con delega a terzi, chiedendo il nominativo della persona che ha il compito di riaccompagnare a casa lo scolaro nel caso i familiari siano impossibilitati a farlo.

Che dire? Forse la signora è una madre snaturata? Parrebbe, visto che a suo dire il percorso di circa duecento metri tra casa e scuola è privo di pericoli, mentre per la dirigente non lo è affatto. Ovvero, la dirigente ha commissionato alla Polizia Municipale una perizia dalla quale risulterebbe che il tragitto percorso dal bambino non sarebbe privo di pericolosità.

Del caso ora si sta occupando il Tribunale dei Minori: il giudice ha dato otto giorni di tempo alle parti (scuola e famiglia) per trovare un accordo.
Io, però, sto pensando a quel bambino che ora si starà chiedendo come mai fino all’anno scorso, quando era ancora più piccolo, potesse rientrare da solo e adesso non è più in grado di farlo. Chissà se qualcuno gli ha chiesto che ne pensa di queste beghe legali?

[fonte: Messaggero Veneto]

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