Le comunicazioni interpersonali stanno cambiando. Ce ne eravamo accorti.
Nell’era delle telecomunicazioni, il vis-à-vis è passato di moda. La chiacchierata al bar è sostituita dallo scambio veloce di sms. Internet è alla portata di tutti (o quasi) in qualsiasi momento della giornata, basta avere iPhone. Una e-mail non fa male a nessuno e si risparmia tempo.
Ma in ufficio ha senso che per comunicare tra vicini di scrivania si utilizzi la posta elettronica?
Me ne parlava tempo fa un amico, uomo vecchio stampo che, alle prese con un nuovo lavoro, trovava decisamente insopportabile l’utilizzo delle e-mail per comunicare con il collega la cui scrivania si trovava proprio di fronte alla sua. L’azienda, però, voleva così. Meno perdite di tempo e poi … scripta manent. Così nessuno poteva trovare scuse, dire “l’avevo detto”. Eh già, verba volant.
Non tutti, però, gradiscono questo genere di comunicazione. Il Daily Mail ha appena pubblicato i risultati di una ricerca dell’Institute of Leadership & Management su 2.165 manager inglesi. Al secondo posto, dopo il ritardo con cui ci si presenta alle riunioni, fra le cose più sgradite c’è proprio l’utilizzo della posta elettronica per comunicare con il vicino di scrivania.
Certamente le nuove tecnologie migliorano la vita. Non sempre è possibile, infatti, comunicare in tempo reale con persone distanti. Anche per chi lavora presso la stessa azienda può essere un disagio, oltreché una perdita di tempo, spostarsi da una stanza all’altra, quando non addirittura da un piano all’altro o raggiungere una sede staccata. Ma ha senso scriversi se si lavora fianco a fianco o comunque nella stessa stanza?
Il mio lavoro richiede decisamente relazioni diverse tra colleghi. Per la maggior parte, poi, i contatti avvengono in orario extrascolastico, visto che durante la mattinata si sta ognuno nella propria classe seguendo il proprio orario. Tutt’al più ci si può relazionare nelle ore libere in sala professori o al bar. Però abbiamo anche noi delle esigenze che richiedono comunicazioni veloci e in grado di raggiungere più persone contemporaneamente.
Ad esempio, lo scambio di materiali didattici oppure gli accordi da prendere riguardo ad una riunione richiedono lo scambio di e-mail. Senza contare che, una volta scritto il verbale di un consiglio o di altra riunione, lo si può spedire in visione alle persone interessate prima della stampa e della consegna agli atti. Visto che nessuno è infallibile, magari qualche occhio in più può scovare l’errore o l’imprecisione che nella stesura erano sfuggiti.
L’unica cosa che, sinceramente, non mi piace è l’invio a più destinatari contemporaneamente. In primo luogo è fastidioso che tutti sappiano l’indirizzo di posta elettronica di persone estranee (parlo, evidentemente, di comunicazioni personali che non riguardino esclusivamente i colleghi di lavoro) e poi capita pure di essere “interpellati” su questioni di nessuna importanza solo perché il mittente non si è dato pena di selezionare i destinatari. Questa disattenzione, diciamo pure menefreghismo, porta alla perdita di tempo prezioso. Non tanto per la lettura della mail in sé, quanto perché, non capendo assolutamente nulla della comunicazione ma vedendosela recapitare, ci si sforza di capire e per farlo si legge il messaggio cento volte prima di rendersi conto che non era destinato a noi.
Verrebbe da pensare che a noi italiani (non solo agli inglesi) troppe cose diano fastidio. Effettivamente non sono troppi i comportamenti fastidiosi ma hanno una caratteristica comune: la mancanza di rispetto. Osserva Pier Luigi Celli, studioso di fenomenologia aziendale e direttore generale dell’università Luiss Guido Carli di Roma: «Il tratto distintivo degli italiani è la mancanza di rispetto. Lo facciamo senza rendercene nemmeno conto perché siamo di un individualismo notevole».
Ma sarà vero?
[fonte: Il Corriere]