I GIOVANI D’OGGI, INCAPACI DI CONCENTRARSI

Nel suo editoriale del lunedì sul Corriere, Francesco Alberoni pone questa settimana la sua attenzione ad un problema dei giovani d’oggi che condivido pienamente: l’incapacità di concentrarsi nel fare le cose e, conseguentemente, quell’insana abitudine di passare da una cosa all’altra, senza un ordine logico.

Qual è la causa? Secondo Alberoni, dipende dal tipo di apprendimento già alla scuola elementare. Prima di andare in queste scuole, quando stanno con i genitori, i bambini piccoli sono attenti, ascoltano, seguono affascinati le favole. Dopo essere stati qualche anno in classe cambiano. Se parli loro, si distraggono, spostano un libro, un giocattolo, non ascoltano. Ti fanno una domanda e poi vanno via, non aspettano la risposta.

Noi genitori ed insegnanti sappiamo bene quanto sia difficile attirare l’attenzione dei ragazzi. Il loro zapping non è solo quello che fanno con il telecomando, quando non hanno la pazienza di osservare qualche scena per capire che un dato programma possa essere più o meno interessante. Il loro è uno zapping mentale. Non è mancanza di interesse, – continua Alberoni – hanno perso la capacità di concentrazione perché stando con gli altri e giocando con loro si sono abituati a passare, continuamente e caoticamente, da un’attività all’altra e non c’è nessuno che insegna loro come stare attenti, e li rimprovera quando non lo fanno.

Eppure, nello sport, stanno ben attenti alle parole dell’allenatore perché, osserva Alberoni, se ti distrai, ti rimprovera e i tuoi compagni protestano. Quando mai si è visto che i compagni di scuola protestino se qualcuno non sta attento? Per esperienza posso dire che talvolta capita che protestino, ma lo fanno quando si annoiano di fronte all’ennesima predica che l’insegnante rivolge all’esagitato di turno.

Proseguendo con la sua analisi, il sociologo tocca un tasto su cui non concordo. Afferma che la scuola non rimproveri, che non corregga con l’esercizio una tendenza sbagliata. Questo perché, secondo alcuni pedagogisti, il rimpovero e la correzione di atteggiamenti sbagliati provocherebbero nei giovani una grave frustrazione, bloccandone la creatività. Mi permetto, a questo punto, un’osservazione: l’atteggiamento di censura dei comportamenti scorretti da parte degli insegnanti ci deve essere e c’è, almeno nella maggior parte delle scuole, dalla primaria al liceo. La correzione può avvenire attraverso diversi tipi di comportamento: si ammonisce e si punisce, sempre, però, mettendo bene in risalto il motivo per cui un certo atteggiamento non è accettabile. Si spiega dove sta l’errore e in che modo si può ovviare al problema. Le regole ci sono e bisogna rispettarle, altrimenti si incorre in una sanzione.

Concordo maggiormente con quanto Alberoni sostiene riguardo alle famiglie: aggravano la situazione mettendosi normalmente dalla parte dei figli e contro gli insegnanti. Ed è per questo, non mi stancherò mai di ripeterlo, che una corretta azione educativa, prima ancora che didattica, si mette in pratica quando c’è la collaborazione fra scuola e famiglia. Certo, è un po’ difficile che a casa i genitori sappiano affrontare il problema distrazione, ovvero non hanno gli strumenti, tranne la persuasione, con le buone o con le cattive, per far sì che i figli a scuola seguano le lezioni con interesse, senza annoiarsi e senza deconcentrarsi. Questi strumenti devono, prima di tutto, essere messi in pratica a scuola, durante le lezioni, dai singoli insegnanti. Ma a casa i genitori possono fare molto: ad esempio, ascoltare i figli quando hanno qualcosa da dire e partecipare alla loro vita scolastica dando consigli e approvando o meno il loro atteggiamento di fronte allo studio. Se non li si ascolta, essi stessi saranno meno propensi ad ascoltare. In altre parole, bisogna dare il buon esempio.

Ma la concentrazione serve solo a scuola, ovvero all’interno del processo di apprendimento? Secondo Alberoni no. Infatti, spiega che il risultato è che molti non impareranno più a concentrarsi, ad applicarsi, a fare un ragionamento complesso. Ed è anche per questo che c’è tanta disoccupazione. Perché le imprese si trovano di fronte giovani con una preparazione evanescente e che danno poco affidamento quanto a capacità di ragionare. E questo è un problema serio, anche se a me viene spontanea un’obiezione: ma quando giocano con la play station o chattano con il pc, prestano pure attenzione a quello che fanno. Allora il problema è che la mancanza di concentrazione nei ragazzi è legata a ciò che ritengono poco interessante, ovvero la scuola. Nonostante il sociologo sia di tutt’altro avviso, quando osserva che la mancanza di concentrazione non è legata all’interesse, è innegabile che la concorrenza ci sia ed è spietata; la scuola, almeno com’è concepita a tutt’oggi, perde punti in partenza.

Quanto al futuro, c’è da scommettere che non se ne preoccupano. Se quando arrivano in quinta e sanno di dover sostenere l’Esame di Stato si mettono a studiare non prima di marzo aprile, è concepibile che si preoccupino della loro preparazione evanescente con la quale andranno incontro ad un futuro incerto? L’importante è passare, la preparazione non conta. Quel pezzo di carta che alla fine conquistano è come il foglio rosa: permette di fare pratica per poter imparare a guidare. Ma la patente ancora è lontana. Così come il possesso di un documento che abilita alla guida non rende chi lo possiede un pilota di Formula 1.

Su questo ragionamento i giovani dovrebbero concentrarsi: quello che si impara in tanti anni di scuola sarà utile un domani. Se la loro preparazione sarà evanescente, se ne accorgeranno e, con il senno di poi, realizzeranno quanto sarebbe stato meglio andare a scuola per imparare e non solamente per prendere il sospirato diploma. Con l’errara convinzione, poi, di poter fare finalmente quello che vogliono. Come se liberati dal legacci della scuola, non ne trovino altri pronti ad imbrigliarli durante il loro cammino.