Ormai sembra entrata nel linguaggio comune anche in Italia questa espressione: class action. Il fatto che sia una locuzione inglese riporta alle origini anglosassoni di un’azione collettiva legale condotta da uno o più soggetti che, membri della “classe”, chiedono la soluzione di una questione comune.
L’avv. Giulia Bongiorno, parlamentare oltre che legale di fama, sa perfettamente il significato dell’espressione class action e annuncia, dalle pagine de Il Corriere, che si sta occupando della difesa di sei coppie di genitori che hanno i figli positivi al test della tubercolosi, in seguito alla trasmissione della malattia (che non sempre è contratta, può anche essere solo latente, ed è questo il significato di “positivo” al test) da parte di un’infermiera malata che prestava servizio al nido del Policlinico Gemelli, struttura affidabile, in cui operano medici di altissimo livello, come la stessa Bongiorno ammette. Per questo anche lei ha deciso di partorire lì.
Ian è nato il 22 gennaio. Fin dalla prime voci di questa probabile “infezione”, l’avvocato si è preoccupata della salute del figlioletto, telefonando, pur senza presentarsi come legale e parlamentare, almeno una decina di volte. La risposta, sempre uguale: “Suo figlio non corre alcun pericolo, stia tranquilla”. Per la precisione, le era stato detto che l’infermiera “incriminata” aveva iniziato a lavorare lì da febbraio.
«E questo è un dato assolutamente falso, credo sia fuori discussione che l’infermiera era in servizio da prima, tra i bambini del nido», afferma la Bongiorno nell’intervista. Pur comprendendo che, in casi come questi, sia meglio non creare allarmismi, si deve, tuttavia, pretendere chiarezza e soprattutto onestà.
Ora la mamma di Ian può stare tranquilla davvero: i test hanno escluso il contagio. Ma altri genitori, di cui la Bongiorno comprende il dramma, in quanto vissuto in prima persona, seppur nell’attesa di un riscontro poi risultato negativo, chiedono sia fatta luce sull’increscioso episodio.
«È difficile descrivere l’apprensione. È come se, nel momento iniziale della vita di tuo figlio, la nascita, tu già sbagli. Mi è sembrato un fallimento personale. Vivevo in grande ansia. Sa, ho 45 anni. Per me Ian è davvero un dono di Dio», spiega l’avvocato. Ma anche ora che il suo Ian può dormire letteralmente sonni tranquilli, e lei pure, non riesce a dimenticare i genitori meno fortunati.
Le sei coppie che si sono rivolte a lei all’inizio non sapevano nemmeno che avesse partorito nello stesso ospedale. «Vogliamo fare una denuncia, la depositeremo in Procura. Loro non vogliono solo un’azione risarcitoria sul piano civile, vogliono l’accertamento approfondito dei fatti, una vera azione penale», annuncia, perché chi ha delle responsabilità è giusto che ne risponda. In primis l’infermiera che, come pare, fin dal 2004 era risultata positiva al test della TBC. «Dunque si dovrà spiegare perché sono stati omessi i controlli o perché sono falliti», osserva l’avvocato.
Ma ci sarebbero anche delle eventuali “aggravanti”: pare, infatti, che anche il marito dell’infermiera, che fa lo stesso mestiere, sia stato ricoverato, nel 2004, per pleurite di natura tubercolare, e poi dimesso. A questo proposito, il parere della Bongiorno è che si debbano «cristallizzare le certezze su cosa è accaduto. Se queste due persone sono riuscite a indurre tutti in errore – ma sottolineo il se – avrebbero una responsabilità enorme, a livello di dolo eventuale. Se invece i due hanno rappresentato chiaramente il loro stato alle strutture e li hanno lasciati lavorare, beh, la responsabilità è delle strutture».
Non è difficile immaginare che anche altri genitori si rivolgeranno all’avvocato Bongiorno in cerca di giustizia, non vendetta ma solo la verità.