LA BUONA NOTIZIA DEL VENERDÌ: RACCONTARE LA GRANDE GUERRA CON UN VIDEOGAME

the great war
Come tutti sanno, in questi giorni c’è stata la celebrazione dell’inizio della I Guerra Mondiale: il 28 luglio 1914 l’Impero Austro-ungarico dichiara guerra al Regno di Serbia. Un conflitto sanguinoso che è costato la vita a 16 milioni di persone, fra militari e civili, e causato il ferimento di altri 20 milioni. Bisognerebbe ricordare fatti come questi se non altro per imparare che dalle guerre non ci si può aspettare niente di buono. Ma tutti sappiamo che non sempre la storia è maestra di vita, considerando che tutt’oggi numerosi conflitti (anche quelli di cui non si parla) continuano a seminare morte ovunque.

Dimenticare ciò che successe 100 anni fa però non si può. E’ giusto che le nuove generazioni conoscano i fatti e allora perché non spiegarglieli in modo semplice, con strumenti ai quali i nativi digitali hanno a che fare tutti i giorni?

Ubisoft ha pensato di parlare di guerra ai giovanissimi con un videogame.
Valiant Hearts The great War racconta la Grande Storia attraverso le vicende di piccoli uomini: Emile, un contadino francese arruolato a forza, Freddie, un volontario americano, Karl, un soldato tedesco disertore e Anna, un’infermiera belga. I personaggi si trovano a fronteggiare eventi infinitamente più grandi di loro, che li strappano dalle loro case e li trascinano nelle trincee, nei campi di prigionia, nelle città del Belgio devastate dai gas, nelle battaglie della Marna e della Somme.
La storia termina nell’anno 1917, proprio quando gli Stati Uniti entrano in guerra e mandano il loro esercito in Europa mentre Freddie vede arrivare le navi americane.

La struttura del gioco si avvicina a quella del puzzle: per poter proseguire con la storia è necessario mettere le cose al loro posto. Valiant Hearts: The Great War, infatti, richiede al giocatore di proseguire lungo la trama risolvendo i rompicapo che ostacolano le storie di Karl, Anna, Emile e Freddie. Il gioco è diviso in quattro capitoli, ognuno dedicato ad un anno del conflitto (più o meno). La trama, i colpi di scena, i capovolgimenti rendono Valiant Hearts: The Great War un gioco interessante, divertente e nello stesso tempo istruttivo.

[fonti: wired.it; mondoxbox.com e wikipedia; immagine da questo sito]

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CREDI DI AVERMI MESSA A FUOCO? LE SOLUZIONI E … UN PO’ DI ME

premio vero falso
Come promesso, riporto le soluzioni al “gioco”.

1. Quando sono nata, a Trieste soffiava una bora fortissima VERO
Qualcuno ha scritto che dipende dalla stagione, che è troppo scontato o che la bora a Trieste non è poi così frequente. Dico subito che la bora non ha stagione, c’è sempre. E’ vero che negli ultimi anni si è molto attenuata, nel senso che non sempre le raffiche sono violente come una volta. La bora legata alla mia nascita è, però, in un cero senso un fatto curioso.
Sono nata l’11 ottobre. Quando mia mamma è stata colta dalle doglie, sembrava piena estate. Indossava un abito leggero e sandali senza calze, praticamente un abbigliamento tipicamente estivo. Era talmente abbronzata che in ospedale le hanno fatto i complimenti, anche se in quella circostanza non credo le interessassero più di tanto.
Sono nata nel cuore della notte (alle 3 e mezza, credo) e proprio a partire dalla serata del 10 ottobre il tempo è cambiato: praticamente in una sola notte si è passati dall’estate all’autunno inoltrato. Mio papà, quando da ragazza mi arrabbiavo e andavo spesso su di giri, mi diceva che si vedeva che ero nata in una notte di bora, che sembravo io stessa un refolo di bora.

2. Da piccola ero allergica alle fragole VERO
Io le adoravo (e le adoro) ma mi facevano venire l’orticaria. Fortunatamente l’allergia se n’è andata com’era venuta e ora posso tranquillamente mangiarle … meglio se con una bella spruzzata di panna. 🙂

3. Vado pazza per il risotto alla milanese FALSO
Per carità, odio il sapore dello zafferano! Eppure i risotti sono la mia specialità culinaria e uno dei primi piatti che prediligo. Li preparo con tutto, carne, pesce, verdure ma lo zafferano no!

4. Ho preparato la prima torta a 12 anni VERO
Fin da piccola passavo ore a guardare mio papà o mia nonna mentre cucinavano (mia mamma, invece, non è una cuoca provetta) ma non li ho mai visti preparare una torta. Be’, mi sono detta, manca una pasticcera in questa casa!

5. Pur avendo sempre sentito la vocazione per l’insegnamento, per un certo periodo ho pensato che mi sarebbe piaciuto studiare medicina FALSO
Io ho sempre avuto paura dei medici, il mio pediatra, detto “testa d’uovo” per la forma del capo, mi terrorizzava. In più la vista del sangue mi ha sempre spaventata sicché non mi è mai passata per la mente l’idea di diventare medico.

6. I miei genitori volevano che facessi l’avvocato VERO
Ma non, come osserva Diemme, perché la maggior parte dei genitori sogna il figlio avvocato o come dice Alberto ci sia un avvocato in famiglia (papà, nonno ?). Semplicemente perché i miei genitori sono degli assicuratori e mi avrebbero trovato un posto sicuro e ben remunerato. Ora come ora mi sto chiedendo perché mai io non li abbia ascoltati. 😦

7. Indosso sempre scarpe con il tacco a spillo FALSO
Mi piacerebbe molto (il tacco alto e a spillo slancia che è un piacere e rende la figura più longilinea 😉 ) ma purtroppo i miei piedi detestano i tacchi. Eppure fino al mio matrimonio, proprio perché mio marito ha la bella altezza di 195 cm (forse ora 192, si è un po’ ingobbito con l’età 🙂 ) portavo i tacchi alti. Mi sono sposata con il tacco 12, per dire, e le scarpe le ho tenute addosso per quasi 12 ore senza soffrire. Altri tempi!

8. Odio indossare i jeans FALSO
E qui devo fare i complimenti ad Alberto che ricordava un mio post. Infatti, nella parte del suo commento che ho tagliato per non aiutare gli altri, ha riportato ciò che avevo scritto: “Non sono più la ragazzina viziata che faceva fare chilometri ai genitori per poter acquistare, prevalentemente in Veneto, i jeans Fiorucci, i preferiti. Ma quei pantaloni tanto amati occupano sempre lo spazio privilegiato nel mio guardaroba” (19/5/12). Bravo!
Grazie a Diemme per col tuo fisico i jeans sono una manna, spero per te che non li odi. Troppo buona!

9. Ho una sfrenata passione per gli anelli VERO
Non è solo passione, è una vera e propria mania. Io comprerei anelli tutti i giorni. Fortunatamente mi trattengo ma se ne vedo uno che mi piace davvero tanto (e che sia abbordabile, non parlo ovviamente di diamanti!), me lo compro. Ecchecaspita, si vive una sola volta, no? Comunque è una mania che mi porto dietro dall’adolescenza: allora ne mettevo uno, o anche più, per dito. Ora ho la mano seria, quella maritale (fede nuziale, veretta d’oro bianco delle nozze d’argento, anello di fidanzamento e trilogy regalatomi dal marito per i 25 anni, il tutto sull’anulare), ovviamente la sinistra, e quella informale, la destra, in cui indosso gli anelli più strani, sia sull’anulare sia sul medio. A volte anche decisamente voluminosi.
Mi spiace contraddire Alberto ma non si scrive male alla lavagna con troppi bijoux, semplicemente non scrivo spesso alla lavagna perché sono allergica al gesso. 😦 Per fortuna ora c’è la LIM …

10. Quand’ero assistente in una colonia estiva ho schiaffeggiato una bambina VERO
Brava Diemme ad avere intuito che proprio la veridicità di questa affermazione vi avrebbe stupiti. In qualche modo è andata oltre al semplice intuito dicendo: sono sicura che le hai salvato la vita. Be’, proprio salvato la vita no, ma la situazione era davvero particolare. Mi scuso ma qui devo aprire una lunga (e dolorosa!) parentesi.
Avevo 17 anni e durante l’estate volevo lavorare, per non dipendere dai miei. Un mio amico mi disse che sua zia era la direttrice di una colonia estiva a Cesenatico e che lui stesso aveva già provato l’esperienza di assistente. Da sola non ci sarei mai andata così mi ha accompagnato una mia compagna di liceo (una delle tre grazie, per intenderci!).
Mi fu affidata la “squadra” di bambine dai 6 ai 10 anni. Non sto qui a raccontare la pesantezza di quelle tre settimane che mi sembrarono 3 mesi. Vi dico solo che è stata un’esperienza terribile, specie perché la zia-direttrice del mio amico era, secondo me, la signorina Rottermaier che dai monti è scesa al mare per cercare un clima diverso e più persone da tormentare. Io fui la Heidi della situazione. 😦
A parte questo, nella mia squadra c’era una bimba di soli 5 anni perché i genitori volevano che stesse assieme alla sorella più grande. Fatto sta che quella era una vera peste. Si chiamava Pasqualina, e ho detto tutto. Sarà stata lei felice come una Pasqua, più piccola ovvero a sua misura, ma sembrava nata per rendere infelice me. Io avrei dovuto badare solo a lei e non alle, udite udite, altre 29 compagnette. Sì, 30 bambine affidate ad una sola persona giorno e notte, per di più minorenne. Altri tempi.
Insomma, la cara Pasqualina, oltre a farmi correre su e giù per la spiaggia di giorno, aveva deciso di non farmi dormire la notte. Lei non voleva dormire nel suo letto, preferiva il mio che era un letto singolo, scomodissimo, separato dal resto della camerata da una tenda. In piena notte vedevo il suo visino che sbucava dalla tenda, mi alzavo e la riportavo a letto dicendo che non poteva dormire con me, che in due saremmo state strette e che il suo letto era molto più comodo. Questo succedeva più volte, poi mi addormentavo stremata e la mattina dopo mi ritrovavo in “dolce” compagnia.
Ero rassegnata. Poi accadde una cosa che mi sconvolse letteralmente: venni a sapere che Pasqualina aveva i pidocchi. Aiutooooo!!! Ancora adesso non sopporto l’odore dell’aceto, tanto ne usai per lavarmi ogni giorno i capelli. Li avevo lisci e brillanti ma accuratamente avvolti in un foulard di seta. Sembravo una di quelle dive anni ’50 che popolavano i boulevard di Cannes. Peccato che Cesenatico non fosse Cannes e che io non mi sentissi affatto diva. Ero una derelitta, mi ero pure abbassata a scrivere un’accorata lettera a mia mamma. Io e lei quella volta a mala pena ci parlavamo.
Dopo la scoperta che dei poco simpatici animaletti popolavano la testa di Pasqualina, il mio rifiuto di dormire con lei fu categorico. Una notte, però, iniziò a urlare come una pazza, a piangere a dirotto, una scena isterica, con tanto di apnea e volto cianotico. Le tirai due ceffoni, per salvarle la vita, in un certo senso, ma soprattutto per prendermi una soddisfazione. Erano altri tempi, non mi beccai una denuncia, come accadrebbe ora. Mi beccai, però, due ceffoni dalla signorina Rottermeir in versione balneare. Ciò provocò una irrimediabile e insanabile rottura tra di noi. Il che significò per me passare il resto del tempo a maledire il momento in cui avevo accettato questo lavoro.
Certamente mi resi conto di aver fatto una cosa orribile. Però da madre, quando fui costretta ad affrontare gli spasmi affettivi del mio secondogenito, compresi che i due schiaffi mollati a Pasqualina furono davvero la soluzione ideale.

Ecco, questo è tutto. Come potete vedere, al di là delle soluzioni al giochino, ho raccontato delle cose e degli aneddoti che hanno senz’altro contribuito a farmi conoscere meglio.

Insomma, se non mi avete messo a fuoco ora, forse la prossima volta andrà meglio. 😉

LE VECCHIE FIABE, CHE FANNO MALE AI BAMBINI, PER LE PARI OPPORTUNITÀ VANNO DIMENTICATE

cenerentola
Il dipartimento per le Pari opportunità ha pubblicato tre opuscoli, destinati agli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori, in cui si sconsiglia di leggere le vecchie fiabe ai bambini: volte a promuovere un solo modello di famiglia, quella tradizionale, sarebbero un ostacolo per una visione diversa e più ampia della società. La collana si propone di combattere il bullismo e la discriminazione, e al suo interno si trovano anche capitoli contro l’omofobia.

Insomma, la principessa che insegue il sogno romantico di sposare il suo bel principe darebbe adito ad interpretazioni della realtà non in linea con i tempi. Cenerentola, Biancaneve, Rosaspina, la bella addormentata nel bosco, e Belle trasmettono l’idea che un uomo debba sposarsi solo con una donna, escludendo che la famiglia possa anche essere costituita da due uomini e due donne. Sono dei cattivi esempi da mettere al bando.

Ma c’è dell’altro: i consigli elargiti da questi opuscoli (che non ho avuto il piacere, si fa per dire, di consultare) riguarderebbero anche i giochi dei bimbi. Sarebbe ora di finirla con i giocattoli sessisti: bambolotti e piccoli elettrodomestici per le femmine, automobiline e soldatini per i maschietti. La società si evolve e i più piccoli non possono crescere con l’idea che ci siano attività più adatte ai maschi ed altre appannaggio delle sole femmine.

Secondo Isabella Bossi Fedrigotti, che collabora con Il Corriere scrivendo articoli culturali e di costume, i tre opuscoli sembrano volere a tutti i costi fare precipitare le cose: «Le raccomandazioni per gli insegnanti – osserva la Bossi Fedrigotti – hanno l’aria di essere una corsa in avanti un po’ troppo precipitosa. Con uno scopo che sembra, chissà, abbastanza preciso: preparare, cioè, il terreno (tra bambini e ragazzi e, quindi, nelle famiglie) al matrimonio omosessuale. Il che può essere una scelta, da farsi, però, piuttosto, per così dire, a viso aperto, non nel modo un po’ strisciante, all’insegna della correttezza politica per bimbi, cui fanno pensare le istruzioni dei tre libretti.»

Concordo pienamente.
Tutti siamo cresciuti leggendo o sentendoci raccontare le fiabe, guardando i film di Walt Disney e sognando, perché no, di sposare il principe azzurro. Naturalmente egli era l’oggetto del desiderio per le bambine, non per i maschi. Di contro, i bambini amavano Robin Hood sognando di diventare forti e coraggiosi come lui. Siamo forse cresciuti male o con un’idea sbagliata di società e convivenza civile? Mi pare di no.

Se pensiamo alla morale che si nasconde dietro il tessuto narrativo di ogni fiaba, non possiamo pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nel constatare che, se si viene bistrattate come Cenerentola, poi si può ottenere la rivincita perché si è buoni, ma rimanere con un palmo di naso perché si è cattivi. Oppure credo che nessuno abbia giudicato male Biancaneve perché ha fatto la sguattera per i sette nani, forse anche quando non si parlava tanto di solidarietà tutti abbiamo pensato che rendersi utili per chi ci dà una mano è un modo per disobbligarci. E Robin Hood, non era forse un fuorilegge? Ma il suo intento era buono, a modo suo instillava nelle menti acerbe dei bimbi quella generosità che alla fine viene premiata, una lotta fra oppressori e oppressi che vede in questi ultimi i vincitori.

Se, poi, Cenerentola e Biancaneve sposano un principe (a voler essere obiettivi, anche il matrimonio non è al passo con i tempi, visto che ci si sposa sempre meno) e Robin perde la testa per la dolce Marianna, che male c’è? L’amore è un sentimento che non ha età, tempo e luogo. Ma se si pensa che sia discriminante una fiaba in cui il sogno romantico ha come protagonisti un uomo e una donna, allora temo che si punti il dito contro la “normalità”, contro ciò che è sempre stato per non ferire la sensibilità di chi non è “diverso” ma è trattato come se lo fosse.

Come cantava Biancaneve?

i sogni son desideri
chiusi in fondo al cuor
nel sonno ci sembran veri
e tutto ci parla d’amor
se credi chissà che un giorno
non giunga la felicità
non disperare nel presente
ma credi fermamente
e il sogno realtà diverrà!

C’è qualcosa di discriminante in queste parole? Ognuno è libero di amare chi vuole, di sognare e di essere felice.

Lasciateci le fiabe, per piacere. In esse c’è più buon senso che nei tre opuscoli delle Pari Opportunità.

[fonti della notizia: Corriere.it e blog “Scuola di Vita”; immagine da questo sito]

BAMBINI RUMOROSI ZITTITI DAL GIUDICE

vietato giocareIn un piccolo paese della provincia di Pavia, un condominio riesce a vincere la causa contro un … asilo nido. Il Giudice di Pace cui i condomini, che abitano a due passi dalla struttura per l’infanzia, si sono rivolti, ha dato ragione agli adulti brontoloni e ha intimato ai bimbi, di età compresa tra i due e i quattro anni, di giocare in silenzio. Non solo, le maestre devono vigilare attentamente e “tappare la bocca”, per modo di dire, ai bimbi che pare giochino in giardino facendo un po’ troppo rumore.

Nel leggere questa curiosa notizia, mi è venuto in mente un epigramma di Marziale, poeta latino vissuto a Roma nel I secolo d.C., famoso appunto per i suoi epigrammi, che elesse spesso vittima delle sue frecciatine il ludi magister, ovvero il maestro di scuola. Allora il maestro era tenuto in scarsa considerazione, malpagato e spesso insoddisfatto del suo mestiere. I ricchi lo snobbavano perché gli preferivano il pedagogo, un istitutore privato, con l’indubbio vantaggio di non dover portare i figli a “scuola”e, non essendoci scuole pubbliche, l’unica soluzione per il ludi magister era quella di tenersi in casa i fanciulli da istruire e vivere delle modeste somme che le famiglie pagavano per le lezioni.
In uno dei suoi testi Marziale si esprime così nei confronti del magister:

Cosa hai a che fare con noi, oh disgraziato maestro,
uomo odioso ai bambini e alle bambine?
I galli con la cresta non hanno ancora rotto il silenzio:
già tu tuoni con orribile strepito e con le frustrate.
I bronzi percossi sulle incudini risuonano in modo tanto molesto,
quando il fabbro sistema sul dorso di un cavallo la statua di un avvocato;
più mite infuria il clamore nel grande anfiteatro,
quando la folla acclama il suo gladiatore vincente
Noi vicini reclamiamo il sonno – non per tutta la notte -:
infatti stare svegli è tollerabile,
ma stare continuamente svegli è insopportabile.
Lascia andare i tuoi scolari. Vuoi, chiacchierone, ricevere
per stare zitto quanto ricevi per gridare?

I tempi cambiano ma pare che l’intolleranza dei vicini di casa non abbia limiti. Nell’epigramma di Marziale, però, la situazione è capovolta: nell’antica Roma, infatti, la quiete del vicinato era disturbata dal maestro che gridava e frustrava gli allievi fin dalle prime ore del mattino. Allora l’idea geniale fu: pagare il maestro per farlo tacere, con il conseguente congedo degli allievi.

Tornando alla vicenda dell’asilo pavese, la situazione è simile per quanto riguarda la retribuzione delle maestre, ma il giudice non chiede di mandare via i bambini rumorosi né le maestre “incapaci” di zittirli; tanto meno propone ai condomini di pagare gli stipendi delle insegnanti facendo chiudere l’asilo. Certo, al posto del Giudice di Pace io avrei trovato un’altra soluzione: far cambiar casa ai brontoloni, non prima di averli costretti a tenere per un mese intero nei propri appartamenti, naturalmente a turno, i vivaci pargoli. E le maestre? Libere di andare a fare shopping, senza rischiare le sanzioni del ministro Brunetta … ah, dimenticavo, si tratta di un asilo privato!