L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DI UN ANNO SCOLASTICO


Domani ci saranno gli scrutini integrativi per il recupero dei Debiti Formativi. Nel mio liceo si “saldano” a luglio per far passare in pace – almeno si spera – il resto dell’estate agli allievi, peccato però che di fatto le ferie dei docenti (e non dico “vacanze” perché quelle spettano agli studenti!) non possano iniziare dal 1 luglio come dovrebbero. Poi ci sono anche i professori impegnati negli esami di maturità e ne avranno fino a metà mese. Con buona pace di chi, alla fine delle lezioni, inesorabilmente tuona con la solita litania degli “insegnanti che hanno tre mesi di vacanza”.

Vero è che dal 14 giugno, giorno in cui sono finite le lezioni, non ho passato tutti i giorni a scuola. Ma il nostro lavoro va al di là delle 18 ore di lezione e, specialmente alla fine dell’anno scolastico, ci sono delle incombenze, perlopiù burocratiche, che impegnano molte ore anche se lasciano la libertà di scegliere quando svolgerle. Questo è il punto: se non ti fai vedere a scuola tutti i giorni e se svolgi questo “lavoro sommerso” a casa, magari di notte, tu per gli altri – quelli che la scuola l’hanno solo frequentata da studenti e non si fanno sfuggire l’occasione di pontificare – sei “in vacanza”. Se poi qualche ora si passa all’interno dell’edificio scolastico per riunioni, scrutini, sorveglianza agli esami, con il termometro che spesso arriva a 27°C, che sarà mai! Specialmente se il resto del tempo te lo puoi godere facendo ciò che ti pare e piace, percependo un regolare stipendio che ti viene accreditato sul conto corrente bancario ogni 23 del mese… pure quando sei in “vacanza”!

Non è così che funziona. Sono stanca di ripeterlo e sono soprattutto esausta dopo un anno scolastico che, più il tempo passa, più pesante diventa. E non solo perché si invecchia, anche se l’età media dei docenti supera i 50 anni ed è normale che si senta anche il peso degli anni.

Io capisco che ci sono anche quelli che possono davvero sentirsi in vacanza e non arrivano nemmeno tanto stremati a giugno. Non voglio puntare il dito contro nessuno ma davvero ci sono docenti che hanno un lavoro più “leggero” e che certamente non devono correggere 1000 compiti di italiano o latino, che richiedono molta attenzione e un dispendio di tempo notevole poiché non sono test a crocette che si correggono in un’ora, come faccio io.

Diciamo, poi, che ciascuno ha anche dei problemi personali da affrontare che possono rendere molto pesante il lavoro a casa, proprio perché non si può disporre delle ore che rimangono una volta finite le lezioni, che devono invece essere dedicate o a figli piccoli o a genitori anziani. Mettiamoci pure i problemi di salute che, dato l’aumento dell’età della pensione, non mancano di certo. Se penso che quand’ero agli inizi della carriera alcuni colleghi – soprattutto colleghe – andavano in pensione, a 40 anni con 16 di servizio e 4 di riscatto universitario, mi viene una rabbia soprattutto pensando che noi lavoriamo per pagare le loro pensioni che sono di tutto rispetto. Mentre a noi resteranno le briciole e anche la cosiddetta “buonuscita”, regolarmente accantonata, ci verrà data a rate due anni dopo il ritiro effettivo dal lavoro. Quando avremo 67 anni, se basta.

Ecco, posso dire che quello che ha reso oltremodo pesante quest’anno scolastico che mi sto finalmente lasciando alle spalle, è il malumore. Perché davvero non c’è rispetto per il nostro lavoro, perché tutti son pronti a dire la loro sminuendo non solo la nostra professione ma anche l’efficacia stessa di quel che facciamo. “La scuola che boccia è una scuola perdente!”, quante volte l’abbiamo sentito? Ed è perdente perché gli insegnanti sono incapaci, sono dei mangia-pane-a-tradimento nell’accezione più pura del detto popolare: “uomo disutile e buono solo a mangiare” (Antonini,1770, Tommaseo, 1867, Rigutini,1937). Insomma, dovremmo essere più bravi per non lasciare nessuno indietro. E che dire, allora, del contributo che gli studenti danno? Che dire del loro reale impegno per raggiungere gli obiettivi? Che dire delle famiglie, sempre pronte a difendere i pargoli, puntando il dito contro i docenti che non capiscono, non giustificano, non motivano, non incentivano…

A questo punto voglio chiarire che personalmente non mi sono trovata in situazioni a tal punto sgradevoli, anzi, ho profonda stima dei miei studenti che ho aiutato, premiando l’impegno, e sollecitato a studiare di più per ottenere migliori risultati confidando nelle loro potenzialità. Ho sempre buoni rapporti con i genitori e molti di loro mi ringraziano per quello che faccio. Però ciò non basta a togliermi di dosso quel malumore che aleggia su tutta l’istituzione scolastica, indipendentemente dall’ordine e grado di scuola, dalle regioni d’Italia, dalle città o periferie.

La scuola è malata, forse. Ma non c’è nessuno al suo capezzale ad assisterla. Non c’è un ministro – dico uno o una… e ne sono passati tanti sotto i miei occhi nei 34 anni d’insegnamento… – che trovi davvero una cura. Ma è malata la scuola, non i docenti, non i dirigenti, non gli studenti.

Prendiamo ad esempio la cosiddetta #buonascuola. A dispetto del nome, è stata ed è una pessima riforma, anzi, non merita nemmeno l’appellativo di “riforma” perché non ha riformato nulla ma ha peggiorato molto di quello che prima nella scuola funzionava. Non voglio entrare nei particolari (d’altronde pubblico questo post sul mio blog principale e non su laprofonline, proprio perché vuole essere uno sfogo personale e non un post tecnico), ma prendiamo ad esempio i finanziamenti alla scuola.

Molti equiparano la scuola a un’azienda. Allora mi dicano quale impresa può sopravvivere senza fondi… noi non produciamo ricchezze che poi possiamo reinvestire, abbiamo solo bisogno di soldi per offrire un servizio decente. Ma lo Stato latita da questo punto di vista e non fatevi ingannare dai vari ministri che si sono vantati e si vantano di destinare alla scuola italiana sempre più fondi. Il problema è che questi soldi non bastano, sono come una goccia d’acqua nell’oceano, ma questo nessuno lo capisce.
Quindi, le scuole come sopravvivono? Con i contributi “volontari” delle famiglie. “Se sono volontari, nulla è dovuto!”, tuonano ogni anno le varie associazioni dei consumatori. Ma ignorano che una parte del contributo è dovuta per le “spese vive” (libretto personale per le giustificazioni, materiale vario che i docenti distribuiscono tramite le fotocopie, l’utilizzo dei laboratori, i servizi più disparati destinati agli studenti, le attività extracurricolari… sono solo degli esempi) e che spesso nemmeno la modesta somma dovuta viene versata.

Rendiamoci conto che in alcune scuole non vengono nemmeno sostituiti i docenti assenti con personale supplente perché non ci sono soldi. E anche quei fortunati supplenti che ottengono un incarico annuale, aspettano mesi prima di ricevere lo stipendio. Vi pare un’azienda che funziona questo tipo di scuola?

Vogliamo una scuola vivace, interessante, stimolante, accogliente, inclusiva e chi più ne ha più ne metta. Giustissimo, per carità, ma con quali soldi? Ora c’è il PON (Programma Operativo Nazionale) che include progetti pluriennali che ogni scuola, se vuole, può proporre e, se i progetti vengono considerati validi, allora arrivano tanti bei soldini elargiti dalla UE. Se…

Per partecipare al PON, però, ci vogliono i progetti, bisogna stabilire quanti e quali siano necessari ma soprattutto meritevoli d’attenzione da parte del Ministero e quanti e quali possano essere davvero accattivanti per gli studenti, si devono compilare pagine elettroniche infinite (ormai si fa tutto on line ma “la mente che crea” non è così veloce…), inviare il tutto entro i termini e stare attenti che le scadenze non sfuggano, incrociando le dita in attesa del responso finale che però arriva mesi dopo. Diciamo che c’è pure il tempo di dimenticarsi del PON.

Fin qui tutto bene, a parte il tempo speso per assolvere a tutte le questioni elencate (io ne ho speso parecchio, per dire, e tutto in orario extrascolastico però a scuola, così almeno mi si vedeva al lavoro!). Ma quando penso che l’obiettivo – inutile nasconderlo – del MIUR è quello di destinare meno soldi alle scuole perché tanto c’è il PON, ecco che il malumore aumenta.

A tutto ciò si aggiungono i problemi personali, come dicevo all’inizio. Io ho dovuto affrontare la rovinosa caduta di mia mamma con conseguente frattura del femore, nonché i problemi di salute di mio papà che sto ancora affrontando. E anche la mia salute non è proprio eccellente: verso la fine delle lezioni sono finita al Pronto Soccorso con i sintomi dell’infarto… tutto a posto, ha detto il medico che mi ha assistito nell’emergenza, ma “fossi in lei farei dei controlli ulteriori”. E così, di controllo in controllo, passerà tutta l’estate e il mio malumore, e anche la mia ansia, non può che peggiorare.

Ecco in estrema sintesi come mi sento. Ho sempre dato tanto al lavoro, spesso sottraendo tempo alla famiglia, quando i bambini erano piccoli e avevano più bisogno di me. Ho visto convivenze e matrimoni naufragare per questo motivo, perché a volte anche chi vive accanto a noi non capisce. “Ma chi te la fa fare per quei due soldi?”, chiedono. Io non ho mai pensato allo stipendio, perché amo il mio lavoro e ci metto passione in tutto quel che faccio. Ma non ci posso rimettere la salute ed è questo pensiero che attualmente mi turba.

Le colleghe che sono andate in pensione prima della malefica Legge Fornero alla mia età avrebbero avuto 2 o 3 anni davanti. Io ne ho 10 se va bene, ma probabilmente saranno 11. Posso dire che sono di malumore, che mi sento sfruttata (ho iniziato a insegnare prima ancora di laurearmi!), che non tollero questa ingiustizia, questo protrarsi degli anni in cattedra che mi pare sempre più una condanna ai lavori forzati? Posso dire che non vedo roseo il mio futuro, sotto nessun punto di vista?

Sono solo stressata e vedo tutto nero? Può darsi, anzi, lo spero. Magari a settembre rileggerò questo post e sorriderò. Ma molto probabilmente il prossimo luglio ne scriverò uno molto simile perché ho poche speranze che le cose cambino.

AUGURO A TUTTI UNA

Nel frattempo mi trovate QUI.

SAN VALENTINO? CHE STRESS!

cupido è morto
Dove sono finiti gli inguaribili romantici, quelli che non vedevano l’ora arrivasse San Valentino? Pare che al giorno d’oggi la celebre festa dedicata agli innamorati produca solo stress. Almeno per il 50% delle persone intervistate dall’Associazione europea disturbi da attacchi di panico (Eurodap).

L’indagine è stata condotta on line tramite un questionario cui hanno risposto 500 persone di età compresa tra i 20 e i 60 anni. Per cinque persone su dieci il 14 febbraio genera solo stress per motivi che vanno dalla scelta del regalo per il partner alle aspettative molto alte che immancabilmente vengono deluse. Per alcuni la causa di maggior stress deriva dalla situazione da vivere assieme.

Come spiega Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente Eurodap, il giorno degli innamorati preoccupa più le coppie mature perché, dopo tanti anni di vita uno accanto all’altro, è più difficile creare una situazione romantica, mentre le coppie giovani si preoccupano molto del regalo da fare.

Certamente il clima che si respira in questi tempi di crisi, che non è solo economica, non aiuta. La Vinciguerra a questo proposito osserva: «In un momento sociale così complesso e stressante, in cui già la coppia risente fortemente delle tensioni che si producono nel quotidiano, è importante fare in modo che questa ricorrenza produca invece armonia, complicità e contatto profondo».

A questo punto, sarò anche poco romantica ma se questa festa non è più sentita, se deve generare ansia e stress, mi chiedo perché non far finta di nulla. Chi si ama non ha bisogno di una festa per vivere un momento speciale né ha bisogno di regali. E chi non si ama … vabbè, sarà meno stressato. Ogni tanto bisogna pur vedere il lato positivo delle cose.

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TRISTEZZA & DISTRAZIONI

insegnanteChe cosa c’è di più triste di una domenica passata chiusa in casa a correggere compiti? Nulla, almeno per me. E quando fuori splende il sole, è ancora peggio. Ora, però, sta piovendo, uno di quei temporali estivi che arrivano quatti quatti, si fanno annunciare solo dalla luce che si fa via via più tenue e ti lasciano appena il tempo di ritirare il bucato steso sul terrazzo.

Quando devo rimanere a casa per forza, mi sento prigioniera, legata ad una penna rossa che deve impegnarsi tutto il tempo a segnare in modo vario, a seconda della gravità, gli errori. Tutto il tempo così. Che strazio! Praticamente mi ritrovo a fare ciò che sconsiglio ai miei allievi: distrarsi.

Prima di tutto ho il pc acceso, anche se faccio finta di nulla. Nel senso che gli do ogni tanto un’occhiata fugace, una sbirciatina alla posta o al blog, mi do pure dei tempi … ogni cinque compiti. Poi, sarà il caldo, ma non faccio altro che bere; quindi ogni mezzora mi trasferisco in cucina, dove almeno la mattina fa anche più fresco perché è a nord, bevo e torno alla scrivania. Di mangiare fuori pasto non se ne parla: arriva l’estate, anzi pare sia proprio arrivata visto che in casa ho già 29°C, e si deve stare a dieta. Ma, visto che sono nervosa, mangio caramelle, rigorosamente senza zucchero. Il cellulare sta lì zitto; proprio perché oggi pare che nessuno mi fili, mando un sms ad una collega, sicura che anche lei sia segregata in casa, e attendo una risposta consolatoria che confermi anche la sua segregazione. La collega al momento è in bici -mi assale l’invidia- ma poi ha anche lei i suoi pacchi di compiti che l’aspettano. Tra un sms e l’altro si consuma un po’ di tempo ed è giunta l’ora di fumare una sigaretta. Da quando non fumo in casa, mi sento una deportata: d’estate in terrazza, ma solo se non batte il sole, d’inverno in veranda, anche quando ci sono 5°C. In quei frangenti mi convinco che il fumo faccia male: rischio ogni volta di prendermi un accidente. Nelle mezze stagioni la veranda va benissimo, né caldo né freddo, c’è pure uno sgabello, sempre che non sia occupato dalle scatole di scarpe che, non si sa perché, rimangono abbandonate finché qualcuno, la sottoscritta, non le mette a posto.

Mai come oggi sono stata distratta, ma non solo dalle azioni che ho appena descritto, soprattutto dai pensieri. Per dire la verità da un pensiero: l’esame di stato. Eh già, perché quest’anno mi tocca e non posso scappare. Se è normale un po’ di tensione negli allievi, non so quanto lo sia per gli insegnanti. Ma io sono fatta così: partecipo delle gioie e dei dolori altrui, anche dell’ansia, se è il caso. E negli ultimi tempi i “miei” ragazzi sono ansiosi e mentre cerco di consolarli, cresce la mia di ansia e non posso nemmeno farmi vedere tanto ansiosa perché allora non potrei più dire “ma come siete esagerati, cosa sarà mai! un esame, solo il primo di una lunga serie se andate all’università”. Il bello è che, ripensando ai miei studi, mi ritornano in mente vecchi ricordi di quando uscivo di casa per sostenere un esame e, guardando mia madre con occhi tristi, le dicevo “stavolta mi andrà male”; il sorriso di lei, che sapeva che sarei tornata con l’ennesimo 30 e lode, era sornione e non mi consolava affatto, anzi sembrava che si prendesse gioco di me. Ma in fondo aveva ragione: ho sempre fatto drammi per qualsiasi cosa, perché mai avrebbe dovuto credermi quando i fatti parlavano chiaro?

Alla fine del pomeriggio i compiti sono corretti, tutti. Beh, li dovrò rivedere domani, ma per oggi basta. Ho la testa fusa. Però nella “pausa pranzo” sono riuscita anche a prendermi un’oretta di sole, prima che si annuvolasse ovviamente. Il fatto è che alla fine ho perso un sacco di tempo, tra la doccia, il caffè, la sigaretta .. anche perché dovevo riprendermi visto che sono rientrata in casa dalla terrazza parecchio intontita. In quelle condizioni non avrei mai potuto correggere i compiti.

Insomma, una giornata piena, anche troppo. L’unica nota positiva è che i famigerati compiti, quelli della quinta, ovviamente, sono andati bene, almeno per ora, nel senso che domani li rivedrò e non si sa mai che abbia sbagliato a fare i conti. Magari oggi ero troppo stanca.
Una cosa, però, mi ha reso particolarmente triste la domenica: nessuna mail, nessun commento sul blog. Non c’è cosa peggiore che vedere quello “zero” che ti fa capire chiaramente che nessuno ti prende in considerazione. Però una spiegazione c’è: mi sa che a casa oggi sono rimasta solo io. E quegli allievi, esattamente quelli i cui compiti mi hanno tenuta impegnata tutto il giorno, saranno rimasti a casa anche loro a studiare per l’esame o per le ultime verifiche? Mi sa tanto di no. 😦

P.S. Ora vado a vedermi un film alla tele: “Notte prima degli esami oggi” … l’ansia mi perseguita, che incubo!