10 FEBBRAIO 2015: IL GIORNO DEL RICORDO ATTRAVERSO LE PAROLE DI MARISA MADIERI

Marisa_MadieriMarisa Madieri (Fiume 1938 – Trieste 1996), insegnante e scrittrice, moglie del germanista triestino Claudio Magris, raccolse nel suo libro Verde acqua, alcune toccanti pagine di diario – che riguardano gli anni tra 1981 e 1984 – in cui, ormai donna adulta, madre e moglie, rievoca la sua infanzia e adolescenza, segnata dall’esperienza dell’esodo da Fiume, città dov’era nata e in cui aveva vissuto fino a undici anni.

Così descrive il periodo in cui il destino degli Italiani dell’Istria fu segnato dall’esperienza amara dell’esodo:

Tra il 1947 e il 1948 a tutti gli italiani rimasti ancora a Fiume fu richiesta l’opzione: bisognava decidere se assumere la cittadinanza jugoslava o abbandonare il paese. La mia famiglia optò per l’Italia e conobbe un anno di emarginazione e persecuzioni. Fummo sfrattati dal nostro appartamento e costretti a vivere in una stanza con le nostre cose accatastate. I mobili furono venduti quasi tutti in previsione dell’esodo. Il papà perse il posto e, poco prima della partenza, fu imprigionato per aver nascosto due valigie di un perseguitato politico che aveva tentato di espatriare clandestinamente e, catturato, aveva fatto il suo nome. Con la sua consueta ingenuità, il papà si fece cogliere con le mani nel sacco.
Quei mesi di vita sospesa, non più casa e non ancora del tutto altrove, furono da me vissuti con un profondo senso di irrealtà, non con particolare sofferenza. […] E’ così che ricordo la mia Fiume – le sue rive ampie, il santuario di Tersatto in collina, il teatro Verdi, il centro dagli edifici cupi, Cantrida – una città di familiarità e distacco. Tuttavia quei timidi e brevi approcci, pervasi di intensità e lontananza, hanno lasciato in me un segno indelebile. Io sono ancora quel vento delle rive, quei chiaroscuri delle vie, quegli odori un po’ putridi del mare e quei grigi edifici. Per molti anni dopo l’esodo non ho più rivisto la mia città e l’ho quasi dimenticata, ma quando ho avuto l’occasione di passare per Fiume […] ho provato la chiara sensazione di ritornare nella mia verità. […]
Nell’estate del 1949, ottenuto il visto per l’espatrio e dopo una breve visita a papà in carcere, partimmo da Fiume – mia madre, mia sorella, io e la nonna Madieri, già molto anziana e malata di cancro.

silos trieste

Arrivate a Trieste, le donne trovarono rifugio, assieme a molte altre famiglie di profughi, nel Silos (oggi trasformato in un parcheggio), un enorme edificio a tre piani, costruito durante l’impero asburgico come deposito di granaglie. Lo spazio era suddiviso in tanti box in cui venivano ospitati i nuclei familiari. “Entrare nel Silos era come entrare in un paesaggio vagamente dantesco, in un notturno e fumoso purgatorio”, scrive Madieri.

Il pianterreno, il primo e il secondo piano erano quasi completamente immersi nel buio. Il terzo era invece rischiarato da grandi lucernai posti sul tetto, che però non potevano essere aperti. […] Dai box si levavano vapori di cottura e odori disparati, che si univano a formarne uno intenso, tipico, indescrivibile, un misto dolciastro e stantio di minestre, di cavolo, di fritto, di sudore e di ospedale. […] Anche i rumori erano molteplici e formavano un brusio uniforme dal quale si levavano ogni tanto le note acute di qualche radio, una voce irata, colpi di tosse o il pianto di un bambino. […] Era orribile spogliarsi la sera e coricarsi tra le lenzuola che sembravano di marmo e ancor più uscire al mattino dal tepore del letto per affrontare l’aria intorno, subito ostile, e l’acqua gelida dei lavandini. Soffrivo di raffreddori e geloni. Quando studiavo e dovevo restare a lungo ferma sui libri, la mamma mi riscaldava dell’acqua, riempiva un catino e lo poneva sotto il tavolo in modo ch’io potessi immergervi i piedi doloranti. […] Imparai ben presto ad estraniarmi completamente da tutto ciò che mi succedeva intorno e a pensare solo ai miei libri.
(M. Madieri, Verde acqua, Einaudi, 1987, passim)

La Madieri riuscì, nonostante tutto, a frequentare il liceo classico Dante Alighieri di Trieste e a laurearsi in Lingue e letterature straniere a Firenze, dove conobbe lo scrittore Claudio Magris, che sposò e da cui ebbe due figli, Francesco e Paolo. Morì a soli 58 anni nel 1996.

Nelle pagine conclusive di Verde acqua, scrive:

Fuori, la notte chiara, frusciante di stelle, custodisce volti e parole che non saprò mai dire. Molta parte della mia storia affonda in questa dolce oscurità, simile forse a quella, grande e buona, che mi accoglierà un giorno nella pace in cui già dimorano mio padre e mia madre.
Ma non provo tristezza, solo gratitudine. Se sono ritornata ad Itaca, se nei lunghi silenzi della mia vita hanno echeggiato per qualche istante le note di un valzer che i pianeti e le stelle, così lucenti stasera, danzano nell’odissea degli spazi, sento di dover ringraziare una folla di persone, anche dimenticate, che, amandomi, o semplicemente standomi accanto con la loro fraterna presenza, non solo mi hanno aiutato a vivere ma, forse, sono la mia vita stessa. (M. Maideri, Verde acqua, 27 novembre 1984)

La storia di Marisa Madieri è solo una delle tante che raccontano l’esodo dei giuliano dalmati.
Ma nel Giorno del Ricordo non possiamo dimenticare l’eccidio che si compì nelle foibe.

6 pensieri riguardo “10 FEBBRAIO 2015: IL GIORNO DEL RICORDO ATTRAVERSO LE PAROLE DI MARISA MADIERI

  1. Una tragedia a lungo ignorata,i cui protagonisti non hanno ricevuto in patria l’attenzione e l’accoglienza cui avevano diritto.Di recente ho appreso che vi erano anche diversi messinesi,impiegati civili o militari.

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