SCUOLA: LE PROVE INVALSI S’HAN DA FARE. SÌ, SÌ


Da settimane, ormai, nelle scuole italiane si sta discutendo dei famigerati Test InValsi. In molti istituti, specialmente nell’ambito dell’Istruzione Secondaria di II grado, dove le prove InValsi si effettueranno per la prima volta, limitatamente alle classi seconde, c’è gran fermento e nei Collegi dei Docenti si discute, a volte animatamente, sull’eventualità di rifiutare quello che da molti è considerato come un inutile fardello. Insomma, queste prove InValsi non si vogliono fare, ovvero somministrare. Un termine decisamente sgradevole, manco si trattasse di dare un farmaco a quei poveri studenti le cui capacità, anzi competenze, si vogliono testare.

Sull’utilità, ovvero inutilità delle Prove elaborate dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione ho già parlato in questo post. Né ho intenzione di tornare sull’argomento. Quello che mi preme trattare ora è l’obbligatorietà o meno della somministrazione delle suddette prove.

Molti istituti, come ho detto, sono in agitazione, sollecitati anche dalle proteste del Cobas e altre associazioni sindacali avverse a questo strumento di valutazione. In alcuni Collegi dei Docenti si è pure votata l’adesione o meno all’iniziativa. Qualche tempo fa, per l’esattezza il 20 aprile scorso, il MIUR, attraverso una nota firmata dalla dottoressa Carmela Palumbo, ha ribadito l’obbligatorietà della somministrazione dei test. (LINK)

Nella nota, tra le altre cose, si legge:
Riguardo alle modalità della rilevazione nazionale, come noto, il sistema prevede la somministrazione censuaria in tutte le classi individuate dalle direttive ministeriali (classe seconda e quinta primaria, classe prima e terza I grado, classe seconda II grado). Tra di esse sono state individuate, inoltre, alcune migliaia di classi campione, per le quali la rilevazione è gestita direttamente dall’INVALSI tramite osservatori esterni, che si occupano personalmente di somministrare e correggere le prove. […]
Per le classi non rientranti nel campione la somministrazione e la correzione delle prove è affidata alle scuole […] Alle singole istituzioni scolastiche verrà restituito un rapporto sui risultati degli apprendimenti, in forma strettamente riservata, aggregati a livello di classe […]

Va da sé che, escludendo le classi campione, le prove dovranno essere somministrate dai docenti della classe, ma non necessariamente i diretti interessati, ovvero gli insegnanti di Italiano e Matematica, discipline oggetto d’indagine che, però, logicamente dovranno sobbarcarsi l’onere della correzione dei test.

Su questi due punti i sindacati si sono scatenati: in primo luogo, un’attività non pianificata a livello collegiale viene imposta e sottrae il tempo-scuola alle varie materie e relativi docenti che, essendo in servizio, teoricamente non possono rifiutarsi di sorvegliare le classi; in secondo luogo, la correzione non rientra negli obblighi contrattuali, essendo la prova “calata dall’alto”, quindi i docenti avrebbero un onere in più, quello della correzione di prove di cui, per la maggior parte, non condividono la tipologia, né le ritengono un utile strumento di valutazione tout court, tanto meno sono da considerare utili alla valutazione formativa o/e sommativa.

A queste proteste il MIUR che risponde?
In linea di coerenza anche il piano annuale delle attività, predisposto dal dirigente scolastico e deliberato dal collegio dei docenti, ai sensi dell’art 28, comma 4, del vigente C.C.N.L non può non contemplare tra gli impegni aggiuntivi dei docenti, anche se a carattere ricorrente, le attività di somministrazione e correzione delle prove INVALSI.
Conseguentemente, ferma restando l’assoluta pertinenza sotto il profilo giuslavoristico con le mansioni proprie del profilo professionale, il riconoscimento economico per tali attività potrà essere individuato, in sede di contrattazione integrativa di istituto, ai sensi degli artt. 6 e 88 del vigente C.C.N.L..

Detto in soldoni: la correzione rientra tra le attività aggiuntive (leggi “straordinarie”), quindi retribuite, attraverso la contrattazione decentrata, attingendo al Fondo d’Istituto. Parrebbe un contentino per mettere a tacere i docenti scontenti. E invece no perché essi hanno comunque qualcosa da eccepire: se la correzione dei test è da considerare attività aggiuntiva, allora non può essere imposta. Giustissimo. C’è poi chi aggiunge che il FIS dovrebbe essere utilizzato per attività decise collegialmente e rientranti nel POF (Piano dell’Offerta Formativa). Anche questo è sacrosanto. Tuttavia, al ministero non importa molto, visto che, come d’abitudine, là i conti si fanno senza l’oste.

Ma il Collegio Docenti allora può deliberare la non somministrazione delle prove? No. La dottoressa Palumbo spiega:
Ovviamente anche le funzioni deliberative del collegio dei docenti devono essere esercitate nel rispetto del ruolo di concorso istituzionale che l’ordinamento scolastico assegna alle scuole nell’ambito del Servizio nazionale di valutazione.
Quindi apparirebbero quantomeno improprie le delibere collegiali che avessero ad oggetto la mancata adesione delle istituzioni scolastiche alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti, non solo in quanto esorbitanti dalle competenze deliberative proprie del collegio dei docenti elencate dall’art. 7 del d.lvo. 297/94, ma soprattutto perché in contrasto con la doverosità delle rilevazioni.

A questo punto, converrebbe rassegnarsi. E invece no. Qualcuno obietta che la doverosità delle rilevazioni è tale solo per il MIUR e che se al Collegio è impedito di deliberare, si tratta proprio di un atto di forza al quale, a maggior ragione, bisogna opporsi. Viene lesa la libertà didattica, viene sottratto del tempo alle regolari lezioni, viene imposto un carico di lavoro in un periodo dell’anno in cui ce n’è fin troppo. Anche queste osservazioni sono legittime. Tuttavia, c’è un piccolo particolare che dovrebbe convincere gli incerti sull’impossibilità di rifiutare la somministrazione delle prove InValsi: esse sono obbligatorie per gli studenti, quindi i docenti non possono impedire loro di svolgerle.

A tagliare la testa al toro contribuisce l’avvocato dello Stato Laura Paolucci: in una lettera pubblicata sul sito dell’Ufficio scolastico regionale del Piemonte spiega che le prove sono obbligatorie per le scuole e il collegio dei docenti non ha nessun potere di deliberare in merito.

Non è la prima volta che la dott.ssa Paolucci interviene su questa spinosa questione. Già nel 2009, infatti, aveva chiarito, in una nota, che le prove quindi hanno una “vocazione” esterna alla singola istituzione scolastica, servono (devono servire, non possono servire che) ad operare riflessioni in termini sistemici (al fine di una successiva ed eventuale ricaduta su norme o azioni di carattere generale: ad es. programmi, indicazioni didattiche e metodologiche, benchmarking, ecc.). Precisa, inoltre che nessuna norma attribuisce questa competenza (diversa essendo la valutazione periodica dell’apprendimento e del comportamento degli studenti spettante ai docenti) alle istituzioni scolastiche. Né conseguentemente agli organi amministrativi (organi collegiali e dirigente scolastico) che tali istituzioni compongono né al personale docente a titolo “individuale”. Essendo, quindi, svincolato l’InValsi dalle istituzioni scolastiche ed essendo a tale istituto, e solo ad esso, demandato il compito di provvedere alla misurazione periodica degli apprendimenti nelle varie istituzioni scolastiche, secondo l’avv. Paolucci ne deriva che è metodologicamente scorretta sul piano giuridico l’impostazione della questione in termini di uso di discrezionalità da parte degli organi dell’istituzione scolastica: la questione, se affrontata in seno di collegio dei docenti, non dovrebbe essere proposta all’ordine del giorno né successivamente gestita come se quell’organo avesse un potere deliberativo in proposito. (per leggere l’intera nota della dott.ssa Paolucci CLICCA QUI)

Esaminata la questione nella sua complessità non mi resta che suggerire ai colleghi che non condividono la somministrazione delle prove: le fate svolgere, sorvegliate (perché l’orario di servizio va comunque rispettato), le raccogliete, fate un bel pacco e lo rispedite al mittente. Non mi pare di aver letto alcuna norma che possa ostacolare quest’azione. Forse all’Invalsi se ne faranno una ragione e il MIUR cambierà strategia.

15 pensieri riguardo “SCUOLA: LE PROVE INVALSI S’HAN DA FARE. SÌ, SÌ

  1. Sai già come la penso e chi non lo sapesse lo può vedere nel mio blog, nei molti post sull’argomento, sotto la categoria “scuola”, oltre che in molti altri miei commenti sul tuo blog: sono assolutamente favorevole ai test INVALSI e penso che l’ostracismo contro di essi altro non sia che il rifiuto da parte dei professori e della scuola di qualunque sistema di valutazione non tanto dell’apprendimento dei singolo studenti, ma delle capacità di insegnamento dei docenti e della scuola stessa. Perché di questo in realtà si tratta. Sia questo strumento il test Invalsi, sia esso un qualunque altro strumento di valutazione meritocratica.

    Sono semplicemente inorridito, ora, nel leggere che la correzione dei test Invalsi comporterebbe un indebito “carico di lavoro in un periodo dell’anno in cui ce n’è fin troppo”. Per come sono formulati, con 4 risposte standard A, B C e D, tipo quelle per la patente, per intenderci, la correzione del pacchetto di test di una classe non comporta, a mio avviso, più di un’oretta di lavoro. E per questa oretta, tutto questo casino?

    Povera scuola. Non andremo mai da nessuna parte con questa mentalità.

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  2. La risposta scritta qui di seguito è indirizzata soprattutto al nickname: frz40.

    Ho letto con divertimento e rammarico il commento che hai scritto riguardo i docenti e la scuola italiana. Ignoro completamente quale sia il tuo mestiere e sinceramente, credo di non urtare la tua sensibilità se dico che non mi importa molto.
    Vorrei tuttavia spendere poche ma incisive parole per discutere i tuoi pensieri e le tue opinioni così freddamente palesate.

    La scuola (pubblica) italiana è stata da sempre (e soprattutto negli ultimi periodi) maltrattata da pregiudizi di fondo come i tuoi. Permettimi di essere più chiaro:
    attualmente abbiamo subito un calo nel personale ATA disponibile a livelli tali che quasi tutta la burocrazia delle segreterie dobbiamo svolgerla noi docenti. Per giustificare questa cosa sono stati assegnati incarichi con retribuzione forfettaria retribuiti meno della metà di quanto dovrebbero.

    Non voglio discutere sulla retribuzione, poichè sinceramente c’è un errore concettuale ben più grave alla base di queste “iniziative”.
    Punto primo: noi insegnanti siamo pagati per insegnare non per coprire compiti di segreteria che ora ci vengono assegnati come straordinario malpagato ed in apparenza facoltativo (ma in realtà obbligatorio: si pensi alla catalogazione delle strutture per tirocini, o alle attività di recupero dati dei candidati per gli esami di stato, ecc.);
    Punto due: il rancore che dimostri verso la classe lavorativa degli insegnanti è immotivato a tutt’oggi e tutt’al più mi appare giustificabile soltanto pensando ad eventuali tuoi personali (spero sporadici) casi di incomprensioni affrontate in passato.

    Punto tre: Lo stipendio degli insegnanti italiani è tra i più bassi d’europa. Questo non vuole essere una giustifica, tuttavia se analizzato alla luce delle crescenti pressioni governative alle quali siamo sottoposti, appare essere il fulcro del discorso. Gli insegnanti sono praticamente stanchi di essere sfruttati e malpagati poichè questo alimenta frustrazione e difficoltà varie.

    Punto quattro: insegnare è un’arte non una catena di montaggio. Verso i primi di ottobre sono stato fermato da un’auto dei carabinieri durante un giorno di sciopero, mentre mi recavo come di consueto al lavoro. In base al loro punto di vista avevo superato un incrocio senza fermarmi ad uno stop. Sono stato pertanto oggetto di un richiamo (spero solo) verbale. La multa ancora non mi è arrivata. Fin qui si tratta di una scena di vita quotidiana. Il bello del racconto viene ora, poichè mentre i due carabinieri parlavano, uno di loro, per rispondere ai miei tentativi di dissuaderli da una multa mi risponde: NOI IL NOSTRO LAVORO LO FACCIAMO, NON COME VOI INSEGNANTI..

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  3. @ frz

    Pur non approvando il comportamento di tanti docenti che si oppongono alla somministrazione delle prove InValsi – per una volta sono neutrale visto che non insegno Italiano in seconda – non posso far altro che notare le incongruenze tra quanto stabilito dal Contratto Nazionale e quanto calato dall’alto, come al solito, dal ministero. Al di là dell’ “oretta di lavoro” – che è comunque una tua valutazione basata su dati approssimativi e senza alcuna esperienza sul campo -, credo che ad ogni lavoratore dia fastidio essere obbligato a prestare un servizio non previsto dal contratto. Allora i contratti che ci stanno a fare?
    Ci sono altre cose “tecniche” che non sai e che non sto qui a spiegare. Quindi il tuo “povera scuola” e il riferimento alla “mentalità” dei docenti che, ripeto, hanno le loro ragioni, mi sembrano le solite lamentele di chi con il mondo della scuola non ha nulla a che vedere. E mi dispiace se per l’ennesima volta sono costretta a ripetertelo.

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  4. … per continuare il messaggio postato sopra..

    possiamo concludere che effettivamente c’è un pregiudizio di fondo “quasi razzista” o xenofobico nei confronti dei docenti.

    In tanti (anche amici) mi hanno confessato di non comprendere il senso degli studi, visto che al giorno d’oggi nella vita un diplomato (porto la loro testimonianza) guadagna più del sottoscritto. Dirò di più: mentre io studiavo per prendermi la prima laurea di secondo livello, e poi mi abilitavo all’esercizio della libera professione, e poi mi prendevo l’abilitazione all’insegnamento attraverso la “famigerata” SISS, e poi mi iscrivevo di nuovo all’università per prendermi una seconda laurea di secondo livello.. ecc.. i miei amici già a 18 anni intascavano i primi stipendi. A tutt’oggi dopo più di 10 anni, io mi ritrovo con un debito di circa 40 mila euro con l’INPDAP se voglio “riscattare” gli anni di università e sperare di andare in pensione a 60 anni (sempre che nel frattempo riesca a passare assunto a tempo indeterminato), mentre loro hanno un gruzzolone in banca e anni di scivolamento per andare in pensione a 50 anni senza pagare riscatti che si applicano solo ai dipendenti della pubblica amministrazione (INPDAP che furbata!). Come dici? E’ stata una scelta? Si certo, ma inconsapevole.
    Ti assicuro che della mia categoria io sono tra quelli fortunati e sai perchè? PERCHE’ LAVORO (almeno per ora). Se pretendere di essere trattati meglio è troppo allora si, sono o siamo tutti esigenti ma con fierezza e certo non per pigrizia o incompetenza.
    Ma torniamo a noi:
    Sai da dove escono i test INVALSI?? Fattelo dire da uno che ha partecipato ai congressi tenuti a Milano nel 2008-2009 dai ricercatori ed insegnanti che hanno ottenuto il distacco dalla scuola per occuparsene.
    I test invalsi derivano dagli equivalenti europei che hanno ispirato l’Italia. In altre parole, l’Italia li ha introdotti poichè nel resto d’europa esistevano già da tempo (ed ovviamente con “modalità” di somministrazione e correzione diverse).

    Capricciosi questi insegnanti italiani non trovi?
    Oppure pinocchi tutti quelli che fingono di non vedere perchè è più semplice?

    Bene riassumo le considerazioni sul test invalsi:
    AVREBBE SENSO IL TEST SOLO SE A CORREGGERE LE PROVE FOSSE IL PERSONALE CHE NON LAVORA NELLA STESSA SCUOLA
    Perchè??? Perchè ha tutto l’interesse di far andare bene i propri ragazzi!!
    Come? TANTO LE PROVE SONO ANONIME??
    Ed infatti non importa sapere di chi sono, basta sapere che sono della mia scuola.. così DIMOSTRIAMO QUALI SONO LE SCUOLE CHE VALGONO!
    Come? Si tratta solo di correggere test a risposta multipla (a, b, c,..) allora perchè non creano un bel software informatico che gestisca tutto in automatico? I test si fanno al pc e non su carta! Sarei capace di farlo anch’io che non sono un ingegnere informatico.. com’è che al MIUR non ci hanno ancora pensato.. eppure la soluzione mi appare semplice..

    Il mio invito: apriamo le menti e non fermiamoci alle apparenze. Evitiamo di giudicare ciò che non conosciamo in profondità.

    E’ vero che nella scuola ci sono alcuni lavativi, ma gli stessi puoi trovarli al parlamento, come per strada, o in qualsiasi altro settore.

    La verità è che oggi l’opinione pubblica è bombardata dalle notizie e vede noi insegnanti come fannulloni, mentre in realtà le nuove leve hanno iniziato a lavorare e fare sacrifici moolto presto e pretendono non dico di raccoglierne subito i frutti ma almeno di intravederli da lontano. Ciò che accade invece è l’opposto poichè progettare la carriera (piatta) o il futuro è impossibile senza tempo libero e certezze.

    Ed anche qui ci sarebbe da scrivere tanto poichè non è più vero che gli insegnanti hanno 4 mesi di vacanza!
    Primo perchè esistono mestieri dove puoi prenderti ferie quando vuoi e noi docenti NON possiamo, quindi paghiamo tutto caro perchè corrisponde ai periodi turistici a fascia alta (per chi va in vacanza).
    Secondo perchè tutto giugno e fino al 10 luglio siamo impegnati con gli esami di stato (sempre che non ci siano casi particolari di partorienti o altro che ci fa slittare tutto);
    Terzo perchè chi come me è precario passa l’INTERA estate a guardare i siti dei CSA e le notizie varie per poi impegnarsi già dal 18 agosto per presenziare alle convocazioni per le nomine del nuovo anno.

    E tutto questo per non avere neanche la pensione intera a fine carriera.

    Che furbi e approfittatori questi insegnanti! …

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  5. ultima cosa e poi concludo..
    Sai quali erano le considerazioni elucubrate dai ricercatori degli INVALSI?

    Che i ragazzi Italiani sono più cernie del resto dei paesi europei;
    Che quelli del nord Italia sono “stranamente” più preparati di quelli del “sud”..
    Visto che non riuscivano a spiegarselo.. sono intervenuto io dal pubblico.. prendendo la parola

    ed ho avanzato la semplice considerazione che segue:
    “forse sono più bravi perchè il corpo docente delle scuole al nord è più giovane e si ricambia con maggior frequenza, mentre al sud ci giungono gli stessi insegnanti del nord quando in tarda età passando di ruolo chiedono il trasferimento.”
    Non sono stato preso in considerazione! Perchè secondo lo staff “Invalsi” gli insegnanti anziani dovrebbero aver accumulato talmente tanta esperienza da produrre risultati migliori..

    Ora spiegatemi voi se è umano o no aspettarsi che un lavoratore che ha atteso tanto per raggiungere un minimo di stabilità finisca per adagiarsi un pochettino sugli allori dopo essere vissuto per anni in scatolette di 12 metri quadrati senza avere i soldi per comprarsi un’auto nuova o aprire un mutuo in quanto ha già la famiglia da un’altra parte che rivede soltanto durante le festività. E che cos’è!

    Dopo anni di lavoro col fiato sul collo per dimostrare di valere ed essere scelti, fare POF ecc..
    per non parlare che il nostro è un mestiere dinamico e stare dietro ai ragazzi stressa.
    Chiedi a tua madre se riesce a star dietro ai nipotini come fai tu..
    Chiedilo poi a tua nonna.. e vediamo.

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  6. @ Luca

    Ora non ho il tempo per replicare ai tuoi commenti come vorrei. Intanto ti ringrazio e ti invito, se ne hai voglia, a leggere i commenti a questo post. Capirai come la pensa frz40, specie sul discorso “ferie”, ed io evito a lui di ripetersi.

    Buona serata.

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  7. @ luca

    Ho risposto direttamente sul mio blog al tuo commento e non starò qui a riportarlo.

    Ci sono due punti che meritano ancora una piccola replica.

    Il primo è il “mal pagati”: il mio augurio è che una scuola che dia risultati migliori possa darvi stipendi migliori.

    Il secondo è che “non ti importa molto” di quale possa essere il mio mestiere. Non urti affatto la miai sensibilità, ma ci trovo tutta l’arroganza che vede la scuola chiusa in se stessa, incapace di confrontarsi col mondo esterno che, guarda caso, però, è quello per cui dovrebbe lavorare.

    Senza rancore.

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  8. @ Luca

    Le tue riflessioni mi trovano d’accordo.
    Trovo alquanto singolare che i docenti debbano svolgere compiti normalmente affidati alla segreteria. Qualche anno fa, ad esempio, è stata chiesta la collaborazione dei coordinatori di classe per un controllo incrociato delle assenze riportate sul registro di classe e sul libretto degli allievi. Il compito non rientrava in quelli stabiliti, nell’ambito dell’organigramma e delle funzioni di ciascuna figura, per il coordinatore di classe quindi chi ha voluto l’ha fatto, gli altri no. Io personalmente non l’ho fatto, anche se poi sono molte le mansioni che svolgo, anche se non sono coordinatore, per migliorare soprattutto l’azione educativa (i ragazzi devono sapere che c’è una qualche forma di controllo sulle assenze, ritardi, trascrizioni dei voti sul libretto … ).

    Insegno dal 1983 e devo dire che da allora la professionalità dei docenti è di gran lunga migliorata, vuoi perché c’è stato un ricambio, potendo andare le donne (che sono la maggioranza del corpo docente) in pensione prima, vuoi perché le “nuove leve”, quelle sfornate dal concorso ordinario del 1985 (che ho fatto anch’io), erano davvero preparate. Per anni ho fatto molto “volontariato”, nel senso che ho partecipato a progetti, corsi di autoaggiornamento, di formazione, anche per la certificazione linguistica dell’Inglese, e di aggiornamento senza la benché minima retribuzione (non mi risulta che altri lavoratori seguano corsi AL DI FUORI DELL’ORARIO DI LAVORO -scusa il maiuscolo ma ci tengo ad essere chiara- e senza nemmeno il rimborso spese dell’iscrizione o di trasporto). Solo da qualche anno si possono scaricare le spese entro i 500 euro, sempre che si presenti il 730. Tutto questo lavoro non retribuito, svolto per una quindicina di anni almeno, mi ha dato molto, è vero, ha accresciuto la mia professionalità, ma non è stato considerato un merito quindi il mio stipendio è sempre rimasto uguale a quello di chi non faceva nulla, a parità di anni di anzianità.

    Negli ultimi anni ho cambiato strategia: faccio solo quello che viene retribuito, ma non per i soldi in sé (anzi, con il conguaglio di inizio anno spesso restituisco allo Stato un terzo di ciò che ricevo, dopo aver pagato regolarmente le tasse sul compenso accessorio 😦 ), bensì perché, come ho detto molte altre volte nei commenti in altri post, ritengo che la professionalità vada correttamente, se non equamente (difficile pensare che i 6 euro netti che ricevo per ogni colloquio allo Sportello d’Ascolto sia un equo compenso, solo per fare un esempio), riconosciuta a livello economico.

    Consideriamo anche che, oltre ad essere i meno retribuiti tra i docenti europei (ma qui dovremmo vedere anche l’orario di lavoro, le prestazioni ecc), abbiamo la carriera bloccata per tre anni, grazie alla finanziaria del maggio scorso, come se tre anni passati seduti in cattedra non siano mai esistiti a fine carriera. Chi è stato penalizzato più di noi? E’ come sparare sulla croce rossa …

    @ frz

    «il mio augurio è che una scuola che dia risultati migliori possa darvi stipendi migliori»

    Grazie per l’augurio ma, scusa la sincerità, sei un illuso. Non ci saranno mai degli stipendi migliori sulla base dei risultati, semplicemente perché non ci sono i soldi e mai ci saranno. Il premio al merito, su cui si discute da mesi, è stato “inventato” proprio perché la Gelmini si è resa conto che, dopo aver sbandierato ai quattro venti che la progressione della carriera dei docenti non può avvenire solo sulla base degli scatti di anzianità, non avrebbe potuto mantenere la promessa. Il premio è solo un “contentino” che accontenterebbe pochi e scontenterebbe tanti. Le solite cose fatte all’italiana. Ma anche questo l’ho già detto.
    Ma c’è di più. Nei prossimi anni la quota PIL destinata all’Istruzione, già molto al di sotto rispetto ad altri paesi europei, è destinata a ridursi considerevolmente:

    «Lo si desume dal recentissimo Documento di Economia e Finanza 2011 varato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministero dell’Economia e Finanze. Infatti, secondo calcoli e proiezioni della Ragioneria Generale dello Stato, per alcuni decenni gli investimenti per il sistema di istruzione italiano dovrebbero diminuire.
    Il Pil, cioè la ricchezza del Paese che per l’istruzione in Italia già attualmente viene riservata in quote complessivamente inferiori alla media europea, dovrebbe diminuire gradualmente di quinquennio in quinquennio dall’attuale magro 4,5% fino a toccare nel 2040 il 3,2%, per poi riprendere a salire lentamente.» (LINK per leggere l’intero articolo)

    Ora, visto che con i numeri sei più bravo di me, fai due conti e poi dimmi se si può essere così ottimisti da sperare in un’equa retribuzione.

    Qualcuno potrebbe obiettare che con i tagli eseguiti e quelli a venire, grazie anche al maggior numero di allievi per classe, alla chiusura dei plessi più piccoli, alla mancanza del turn over e alla riforma che ha tolto ore ai piani di studio, un risparmio ci sarà e sarà possibile ottimizzare l’impiego delle risorse. Questo è ciò che la Gelmini, fin dalla sua nomina a ministro, ha fatto credere. Ed io le ho creduto ma non sai quanto ora io mi dica stupida per essere caduta nella trappola di un’affabulatrice addestrata ad arte.

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  9. @marisa
    L’augurio, nei due sensi, è sincero, ma non voglio entrar nel merito di questa discussione, che, d’altra parte, anche con il concorso dell’amico “giorgio”, abbiamo già fatto.
    Buon week end.

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  10. Penso che lavorare GRATIS sia da sfigati…non regalo neanche un minuto della mia vita a nessuno. Riguardo a te frz40 nella scuola c’è TROPPO volontariato “obbligatorio” imposto cercando di far venire sensi di colpa agli insegnanti. Una categoria la nostra bistrattata per cui non correggere le prove Invalsi (se non pagati) penso sia doveroso.

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  11. @ Giancaro

    Come ho già scritto nei commenti precedenti, è giusto che il nostro lavoro venga riconosciuto, quando è “straordinario”. Il compenso non è mai equo ma almeno possiamo consolarci con il fatto che venga riconosciuta la nostra professionalità.

    Secondo me lavorare gratis non è da “sfigati”, semplicemente non è corretto. Il volontariato che abbiamo sempre fatto, forse con il senso di colpa di avere l’estate libera (che poi, lo sappiamo bene, non è esattamente così), ha indotto il ministero (e a volte anche i dirigenti) a pensare che, qualunque cosa ci venga chiesto di fare, la facciamo e basta. Questo è un gran brutto vizio e, purtroppo, assai diffuso. .

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