LE POESIE DEL RISORGIMENTO: “LA SPIGOLATRICE DI SAPRI” DI LUIGI MERCANTINI

Proseguendo il viaggio attraverso le liriche che hanno contribuito ad accendere gli animi degli uomini del Risorgimento (QUI trovate Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti), oggi mi voglio soffermare su una poesia che una volta si studiava a memoria, a partire dalle scuole elementari: La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini. Un poeta, quest’ultimo, considerato minore e attualmente pressocché sconosciuto agli studenti italiani, le cui liriche, però, ebbero in passato una vastissima risonanza, specie la già citata Spigolatrice e l’Inno di Garibaldi.

Luigi Mercantini nacque a Ripatransone, in provincia di Ascoli Piceno, nel 1821, trasferendosi poi a Fossombrone, dove compì i suoi studi e ottenne l’incarico di bibliotecario, quindi ad Acervia, dove insegnò retorica. Nel 1849 partecipò alla difesa di Ancona che, avendo aderito alla Repubblica Romana, era assediata dagli Austriaci. Dopo la presa della città andò in esilio nelle isole ioniche di Corfù e Zante, dove conobbe altri noti esuli come Daniele Manin, Niccolò Tommaseo e Gabriele Pepe.
Rientrato in Italia nel 1852, si stabilì a Torino entrando in contatto con gli ambienti patriottici piemontesi. Nel 1854 divenne docente di letteratura italiana nel Collegio femminile delle Peschiere. Nel 1858 conobbe Giuseppe Garibaldi che lo invitò a comporre un inno: nacque così la Canzone Italiana, musicata da Alessio Olivieri, assai più nota come Inno di Garibaldi (Si scopron le tombe, si levano i morti è il suo incipit). Altro inno patriottico scritto da Mercantini è Patrioti all’Alpe andiamo, musicato da Giovanni Zampettini.
Dopo altre esperienze sia giornalistiche sia didattiche, nel 1865 venne nominato docente di Letteratura italiana presso l’Università di Palermo. Qui fondò il giornale La Luce senza tralasciare l’attività poetica. Nel capoluogo siciliano morì il 17 novembre 1872.(Per ulteriori informazioni biografiche CLICCA QUI)

La poesia La spigolatrice di Sapri (costituita da strofe di endecasillabi a rima baciata) fu composta nel 1857 per rievocare l’eroica ma sfortunata spedizione compiuta da Carlo Pisacane, seguace di Mazzini, che tentò di liberare il Regno delle Due Sicilie dalla dominazione borbonica. Pisacane, con pochi uomini, tentò di sollevare le plebi meridionali, sperando di innescare una vera e propria insurrezione popolare. Ma la sua spedizione non ebbe il successo sperato: nello scontro con l’esercito borbonico a Sapri, nel Cilento, il 2 luglio 1857, Pisacane e ventisei dei suoi caddero sul campo.
Nel rievocare quest’evento legato al Risorgimento italiano, Mercantini lo enfatizza conferendogli un’aura leggendaria, che poi conservò nell’immaginario popolare, tanto da essere una delle liriche più conosciute dedicate a questo periodo storico. La poesia facilmente conquista il lettore, per il suo andamento ritmico e quel ritornello che, di tutta la lirica, è la parte meglio conosciuta (Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!) e tramandata. Sembra quasi una chanson de geste, con la sua musicalità semplice e nello stesso tempo appassionata, quasi un momento epico attenuato soltanto dalla evidente ingenuità.
La particolarità della poesia è il punto di vista: Mercantini adotta quello di una lavoratrice dei campi, intenta alla spigolatura e presente allo sbarco, che incontra Pisacane e ne rimane conquistata. La giovane parteggia per i trecento ma assiste impotente al loro massacro da parte delle truppe borboniche.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Me ne andavo un mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All’isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e noi non fecer guerra.

Fin dall’inizio ci si può render conto dell’enfasi con cui il poeta ricorda questo evento: i compagni di Pisacane, infatti, furono assai meno dei trecento rievocati nel primo verso. Solo ventisette, come si è detto, furono le vittime. Probabilmente il numero assume una connotazione leggendaria e simbolica: sembra quasi rievocare i trecento spartani morti alle Termopili, storica battaglia fra Greci e Persiani che spesso acquista un valore esemplare negli scritti del Risorgimento (ad esempio, nella canzone All’Italia di Giacomo Leopardi).
Quello che colpisce al primo impatto con questa lirica è l’uso delle reiterazioni (eraneran; una barcaera una barca; ritornataritornata) che producono, con la consapevolezza d’arte, gli effetti tipici della narrazione epico-cavalleresca. Nel terzo verso il riferimento al tricolore contribuisce a dare il doveroso tono patriottico alla poesia, con l’accenno storico seguente ad uno sbarco di Pisacane all’isola di Ponza in cui, effettivamente, il capo-spedizione si fermò per liberare i detenuti e “arruolarli” nel suo piccolo ma valoroso esercito.
Nell’ultimo verso di questa prima strofa quel a noi non fecer guerra chiarisce l’intento di Pisacane che stava tentando di liberare il popolo dall’oppressione borbonica.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti avevano una lacrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane:
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
Siam venuti a morir pel nostro lido.

Dopo la reiterazione del verso iniziale, che si ripete, a mo’ di ritornello, nell’incipit di ogni strofa, si può notare la ripresa dell’ultimo verso della precedente che contribuisce ad offrire alla poesia quella musicalità di cui si è già detto. Segue poi il gesto degli uomini che scendono dalla barca e baciano la terra con quella lacrima e quel sorriso che esprimono e visualizzano in modo elementare il sentimento di commozione che anima i trecento. A questi eroi viene, tuttavia, rivolta la consueta accusa con cui i governi reazionari tentavano di screditare, isolandole, le avanguardie rivoluzionarie dei movimenti popolari. La spigolatrice, però, vede con i suoi occhi l’onestà di questa gente che non porta via nemmeno un pane e che, anzi, si dichiara pronta a morire per liberare quelle terre.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: – dove vai, bel capitano? –
Guardommi e mi rispose: – O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella. –
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: – V’aiuti ‘l Signore!

Ed ecco che agli occhi della giovane spigolatrice scompaiono gli altri duecentonovantanove. Solo uno di quegli eroi giovani e forti cattura la sua attenzione: biondo, con gli occhi azzurri, cammina davanti agli altri, assumendo l’aspetto e il portamento del loro capitano. La giovane, fattasi coraggio, prende fra le sue le mani di quel giovane da cui viene a sapere che la missione che comanda è volta alla libertà della patria per la quale lui e i suoi compagni sono pronti a morire. Le parole del capitano provocano un tremito nella giovane che non riesce nemmeno, per l’emozione, a rivolgere loro una preghiera, l’invocazione dell’aiuto divino.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontraron con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliar dell’armi.
Ma quando fur della Certosa ai muri,
s’udiron a suonar trombe e tamburi,
e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille
.

Il fervore con cui i trecento si avviano a combattere per la patria è talmente forte e autentico da indurre la spigolatrice a seguirli, abbandonando, per quel giorno, la consueta attività. Ma la fortuna sembra non assistere il drappello di soldati improvvisati: i gendarmi li respingono per due volte e, giunti alla Certosa, con squilli di trombe, rulli di tamburi, in un’atmosfera che si accende dei lampi prodotti dalle armi e dal fumo causato dagli spari, i giovani valorosi vengono travolti da un numero ben più consistente di soldati borbonici. Qui si nota l’iperbole in quel mille che sembra presagire uno sbarco ben più fortunato, e tutta questa parte assume la connotazione del racconto popolare, il racconto di una testimone oculare che con semplicità e con immagini vivide descrive in breve l’assalto agli uomini del suo eroe.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Eran trecento non voller fuggire,
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano;
fin che pugnar vid’io per lor pregai,
ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

L’eroismo di questi patrioti si concretizza in quel non voller fuggire, in quel vollero morire, ripetuto nel verso successivo con l’elisione del verbo, in quel sangue che correa, tingendo tutto il piano, in quel pugnar col ferro in mano che denota il coraggio ma nello stesso tempo l’inutilità del sacrificio umano. La spigolatrice prega per il giovane biondo dagli occhi color del cielo e per i suoi compagni di sventura: anche le sue orazioni, però, sono inutili. Quando si rende conto che quegli occhi azzuri e quei capelli d’oro sono scomparsi alla sua vista, si sente mancare e non ha più il coraggio di guardare. Di fronte ai suoi occhi non c’è più l’mmagine di un amore inutilmente vagheggiato, c’è il quadro, desolato ed inquietante, di una carneficina: Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

20 pensieri riguardo “LE POESIE DEL RISORGIMENTO: “LA SPIGOLATRICE DI SAPRI” DI LUIGI MERCANTINI

  1. Ho trovato le tre poesie sul risorgimento che mi hanno colpito di più da adolescente tanto che ancora oggi, 54enne, le posso recitare (quasi) a mente

    "Mi piace"

  2. Cara professoressa ho visto che si è occupata anche della poesia di Giuseppe Giusti- Sant’Ambrogio. La mia professoressa di italiano ci ha detto di fare un confronto tra le due poesie, di trovare delle differenze e anche degli elementi simili.. lei che ne dice? Sono un po’ in difficoltà… spero che mi possa aiutare. Grazie mille in anticipo.

    "Mi piace"

  3. Salve ci tengo a farvi sapere (per chi fosse interessato) che di questa poesia “La Spigolatrice di Sapri”esiste anche una versione musicata dalla cantautrice Mjriam Masciandaro. Questa versione rimane facilmente impressa e ha belle sonorità. Vale la pena di ascoltarla.
    Lascio il link

    "Mi piace"

  4. Certo che l’enfasi e la retorica rappresentano la spina dorsale delle nascenti classi borghesi nel Risolgimento. Che però il poeta e Pisacane stesso volessero volessero passare per liberatori degli oppressi, è un’idea lontano dalla realtà quanto meno uguale a quella tra la terra e Marte.

    "Mi piace"

Lascia un commento