LE POESIE DEL RISORGIMENTO: “SANT’AMBROGIO” DI GIUSEPPE GIUSTI

La letteratura italiana di metà Ottocento fu caratterizzata dal binomio poesia-patriottismo. Il Risorgimento dei poeti fu, infatti, legato ad una letteratura che venne definita “per il popolo”, in altre parole quella borghesia che Giovanni Berchet, nella Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo, individuò come il pubblico ideale. Una poesia che aveva lo scopo di smuovere le coscienze, che tuonava contro lo “straniero”, che anelava all’indipendenza, nei cui versi il poeta intrecciava amor patrio e sentimento individuale per condividere con gli Italiani un fermento d’emozioni che aveva un denominatore comune: la voglia di essere una nazione, di vivere in uno Stato finalmente unitario.

Uno dei poeti, un tempo certamente più conosciuti dagli studenti (i suoi versi si imparavano a memoria fin dalle elementari, spesso senza capirci un’acca), è Giuseppe Giusti(1809-1850), i cui versi sono caratterizzati dall’associazione tra la satira e l’invettiva, efficacemente espressa usando, tuttavia, un linguaggio, la parlata toscana, spesso oscuro e, comunque, di non facile impatto. Eppure lui le sue poesie le chiamava “scherzi”, senza prendersi troppo sul serio. Su uno di questi “scherzi”, Sant’Ambrogio, lavorò a lungo per giungere ad una poesia dal tono narrativo, con uno stile colorito e colloquiale, fondendo l’emozione lirica con l’occasione comica. Il risultato è una lirica tradizionale nella forma ottave di endecasillabi, rimati secondo lo schema ABABABCC, quello del poema epico cavalleresco, per intenderci) ma decisamente fuori dal comune nel contenuto, specialmente laddove il poeta vuole esprimere un giudizio severo nei confronti dell’oppressore ma nello stesso tempo esterna, attraverso il registro comico, un atteggiamento pietoso e tollerante verso chi in casa altrui la fa da padrone.

La lirica prende spunto da un fatto realmente accaduto: mentre si trovava a Milano, ospite di Alessandro Manzoni, Giusti fece visita alla basilica di Sant’Ambrogio, al cui interno s’imbatté in un gruppo di soldati austriaci che a quei tempi occupavano il Lombardo-Veneto. Ad un primo sentimento di repulsione nei confronti dell’oppressore, si sostituisce una sorta di compartecipazione alla sorte di quei soldati che, lontani dalla patria, sono ridotti, forse loro malgrado, a strumento di sopraffazione. Il canto intonato da quei soldati suscita nel poeta una commozione inaspettata da cui scaturisce una riflessione profonda sulla sorte dei popoli che spesso sono soltanto delle marionette nelle mani di chi detiene il potere.

Immaginando di rivolgersi ad un alto funzionario della polizia o granducale (il poeta è pistoiese) o austriaca, Giusti inizia con questi versi:

Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per que’ pochi scherzucci di dozzina,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
a me che girellando una mattina
càpito in Sant’Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, là, fuori di mano.

Fin dall’incipit si può osservare l’ironia con cui il poeta esprime la sensazione di essere guardato in cagnesco da quel funzionario che l’ha di certo etichettato come anti-tedesco perché nei suoi scherzucci si prende gioco dei birbanti (tiranni, traditori, finti liberali …). Dopo il preambolo, con quel O senta tutto toscano si appresta a raccontare al suo interlocutore ciò che gli era successo una mattina in occasione di una visita nella basilica di Sant’Ambrogio.

M’era compagno il figlio giovinetto
d’un di que’ capi un po’ pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
ove si tratta di Promossi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? o non l’ha letto?
Ah, intendo; il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt’altre faccende affaccendato,
a questa roba è morto e sotterrato.

Il poeta si trova in compagnia del giovane figlio del Manzoni (forse Filippo), qui chiamato confidenzialmente Sandro e scherzosamente definito un di que’ capi un po’ pericolosi, riferendosi, senza mezzi termini, alla palese avversione che Manzoni nutriva nei confronti degli Austriaci e definendo il capolavoro del poeta lombardo romanzetto, prendendosi gioco anche di lui. L’intento di gabbare il funzionario si fa palese in quel Che fa il nesci (più o meno lo gnorri), salvo poi giungere alla conclusione che forse quel romanzo non l’ha letto perché il suo cervello ha tante altre faccende di cui occuparsi, prima fra tutte, è sottinteso, rendere infelici i poveri “oppressi”. Ecco che, proseguendo lo scherzo, arriva la sferzata per l’ignaro interlocutore: Dio lo riposi è un augurio che solitamente viene rivolto ai morti: il cervello del tale è, dunque, morto e sotterrato, constatazione che porta ironicamente l’attenzione del lettore sull’ignoranza e la pochezza di certi ufficiali.

Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que’ soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
difatto se ne stavano impalati,
come sogliono in faccia a’ generali,
co’ baffi di capecchio e con que’ musi,
davanti a Dio, diritti come fusi
.

Eccoci arrivati al racconto del fatto accaduto a Giusti in quel di Sant’Ambrogio. Nella basilica il poeta trova dei soldati, forse Boemi o Croati, popolazioni che allora facevano parte dell’Impero Austro-Ungarico. Erano lì, come i pali che sorreggono le vigne, a controllare l’ordine, mandati dai funzionari austriaci (le vigne); l’ironia si coglie anche qui in quell’impalati che li descrive nell’atteggiamento servile di chi è sempre pronto ad obbedire. Anche i baffi che Giusti paragona alla stoppa (capecchio), riferendosi ai caratteristici “colori” di quei popoli, perlopiù biondi, costituiscono una nota ironica che si accompagna a quel dritti come fusi davanti a Dio, come se dovessero stare sull’attenti anche davanti al Creatore.

Mi tenni indietro, ché, piovuto in mezzo
di quella maramaglia, io non lo nego
d’aver provato un senso di ribrezzo,
che lei non prova in grazia dell’impiego.
Sentiva un’afa, un alito di lezzo;
scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
fin le candele dell’altar maggiore.

Ecco che il ribrezzo, la repulsione prende il sopravvento: Giusti non ha voglia di mischiarsi a quella “marmaglia”, un ribrezzo che, ovviamente, il funzionario non può provare, visto che ci vive in mezzo abitualmente e che, proprio grazie a questo suo impiego che gli garantisce lo stipendio, riesce a sopportare. L’aria, poi, là dentro è decisamente viziata (e non può essere altrimenti visti gli “ospiti”), talmente pesante da far sprigionare persino dalle candele un odore non simile alla cera (che allora doveva essere di ottima qualità) quanto al sego con cui i soldati si ungevano i baffi. Insomma, sembra proprio che la sacralità del luogo risenta dell’influsso negativo di quei soldati puzzolenti.

Ma, in quella che s’appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda,
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
come di voce che si raccomanda,
d’una gente che gema in duri stenti
e de’ perduti beni si rammenti
.

Quel Ma nell’incipit della nuova ottava riporta l’attenzione sulla sacralità del luogo e ispira nel poeta una sincera commozione religiosa. Le note di un canto (nell’ottava seguente verrà specificato che si tratta del coro dell’opera verdiana I Lombardi alla prima crociata) rende l’atmosfera soave e nel contempo drammatica: si parla di un popolo che soffre fra gli stenti ricordando tutto il bene che ha perduto. Come non leggere tra le righe la sofferenza dei Lombardi, contemporanei di Manzoni e di Giusti, sottoposti all’ingiusta tirannia austriaca?

Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de’ Lombardi miseri, assetati;
quello: “O Signore, dal tetto natio”,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Qui cominciai a non esser più io
e come se que’ còsi doventati
fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente
.

Il coro porta ad una specie di trasfigurazione del poeta che si sente parte di quella gente, di quel branco che prima aveva osservato da lontano e con disprezzo, come se non fosse più lui, rapito dalla musica e dal canto che lo inebria e lo porta ad essere solidale con chi forse non soffre meno di lui.

Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll’arte di mezzo, e col cervello
dato all’arte, l’ubbie si buttan là.
Ma, cessato che fu, dentro, bel bello,
lo ritornava a star come la sa;
quand’eccoti, per farmi un altro tiro,
da quelle bocche che parean di ghiro,

un cantico tedesco, lento lento
per l’aer sacro a Dio mosse le penne;
era preghiera, e mi parea lamento,
d’un suono grave, flebile, solenne,
tal, che sempre nell’anima lo sento:
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in que’ fantocci esotici di legno,
potesse l’armonia fino a quel segno
.

E sì, ormai è totalmente rapito da quel pezzo nostro, perché legato al concetto di patria, perché appartiene alla nostra cultura, quella italiana, di cui nessuno straniero potrà mai privarci. Sull’onda emotiva di quella musica suonata con arte, ovvero “maestria”, passano in secondo piano anche l’ubbie, i pregiudizi. Ecco, quindi, che al cessar della musica, il poeta vorrebbe ritornare allo stato iniziale, a quella repulsione provata all’entrata in chiesa, ma involontariamente viene giocato da un nuovo tiro: dalle bocche che parean di ghiro (il riferimento ironico è ai baffi dei soldati, simili a quelli del piccolo mammifero) viene intonato un altro canto, questa volta tedesco, che s’innalza verso l’altare, una preghiera che è allo stesso tempo un lamento, un suono grave e solenne, ma contemporaneamente flebile, che gli rapisce per sempre l’anima. L’emozione è, quindi, temperata dall’ironia con cui dipinge gli austriaci: cotenne, in riferimento all’insensibilità come quella della pelle spessa dei maiali, e fantocci esotici di legno, espressione in cui l’aggettivo esotici rimanda a tutto ciò che è estraneo alla nostra cultura. L’empatia, attraverso la musica, si fa incredibilmente concreta.

Sentia, nell’inno, la dolcezza amara
de’ canti uditi da fanciullo; il core
che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete i giorni del dolore:
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e d’amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio
.

Anche nel coro tedesco il poeta percepisce la rinascita di quel sentimento nostalgico di infanzia e di patria lontana. Il cuore custodisce e ripete nei momenti di dolore i canti imparati da fanciullo: gli affetti familiari, il desiderio di pace, la voglia e l’inclinazione ad amare in modo disinteressato, il dolore per la lontananza dalla patria sono sensazioni che il poeta non può fare a meno di condividere con quei soldati in un primo momento detestati. Anche il tono della poesia cambia e questa ottava costituisce l’apice del pathos.

E, quando tacque, mi lasciò pensoso
di pensieri più forti e più soavi.
Costor, – dicea tra me, – re pauroso
degi’italici moti e degli slavi,
strappa a’ lor tetti, e qua, senza riposo
schiavi li spinge, per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e dli Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme
.

Inizia qui la riflessione profonda di Giusti. A ben vedere questi soldati sono vittime anch’essi del potere: un imperatore timoroso dei moti insurrezionali, tanto in Italia quanto nei paesi slavi, strappa alle loro case (evidente qui la metonimia tetti) questi uomini che tengono schiavi noi pur essendo schiavi anch’essi. (evidente qui il chiasmo che rende ancor più drammatica la considerazione del poeta). Provengono dalla Croazia e dalla Boemia ma non sono poi molto diversi da quelle mandrie di buoi che i pastori toscani portano in Maremma a svernare.

A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina,
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quest’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’alemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme
.

L’ottava inizia con un’enumerazione per asindeto che rende particolarmente lento il ritmo dei primi versi. È come se il poeta volesse sottolineare il senso della desolazione che caratterizza la vita dei soldati, incolpevoli strumenti della rapacità consapevole (occhiuta rapina) del sovrano, senza goderne i frutti. La rapacità, poi, riporta allo stemma austriaco, l’aquila grifagna. Essi, sottoposti ad una dura disciplina e costretti ad una condizione di vita difficile, soffrono in silenzio e solitudine, subendo la derisione di chi li odia per quel che rappresentano. È un odio che divide (efficace, qui, la litote non avvicina) i due popoli, l’italiano e il tedesco, giovando a chi regna e può confidare nell’impossibilità di una loro complicità pericolosa. È il concetto del divide et impera.

Povera gente! lontana da’ suoi;
in un paese, qui, che le vuol male,
chi sa, che in fondo all’anima po’ poi,
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’hanno in tasca come noi.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciòlo,
duro e piantato lì come un piolo
.

Nei primi versi dell’ottava finale c’è ancora spazio per la commozione del poeta: la comprensione arriva alla pietà nei confronti di questa povera gente, lontana dalla patria e costretta a subire l’atteggiamento ostile del paese che l’ospita. Ma presto la pietà sfuma in umorismo e chiude ciclicamente la lirica: l’arguzia di Giusti arriva a definire principale l’imperatore che, forse, i soldati intimamente mandano a quel paese. Magari, è pronto a scommetterlo, non lo sopportano esattamente come gli Italiani.
Ma l’immedesimazione qui si ferma: per non correre il rischio di abbracciare uno di quei soldati, l’autore, ricordandosi del suo spirito patriota, deve fuggire. Il caporale rimane lì, con il suo bastone di nocciolo (era l’insegna dei caporali austriaci), impalato esattamente come l’abbiamo trovato all’inizio della poesia, insieme ai suoi compagni di sventura.

93 pensieri riguardo “LE POESIE DEL RISORGIMENTO: “SANT’AMBROGIO” DI GIUSEPPE GIUSTI

  1. Dev’essere proprio bello averti come insegnante!

    Io anche amo molto questa poesia, che non studiai a scuola, ma lessi in un libro di poesie del Giusti che mi fu regalato da un mio zio.

    A scuola invece studiai (chiaramente oltre a tante altre) e amai profondamente “La vergine cuccia”, di Parini, e mi piacerebbe davvero tanto sentirla raccontata da te… 😉

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  2. @ Diemme

    Grazie … ma dovresti chiederlo ai miei allievi se è così bello avermi come insegnante! 🙂

    Ho promesso che avrei dedicato qualche pagina alle poesie del Risorgimento ma con tutti gli impegni di questo periodo sto facendo i salti mortali.

    Anche a me piace “la vergine cuccia” di Parini. Magari prima o poi la commenterò per te. 😉

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  3. L’avevo dimenticata nel corso degli anni ma mi sono accorta che è straordinaria questa poesia ed è da riproporla agli studenti

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  4. @ Rosamaria Ianulardi

    Sì, è proprio straordinaria. Leggi anche le altre poesie del Risorgimento che ho commentato: a me ha fatto un piacere immenso ritornare indietro nel tempo, quando ce le facevano imparare a memoria fin dalle elementari e le apprezzavamo poco, proprio per questo. Ora nelle scuole sono del tutto trascurate ed è un gran peccato.

    Grazie per essere intervenuta e buona settimana. 🙂

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  5. Uaoooo *_* chiunque abbia scritto questa parafrasi sono sicura che sia molto acculturato/a e soprattutto molto sensibile alla letteratura, mi ha fatto comprendere i veri caratteri del testo, caratteri che prima non avevo riconosciuto e distinto 🙂 fantastica esposizione! 😀

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  6. @ Sofia

    Grazie per l’apprezzamento! Le tue parole mi lusingano soprattutto quando scrivi che l’autore dev’essere molto sensibile alla letteratura. Beh, sono una professoressa di Lettere quindi devo esserlo per forza. 🙂

    Quando le cose si fanno con passione, di solito riescono bene. 😉

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  7. ERA DA TEMPO CHE VOLEVO RILEGGERE LA POESIA CHE NELLA PRIMA PARTE RICORDO A MEMORIA.AVERE BUONI PROFESSORI DI LETTERATURA E’ IMPORTANTE PERCHE’ TI LASCIANO NEL CUORE IL GUSTO DEL BELLO.RICORDO CHE DA PICCOLO MI COMUOVEVO ASCOLTANDO PASCOLI ED ALTRI POETI.I COMPAGNI MI PRENDEVANO IN GIRO MENTRE LA MAESTRA MI DIFENDEVA..ORA TUTTO E’ CAMBIATO E CIO’ MI RATTRISTA PERCHE’ I GIOVANI PARE ABBIANO ALTRI IDEALI E POCA ATTENZIONE AI VERI VALORI DELLA VITA CHE NON SONO IL DENARO, LA GLORIA,LA CARRIERA, MA SENTIMENTI PIU’ PROFONDI CHE, ALLA FINE, TI ALLIETANO LA VITA E TI FANNO INTENDERE CHE NON L’HAI SPRECATA INVANO. UMBERTO CAPOCCIA- NAPOLI

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  8. ho riletto con piacere e, anche con commozione la poesia.Non so perchè, ma mi è tornata in mente alla notizia della morte del carabiniere.Ho pensato, povera gente lontana dai suoi…….

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  9. Quanti ricordi!
    studiai a memoria quasi tutto quello che hai presentato.
    ed anche un lungo pezzo del canto X:
    Farinata
    «O Tosco che per la città del foco ….
    Ma ci sono ancora scuole dove si studia così?

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  10. complimenti ho trovato il suo commento molto bello e appassionato,ho portato questa poesia agli esami di terza media 40 anni fa,tutta a memoria …e ancora la ricordo quasi tutta…
    la stdiai a memoria perchè gia a 14 anni mi piaceva moltissimo..
    complimenti ancora per la sua competenza..

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  11. anche io la studiai in terza media 48 anni fa e la ricordo ancora quasi tutta a memoria, tanto che è quasi la mia preferita, oltre a quella del Foscolo tratta dai Sepolcri “L’urne dei forti”.
    La spiegazione è tal quale la ricordavo; mi ha riportato indietro nel tempo. Brava!!

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  12. Salve professoressa ho trovato per caso questo blog di raro interesse. Volevo chiedergli cosa ne pensa della poesia di Giuseppe Giusti “il creatore e il suo mondo” Forse sarò blasfemo ma mi piace tanto. Scusi il il mio “ma mi piace” essendo toscano se non scrivo così mi sembra che mi manchi qualcosa nell’esprimermi.

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  13. @ Stilicone

    La poesia che cita rientra nel genere satirico e la satira va apprezzata per quel che è. Non ci vedo nulla di blasfemo anche perché se mi piace, perché apprezzo lo stile di Giusti e la sua ironia, non è detto che condivida il suo pensiero.

    Grazie per l’apprezzamento.

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  14. Gentile professoressa,
    sono capitato per caso sul suo blog cercando il “Sant’Ambrogio” del Giusti (una delle mie poesie preferite che so molto bene a memoria). Ho letto tutti i commenti e ho visto che ci sono ancora persone che si dilettano di poesia e alle quali piace la poesia. Credevo non esistessero più da quando l’insegnamento della poesia “a memoria” è stato bandito dalle “scuole”!
    Per mio diletto e passatempo, tempo fa, ho voluto fare una piccola raccolta delle poesie più belle e significative (dal mio personale punto di vista) dal 1200 circa ai tempi nostri e l’ho intitolata “Perle smarrite”. E’ una mia ricerca molto personale con un commento iniziale, di una quarantina di poesie di autori vari. Vorrei, se non Le dispiace, InviarLe una copia di questo mio libretto per avere un Suo parere e un Suo commento. Purtroppo non so dove inviarla. Se vuol o darmi il Suo indirizzo per la spedizione me lo invii pure per e-mail ed io Le manderò il suddetto libretto (impaginazione, composizione, stampa e confezione tutto fatto in casa).
    Distinti saluti
    Dino Castellani

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  15. io lessi e studiai questa poesia oltre 50 anni or sono. Il commento è eccellente. Mi ricorda quello del mio professore di liceo.

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  16. @ antonio P.

    Si vede che anch’io, da liceale, ho avuto un bravo professore! Dirò di più: era un poeta lui stesso, anche se dialettale (scriveva in triestino).

    Grazie per l’apprezzamento.

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  17. BELLISSIMO COMMENTO IN LINEA CON CIO’ CHE RICORDO DEI MIEI ANNI DI SCUOLA. UN TUFFO NEL PASSATO CON LA POESIA FA BENE ALLO SPIRITO.
    Rosa Pia Vermiglio Negro.

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  18. @ Rosa Pia

    Grazie! Anch’io la ricordavo dai tempi della scuola e trovo sia un peccato che i giovani non conoscano poesie belle come questa, che rimangono nel cuore e nella mente.

    @ Maria Laura

    Prego!

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  19. Gentile professoressa, Lei mi aveva detto che mi avrebbe spedito il suo indirizzo via e-mail ma purtroppo io non l’ho ricevuto. Se volesse essere così gentile da rimandarmelo io potrei poi spedirLe il mio librettino.
    Attendo risposta. Grazie

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  20. Paolo Bottaro, Genova , Buongiorno e Buon Anno !

    Grazie per il diletto che procura a terze persone sconosciute.

    Mi permetto un’osservazione :

    “… messi qui nella vigna a far da pali…”

    Io avevo appreso – alle elementari, prima della guerra !! – che la vigna era il suolo italiano, calpestato dagli austriaci.

    Lei invece commenta la vigna come “i funzionari austriaci”.

    Può darmi una delucidazione che mi aiuti a togliere il dubbio.

    Grazie anticipate e ancora Buon Anno.

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  21. @ Paolo Bottaro

    La poesia, si sa, è variamente interpretabile. Si tenga stretto il commento del Suo insegnante. Le cose care risiedono nel cuore prima ancora che nella mente.

    Grazie a Lei. Buon proseguimento di questo 2013, con l’augurio che Le porti tante cose belle.

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  22. Questo pomeriggio una signora di 86 anni mi ha fatto innamorare di questi versi del Giusti, anche se ne ricordava solo una strofa ..la più bella a mio parere. La signora ha frequentato solo la 5^ elementare, che esempio di diletto e memoria.

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  23. @ daniela ignorantissima

    La cultura, alla fine, non richiede anni e anni di studio. Mia mamma aveva una colf che, con la quinta elementare, faceva tutti i cruciverba della Settimana enigmistica, anche i più difficili, senza sbagliare un colpo. 🙂
    L’importante è la passione che si mette in quel che si fa. La signora avrà avuto certamente un buon maestro (o maestra) che le ha trasmesso la passione per la poesia.

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  24. Mi farebbe immenso piacere sapere se ci sono altri brani di poesia commentati da Lei. Grazie e tanti auguri di buon proseguimento.

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  25. queste sono le poesie che lasciano un segno indelebile nel tempo, e commentato divinamente da Lei si apprezzano di piu’,chi le capisce un po’ di commozione scende nell’animo di chi li apprezza,cpmplimenti ancora
    alfio da aci castello

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  26. @ Alfio

    Grazie a Lei per l’apprezzamento. Non ho mai pensato di commentare “divinamente” le poesie, però lo faccio davvero con gioia, emozionandomi ad ogni verso. Purtroppo le poesie moderne non mi emozionano così tanto.
    Sto pensando di aprire una pagina speciale nel blog sulle “poesie dimenticate”. Chissà se troverò il tempo …

    Un caro saluto.

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  27. @ Dino Castellani

    Lo spero anch’io ma, al di là di quanto dicono tutti (quelli che non insegnano) e cioè che lavoriamo solo 18 ore a settimana, le mie giornate scorrono veloci e il tempo non basta mai per fare quello che dovrei e vorrei.

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  28. Mi é molto piaciuto il commento alla lirica del Giusti,ottimamente esaustivo e chiaro da tutti i punti di vista. . . .bravissimi,vi consulterò sempre con fiducia! ! !

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  29. Cara Marisa purtroppo oggi i ragazzi non leggono più,non imparano, e preferiscono chattare o inviare sms sgrammaticati.L’amore che i miei professori profondevano nello spiegarci tutto sulla letteratura ha lasciato in me il profondo desiderio di saperne sempre di più ed una certa facilità nello scrivere,cosa che amo molto unitamente al leggere.Tu professoressa ? No party ! Oggi molti giovani cercano nelle droghe o nell’alcol paradisi inesistenti ed effimeri. Grazie per il tuo lavoro di tenere vivo lo spirito patrio . Umberto Capoccia- Napoli

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  30. @ Umberto

    Grazie mille per l’apprezzamento.
    Io, comunque, non sarei così distruttiva nella rappresentazione della gioventù d’oggi. Certo, c’è chi si perde ma non è detto che non si ritrovi. C’è la voglia di sperimentare, di trasgredire, di disubbidire. Ma quella c’era anche ai miei tempi, poi c’era chi trasgrediva di più e chi meno. E mi creda, ci sono ancora dei bravi ragazzi che apprezzano il lavoro di noi insegnanti. Ma io insegno in un liceo, in una piccola città, e mi rendo conto che non è così dappertutto.

    Buona giornata.

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  31. Cio’ che più mi addolora è il fatto che ai giovani hanno rubato il futuro e la speranza di un mondo migliore.C’è anche da dire che vedo nei giovani una certa indolenza a lottare per migliorare ed a considerare il passato antiquariato da rimuovere.Li sento straparlare di calcio,nuovi idoli musicali, magnificare il successo di persone che meriterebbero ben altre considerazioni su come lo abbiano conseguito.Infine la valutazione del denaro al di sopra di ogni cosa come se fosse la panacea ad ogni tipo di male.Sopratutto leggono poco e sono restii al sacrificio.Si adagiano molto sul sostegno di genitori e nonni e, spesso, non apprezzano a pieno i sacrifici che essi fanno per loro.La scuola è stata bistrattata e penalizzata ed i professori languono nel ricercare una loro migliore considerazione sociale che prima avevano indipendentemente delle loro basse retribuzioni.La scuola è il fulcro della formazione di una nuova classe di giovani che abbiano degli ideali .umberto capoccia

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  32. Imparai questa poesia oltre cinquanta anni fa nella scuola elementare di un piccolo paesino della Valle di Non. Mi e’sempre rimasta nel cuore.

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  33. Marisa,
    la poesia ed il commento mi hanno riportato, come un soffio dolce, ad un ormai lontano passato di scuola.
    La ricordavo ancora come una delle più belle poesie che, ne ero sicuro, mi avrebbero tenuto compagnia nella memoria e nel tempo insieme, ma più leggermente, con altre più volutamente eroiche del Carducci o maggiormente sentimentali del Pascoli. Poi la vita appiattisce e lima la bella adolescenza, e si incarica di sfoltire, forse cinicamente, il bagaglio intimo e geloso di ognuno.
    Oggi ho intravisto, in un canale televisivo,un giovane toscano, appassionato del Giusti. Il ricordo mi ha spinto a cercare su internet Sant’Ambrogio. Sono stato fortunato a trovare il tuo sito. Te ne ringrazio di cuore.
    Giuseppe Biondi

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  34. Che bella poesia ! Mi ha risvegliato tanti ricordi ed il tempo buono trascorso nella scuola. Un grazie a chi tiene vivo nei giovani l’amore per i nostri poeti.

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  35. L’ha ribloggato su apoforetie ha commentato:
    Provate un po’ a pensare chi sono oggi gli “strumenti ciechi d’occhiuta rapina” e quelli che tengono divisi i popoli (in debitori e creditori) per meglio dominarli

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  36. son capitato qua cercando la poesia del Giusti che il ns. prof dell’UTE ci ha consigliato di leggere proprio questo W-E; ne ricordavo alcune strofe e ho potuto apprezzare la sua ricca spiegazione, grazie
    gianni.

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  37. cara Marisa,anch’io sono come tutti coloro che amano le poesie del risorgimento:Santo Ambrogio,Cinque Maggio,La Spigolatrice di Sapri,Sinites Parvoulos.Quando frequentavo il terzo avviamento,a quelle esami dovevo sapere quaranta poesie.Perche’sarei stato interrogato su non so quale una di quelle.Parecchie le ricordo tutt’ora ma no a fine,purtroppo nacqui nel giugno,1938.Ma godo recitarle qua e la ai miei nipoti.

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  38. @ AndrSci

    Onestamente non lo so. 😦 Evidentemente qualcuno nei commenti aveva corretto e io mi sono lasciata ingannare. Capita quando si va di fretta.
    Grazie mille. Correggo nuovamente.

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  39. Egregia professoressa. Non so se dopo due anni questo blog sia ancora attivo. Ma ho letto il suo commento a “Sant’Ambrogio” e mi voglio complimentare per il modo chiaro e facilmente comprensibile con cui ha esposto le sue interpretazioni. Ma non sono d’accordo sulle sue interpretazioni, come sulla ironia un po’ sciocchina e naif, ma anche profondamente offensiva, del Giusti. Ma questo è un’altra cosa. Certo il Giusti non sapeva che poi ci sarebbero state le “gloriose” cinque giornate di Milano, che il generale Radetzky avrebbe potuto facilmente sedare, ma non lo fece per non sparare contro i milanesi, cosa che invece fece, esattamente cinquant’anni più tardi, la “marmaglia” (per usare le parole del Giusti) italiana del generale Bava Beccaris. Non per niente dopo la fine dei 100 giorni di occupazione piemontese, il popolo milanese era sceso in piazza ad accogliere il ritorno del generale Radetzky che amava Milano al punto di morirvi e di rimanervi fine che poté, anche dopo morto. E volete esaltare il Giusti????.

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  40. @ Lucio Nalesini

    Il blog è sempre attivo, un po’ meno aggiornato ma comunque io ci sono sempre!
    La ringrazio per il suo commento e accolgo le sue reprimenda, tuttavia mi permetto di osservare che una cosa è la poesia, un’altra la storia. Esaltare il Giusti non mi sembra il caso, rispolverare una poesia un tempo famosa, invece, mi pare un atto dovuto. I numerosissimi commenti, quasi tutti di nostalgici che ricordano con affetto una poesia studiata a memoria a scuola decenni fa, dimostrano che, al di là dell’interpretazione e della contestualizzaione, Sant’Ambrogio rimane sempre una bella lirica rimasta nel cassetto della memoria di tanti italiani di “una certa età”.

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  41. Cara Marisa,

    io sono un italiano in California,ho letto la tua risposta riguardo Sant’Ambrogio,io ricordo di averla studiata quand’ero ragazzo,ma purtroppo ora sono un vecchierello e lo quasi dimenticata,come pure quell’altra del CINQUE MAGGIO,DI GIACOMO LEOPARDI e SINITES PARVOULOS di JIOSUE’ CARDUCCI.SE PER CASO,SE PER CASO HAI UN MONDO DI TEMPO LIBERO,CHIEDEREI UNA COPIA DI QUESTE POESIE.MI PIACEVANO MOLTO,E SONO NOSTALGICO DI VOLER LEGGERLE NUOVAMENTE UNA VOLTA ANCORA,…..che ne dici?potrebbe succedere.COMUNQUE TI RINGRAZIO PURE SE NON SI AVVERA’…..SCUSA IL DISTURBO,IO LA SALUTO CON STIMA …..JOSEPH NANCI,CIAO.

    ________________________________

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  42. @ Joseph Nanci

    Caro Joseph,
    grazie per il bel commento che arriva da lontano! Per rileggere le poesie amate in gioventù e sentirti più vicino all’Italia, puoi consultare questo link: La letteratura Italiana. Lì troverai quasi tutte le opere dei più importanti scrittori/poeti italiani da leggere completamente gratis. Se poi hai bisogno di qualche commento, scrivimi pure e vedrò se posso accontentarti. Purtroppo nel periodo scolastico sono molto impegnata e anche il blog ne risente, dato che non riesco a tenerlo molto aggiornato e a scrivere quanto vorrei veramente.
    Buona giornata. Marisa

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  43. Infatti, cara Marisa, non avevo messo la poesia per sé stessa fra i miei “reprimenda” come li chiama lei, ma solo il suo contenuto. Io sono uno di quelli che lei designa, cortesemente, “di una certa età” che questa poesia aveva studiato, anche a memoria,, come si usava una volta. Ma non mi meraviglio che ora a scuola non venga più studiata e infatti molti anche non giovanissimi, vedo che non la conoscono per niente. I suoi toni e il suo contenuto poco o per nulla si addicono al clima europeo in cui viviamo, ma era esaltata proprio per questo,, durante il periodo fascista. I miei più cordiali saluti.
    Lucio

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  44. @ Lucio Nalesini

    Spero non si sia offeso se ho fatto riferimento a quelli “di una certa età” perché mi ci metto anch’io, nonostante non sia così avanti negli anni, visto che a scuola avevo studiato a memoria questa poesia. E le posso assicurare che sono nata ben dopo il periodo fascista! 🙂
    Concordo sul fatto che oggi il tono e il contenuto di “Sant’Ambrogio” abbiano poco a che vedere con il clima europeo attuale ma non per questo, ad esempio, smettiamo di leggere i “Promessi Sposi” di Manzoni che poco gradiva la dominazione austriaca, no? Oppure non dovremmo leggere Foscolo che se la prese con Napoleone per via del Trattato di Campoformio…

    Grazie ancora e buona serata.

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  45. No, cara Marisa, non mi sono affatto offeso. Anzi, ritengo l’età una pura espressione numerica, valida solo per ragioni anagrafiche. L’età, per me, è un valore aggiunto. Una volta in giovanotto cretino (ce ne sono purtroppo tanti) aveva fatto dell’ironia sulla mia età. Gli ho solo risposto che io a questa età ci sono arrivato, e neppure mal messo, mentre tu, gli ho detto, te lo auguro, ma non so se ce la farai. Non ha fiatato più. Un tanto, solo per dire che non si senta in colpa, mi ha fatto un complimento. Le torno a fare i complimenti per la capacità di esporre il suo pensiero in modo lucidissimo. Sul resto, non siamo d’accordo ma capisco che i nostri punti di vista non sono e non possono essere identici, anzi, diciamo che sono opposti. Certo che sono contento che lei riconosca che il tono e il contenuto di “Sant’Ambrogio” abbiano poco a che vedere con il clima europeo attuale, ma non regge il confronto con Manzoni o il Foscolo. Ambedue avevano le idee probabilmente, ma legittimamente, simili a quelle del Giusti, ma non mi risulta (forse mi sarà sfuggito) che abbiano usato toni offensivi verso altri popoli. Critici sì ed è perfettamente legittimo, ma non apertamente offensivi. Inoltre, e qui dovrei fare un discorso troppo lungo, spesso gli italiani dimenticano che l’Italia è un paese dove convivono (e non parlo di immigranti, ma di gente autoctona) gente di altre lingue e culture che vive nelle sue terre da secoli, se non millenni, e che potrebbe sentirsi offesa. Io personalmente dal Giusti mi sento offeso. Come tutti, ed anche lei, ho otto bisnonni. I miei sono tutti di nazionalità diversa e solo uno potrebbe marginalmente aver avuto sangue italiano nelle vene. Anzi fra i miei bisnonni ce ne sono almeno quattro che hanno sangue proveniente da Croazia e da Boemme, oltre che da Slovenia e che non sono mai venuti a “svernare nelle maremme”. Direi che sono quelli delle “maremme” che sono venuti da noi (e fra l’altro mi hanno cambiato il cognome). Da buona linguista forse avrà notato che italianizzandolo hanno anche commesso un errore fonetico in quanto non solo in italiano, ma in nessuna lingua europea, ci sono parole che cominciano con nale senza accento (quindi logicamente l’origine va ricercata in lingue che hanno l’accento sulle prime sillabe – in effetti il cognome originale era Nalezinek, evidentemente boemo). In effetti quando devo dire il mio cognome italiano in qualche ufficio, nessuno lo scrive giusto e devo fare lo spelling. Sentir anche parlare di puzzo.et similia … mi fermo qui. Non se la prenda con me. Non ci sono “reprimenda” da parte mia, anzi solo simpatia, ma è solo la spiegazione del perché non tutti i cittadini italiani possono apprezzare simili versi.

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  46. @ Lucio Nalesini

    Grazie per i suoi interessanti commenti. Lo scambio di idee non mi dispiace ma purtroppo non ho tanto tempo per poter rispondere come vorrei.
    Manzoni sapeva bene che non avrebbe potuto scrivere direttamente contro gli Austriaci e infatti sceglie un periodo storico diverso in cui la Lombardia era dominata dagli spagnoli ai quali non risparmia certo critiche. Foscolo preferì l’esilio e continuò a piangere lacrime amare per tutta la vita, non perdonò mai il tradimento di Napoleone, anche se non offese gli Austriaci.
    Io sono nata a Trieste, città in cui si respira ancora un clima asburgico e in Austria vado spesso e volentieri, apprezzo la pulizia e la gentilezza se non proprio la cucina degli austriaci. 😉 Ma non posso immaginare cosa significhi essere dominati da un popolo straniero.

    Buona serata.

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  47. Io credo che qui ci sia un fraintendimento delle intenzioni del Giusti abbenché, come popolo dominato, gli italiani avevano tutto il diritto di non vedere di buon occhio gli invasori. Io vedo invece in questa poesia proprio una mano tesa, la versione risorgimentale della più moderna guerra di Piero: quello che il Giusti dice, al di là e al di sopra di tutto, è “sono come noi. Non ce lo saremmo mai aspettato, data la loro posizione, non lo avremmo mai pensato, e invece sì, e io oggi qui lo sto toccando con mano”,

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  48. Cara Marisa. Mi hai dato del lei, ma anche se ho qualche annetto più di te, preferirei che mi dessi del tu. Ripeto non mi meraviglia che il Manzoni ce l’avesse con gli austriaci, in particolare per il clima risorgimentale che aveva preso la borghesia milanese. Ritengo perfettamente normale che anche il Giusti fosse preso da quei sentimenti, esattamente come io oggi. Ma non ammetto l’offesa gratuita contro altri popoli. Tu mi dicevi che bisogna dividere la poesia dalla storia. Ma ambedue sono fatte di parole e le parole a volte sono pietre. Ogni avvenimento può essere spiegato solo se ambientato in un certo periodo storico, e quindi mi viene difficile poter interpretare le poesie risorgimentali, prescindendo dalla situazione storica. Ora se confronto la “oppressione austriaca in Lombardia” con le vessazioni italiche nel vecchio “litorale austriaco”, ritengo che l’oppressione austriaca era di gran lunga più morbida. Mai gli Austriaci hanno imposto di parlare tedesco (magari anche con la violenza come da un eloquente manifesto “Noi, con metodi persuasivi, faremo rispettare questo ordine”, cioè di parlare esclusivamente italiano) o di cambiare i cognomi della gente e i nomi delle località. Hai detto anche che ammiri l’Austria per la sua … pulizia. Dovresti inorridire quando leggi le parole del Giusti che parla di puzza. Ma forse la puzza era solo “virtuale” nel senso che voleva mostrar una carica di disprezzo per il diverso. Più o meno come ancora una ventina d’anni fa il Salvini, paesano del Giusti, usava apostrofare i meridionali, cantando a squarciagola: “Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani.”. Per farla breve, trovo giustissimo che a scuola, a differenza del periodo fascista, questa poesia non si studi più. Ero arrivato al tuo blog, proprio cercando il testo della poesia che non ricordavo perfettamente pur avendola studiata a memoria. Dopo tanto tempo la memoria può fallire ma invece vi ho trovato purtroppo la conferma. E il desiderio di trovare il testo mi era venuta leggendo il diario di Ugo Ojetti che in una lettera alla moglie dalle zone occupate, dove era come volontario, descriveva il trattamento violento riservato alle donne della Bisiaccheria (il Monfalconese, in particolare Turriaco) dove la donne rimaste erano oggetto di stupro da parte degli occupatori italiani. Al punto che si vantava (con la moglie), che i suoi “baldi soldati” avevano ingravidato molte mogli di soldati austriaci che erano al fronte. Anche lui era un “fanatico” del risorgimento! Così adesso forse puoi immaginare cosa significhi essere dominati da un popolo straniero
    Con simpatia. Buona giornata

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  49. @ Diemme

    Che ci siano fraintendimenti, è ovvio, ma questo è abbastanza normale, anche perché ogni osservatore (lettore in questo caso o meglio, fruitore) vede o interpreta da un certo e particolare punto di vista. Grazie che mi hai ricordato la grande poesia di De André (la chiamo poesia perché le stesse parole, sono musica e anche senza la musica si possono interpretare meravigliosamente). Ma non farei confronti fra le due. Come avevo detto a Marisa e cioè che capivo adesso perché non venga più studiata molto nelle scuole, io aggiungerei che la poesia dei De André andrebbe invece studiata profondamente in tutte le scuole. È un inno all’uomo (oltre che contro ogni guerra), è una mano tesa al prossimo, chiunque esso sia (si suppone che “l’uomo laggiù nella valle” sia un bianco ma la poesia non lo dice), potrebbe essere di un altro colore oltre ad avere la divisa di un colore diverso, ma è lo stesso, è un uomo che ha “lo stesso umore” e forse gli stessi sentimenti di Piero e nonostante gli incitamenti del narratore (“sparagli, sparagli adesso”), Piero non spara, pensa che uccidendolo, “vedrebbe un uomo morire”. E non ha nemmeno un pensiero di of\dio o rancore per lui, nemmeno quando è “l’uomo laggiù” che gli spara. Capisce che lo ha fatto per un altro sentimento umanissimo e cioè “la paura”. È una poesia meravigliosa, grazie Diemme che me l’hai fatta ricordare. Ora i punti di dissenso (mi permetti vero di dissentire?): E cioè la tua frase ” Io vedo invece in questa poesia proprio una mano tesa …… al di là e al di sopra di tutto, e sono come noi. Non ce lo saremmo mai aspettato, data la loro posizione, non lo avremmo mai pensato, e invece sì, e io oggi qui lo sto toccando con mano”, Ecco io questa mano “tesa” la vedo indirizzata solo ai fini del “risorgimento” non verso l’uomo e solo in quanto veder in quei soldati un potenziale alleato “Povera gente! lontana da’ suoi; ecc. “chi sa, che in fondo all’anima po’ poi,
    non mandi a quel paese il principale!”. Non tende la mano all’uomo, ma sol al potenziale alleato tanto che poi piuttosto di abbracciare il “caporale colla su’ brava mazza di nocciolo,
    duro e piantato lì come un piolo”. Cosa fa il Giusti? fugge. Non mi sembra si possa confrontare con “la guerra di Piero”.
    Poi, ma questo non riguarda la poesia in sé, ma la storia invocata dalle parole da te usate e cioè “come popolo dominato, gli italiani avevano tutto il diritto di non vedere di buon occhio gli invasori.” Primo gli Asburgo non erano invasori, ma hanno ricevuto il “Lombardo” per successione dinastica. Gli Asburgo non erano italiani? Ma nemmeno i Savoia lo erano, anzi quando anni dopo quella poesia, quando è stato proclamato il “Regno d’Italia”, il Cavour (altro bel nome italiano) ha fatto la proclamazione del regno, l’ha fatta in francese (ma questo i libri di scuola non lo dicono). Se poi guardi tutte le dinastie dell’epoca, ma anche attuali, nessun è originaria del paese sul quale regna. Nemmeno quella svedese (Bernadotte). Dominati, cosa significa? Se i Lombardi avevano tutta l’amministrazione del regno! L’esercito di stanza nel Lombardo veneto era costituto per oltre il 30% da militari “lombatdo-veneti, la marina era composta quasi esclusivamente da veneziani, tanto che l’Ammiraglio von Tegetthoff, dava gli ordini in veneziano! Ricorderai che la battaglia di Lissa è stata considerata “l’ultima vittoria della marina veneziana”, E l’affondamento della “Re d’Italia” non è dovuto forse ad uno speronamento effettuato da una nave austro-veneziana condotta al timone da Tomaso Penzo, detto “Ociai”, di Chioggia, che assieme a Vincenzo Vianello, detto “Graton”, di Pellestrina sono stati insigniti, dopo la battaglia ,della medaglia d’oro al valore (austriaca ovviamente). Dominati? Ma quando mai un popolo dominante, ha avuto tanta cura della cultura dei “dominati” da far costruire il teatro alla Scala, la Pinacoteca di Brera, la villa reale di Monza col suo meraviglioso parco, oltre ad altre cose, ma tanto per non farla lunga. Come mai l’oppressore Radetzky amava tanto Milano, da morirvi e rimanervi anche dopo morto finché ha potuto? Come mai il popolo milanese è sceso in piazza ad accoglierlo al suo ritorno dopo le “cinque giornate”? Avrebbe potuto sedare subito la rivolta (aveva 20000 soldati), ma non lo fece per non sparare contro i milanesi, riguardo che non ebbe l’italiano Bava Beccaris una cinquantina d’anni dopo, tanto da provocare poi l’assassinio del re d’Italia nel parco di Monza. La storia del “risorgimento” è nata a posteriori. Quelli che si sono ribellati erano appartenenti alla borghesia che, come in tutta Europa, si stavano ribellando alle autorità (ma anche in Piemonte), per avere più spazio come classe sociale. Ricorderai che anche Carlo Alberto, nello stesso anno, ha dovuto sparire da Torino. L’idea dello stato nazionale era ancora totalmente assente, se pure già, ma da poco, suscitata da Napoleone, ma non ancora digerita ,anzi nemmeno capita dalla generalità della popolazione, ma sfruttata solo da quella classe sociale per i suoi fini. Con cordialità. Lucio

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  50. Gentile professoressa,
    capisco che ella è persona di grande cultura e profonda conoscenza delle opere del Giusti.
    La pregherei, se possibile, ricordarmi il titolo di quella poesia del Giusti che parla di Francesco IV (non ricordo nemmeno se si riferisse al toscano o al napoletano) e dice tra l’altro “sei IV….sarai zero”.
    Grazie in anticipo
    lorenzo.cafaro@gmail,.com

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  51. @ Lorenzo Cafaro

    La ringrazio per la stima ma purtroppo non conosco tutte le poesie di Giusti, non ho mai approfondito i miei studi sull’opera dell’autore. In questo sito forse può trovare ciò che cerca… avendo molta pazienza. 🙂

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  52. Scusate se mi permetto di intervenire. Ho l’impressione che lei si riferisca a Francesco IV di Modena verso il quale il Giusti ebbe diversi interventi sprezzanti. Ma non mi risulta abbia scritto delle poesie che contengano le frasi da lei riportate. È sicuro che lei non le abbia lette in qualche commento alle sue poesie? In ogni caso la poesia del Giusti più nota che si riferisce a Francesco IV è: “La guigliottina a vapore” ma riferimenti al duca di Modena, li trova in altre poesie, dove però il Duca non viene mai citato per nome. Tenga anche conto che molte poesie sono state attribuite al Giusti, ma sono solo degli apocrifi.

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  53. @ Lucio Nalesini

    Avevo intuito anch’io che si riferisse a quel Francesco IV, cui ne La guigliottina a vapore Giusti allude, ma il gentile lettore Lorenzo Cafaro cita dei versi in cui compare un “vale zero” e questo riferimento in quella poesia non c’è. Nel link cui ho rinviato c’è l’opera omnia di Giusti e si fa cenno anche alle poesie di dubbia attribuzione. Ci vuole, però, un po’ di pazienza e tanto tanto tempo. 😉

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  54. Gentilissimi Marisa e Lucio, racconto da dove nasce la domanda.
    In una conferenza sul Risorgimento ed i suoi personaggi un conoscente, riferendosi al Borbone Ferdinando IV, sosteneva che il Giusti avesse scritto, satireggiando, qualcosa sul monarca. Prediceva o si augurava, il poeta, che il monarca sarebbe passato da IV, per qualche ragione di merito, a terzo, poi a secondo, primo ed infine sarebe stato zero. Altro interlocutore sosteneva invece che tutto sommato al Giusti importasse di più del suo vicino sovrano Francesco IV. Nessuno dei due signori però ricordava dove avessero letto quei versi, se versi sono stati.
    Incuriosito, ho preso a sfogliare le antologie di casa ed internet. Che emozione rileggere versi che ormai (ho 75 anni) era tanto che non ripetevo e rileggevo: avevo mandato a mente (allora si usava!) il re travicello, che ancora ricordo in buona parte, la chiocciola, per non parlare del Sant’Ambrogio. Ma, malgrado la ricerca, non ho trovato niente. Certo, anche la ghigliottina a vapore mi faceva presagire ci fosse qialcosa, ma niente. Ecco l’interesse dove nasce.
    Ovviamente cercherò ancora, come suggerisce la gentile professoressa. Mia moglie ha insegnato latino, greco ed italiano al classico, ma non ricorda nulla a proposito. Sarà qualcosa che potrebbero conoscere solo i cultori dell’opera del poeta. In ogni caso, dovessero trovare qualcosa, sarei lieto di saperlo. Io cercherò ancora. Lieto di qesti contatti. Lorenzo Cafaro.

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  55. Egregio Lorenzo, sono sempre più convinto che quella frase che ha riferito nella sua precedente, si riferisca al pensiero del conferenziere (magari conforme al pensiero del Giusti), piuttosto che ai versi di Giusti, Ci sono molte composizioni apocrife che magari da qualche parte, quella frase potrebbe anche saltar fuori, ma al momento attuale non mi risulta. Corrisponde invece che avesse un accanimento particolare contro Francesco IV di Modena.

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  56. Sono nata a Roma nel 1939, ho frequentato la scuola in Italia fino all’allora quarta ginnasiale, dove imparai a memoria questa magnifica poesia del Giusti. Nell’anno seguente emigrai per il Brasile, ove tuttora vivo. Mi sono laureata in Scienze Sociali e ho insegnato Geografia all’Università di São Paulo. Poi, andata in pensione, mi sono dedicata alla letteratura, ottenendo un Master in Lingua e Letteratura Italiana. E ho cominciato a scrivere. Ho già quattro libri pubbicati in Brasile, due dei quali, da me stessa tradotti, pubblicati in Italia dalla Regione Marche. Il tema assillante dei miei scritti è l’emigrazione italiana in Brasile, partendo da un contesto familiare e personale. Ciò che imparai a sculoa in Italia è rimasto impresso per sempre. Un giorno di questi mi svegliai con questa poesia in testa, ripetendo meccanicamente certi versi rimasti indimenticabili, che mi fecero correr subito sul Web per cercare la poesia completa. A principio non ricordavo il titolo, solo quelle parole Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco, la trovai e la rilessi come se avessi ancora 15 anni. La poesia fa quest’effetto: cancella il tempo. Mi avvolse un sentimento di gioia e di appartenenza alla cultura italiana, attestate da quel mio svegliarmi con le parole del Giusti sulla bocca. Grazie per questo sito, che per caso ho trovato, girellando stamattina in quel di Sant’Ambrogio di Milano. Cordiali saluti. Liliana Laganà

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