GELMINI E SPERIMENTAZIONE DEL MERITO: ECCO PERCHÉ NO

Ormai è noto che la maggior parte delle scuole coinvolte nella sperimentazione del merito (su proposta univoca del ministro Mariastella Gelmini) ha deliberato, all’interno del Collegio dei Docenti, di non aderire alla proposta. Su diversi siti web compaiono elenchi di scuole che hanno detto no e in altri siti si riportano dei fac-simile di delibere.

Ecco, ad esempio, le motivazioni del no proposte dai Cobas:

 il rinnovato tentativo da parte del Ministero di introdurre nella scuola pubblica dei sistemi di valutazione del merito ha come scopo la diffusione della concorrenza (tra le scuole e all’interno personale docente) e la gerarchizzazione del personale;
 i singoli istituti verranno valutati in gran parte sulla base dei test Invalsi, i quali si sono dimostrati negli anni, del tutto inadeguati a misurare il livello di apprendimento degli alunni e del tutto estranei a valutare l’effettiva funzione della scuola nella crescita delle nuove generazioni;
 le verifiche esterne saranno effettuate da un team la cui “indipendenza” è tutt’altro che evidente e comprovata;
 verrà stilata una graduatoria tra le scuole e, cosa peggiore, individuata una fascia di migliori con una percentuale massima del 25%! (se le scuole fossero tutte allo stesso livello, su che base si dovrebbe scegliere chi fa parte del 25% dei fortunati?)
 verrà istituito un Nucleo ristrettissimo di persone atte a valutare il restante personale, imprimendo un duro colpo ai processi democratici decisionali interni alla scuola, accentrando sempre più i poteri nelle mani di pochi;
tale sperimentazione, se venisse attuata comporterebbe ripercussioni altamente negative per la dignità del lavoro docente, dell’insegnamento come lavoro collettivo e ancora di più per la didattica e lo sviluppo del sapere critico;

A ciò si aggiunga il fatto che la sperimentazione è sottofinanziata (come ho spiegato QUI) e le risorse sono derivate da parte dei risparmi ottenuti grazie ai “tagli” operati in seguito all’applicazione dell’art. 64 della Legge 133 (“tagli” attribuibili all’esigenza del risparmio stabilita da Tremonti piuttosto che dalla Gelmini stessa).
Di tutto questo ho già parlato in altri post; in particolare in questo avevo espresso le mie perplessità che, guarda caso, coincidono con quelle messe in evidenza dal fac-simile di delibera riportato sopra. L’unica cosa che, sinceramente, non mi aspettavo è questo coro di no; anzi, prevedevo una corsa al premio che, invece, non c’è stata. La cosa non può che farmi piacere perché denota la serietà dei docenti che sono stufi di essere presi in giro. Rimane, tuttavia, il sospetto che questa sia una presa di posizione puramente politica, come ho già detto altrove.

Dire no, almeno per me, non significa schierarsi. Qui non si tratta di essere o non essere d’accordo con questo o quel sindacato, non è una questione politica. Si tratta di essere obiettivi e di guardare il mondo della scuola “dal di dentro”, conoscendone le dinamiche. La non condivisione generale vorrà pur dire qualcosa. E non si tratta di concludere, in modo semplicistico, che la scuola italiana, e di conseguenza i docenti, non ha voglia di essere giudicata. La questione non è la valutazione in sé ma il modo in cui si pretende di valutare la scuola che non è un’azienda qualunque, dove chi è bravo e produttivo merita un premio e gli altri a casa. Perché nelle scuole ci sono tante variabili che condizionano i risultati, perché gli allievi costituiscono il “materiale umano” su cui si lavora, non plasmabile o adattabile alle esigenze del mercato. Perché se in Italia ci sono moltissime scuole che funzionano, le altre, quelle che funzionano un po’ meno, si ritroverebbero a fare le cenerentole, senza che nessuno si preoccupi di risollevarle da una condizione di debolezza che può dipendere, ancora una volta, da fattori esterni e dinamiche complesse che non sono necessariamente attribuibili all’incompetenza del corpo docente.

La non condivisione, dunque, non dev’essere letta come un “no perché no”. Piuttosto si deve ricercare la causa di questo no ed io la vedo, in particolare, nella volontà di calare dall’alto un progetto debole e non oggettivo, come dovrebbe essere, senza che nessuno abbia interpellato in primis chi lavora nella scuola e fa tutto il possibile perché non costituisca il fanalino di coda dell’istruzione europea e non europea.
La condivisione sottintende prima di tutto la conoscenza (non a posteriori, bensì a priori), e in secondo luogo la partecipazione. Gli insegnanti e le scuole chiedono di essere coinvolti in un processo che dovrebbe servire a migliorarsi, evitando tuttavia una classifica che si adatta alle canzoni della Top Ten. Noi non abbiamo nulla da vendere; i “nostri” banchi sono quelli su cui siedono dei giovani che hanno diritto di imparare per non essere gli ultimi della classe, non quelli del mercato dove si vende la frutta più bella che talvolta non è nemmeno la più buona.

[l’immagine è tratta da questo sito]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 4 GENNAIO 2011

Mentre prosegue il dibattito fra e con i miei lettori, un esperto in materia, Giorgio Israel, stretto collaboratore del ministro Gelmini nell’ambito della formazione degli insegnanti, esprime la sua disapprovazione sugli strumenti di valutazione proposti dalla Commissione per assegnare l’ormai famigerato “premio al merito” che pare le scuole interpellate rifiutino con decisione.

Riporto sull’argomento, per brevità, un articolo apparso su Tuttoscuola.com in cui si fa un sunto della posizione di Israel, rimandando alla lettura, se interessa, dell’intero articolo che l’autore stesso ha pubblicato sul suo blog (LINK).

No alla valutazione dei docenti da parte di famiglie e studenti, e neppure da parte dell’Invalsi, come prevede la sperimentazione del Ministero: meglio affidarsi a organi ispettivi esterni.

Questa è la posizione espressa da Giorgio Israel, stretto collaboratore del ministro Gelmini in materia di formazione dei docenti, in un suo documento pubblicato nel sito della Gilda degli Insegnanti.

Le osservazioni formulate da Israel contrastano in maniera significativa con le conclusioni della Commissione che ha messo a punto il progetto di sperimentazione del merito, peraltro respinto dai docenti di molte delle scuole interessate. Secondo Israel l’Invalsi deve restare rigorosamente fuori dalla valutazione dei docenti e anche l’ipotesi di fare degli utenti, cioè studenti e famiglie, i principali attori della valutazione della scuola e dei docenti, è una “scorciatoia illusoria” anche perché esposta a gravi errori.

L’idea che la scuola sia un’azienda fornitrice di beni e servizi e che studenti e famiglie ne siano l’utenza è sbagliata: il sistema migliore di valutazione dell’istituto scolastico e dell’insegnante secondo Israel è quello affidato a competenti in materia, che sono gli ispettori e anche gli stessi insegnanti.

Più che test standardizzati servono relazioni dettagliate e libere nello stile e nei contenuti. “Quel che mi sembra fondamentale assumere come punto di vista”, sottolinea Israel – “è che il processo di valutazione deve essere inteso come un processo culturale e non come un processo manageriale

.

Sono particolarmente soddisfatta di pensarla come Israel e di aver fatto le sue stesse obiezioni. Ciò non fa che confermare che qualcosa della scuola ne capisco.

N.B. Anche se l’articolo di Israel è datato 20 novembre 2010, ne ho avuto notizia solo oggi. Lo sottolineo perché qualcuno non pensi che ne ho tratto ispirazione per il post e per i commenti, facendo mie le valutazioni sue.

55 pensieri riguardo “GELMINI E SPERIMENTAZIONE DEL MERITO: ECCO PERCHÉ NO

  1. @marisa
    sono piuttosto perplesso anch’io sulla metologia seguita dalla sperimentazione.
    In tutti i casi non è questo che mi colpisce della vicenda.
    Quello che mi colpisce di più è che le varie riforme susseguitesi nel corso degli anni (praticamente ad ogni cambio di ministro, di qualsiasi forza politica) siano sempre state attuate o proposte dal Ministero.
    Non ho ricordo, ma forse tu Marisa potresti aiutarmi, di una proposta organica ed organizzata, magari in forma di testo di legge, formulata dai vari sindacati, cobas e rappresentanze varie dei docenti.
    La cosa, se confermata, a mio parere è gravissima, soprattutto in persone che hanno un ruolo educativo: rafforza l’idea nella collettività che i docenti non siano in grado di proporre, gestire o accettare i cambiamenti.
    Che ne dici?
    Mi sbaglio io oppure la capacità propositiva dei docenti è inversamente proporzionale alla loro capacità contestativa? 🙂 🙂

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  2. @marisa
    per quanto riguarda il fatto che la scuola non sia un’azienda “qualunque” sono d’accordo.
    Niente a che vedere con un’azienda metalmeccanica o di trasporti.
    In Italia e nel mondo, però, vi sono moltissime aziende nel settore privato che si occupano di formazione e crescita culturale delle persone.
    Hanno le loro modalità di misurazione del successo dei propri metodi educativi e dei propri docenti, spesso omogenee e comuni, frutto di molti anni di sperimentazione sul campo.
    Che ne pensi?

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  3. Proposta semplice semplice per dar modo ai docenti che lavorano bene di liberarsi una volta per tutte dei colleghi che lavorano male (molto provocatoria! 🙂 ) e così aumentare i propri stipendi e le risorse a disposizione della scuola:
    – che fanno gli insegnanti? Ovvio, insegnano.
    – a chi? A ragazzi dotati e a ragazzi meno dotati (non siamo tutti uguali).
    – c’è merito se il ragazzo dotato impara? No, imparerebbe comunque.
    – e se impara il ragazzo meno dotato? Certo, da solo non ce la farebbe.
    – si è in grado preventivamente di capire se i ragazzi sono dotati o no? Sì, esistono vari metodi per misurare le capacità di base ed i vari tipi di intelligenza, non solo basati su test.
    – si è in grado di misurare in modo credibile il grado di apprendimento di uno studente? Spero proprio di sì, altrimenti metteremmo in dubbio tutto il sistema!

    Diamo per scontato che fare in modo che il ragazzo meno dotato apprenda richiede da parte dell’insegnante impegno, passione, comprensione, accoglienza, amore per il proprio lavoro, energie, investimenti in tempo e denaro….
    Talvolta il successo non è assicurato, ma è ragionevole affermare che gli sforzi profusi nella maggior parte dei casi portano ad ottimi risultati.

    Per cui: perchè non misuriamo solo l’apprendimento dei ragazzi meno dotati e leghiamo una buona parte degli stipendi a questo?

    La riflessione mi è venuta oggi dopo un colloquio con la prof d’inglese di mio figlio maggiore che mi diceva: “cosa vuoi che m’interessi se Tizio mi fa sempre tutto perfetto? So bene che è un piccolo genio. A me interessa che Caio, che dice che l’inglese non gli interessa ed è una testa dura, riesca a fare i compiti per casa. La mia soddisfazione è quella: riuscire a convincere Caio che io sono qui non per dare voti ed insegnare grammatica, ma per far capire che comunicare è essenziale nella vita ed una lingua in più può aprire nuove possibilità e nuove opportunità! Se lui si convincerà di questo, imparare l’inglese sarà una sua scelta e per questo diventerà un piacere e non una tortura”.

    Che altro aggiungere? Avrei voluto baciarla (ma sarebbe stato imbarazzante, soprattutto per lei! 🙂 ).

    Rimane il problema: come fare per aiutare lei ed i molti insegnanti che hanno veramente capito qual’è il loro lavoro?

    Certo che finchè non escono allo scoperto con proposte alternative viene dura anche per noi genitori dal loro una mano!
    Capisco che sia difficile andar contro i colleghi, ma qui non se ne esce più e credo sia ora di piantarla giù dura: è in gioco il futuro dei nostri figli, chi vuole cambiare si renda disponibile, gli altri vadano pure a fare un altro lavoro!

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  4. @ Giorgio

    Come ho spiegato più volte a frz, a noi insegnanti nessuno ha mai chiesto nulla. Un vero peccato perché chi più di noi conosce il mondo della scuola?
    Le proposte calate dall’alto, poi, danno sempre fastidio.

    Le tue proposte sono interessanti, tuttavia vorrei sottolineare che la scuola è di tutti, dei più bravi e capaci e dei più deboli. Se è giusto venire incontro alle difficoltà dei più deboli, sarebbe anche corretto sviluppare certe potenzialità in modo da creare anche delle eccellenze. Altrimenti la scuola italiana sarà sempre mediocre.

    Ti faccio un esempio relativo al mio liceo: qui si organizzano dei corsi per il potenziamento della matematica e si preparano i ragazzi particolarmente dotati per le gare della Bocconi. Per sviluppare le conoscenze linguistiche, si preparano gli allievi più predisposti e volenterosi per la certificazione linguistica in Inglese, Tedesco e Francese. Si organizzano, inoltre, degli scambi interculturali con Paesi europei ed extraeuropei e c’è un progetto relativo all’Ed. alla Pace che porta ogni anno un gruppo di nostri studenti in Palestina e un gruppo di studenti, rigorosamente israeliani e palestinesi assieme, qui da noi.

    Sono delle iniziative lodevoli anche se, ahimè, non sempre gratuite. Però se lo Stato non ci viene incontro che dobbiamo fare?

    E sempre collegato al discorso economico è quello relativo alla formazione. Certo, se lo Stato finanziasse dei corsi tenuti da specialisti nella formazione e li rendesse obbligatori (d’altra parte, i medici hanno dei corsi annuali obbligatori; perché noi no?), non credo sarebbe una cattiva idea. Però anche in questo caso cè sempre il rovescio della medaglia. Ricordo che anni fa, era stato stabilito un monte ore di aggiornamento obbligatorio per ottenere l’aumento stipendiale legato al’anzianità di servizio. C’è stata una vera e propria corsa ai corsi, scusa il bisticcio di parole, e le proposte erano le più svariate. Ad esempio, un corso gettonatissimo era stato quello sul linguaggio cinematografico, con tanto di proiezione di film gratuiti … pensi che a qualcuno interessasse davvero o che avesse poi sfruttato in classe le conoscenze acquisite? Conosco qualcuno che l’ha frequentato e si dichiarava soddifattto perché almeno aveva potuto vedere dei film gratis. 😦

    Ah, dimenticavo. Alla fine, il discorso dell’aggiornamento obbligatorio è decaduto: abbiamo tutti avuto l’aumento e nessuno ci ha chiesto se avessimo o meno seguito i corsi.

    Siamo in Italia e le cose vanno così, purtroppo. 😦

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  5. Caro Giorgio,

    Vedo che da buon papà ti appassioni a questo tema, e vedo che non hai molti dubbi su quale dovrebbe essere l’obiettivo principale della scuola: quello di formare le nuove generazioni,  elevandone il sapere, per far sì che possano confrontarsi adeguatamente in un mondo che si muove a grandi passi e che è sempre più competitivo.

    Se così è non vedo alcun motivo per non premiare il merito di chi riesce ad ottenere i migliori risultati.

    Quando leggo, invece, che si osteggiano sistemi di valutazione del merito perché avrebbero “come scopo la diffusione della concorrenza (tra le scuole e all’interno personale docente) e la gerarchizzazione del personale” mi cadono le braccia perché è proprio così che dovrebbe essere: la concorrenza è la base di qualunque sistema che si proponga di offrire un prodotto migliore ed è perfettamente corretto che abbia maggior voce in capitolo chi più ha contribuito ai migliori risultati. Concorrenza e meritocrazia, dunque.

    Ma capisco tutto quando leggo che il timore è quello che vengaistituito un Nucleo ristrettissimo di persone atte a valutare il restante(sic!) personale, imprimendo un duro colpo ai processi democratici decisionali interni alla scuola, accentrando sempre più i poteri nelle mani di pochi”: a qualcuno sta bene, invece, che i poteri rimangano dove sono; nelle mani di chi non ha per obiettivo quello dell’istruzione dei ragazzi ma quello di finanziarsi e far carriera politica alle spalle degli scontenti.

    Non illuderti:

    Non ci sarà ma un test, Invalsi od altro, che non si dimostri “del tutto inadeguato a misurare il livello di apprendimento degli alunni e del tutto estranei a valutare l’effettiva funzione della scuola nella crescita delle nuove generazioni;

    Non ci saranno mai  “verifiche esterne effettuate da team sufficientemente indipendenti”;

    –        Faranno orrore legraduatorie tra le scuole” . Come se oggi non ci fossero e come se oggi la gente, tra due licei o istituti nella stessa città, non sapesse benissimo a quale dei due indirizzare i propri ragazzi.

    E si riempiranno la bocca di frasi vuote come la difesa delladignità del lavoro docente, dell’insegnamento come lavoro collettivo e ancora di più per la didattica e lo sviluppo del sapere critico”

    Non illuderti ; da loro non verrà mai una proposta che premi il merito per i risultati conseguiti.

    Per qualcuno l’importante  è che il sistema rimanga piatto e scontento perché queste sono le condizioni necessarie per mantenere il proprio potere.

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  6. @ frz

    È già da un mese che, sia qui sia sul tuo blog, discutiamo su questo argomento. Tu hai esposto nel più svariato modo la tua opinione ed io mi sono sforzata di spiegare, in modo ampio e ben articolato, i motivi per cui ti stai sbagliando. A cominciare dal fatto che la scuola non può essere considerata un’azienda e che la concorrenzialità e le gerarchie non sono strumenti adatti a migliorarla. Ho spiegato, ribadito, argomentato e controargomentato con cognizione di causa, perché quello che dico lo affermo dal “di dentro” mentre tu sei solo un osservatore esterno che, tra le altre cose, ha tutt’altra esperienza in ambito professionale e non può applicarla in un contesto così diverso.

    A questo punto vorrei tirare le somme, sperando non di convincerti –sarebbe un’impresa impossibile, visto che dalla tua posizione non sembri volerti smuovere- ma almeno far sì che tu possa dar fiducia alle mie parole e non consideri la mia posizione come quella di un sindacato qualunque, visto che ho ribadito che non mi sono mai schierata e che non è mai stata mia intenzione affrontare la questione dal punto di vista politico.

    Il ministro Gelmini, in un’intervista al Messaggero rilasciata il 15 maggio 2009, aveva espresso con queste parole il suo pensiero:

    il merito sarà l’asse portante della riforma. Carriere differenziate per i docenti, aumenti salariali in base ai risultati ottenuti, una forte autonomia delle scuole, superamento del meccanismo delle graduatorie e una chiara definizione dei poteri del preside. La professione docente sarà articolata in tre distinti livelli: «Docente iniziale, ordinario e esperto, cui corrisponderà un distinto riconoscimento economico e giuridico, l’articolazione non implicherà una “sovraordinazione” gerarchica».

    Poi, nel settembre 2009 era ritornata sull’argomento affermando:

    Entro sei mesi intendo definire le regole per la carriera dei docenti. Vorrei farlo con il coinvolgimento dei sindacati e delle associazioni professionali. Apriamo un tavolo, sono aperta a consigli, suggerimenti, proposte, non ad una contrattazione sindacale. Se dopo sei mesi si sarà pervenuti a una soluzione condivisa bene, altrimenti il Governo andrà avanti per la propria strada prendendosi tutte le responsabilità. E’ una cosa troppo importante, un passaggio fondamentale per arrivare a quella valorizzazione dei docenti che tutti vogliamo. (ne ho scritto QUI)

    Dopo mesi di silenzio, pur confermando la sua intenzione di mantenere le promesse e temendo la decurtazione delle risorse disponibili (poi avvenuto grazie alla manovra economica anticrisi del maggio 2010), ha reso nota la sperimentazione di cui stiamo discutendo.

    Ora, io ti chiedo: il progetto esposto ha un qualche nesso con la carriera dei docenti? Si parla forse di aumenti salariali in base ai risultati ottenuti o di un’articolazione della professione docente? È stato aperto un tavolo per le trattative in cui la questione è stata discussa con gli addetti ai lavori?

    Ti rispondo io: no, no e no. Il progetto illustrato parla di premi al merito non di carriera, è destinato ad alcune realtà scolastiche e non tutte (cosa discriminante ma mascherata dietro al paravento della “sperimentazione”) e non è detto che, conclusa l’ipotetica fase sperimentale, si possa estendere a tutte le scuola italiane. Anzi, più che “non è detto”, sarebbe onesto dire: rimarrà un caso isolato. Perché? Perche non c’è una copertura finanziaria e non ci sarà mai per garantire l’effettiva differenziazione delle carriere dei docenti.

    Ma anche volendo accettare questa sperimentazione, pur senza alcuna garanzia per l’applicazione futura di questo “premio”, come ho più volte ribadito, la debolezza del progetto sta negli strumenti di valutazione.
    Nel tuo ultimo commento rivolto a Giorgio, cui hai dedicato addirittura un post, hai solo polemizzato per partito preso contro le motivazioni addotte dai sindacati per spiegare le ragioni del no. Ma la polemica non porta da nessuna parte e i pregiudizi nemmeno.
    Quando asserisci la concorrenza è la base di qualunque sistema che si proponga di offrire un prodotto migliore ed è perfettamente corretto che abbia maggior voce in capitolo chi più ha contribuito ai migliori risultati. Concorrenza e meritocrazia, dunque, si vede che non hai capito una cosa fondamentale: la meritocrazia nella scuola non deve portare alla “concorrenza” bensì alla condivisione. Ma creando una classifica in cui alcune scuole vengono considerate di serie A ed altre di serie B si crea una situazione poco costruttiva e, oltre che lesiva della dignità e professionalità dei docenti bravi e seri che avrebbero la sventura di trovarsi ad insegnare in scuole di serie B, dannosa per la stessa utenza, oltreché disorientante nel momento in cui, dovendo iscrivere i propri figli in una determinata scuola, i genitori non saprebbero più che fare. Nel caso in cui non abbiano la possibilità di far frequentare loro una buona scuola perché troppo lontana, sarebbero rassegnati ad iscriverli in quella più vicina senza darle alcuna fiducia.

    Condivisione, dunque, non concorrenza. Trasparenza e trasferibilità, in questo caso, mi sembrano le “parole magiche”. Ovvero, la possibilità di premiare sì le scuole e i docenti che meritano, senza però fare classifiche e gerarchizzare i docenti. Fare in modo, poi, che i docenti premiati non si godano solamente la propria 14esima mensilità, ma che collaborino (anche attraverso le nuove tecnologie, ad esempio utilizzando le videoconferenze o la formazione on-line) con le scuole e i docenti più deboli, trasferendo la propria esperienza e facendo sì che essa venga riutilizzata in un contesto diverso, con i dovuti aggiustamenti, valorizzandola allo stesso tempo. Questo sarebbe, a mio modo di vedere, un “merito” da cui ottenere dei vantaggi non solo personali, come può essere un semplice “premio”. Che poi, se vogliamo parlar di premi, esiste il GOLD, di cui ho più volte parlato, in cui sono comprese le best practice che qualunque docente può adottare e anche adattare alle proprie esigenze. Condivisione e trasferibilità, appunto, per poter migliorare la didattica partendo da un modello positivo e premiato.

    Il punto debole, dicevo, è la valutazione: questo ipotetico nucleo ristretto di persone che dovrebbero giudicare l’operato dei docenti (senza tra l’altro sapere, nemmeno in questo caso, con quali criteri o quali conoscenze specifiche), che sono colleghi a tutti gli effetti (ecco ciò che si intende con “il restante personale” di cui sembri non cogliere il significato), creerebbe soltanto una discriminazione tra il giudicante e il giudicato. Perché, è evidente, che chi giudica non può essere giudicato, quindi viene escluso a priori dal “premio al merito”. Senza contare che nella scuola una situazione del genere porterebbe ad un notevole malumore perché, come si sottolinea nel comunicato dei Cobas, il buon funzionamento della scuola si basa sulla collaborazione e sulla condivisione, partendo da un principio egualitario che tale “nucleo” inevitabilmente distruggerebbe.
    Vuoi sapere in che cosa consisterebbe una valutazione seria dell’operato dei docenti e delle scuole? In un’osservazione prolungata (almeno un semestre) e sul campo da parte degli ispettori del ministero. Osservazione fatta stando in classe e partecipando a tutte le riunioni programmatiche, dando anche dei consigli di tipo organizzativo. Ma ciò significa spendere dei soldi (trasferta degli ispettori, vitto e alloggio pagato) che il ministero non ha o, comunque, non ha intenzione di spendere. Quale azienda, visto che ti piace tanto il paragone con le aziende, potrebbe pretendere di migliorare l’efficienza degli addetti ai lavori e la qualità del prodotto senza destinare delle risorse finanziarie allo scopo? Nessuna.

    E veniamo ai test InValsi. Più volte ho cercato di farti capire che la tipologia dei test è lontana anni luce dagli strumenti che a scuola adottiamo per la valutazione delle conoscenze, abilità e competenze. Ma tu, così attento ad osservare dati e statistiche, sei poco disponibile a credermi, nonostante sia indubbio che di queste cose io risulti competente mentre tu no.
    Se la valutazione delle scuole sarà affidata a questi test, temo che i risultati saranno deludenti, almeno in alcune realtà regionali. D’altro canto, allenare i ragazzi a superare questo tipo di prove potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: li porteremmo al successo ma li costringeremmo ad affrontare delle prove che non valutano il loro percorso di studi, almeno finché i programmi e le indicazioni nazionali rimarranno tali.
    Quanto alla loro valutazione, è giusto, a parer mio, affidarla a personale esterno, per ottenere una maggior serenità di giudizio, ma quando siamo noi stessi insegnanti a valutare una prova, lo facciamo conoscendo i nostri ragazzi e tutte quelle variabili, altra cosa su cui ti piace discutere, che altri ignorano. Evidentemente anche in questo non ti fidi di quello che dico per esperienza diretta e non per sentito dire.

    Quando poi affermi: Faranno orrore le “graduatorie tra le scuole” . Come se oggi non ci fossero e come se oggi la gente, tra due licei o istituti nella stessa città, non sapesse benissimo a quale dei due indirizzare i propri ragazzi, ti sbagli di grosso. Se è vero che in ogni città c’è la concorrenza tra scuole affini, è anche vero che la buona scuola si può rivelare buona per alcuni ma non per altri. E anche di questo ho esperienza diretta, visto che so per certo che così come alcuni allievi fuggono dall’altro liceo per rifugiarsi nel nostro, altrettanti fuggono dal nostro per rifugiarsi nell’altro. Cosa succede? Alcuni credevano di fare la cosa giusta iscrivendosi nel liceo che gode di miglior fama e invece si sono ricreduti. E allora si potrebbe pensare che il liceo più “modesto” sia il rifugio ideale per i fannulloni che vogliono ottenere i massimi risultati con il minimo sforzo. Ma se succede, tuttavia, che quelli che avevano scelto una scuola più moderna, attiva e dinamica, seppur con una fama meno splendida, decidono di trasferirsi nel liceo più famoso, la cosiddetta scelta migliore a priori va a farsi friggere.
    Sempre per esperienza posso dire che non esiste la scuola migliore perché qualsiasi scuola è fatta da persone diverse che possono anche cambiare con il tempo e, di conseguenza, creare dei capovolgimenti apparentemente insospettabili. Altro esempio: quando mi sono trasferita nel liceo in cui insegno tuttora, sono capitata (e dico “capitata” perché non ho avuto alcuna possibilità di scelta) in una sezione che, dal di fuori, avevo sempre sentito definire “facile”, una di quelle in cui tutti passano perché i professori sono più propensi a chiudere un occhio, e anche tutti e due. Ammetto che la cosa mi ha creato non poco sconforto all’inizio e, con il passare del tempo, un notevole stress dettato dal fatto che mi sono trovata a dover combattere tutti i giorni con degli allievi che sembravano aver scelto quella sezione proprio in virtù delle premesse cui ho accennato. Ma alla fine dell’anno, un terzo della classe è stata fermata e quelli che sono andati avanti, l’hanno fatto con mille difficoltà, con continui cambi di sezione o anni passati nelle scuole private, salvo poi tornare da noi in quinta, sempre manifestando delle enormi difficoltà.
    Alla luce di questa riflessione, ti chiedo: quali caratteristiche deve avere una “scuola migliore”? Sempre ammesso che si possa definire “migliore” una determinata scuola. È migliore se promuove tutti (come nel caso della famosa sezione per fannulloni prima del mio arrivo)? O è migliore se boccia, facendo tuttavia innumerevoli tentativi per ri-orientare gli studenti in difficoltà che, nel 90% dei casi, hanno fatto una scelta sbagliata?
    Le graduatorie tra scuole, quindi, non solo sono assurde, ma sono lontanissime da un dato oggettivamente riscontrabile.

    Infine, quando osservi: Per qualcuno l’importante è che il sistema rimanga piatto e scontento perché queste sono le condizioni necessarie per mantenere il proprio potere, io obietto che il sistema non è piatto in sé, forse un po’ scontento, ma che il rifiuto di questa proposta indecente del ministro Gelmini vuole testimoniare proprio il contrario di quanto affermi. Il potere non può essere nelle mani di nessuno proprio perché nella scuola non esiste nemmeno quello dei sindacati che si svegliano di tanto in tanto solo quando si parla di rinnovo del contratto. Il potere è quello che subiamo dall’alto che si manifesta con delle proposte che sono imposizioni su cui è del tutto inutile discutere. E allora, se le scuole stanno dicendo di no, secondo me si sono finalmente svegliate dall’annoso torpore non per protestare sterilmente contro chi non ha mai ascoltato le voci degli insegnanti, ma per essere finalmente ascoltate. Più di qualsiasi sciopero questo coro di no ha risvegliato le coscienze e spero che risvegli anche quelle di chi sta al ministero. Ma forse è sperar troppo.

    Chiedo scusa per la prolissità ma, come sempre, cerco di essere chiara per non essere fraintesa.

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  7. @marisa e frz
    Scusatemi, riesco solo a fare un passaggio rapidissimo (il lavoro mi opprime!).
    Nei prossimi giorni spero di riuscire a leggere quanto da voi scritto che, ad una prima rapida visione, mi sembra molto interessante.
    Grazie ancora e ciao.

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  8. Cara Marisa,

    Che posso dirti? Apprezzo molto lo sforzo che hai fatto per ribadire e spiegare le tue convinzioni, ma, ahimè, non le condivido e non modificherei di una sola virgola le mie posizioni.

    Non è importante, d’altro canto, che io cambi idea; quel che importa è che chi ci legge abbia una sufficiente visione delle due posizioni.

    Credo di aver già abusato abbastanza della tua pazienza e del tuo spazio e, quindi, rinuncio a ribattere punto su punto limitandomi a poche considerazioni di carattere generale:
    – Se essere un’azienda significa fissarsi degli obiettivi e trovare gli indicatori che li misurino, vorrei tanto che la scuola fosse un’azienda. Anche una Fondazione o un Opera Pia si pongono degli obietti. La scuola no?
    – Se si definiscono degli indicatori, questi devono aver alle spalle un sistema di premi e punizioni che ne favorisca il raggiungimento; sia sotto forma di retribuzione di base sia sotto forma di premi per il conseguimento di specifici risultati.
    – Per miei figli preferirei, ammesso che ne abbiano i numeri, che frequentassero le scuole che hanno dimostrato di meglio saper preparare gli allievi per i successivi cicli di studio e che per questo sono state premiate.
    – Sposando l’idea di Giorgio, quando parlo di risultati, non mi riferisco alle eccellenze, ma ai risultati medi. Se per questo non servono i test Invalsi, se ne propongano altri, purché servano a confrontarci sul piano internazionale senza uscirne con le ossa rotte come accade attualmente. E mi riferisco in modo specifico alla matematica e ad una lingua straniera.

    Sbaglio? Me lo auguro, visto che mi pare di essere una minoranza critica che non vive il problema dal di dentro.

    Poiché, comunque, ti voglio troppo bene, chiudo qui e ti auguro un Felice Natale e, sin d’ora, un Nuovo Anno ricco di soddisfazioni per te e per i tuoi allievi.

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  9. Mah. Stando ai sintetici criteri di valutazione che il ministero ha inviato ai sindacati, gli insegnanti dovrebbero essere valutati sulla base del curriculum.

    Io, con un perfezionamento, una specializzazione, un dottorato di ricerca e ottanta pubblicazioni, una quattordicesima la meriterei, credo. Ci pagherei tre rate del mutuo e forse andrei a scuola un po’ più volentieri.

    Adesso direte che la motivazione etico-pedagogica dell’insegnamento non deve essere legata ai soldi ma etc. etc. etc.

    Cosa volete farci. Noi poveri, come diceva Zavattini, siamo gente strana: sempre a pensare ai soldi.

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  10. Non so se ti darà ragione. Ad ogni modo, appunto perché, come tu stessa scrivi, è pressoché impossibile definire e quantificare in modo univoco ed indiscutibile l’efficacia didattica ed educativa del lavoro di un docente, soggetta a troppe variabili e troppo sfuggente come concetto in sé e per sé, gli insegnanti non possono essere credibilmente gerarchizzati se non sulla base dei loro titoli e delle loro pubblicazioni. Se poi per una miserabile quattordicesima mi toccasse fare videoconferenze e simili, allora meglio lasciar perdere (anche perché non sono telegenico).

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  11. @ Matteo Veronesi

    Finché non si troverà un altro modo per procedere alla valutazione degli insegnanti, ci sarà sempre il rischio che venga premiato chi pensa che se per uno stipendio da insegnante mi toccasse anche lavorare, allora andrei in fabbrica, che almeno mi darebbero i buoni pasto, e nessuno urlerebbe come un indemoniato mentre tento di parlare e che il massimo che si possa sperare dai ragazzini di oggi è il silenzio, dettato dall’autorevolezza dell’aspetto e del piglio di chi hanno di fronte, non certo da ciò che dice , e inoltre che la scuola non ha bisogno di nessuno, e nessuno ha bisogno della scuola. Ognuno è maestro di se stesso. Nella remota ipotesi che ci sia qualcosa che è davvero utile imparare, senza trascurare il fatto che gli insegnanti sono tutti, oggettivamente, dei falliti […] Quelli che non se ne rendono conto, e che continuano ad illudersi di valere e contare qualcosa, sono ancora più patetici, e infine che gli alunni ci vedono, giustamente, per quelle nullità effettivamente siamo. Al massimo temono i più stronzi fra noi. Io non sono fra questi perché non voglio beghe con i genitori.

    Non so se frz40 mi darà ragione o meno, ma il tuo ultimo commento, unito agli altri (lasciati su un altro post) di cui ho fatto un sunto, mette inequivocabilmente in risalto la debolezza della sperimentazione proposta dal ministro Gelmini.

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  12. Se gli insegnanti fossero pagati di più, e se i loro titoli culturali fossero riconosciuti e premiati, allora sarebbero anche più motivati nel loro lavoro. Così accade in tutti i settori e in tutte le professioni.

    Dirai che gli insegnanti dovrebbero avere a cuore l’educazione dei giovani, indipendentemente dall’esiguità della loro paga. Se è per questo, i medici dovrebbero avere a cuore la salute dei pazienti, i magistrati la giustizia, i politici il bene comune, tutti gli esseri umani la comune felicità…. Ma così non è, e non da oggi (anzi, le prime tre categorie di cui sopra, perlopiù, non fanno il loro dovere come ci si aspetterebbe, pur essendo ottimamente retribuite: al contrario, solitamente si godono con un’arroganza e una supponenza disgustose i loro privilegi e la loro intoccabilità).

    In tutti i lavori si dà per scontato (logicamente) che la professionalità sia proporzionale alla retribuzione, e viceversa. Gli insegnanti, invece, in Italia, patiscono quella che io chiamo la maledizione di De Amicis: l’idea, cioè, che la loro sia una missione, a cui dedicarsi anima e corpo anche per quattro soldi.

    Prova ad assumere l’ottica di un ragazzino di oggi. Le persone valgono per quello che guadagnano (non da oggi peraltro: tanti quantum habeas sis). Gli insegnanti non guadagnano un fico secco. Ergo…..

    Dirai che gli insegnanti dovrebbero appunto mostrare ai ragazzi che esistono altri valori, che le persone non valgono solo per quello che guadagnano…. Ma il condizionamento della mentalità dominante (che è anche quella dei loro genitori, perlopiù plasmati dallo yuppismo anni Ottanta) è troppo forte. E ad essa bisogna adeguarsi, a meno di non darsi (soprattutto nel caso dei maschi) all’ascetismo e al romitaggio.

    Io guido un’automobile che vale meno dei loro scooter. Hanno tutto il diritto di considerarmi un fallito, quale oggettivamente sono. Tutti gli insegnanti, te lo assicuro, sono considerati tali (tranne le donne, se belle, poiché la loro avvenenza apre le porte di una vita brillante a spese altrui: ragionamento arcaico e ottuso, questo mio, certo, come tutti gli altri – ma tale è la società in cui viviamo – anzi ogni società presente e passata).

    Purtroppo, non riesco più a trovare gli estremi di uno studio sulla percezione della figura dell’insegnante da parte degli alunni. Quali sono gli unici paesi in cui gli insegnanti sono stimati? Germania e Svizzera. Dove guadagnano stipendi decorosi. Non credo sia un caso.

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  13. In ogni caso, potete stare tranquilli. Una valutazione dei titoli sarebbe impopolare. Andrà a finire, come al solito, con la distribuzione a pioggia, una tantum, di un centinatio di euro a testa (lordi ovviamente).

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  14. “Decisi, lapidari, caustici e, soprattutto, con molta chiarezza e nessuna incertezza, quasi tutti hanno rifiutato l’idea di seguire la carriera d’insegnante. Da questa rigorosa inchiesta Gianfranco Giovannone ha ricavato il saggio Perché non sarò mai un insegnante seguito da una postfazione di Giovanni Pacchiano che spiega perché lui invece ha fatto il professore (Longanesi, pagine 153, tredici euro). «I miei alunni del liceo scientifico ? dice il prof. Giovannone nella sua casa di Livorno – mi hanno detto chiaramente che non avevano nessuna intenzione di fare l’insegnante e il libro raccoglie le ragioni di questo rifiuto espresso nei loro componimenti. Le classi dirigenti e le classi medio alte in particolare, sfuggono a questa professione». Un vero ostracismo. Perché un rifiuto così drastico? «L’aspetto economico è in testa alle motivazioni. Oggi prestigio sociale e immagine professionale sono direttamente, spietatamente proporzionali alla capacità di guadagnare e di consumare, e non ci sarà alcun riorientamento di valori che potrà cambiare l’attuale stato delle cose. Come motivazione può essere poco sofisticata, ma questo è il vero limite e gli studenti lo ripetono fino alla nausea. Quando si parla di soldi per noi insegnanti, viene subito tirata in ballo la questione sindacale in maniera sprezzante, ma nella società d’oggi, ormai da tanto tempo i giovani, al di là delle posizioni ideologiche sul tipo di lavoro da svolgere, vorrebbero prima di tutto uno stipendio dignitoso. Nel libro ho scritto che quello attualmente percepito dagli insegnanti è uno stipendio simbolico: forse ho esagerato, ma mi sembra che la scuola, in tutti i sensi, viva ormai di eccessi negativi»”.

    LINK della fonte

    Ovvio, come dicevo, che se gli insegnanti fossero pagati adeguatamente, sarebbero anche più motivati nello svolgimento del proprio lavoro, e presi sul serio da alunni e genitori. In tutti i mestieri, del resto, titoli, professionalità, retribuzione e prestigio sono strettamente interconnessi. Il sapere disinteressato non è più un valore, ammesso che, nella realtà e non nell’astrazione ideale, mai lo sia stato.

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  15. Volevo defilarmi da questo dibattito, pensando di aver già rubato troppo spazio, ma se proprio mi tirate per la giacca devo dire ancora una cosa.

    Se non vado errato, questo famoso premio al merito, è costituito da una mensilità aggiuntiva, una tantum, da riconoscere al 25% degli insegnanti, quelli cioè che hanno ottenuto i migliori risultati nell’anno.

    Se così è, vi faccio osservare che, tenuto conto degli oneri indiretti, ha un costo per lo Stato pari a meno di un quarto di una quattordicesima e non tocca sempre le stesse persone.

    Di conseguenza non può essere ritenuto un elemento gerarchizzante, ma solo uno stimolo in più a perseguire dei risultati prefissati.

    Io,personalmente, ci credo molto.

    Capisco che in un contesto come quello della scuola sia difficile definire degli obiettivi misurabili, ma sono sicuro che non sia impossibile, anche tenendo conto, ad esempio, delle diverse realtà territoriali.

    Che poi questo possa anche creare delle ingiustizie, è probabile, ma non è
    un motivo per rinunciarvi. Tutti i sistemi retributivi comportano delle ingiustizie. L’importante è che colga il segno in una buona maggioranza di casi.

    Un abbraccio.

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  16. @ Matteo Veronesi
    Ho discusso in modo anche piuttosto acceso su altri post (basta cercare tra la categoria “scuola”) sulla questione dello stipendio degli insegnanti che non rende giustizia al lavoro che in realtà viene fatto (sempre, beninteso, dagli insegnanti coscienziosi e che amano il proprio lavoro). Purtroppo, però, sulla carta risulta che noi lavoriamo 18 ore a settimana, cinque giorni su sette, che abbiamo tutti i pomeriggi liberi, molti giorni di vacanza durante per le varie festività (Natale e Pasqua soprattutto) e ben tre mesi d’estate. Finché l’opinione pubblica sarà dell’avviso che guadagniamo anche troppo per quel che facciamo, il nostro lavoro sarà sempre disprezzato. Tuttavia, sta al singolo dare dignità alla professione e far sì che gli altri attribuiscano ad essa un certo valore. Se io insegnante mi pongo questo obiettivo, sono già contenta che i miei allievi e le loro famiglie mi apprezzino. E devo dire che in tanti anni non ho mai avuto l’impressione di essere disprezzata, anzi ho avuto molte manifestazioni di stima.
    Detto questo, prima di andare a vedere quanto guadagnano i docenti in altri Paesi, vai a vedere quante ore, sempre sulla carta, lavorano. Molte più di noi, sulla carta, anche se effettivamente quando sono a casa credo si possano godere la famiglia e riescano ad avere una vita sociale appagante. Noi no.

    Continuo a credere che la tua opinione sulla professione che svolgi condizioni fortemente anche l’influenza che su di te ha l’opinione pubblica. Io non mi sento una fallita e considero il mio lavoro anche e soprattutto una missione, anche se ritengo che, al di là dello stipendio che percepisco per la funzione docente, la mia professionalità debba essere riconosciuta, quindi non faccio nulla di extra senza una retribuzione aggiuntiva. Prima facevo le cose in cui credevo, come l’autoaggiornamento e la partecipazione ai progetti, gratis; da qualche anno ho realizzato che se siamo messi così male è anche perché per decenni abbiamo fatto “volontariato” (sempre nell’ambito delle attività aggiuntive, ovviamente) e anche pochi spiccioli in più ci sono sembrati un regalo. Ora so che quella quattordicesima (anche senza premi al merito) che ottengo ogni anno me la guadagno, sudando e strasudando. E nel mio piccolo faccio qualcosa per migliorare la scuola.

    Finché ci saranno docenti che ragionano come te, ahimè, la scuola sarà sempre quel carrozzone (come ama definirlo il mio amico frz40) su cui lo Stato non avrà mai voglia di investire.
    Dall’articolo che hai linkato (che comunque è datato, essendo del 2005) riporto uno stralcio che riassume il mio pensiero: «Non si può addossare agli insegnanti colpe che non hanno. In Germania gli insegnanti di liceo sono molto valutati, in Italia assai meno. E non credo che gli insegnanti tedeschi o francesi siano eccellenti e noi dei cani. Personalmente sono contrario alla meritocrazia, ma quello che si sarebbe potuto fare negli anni passati, era eliminare le cosiddette mele marce. Ci sono tanti modi: favorire la mobilità, il pensionamento anticipato, metterli nelle biblioteche o negli uffici: secondo l’opinione pubblica c’è una corposa minoranza di persone che a scuola non ci dovrebbero stare, e recano un danno enorme».

    Se così fosse stato fatto, io sono certa che starei in ogni caso al mio posto. E tu?

    @ frz

    Ti ho chiamato in causa, è vero, ma non hai colto il senso delle mie parole. Al di là del fatto di appoggiare o meno la meritocrazia (e tu sai che io l’ho sempre appoggiata ma non sono d’accordo su questo progetto perché mi sembra campato in aria), quello che volevo sottolineare è che senza un criterio serio di selezione per l’attribuzione del merito, si rischia di premiare docenti che di meriti ne hanno pochi, effettivamente. I titoli, per esempio, non garantiscono un merito effettivo che contribuisca a migliorare la scuola se poi chi possiede questi titoli ragiona come il “nostro” Matteo Veronesi.

    Contraccambio l’abbraccio. 🙂

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  17. “Pensionamento anticipato, metterli nelle biblioteche o negli uffici”? Non chiederei di meglio. Purtroppo è una procedura lunga e laboriosa. Appunto perché in parecchi, te lo assicuro, scapperebbero dalla scuola, potendo. Voi missionari siete la minoranza. Noi mele marce la maggioranza, ve lo assicuro. Anche se io sono l’unico in Italia ad avere la franchezza di dichiararlo. Per capire come ragiona un insegnante, bisognerebbe mettere nel nucleo di valutazione un medium. Titoli e pubblicazioni, invece, sono sulla carta, incontestabili. Ma non preoccupatevi, non verranno mai valutati. Sarebbe impopolare, dato che li possiedono in pochi.

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  18. Cara Marisa

    Rispondendo sul mio blog ad un commento di Matteo Veronesi ad un mio articolo ho così toccato i temi che ti stanno più a cuore e per i quali mi chiami in causa:

    “Il mutuo da pagare è stata una tua scelta. Giusta, a mio avviso, ma una tua scelta. E oltre a tutto avrai anche le imposte sulla casa da pagare. D’altra parte chi non ha mutui o la casa se l’è trovata coi soldi dei genitori, o paga un affitto. Ben pochi di quelli che lavorano si possono permettere di acquistarne una senza pagar mutui. Una volta la casa si comprava quando si andava in pensione, con i soldi della liquidazione, adesso nemmeno più con quelli.”

    “Ciò detto, mi pare che l’accento sia su quel «poco più di mille euro al mese». So che di fai l’insegnante. Se speravi di diventar ricco facendo quel mestiere, nobile e meritevole, peraltro, hai sbagliato strada sin dall’inizio. E’ un mestiere che ti può dar gioia, dignità, riconoscenza e rispetto se lo sai fare bene e con passione, altrimenti neppure quello. E’ da sempre così. E lo è in tutto il mondo.”

    “Leggo che sostieni che «se gli insegnanti fossero pagati adeguatamente, sarebbero anche più motivati nello svolgimento del proprio lavoro, e presi sul serio da alunni e genitori. In tutti i mestieri, del resto, titoli, professionalità, retribuzione e prestigio sono strettamente interconnessi.»”

    “Non è così. Essere presi sul serio non è funzione dello stipendio, ma di come si fa il proprio lavoro. Da questo “come”, e solo da questo, si acquisisce credibilità. Non c’è nulla come fare svogliatamente il proprio mestiere che ti faccia apparire come un cretino agli occhi della gente. Dal canto mio ti posso aggiungere che ho sempre avuto grande stima e rispetto per chi svolge il proprio lavoro, anche il più umile, mettendoci tutta la propria passione. E questo ha un valore, ben superiore a quello dei soldi in busta paga a fine mese. Ci si può sentire falliti per mille motivi nella vita: nel lavoro, come nella famiglia ma i quattrini c’entrano poco. Quelli, al massimo, ti possono far sentire un cialtrone quando li hai guadagnati disonestamente e, la mattina, ti vien difficile guardarti ancora allo specchio”.

    “Bisogna poi intendersi su cosa intendi per «adeguatamente». Quale sarebbe secondo te la misura adeguata per motivarli di più? Quanti euro al mese ci vorrebbero per farli correre tutti come delle schegge? E, poi, fammi un paio di confronti. Quanto più di un operaio? Quanto più di un contadino? Quanto più di un medico? Quanto più di un impiegata o di quadro nel settore privato? E qui, checché ne dica Marisa, tieni conto delle ore e delle modalità e delle condizioni di lavoro. Il che mi porta a dire che anche tra gli insegnanti dovrebbero esserci differenziazioni molto importanti a seconda delle materie di insegnamento e del diverso impegno di lavoro che le stesse comportano. Così come, e lo ripeterò fino alla nausea, in base ai risultati che ottengono.”

    “Con questo attenzione: non voglio dire che non sia giusto, per tutti, cercar di migliorare lo stipendio, tanto più che la vita è sempre più costosa; ma che da questo dipenda l’impegno e la rispettabilità, no, non ci sto proprio. Non prendiamoci in giro.”

    Buona giornata a tutti, comunque, in questa lunga (tanto per cambiare) vacanza di fine anno. Un abbraccio in partiicolare a te,

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  19. @ frz

    Grazie per la disponibilità al confronto che è sempre costruttivo.

    Solo un’osservazione: quando dici che la nostra vacanza di fine anno è, tanto per cambiare lunga, non devi puntare l’attenzione su noi docenti, piuttosto sulle famiglie. In altre parole, non siamo noi che chiediamo di stare a casa e, per di più, essendo in servizio, dobbiamo essere comunque reperibili. Ma nessuno ci chiama ed è per questo che qualche collega a quest’ora se ne starà disteso al sole sul mar Rosso o alle Seychelles.
    Sono più di venticinque anni che insegno e per un periodo (credo a metà degli anni Ottanta) si tornava a scuola il 2 gennaio, anche perché la festa dell’Epifania non cadeva il 6 gennaio ma la domenica successiva. A parte lo choc di rimettere piede in aula in un clima che sentivamo ancora festivo, erano le famiglie a protestare perché qualcuno andava a sciare dopo Capodanno quando i costi dell’albergo erano decisamente più bassi. Le aule erano semideserte e noi ci sentivamo dei cretini. Poi, guarda caso, la festa dell’Epifania è rientrata nel calendario delle festività religiose e, conseguentemente, le vacanze si sono nuovamente allungate.

    Visto che sono stufa di spiegare che di fatto le nostre ferie sono uguali, come durata, a quelle della maggior parte delle categorie di lavoratori, mi chiedo: per evitare questo tipo di rimostranze, per farci avere un periodo di ferie “normale”, dobbiamo costringere gli allievi a non fare mai vacanza se non in agosto?

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  20. Questo è un punto su cui forse perfino noi due possiamo essere concordi. Di fatto, gli insegnanti non hanno giorni di ferie durante l’anno scolastico. O meglio, se prendono un giorno di ferie devono trovare un collega che li sostuisca gratis, e devono poi rendergli il favore quando sarà necessario. Il tutto, insomma, “senza oneri per lo stato”. Poi ci sono gli esami estivi. Pagati peraltro. Io mi faccio spedire il più lontano possibile per prendere più soldi, e il più lungo dei miei orali dura forse un minuto. I colleghi – missionari o mele marce che sia – mi sono tutti molto grati, perché grazie a me si va tutti a casa un’ora prima.

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  21. @ Matteo Veronesi

    Sullo stipendio siamo d’accordo (per questo ti ho invitato a leggere qualche altro mio post in cui discuto di questo), solo che non concordo sul fatto che la misera retribuzione possa condizionare il nostro lavoro, nel senso che per quello che mi pagano non mi spreco nemmeno.

    Quanto agli esami, sei fortunato se ti accontentano: io chiedo sempre di essere mandata a Trieste (dove avrei vitto e alloggio gratis) ma non mi ci hanno mai mandata. 😦
    Però in un minuto non riesco nemmeno a formulare una domanda comprensibile per quei poveretti che sono così tesi da avere dei tempi di reazione alquanto rallentati.

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  22. Cara Marisa,

    Lo sai che sono sempre disponibile al confronto ….. e a volte sin troppo.

    Grazie a te, dunque, per la tua disponibilità.

    La mia frase sulle vacanze di Natale era, per la verità, un po’ provocatoria; lo riconosco, ma fino ad un certo punto. In realtà diciamo che c’e una certa differenza tra chi per questi giorni per far vacanza deve utilizzare giorni di ferie che non farà più in Agosto e chi non si vede toccato il periodo che va di norma da metà Giugno a metà Settembre.

    La stessa cosa accadrà per il lungo ponte dal 20 al 30 Aprile per la Pasqua.

    Non credo che, anche se vedo che ce la metti tutta, riuscirai mai a convincere qualcuno che le vostre le ferie sono uguali, come durata, a quelle della maggior parte delle categorie di lavoratori. Il confronto va fatto con i quadri dell’industria privata che devono dare la propria disponibilità a rientrare il giorno dopo anche nel corso delle tre-quattro settimane canoniche di Agosto. In ogni caso è cosa ben diversa l’ essere disponibili in caso di necessità dall’essere presenti in fabbrica 9-10 ore tutti i santi giorni, più qualche Sabato e/o Domenica, senza alcun diritto agli straordinari.

    Godiamoci però questa bella vacanza di fine e inizio anno, che risparmiamo, almeno, di riscaldamento.

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  23. @ frz

    «c’e una certa differenza tra chi per questi giorni per far vacanza deve utilizzare giorni di ferie che non farà più in Agosto e chi non si vede toccato il periodo che va di norma da metà Giugno a metà Settembre»

    Sta di fatto che noi siamo obbligati ad andare in vacanza o a luglio o ad agosto (parlo di ferie estive, ovviamente), quando tutto costa di più, mentre chi può scegliere giugno o settembre risparmia più della metà. Senza contare che gli appassionati dello sci (io non sono tra questi, per fortuna) sono costretti a fare la settimana bianca durante la sospensione delle attività didattiche (o Natale o Pasqua) spendendo, ancora una volta, il doppio. Altri possono scegliere.

    Scusa, ma che lungo ponte ci sarebbe ad aprile? Qui abbiamo cinque giorni, dal 21 al 25 (mangiandoci, anche, la festa della Liberazione!).

    Quanto a godersi le vacanze natalizie, io sto correggendo compiti. Cosa che probabilmente altri insegnanti non fanno perché le vacanze se le possono – o vogliono, infischiandosene – godere davvero.

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  24. Il tuo motto dev’essere “Frangar, non flectar”, visto anche il tuo amore per Seneca. Che dici? E’ anche il mio?

    Quanti sono quelli che si godono le vacanze prima del 10 giugno o dopo il 15 settembre? Tutti utilizzano Luglio e Agosto per le grandi vacanze. !

    E qui, in Piemonte ed in molte altre regioni, ad Aprile le scuole chiuderanno dal 20 al 30 del mese. (non ci facciamo mancar niente).

    Mi piace pensarti mentre anche in questi giorni correggi i compiti, a differenza di altri che se ne infischiano, Ma non essere per questo più severa,mi raccomando.

    🙂

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  25. @ frz

    Non è questione di spezzarsi o piegarsi. La questione è che io te lo ripeto fino alla nausea e tu fai finta di non capire (quindi, non offenderti se uso il maiuscolo 🙂 )
    GLI INSEGNANTI SONO IN SERVIZIO FINO AL 30 GIUGNO E RIPRENDONO SERVIZIO IL 1 SETTEMBRE! Ergo, non possono assentarsi nei mesi di giugno e settembre e se lo fanno, si limitano a brevi periodi, fra uno scrutinio e l’altro o una prova d’esame (quelle di settembre) e l’altra e comunque a loro rischio e pericolo.

    I miei nipoti che hanno figli piccoli li portano al mare o a giugno o a settembre. Se sfogli i cataloghi con le proposte vacanza, vedrai che in quei mesi i bambini non pagano, in luglio e agosto sì, anche se qualche volta c’è un po’ di sconto (mai, comunque, il 50%). Proprio per questo, io portavo i miei figli a Trieste dai nonni a luglio, così non pagavo vitto e alloggio. Per qualche anno li abbiamo portati a Lignano in agosto (mio marito aveva le ferie obbligate solo ad agosto) ma poi, per rimetterci in sesto, dovevamo aspettare le tredicesime.
    Questo lo dico anche per Matteo Veronesi affinché capisca che non sono una di quelle prof che con lo stipendio si pagano gli sfizi. Per noi è stato decisamente un lusso mettere al mondo due figli.

    Io non sono né troppo buona né troppo severa, sono giusta. Purtroppo, alcuni compiti non sono andati bene. D’altra parte, nell’ultima settimana in qualche classe hanno fatto sei o sette compiti. Non si può pretendere da loro – tra l’altro già proiettati mentalmente verso le vacanze- l’impossibile. Loro, però, adesso le vacanze se le possono godere, io no. 😦

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  26. Eccomi qui, sono riuscito a liberarmi per scrivere, come al solito, un post kilometrico!

    @frz
    L’argomento mi appassiona, certo, non solo in quanto genitore, ma anche in quanto profondamente convinto che il sapere ci rende liberi. Liberi di capire, di parlare, di scegliere, di esercitare i nostri diritti.
    Non vi è strumento più efficace per realizzare ingiustizie e soprusi che quello di non permettere alle persone di istruirsi, informarsi, conoscere.
    Per questo motivo mi fa molto arrabbiare vedere, da molti anni, l’evidente imperizia dei nostri governanti e l’inazione di molti genitori che hanno ormai scordato (e delegato) le loro responsabilità educative.
    Mi fa altrettanto arrabbiare, però, il conservatorismo dei docenti ed il loro arroccarsi su posizioni contro il cambiamento e l’innovazione, cioè tutto il contrario di quello che si dovrebbe insegnare. Non dimentichiamo che i ragazzi imparano anche dai comportamenti, non solo dai libri e dalle lezioni in classe.
    A parziale scusa dei genitori posso immaginare che la maggior parte di loro non riesca a far fronte a tutte le responsabilità, impegni e preoccupazioni che oggi, a differenza di ieri, l’organizzazione della nostra società richiede loro. 😦
    Per i docenti , invece, mi vien da pensare che sia per loro molto difficile fare un salto culturale e passare da “insegnare e giudicare” ad “imparare ed essere giudicati”. 🙂 🙂 🙂
    I governanti, infine, non hanno scuse, se non quella forse di essere lo specchio di un paese ormai in gran parte “seduto”. 😦

    @marisa
    Una premessa: nonostante alcuni “cattivi maestri” (si capisce, vero, che intendo?) ho sempre pensato che insegnare fosse un gran cosa e per educazione e vissuto ho un gran rispetto per tutti i lavori, in particolare per i lavori che più hanno a che fare con i rapporti umani.
    Come ho già avuto modo di dire, lasciando un momento da parte la qualità del lavoro e dell’ambiente di lavoro, sui cui parametri non è detto che si sia tutti d’accordo, tre sono gli elementi indiscutibili: la retribuzione, l’orario di lavoro e la sicurezza del posto di lavoro.
    Per deformazione professionale sono abituato a parlare con cifre alla mano, per cui, invece di continuare a parlare “per sensazioni”, andiamo diretti su un esempio, omogeneo con la situazione di molti docenti.
    Abbiamo un laureato che lavori nell’abbigliamento (la bandiera del Made in Italy!) da almeno 20 anni e non abbia mai avuto passaggi di carriera (ce ne sono moltissimi così, i quadri o i dirigenti sono una minoranza).
    Questa la sua situazione:
    Stipendio lordo annuo (compreso TFR, anzianità, premi produzione vari, 13^ e 14^, quando c’è): circa 26.000€, corrispondente ad un netto di circa € 18.000.
    Totale ore lavorative da settembre 2010 a settembre 2011 (già tolti sabati, domeniche e 10 giorni di festa): 2.008 (251 giorni)
    Totale ore di ferie e permessi retribuiti previste dal contratto: 296 (37 giorni)
    Saldo netto delle ore che si lavora: 1.712 (214 giorni)
    DI NON OMOGENEO E DA NON SOTTOVALUTARE MAI IL FATTO CHE IL LAVORATORE IN QUESTIONE PUO’ PERDERE IL POSTO DI LAVORO IN QUALSIASI MOMENTO, INDIPENDENTEMENTE DAL SUO IMPEGNO.
    Che ne dici? Fanno un po’ riflettere questi numeri se paragonati ai docenti, vero?

    Un’ultima considerazione sulle ferie: molti lavoratori del privato sono OBBLIGATI ANCHE LORO ad andare in agosto (notoriamente in Italia chiudono le fabbriche) e spesso le fabbriche (non parliamo poi del commercio!) non chiudono neanche nelle vacanze Natalizie e Pasquali.
    In generale un lavoratore del settore privato riesce a malapena a fare tre settimane in agosto e forse un altro paio di settimane durante l’anno, sempre SE E QUANDO LO DECIDE IL DATORE DI LAVORO O IL MERCATO.

    Nei mesi di giugno e settembre si vedono i bimbi al mare molto più accompagnati dai nonni pensionati che dai genitori. Il fatto poi che in questi mesi ci siano prezzi più bassi è dato dal semplice fatto che i turisti sono pochi, perché pochi quelli che possono permettersi di far ferie in questi due mesi.
    Infine, parlando di prezzi per le vacanze, non mi dirai che luglio costa come agosto, per favore! E, ripeto, in luglio pochi lavoratori del privato possono andarci. La maggior parte DEVONO andare in AGOSTO!

    Marisa, dai!, per cortesia! Mio cognato (insegnante di scuola superiore) dice sempre: faccio il lavoro che mi piace e mi appassiona e, a confronto di tanti altri, ho molto più tempo libero e, soprattutto, non ho la paura di rimanere in mezzo ad una strada a 40 o 50 anni suonati! E i soldi? Vedi un po’ sopra….

    @ matteo veronesi
    considerate le sue invidie per la disparità di trattamento con il settore privato il mio consiglio è:
    si accomodi, dia le dimissioni e vada a cercarsi un lavoro che la soddisfi. Se non altro eviterà di continuare a fare danni, agli studenti ed ai suoi colleghi. Altrimenti, accetti la sua situazione e si dia da fare per onorare al meglio la sua importantissima professione. Un’altra cosa: non credo le convenga chiedere un posto nella mia azienda (uno dei più importanti gruppi del settore moda). I titoli non vengono minimamente presi in considerazione. La carriera e la retribuzione vengono (e non è sempre detto) solo dopo l’impegno e l’esercizio scrupoloso del proprio dovere, mai prima.
    Veda un po’ lei….

    @tutti
    Non credo riuscirò ad intervenire prima del fine anno, perciò auguro a tutti, in particolare a Marisa e Frz, un GRANDE E FELICE 2011. CHE L’ANNO NUOVO PORTI A TUTTI SERENITA’ E PACE!

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  27. Io non credo di far danni, francamente. Con me sono tutti contenti, dato che faccio andar bene tutti per non avere noie, e alunni e genitori non chiedono altro: i primi perché non desiderano davvero acquisire una formazione culturale, specie umanistica, che oggi non serve a nulla e non viene apprezzata, semmai derisa, i secondi perché sanno benissimo che il futuro professionale dei loro figli non dipende certo dalla conoscenza del latino, ma dalle raccomandazioni di cui potranno dotarli. Un altro lavoro? A 35 anni con una laurea in lettere classiche, ed essendo palesemente e pubblicamente un coglione, non vedo che altro potrei trovare.

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  28. @matteo veronesi
    gran provocatore, voglio sperare 🙂
    Beh, con questa speranza voglio anch’io fare un po’ il provocatore.. 🙂

    Ha ragione lei, continui a fare quello che sta facendo.
    E’ anche lei, probabilmente, il prodotto di tale etica e per questo incapace di sviluppare un pensiero diverso e trovarsi un altro lavoro a soli 35 anni (io ne ho 47, per inciso, e penso di avere ancora una lunga vita lavorativa davanti).
    Non lo dico, però, convinto dal suo ragionamento, lo dico pensando al futuro dei miei figli.
    Caro Matteo, il mondo “di fuori” sta cambiando e molto velocemente. Sta finendo il tempo dei “furbetti”.
    Che lei, con il suo comportamento, contribuisca a confermare nei suoi alunni e nei loro genitori il pensiero che la cultura ed il darsi da fare non servano a nulla nella vita, in fin dei conti mi va benissimo.
    Questo non può far altro che agevolare i miei figli (che ben altri insegnanti e, ovviamente, ben altri genitori hanno) nella loro realizzazione, sia umana che professionale.
    Meno concorrenza avranno, meglio sarà per loro.
    Un orbo, in mondo di ciechi, è re!
    D’altronde, se io, (figlio di un bibliotecario comunale e di una addetta alle pulizie) e mia moglie (figlia di due operai) abbiamo oggi professioni che ci soddisfano pienamente, forse lo dobbiamo non solo alle nostre capacità ed all’educazione ricevuta (compresa l’etica del lavoro e del sacrificio), ma anche perchè agevolati dalla grande penuria di cervelli pensanti in circolazione!
    Buon Anno ancora a tutti.

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  29. Più che essere io un provocatore, sono gli altri che provocano me.

    Io non avrò figli anche e proprio perché non potrei dar loro il benessere materiale e le raccomandazioni oggi indispensabili, e li condannerei ad un’esistenza grigia ed insulsa come la mia.

    Vorrei tanto che il tempo dei furbetti stesse finendo. Ciò significherebbe, per me, approdare all’università, dove svolgerei, stavolta sì con impegno e serietà, il mio vero lavoro, cioè la ricerca. Ma credo che quel tempo sia ben lungi dall’arrivare, almeno nel settore pubblico. Basta guardare alla poliltica. Il pesce a puzzare comincia dalla testa.

    Il discorso va ribaltato. I miei alunni mi ridono in faccia anche perché hanno alle spalle famiglie che garantiscono loro oggi una vita agiata e brillante, domani un adeguato inserimento professionale tramite raccomandazione (oltre che potente assistenza legale in caso di note o bocciatura, la quale in genere basta, preventivamente, a scoraggiare gli insegnanti dal comminare le une come l’altra – adesso tutti gli ipocriti a gridare: no, noi, duri e puri e intoccabili, non guardiamo in faccia a nessuno…..). Dunque, nella loro posizione, hanno tutti i fondati motivi per deridermi (dato che con quattro titoli accademici guadagno lo stipendio di un netturbino senza straordinari).

    Re è il ricco in un mondo di poveri, o il raccomandato in un mondo di spiantati, o il bello in un mondo di brutti.

    Il tempo dei furbetti sta finendo? Lei crede che, tanto per dirne una, tutti adesso pagheranno le tasse, gli agenti immobiliari i dentisti i gioiellieri i rivenditori di Mercedes (che per il fisco guadagnano meno di me) faranno la ricevuta? Ma per favore…….

    Ma lei da che sistema planetario scrive?

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  30. @matteo veronesi
    credevo veramente la sua fosse solo provocazione, piuttosto intelligente.
    Mi accorgo invece che è espressione del suo profondo pessimismo, non so se innato o indotto dalle sue esperienze di vita, e me ne dispiaccio molto.

    Quando lei dice si possa pensare di avere dei figli solo se si è in grado di dar loro “benessere materiale e le raccomandazioni oggi indispensabili per non condannarli ad un’esistenza grigia ed insulsa come la mia”, beh, la cosa mi intristisce, mi creda, sinceramente.
    Come padre adottivo di due bimbi (ed in attesa di terza adozione) io e lei abbiamo posizioni chiaramente inconciliabili.
    La mia è aperta alla vita ed alla speranza, la sua è, purtroppo, chiusa.
    Mi rendo conto che qualsiasi cosa io le possa dire non la smuoverà di un millimetro dalla sua sfiducia totale nel futuro.

    Alcune sue affermazioni meritano però una replica.

    Andando con ordine:

    Ha ragione: il pesce puzza dalla testa. La fortuna di noi veneti (vicentini in particolare) è che non ci siamo mai sentiti rappresentati dalla classe politica italiana, onde per cui per noi è difficile copiarne i comportamenti.

    Poi, non sia ridicolo: il potere legale dei genitori nei confronti degli insegnanti (e glielo dico per esperienza personale) si riduce a ben poca cosa. Sappiamo benissimo che prima di riuscire a rimuovere o sanzionare un’insegnante si deve dimostrare in sede giudiziaria che abbia commesso atti gravi, da codice penale. Le note o le bocciature non mi risulta possano rientrare nel novero dei reati penali, in particolare se dimostrate fondate (o lei pensa di distribuire note e bocciature a casaccio per farsi valere?).

    L’inserimento professionale che secondo lei viene garantito tramite le raccomandazioni non garantisce, dopo, il mantenimento del lavoro.
    Alla fin fine, nelle attività private, di qualsiasi natura siano, se uno è capace il lavoro lo conserva, sennò resta disoccupato (ed anche qui le potrei citare innumerevoli esempi che conosco personalmente).

    Posso assicurarle, infine, che non scrivo da un altro sistema planetario (cosa peraltro piuttosto improbabile), ma dalla pedemontana vicentina, un luogo dove abbiamo vissuto un velocissima e fortissima crescita economica, favorita anche dai comportamenti come quelli da lei citati (evasione delle tasse), con diffusa perdita dei valori etici e culturali di cui parlavamo.
    Per fortuna era rimasta viva e vegeta una parte di società che pensava che non si potesse ridurre tutto ai “schei”, che non era possibile non fare del volontariato, che si dovevano tenere aperti i licei e non ridurre tutta l’istruzione a scuole professionali, era doveroso organizzare eventi culturali, si poteva andare a fare una passeggiata in montagna e non solo alle Maldive o nel Mar Rosso, era giusto chiaccherare in un caffè del più e del meno e non solo andarci per bere l’aperitivo per intessere rapporti d’affari.
    Oggi, specialmente dopo la dura crisi economica, questa parte della società appare vincente.
    Sta cambiando la mentalità della gente. C’è voglia diffusa di tornare a valori semplici, quelli dei nostri genitori e nonni, c’è il disgusto crescente per il possedere oggetti che alla fin fine non servono a nulla, rinasce l’attenzione al territorio, ci si sta risvegliando dall’ubriacatura dei soldi facili.
    Insomma, dalle mie parti ci si è accorti che i “schei” sono importanti, ma non possono essere l’unica ragione di vita.
    In un contesto del genere, certo, c’è ancora spazio per i “furbetti”, ma sempre meno.
    Se nelle aziende, nelle professioni e nel pubblico impiego già contava comunque poco il cognome o l’amico, ora conta proprio zero. Chi vuole aver successo nel lavoro deve dimostrare di aver un cervello che pensa e condizione essenziale per questo è la conoscenza e la cultura. Che non significa necessariamente avere titoli, significa aver avuto una formazione, non solo scolastica, che permetta di sviluppare pensieri innovativi.

    Per quanto riguarda poi la questione tasse le posso assicurare che alcuni miei amici commercialisti mi dicono che sempre più clienti vogliono pagarle tutte.
    Che questo sia anche dovuto ad alcune brillanti iniziative di lotta all’evasione (veda, ad esempio, l’inchiesta in corso della Guardia di Finanza ad Arzignano, 200 aziende su 600 coinvolte, IVA evasa in due anni pari a 300 milioni di euro, previsione di estensione dell’inchiesta ad almeno altre 200 aziende) ed alla conseguente paura delle sanzioni è probabile.
    Ma è anche dovuto al fatto che si considera più importante vivere una vita più tranquilla, dedicandosi a altro che non l’accumulo a tutti i costi di oggetti e denaro.

    Vivo in un’isola felice? No, non è del tutto felice, i problemi ci sono, ma soprattutto non è un’isola, è solo una parte del mondo (e ce ne sono tante) nella quale è ancora possibile guardare al futuro con speranza.
    Il mondo è grande, non è tutto marcio come lo dipinge lei.

    Detto tutto questo, ripeto ancora che il suo pessimismo tragico mi dà tristezza e le auguro sinceramente di riuscire a trovare un po’ di quella forza interiore necessaria a permetterle di riuscire a realizzare quello che desidera.
    Non consideri a 35 anni la sua vita, anche professionale, finita!
    Non è neanche arrivato “nel mezzo del cammin di nostra vita”! 🙂
    Se la sua vita non la soddisfa, cambi, le dia una scossa! 🙂

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  31. @matteo veronesi
    Ah, dimenticavo: forse sono stato frainteso.
    Quando dicevo che un orbo in un paese di ciechi è re, credevo fosse ovvio che solo l’orbo può rendersi conto di esserlo, i ciechi no.
    Voglio dire che non è importante “ESSERE RE”, importante è “SENTIRSI RE”.
    L’autostima personale si chiama “auto” proprio perchè proviene da se stessi e non dal riconoscimento che viene dall’esterno.
    Insomma, se uno è convinto di valere, vale e ne sarà felice, indipendentemente da quello che possano pensare o dire gli altri.

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  32. No, l’auto-stima si chiama così proprio perché dipende, in larga parte, almeno nel caso del maschio, dalla macchina che uno guida.

    Anch’io vorrei svegliarmi dall'”ubriacatura dei soldi facili”. Però prima vorrei ubriacarmi.

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  33. @matteo
    il tuo commento mi fa ben sperare: un certo “spirito” in te alberga ancora…non tutto è perduto! 🙂
    Ma…una curiosità: da dove scrivi?

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  34. @matteo
    a proposito di auto: io guido una Opel Zafira del 2002 con una bella botta (fatta da mia moglie 🙂 ) sul retro ed un sacco di graffi.
    Mia moglie, invece, possiede una Ford Fiesta del 1996.
    Grazie ad un’attenta manutenzione, le auto sono affidabilissime (che poi è quello che richiediamo noi da un auto 🙂 ).
    I nostri redditi sono decisamente sopra la media, ma io, invece di prendermi il Suv compero un sacco di libri e mia moglie i vestiti solitamente li acquista alle bancarelle del mercato.
    I nostri vicini di casa sono un po’ sorpresi del nostro stile di vita nonostante i redditi, ma, ti assicuro, noi sorridiamo molto più di loro e abbiamo meno “fegati ingrossati” e “ulcere”.
    Ah, soldi facili non ne abbiamo mai visti, ma, d’altronde, non siamo partiti con “famiglie importanti” alle spalle o con “amici particolari”.
    Forse per quello, una volta avuti un po’ di soldi in tasca, non abbiamo modificato le nostre abitudini di vita.
    Eravamo felici se mangiavamo la pizza una volta a settimana e lo siamo tutt’ora.
    I nostri figli, poi…vengono da realtà ben più dure delle nostre e già avere una mamma ed un papà li soddisfa, ti assicuro, ben più di una Playstation o un cellulare touchscreen.
    Ancora un saluto

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  35. Ho capito. Siete Bobos
    e neanche sapete di esserlo (non vestite Armani ma il concetto è quello).

    I Bobos mi stanno sulle palle quasi più dei ricchi (e degli insegnanti idealisti).

    Visto che, anche se (o forse proprio perché) siete benestanti, i soldi non vi servono, datene un po’ a me. Fate la carità.

    Paypal a matteoveronesi@yahoo.it

    United Artists for Matteo Veronesi.

    Devo essere il primo al mondo che chiede l’elemosina su Internet. Almeno non rompo i maroni alla gente per la strada (ma ci andrò presto).

    Tutti diranno: vergognati, va’ a lavorare! Ci vado già (si fa per dire).

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  36. Non siamo per niente Bobos! 😦
    Stanno sulle palle anche a me!
    Non svolgiamo attività “creative”, non compriamo Armani o giocattolini tecnologici, cibi biologici, la cucina orientale non ci piace, non lavoriamo come matti dicendo che lo facciamo con piacere e, soprattutto, detestiamo con tutto il cuore qualunque cosa odori anche di lontano di New Age.

    Ah, io detesto anche profondamente le “etichette”, per non parlare poi degli acronimi in lingua inglese.
    Non so, ho molti amici che come noi hanno attività che li gratificano, costruite in anni di lavoro, forse anche con un po’ di fortuna (perchè no?), con redditi soddisfacenti, ma che non per questo hanno perso la testa consumando a più non posso o spendendo in lussi stupidi.
    Se anche volessi, non saprei proprio come definirci. Forse PEGOSES (People with good sense)? Bleah, che schifezza!
    Certo, ripeto, forse siamo strani. Potremo permetterci il ristorante di lusso, ma ci troviamo più a nostro agio in trattoria o in pizzeria.
    Boh, sarà un forma di senso di inadeguatezza rispetto alle classi agiate o, semplicemente, non ci interessa pagare 150€ a testa per una cena? 🙂

    Perchè poi se uno dice che non spende tutti i soldi dovrebbe essere uno cui i soldi non servono?
    Strano ragionamento…i soldi si risparmiano anche, visto che, ad esempio, mia moglie è libera professionista e se per sfiga le succede di rompersi un braccio o di beccare un’influenza nessuno le paga lo stipendio (a differenza di altri fortunelli, me compreso).
    Oppure si danno a chi ne ha davvero bisogno (ma veramente…su questa cosa non scherzerei troppo 😦 ).

    Per farti poi un paypal dovrei essere iscritto al servizio…mmmm…troppa fatica. Aspetterò di incontrarti per strada e, giuro!, non ti dirò di andare a lavorare, magari è più facile che ti offra una pizza.

    A proposito, in che città devo venire per trovarti?

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  37. Scusa, effettivamente ad Imola potrebbero anche dirti: vergognati, vai a lavorare!
    Se ti capita di venire, invece, nell’alto vicentino (su verso le montagne) è più facile che ti chiedano cosa possono fare per aiutarti…si sa…il veneto (montanaro, poi!) è più ingenuotto dell’emiliano e ci casca più facilmente!
    D’altronde, noi siamo di ricchezza recente, non siamo molto abituati.
    L’Emilia è tutta un’altra cosa. 🙂

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  38. Ovviamente il post precedente non voleva assolutamente offendere gli Emiliani.
    Ho molti carissimi amici in Emilia, il mio era solo un tentativo (forse un po’ maldestro) di far capire che il sottoscritto, pur nell’acquisito benessere, non dimentica che sua madre ha cominciato a lavorare a 11 anni e mezzo come “servetta” in una famiglia di Bologna e suo padre per studiare (liceo classico) l’ha dovuto fare in seminario, unica alternativa per chi non aveva soldi.
    E dalle nostre parti molti possono raccontare storie simili.
    Ecco anche perchè, passata l’ubriacatura da soldi, qui da noi si stanno ripensando a fondo tante cose della vita.
    Quando, complice la crisi, ci si ritrova a dover stare attenti a quello che si spende, ci si ferma e si guarda al passato.
    Fortunatamente abbiamo i nostri genitori che sono ancora qui e continuano a ripeterci che loro avevano poco sì, ma non per questo non erano felici.

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  39. @ Giorgio e Matteo

    Sono stata impegnata tutto il pomeriggio nella correzione dei compiti di Latino ( 😦 ), ma, nelle pause, ho seguito divertita la vostra discussione, anche se si è decisamente allontanata dall’argomento del post. Devo ringraziarvi, dunque, per aver spezzato, seppur involontariamente, la monotonia del mio pomeriggio di lavoro. 🙂

    Di Matteo apprezzo lo spirito, tuttavia, ad una riflessione profonda, mi dispiaccio: credo che la sua ironia ed autoironia (“auto” nel senso riflessivo, non automobile!) nascondano un grande disagio che penso sia comune a molti docenti, soprattutto maschi. Noi donne ci sentiamo indubbiamente più realizzate, indipendentemente dal “partito” che abbiamo sposato. 🙂

    Di Giorgio ammiro lo stile di vita che non è affatto quello dei bobos, anzi. Sono convinta che chi nasce ricco, spenda senza porsi troppi problemi proprio perché i soldi se li è trovati già pronti. Chi nasce povero o comunque in una famiglia non troppo agiata, attribuisce, invece, il giusto valore al denaro che serve certamente per vivere ma non deve schiavizzare nessuno né diventare uno strumento per differenziarsi dalla “massa”. Per fare un esempio, odio lo spot di quel gestore telefonico che ha scelto come testimonial Panariello nei panni di Naomo che butta via con tanta facilità il denaro. Non trovo sia un bell’esempio. Secondo me è un insulto a tutti i “poveracci” che si sudano ogni giorno lo stipendio, facendo anche dei sacrifici per arrivare a fine mese.

    Tornando al topic, ho aggiornato il post, se vi interessa.

    Un caro saluto ad entrambi. 🙂

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  40. Questo è vero. Le donne, in genere, sono più gratificate dal lavoro di insegnanti, e tengono la disciplina con maggiore facilità. Io ho, per questo, una spiegazione molto maschilista (ma è la società ad essere tale, anzi tutte le società, almeno da quando è tramontato il semileggendario matriarcato): quella dell’insegnante è una figura eminentemente materna, legata al prendersi-cura, e dunque femminile; inoltre, dalla donna (maschilisticamente – ma anche le donne ragionano così, un po’ per interiorizzazione degli sterotipi, un po’ per comodità) non ci si aspetta che guadagni molto o abbia una posizione di rilievo. Io non ho mai sentito dire di una donna che è “una fallita”. Solo degli uomini. Invece di una donna si può dire, come somma offesa, che è una poco seria (mentre il suo corrispettivo maschile è elogiato come grande seduttore: non si dice mai di un uomo che è poco serio, ma che è un playboy). L’uomo che non guadagna, non produce e non consuma, ad esempio il disoccupato o il depresso, e la donna che si concede a troppi uomini, minano in egual misura, l’uno e l’altra, l’ordine cristallizzato e alienante di una società maschilista e plutocratica (come quasi tutte nella storia).

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  41. @marisa
    mi fai arrossire quando usi il verbo “ammirare”! Non ho alcun merito, mi comporto così perchè sono il risultato dell’educazione ricevuta e delle esperienze di vita, quasi mai cercate, come normale che sia!
    @matteo
    sono assolutamente d’accordo con te.
    Voglio raccontarti come ho reagito io di fronte a questo problema.
    A 37 anni mi hanno offerto di diventare dirigente, con trasferimento a 400 km da casa per un paio d’anni, per cui distante dalla famiglia 6 giorni su 7 (quando andava bene). La retribuzione sarebbe raddoppiata.
    Io avevo da pochi mesi adottato il mio primo figlio (dell’età di 4 anni).
    Mi sono chiesto: che faccio? Ora mio figlio ha bisogno di un padre, lo ha aspettato 4 anni. E dopo, che vita avrò, al rientro in azienda dopo i due anni di trasferta? Certamente avrò un reddito alto, potrò permettermi molto, avrò però pochissimo tempo per la mia famiglia (e per me, cavolo!). E mio figlio? Che gli potrò dire se mi chiederà: ma tu, quando avevo bisogno, dov’eri?
    Ho rifiutato.
    Per aver un’altra occasione di miglioramento (non sono ancora dirigente, ma quasi) ho dovuto attendere 9 anni.
    Ma non mi pento: è stata la più bella decisione della mia vita.
    Nel frattempo ho potuto adottare un altro bimbo e sono in attesa di adottarne un terzo.
    Mio figlio maggiore mi ha detto una volta: papà, sai, i miei compagni mi dicono che i loro papà non li vedono quasi mai. E io: e allora, che problema c’è? E lui: è che sono triste per loro, non sono felici di questa cosa. A me piace molto averti con me, non ti lascerei mai!
    Ecco, per me questo vale molto di più di qualsiasi carriera o reddito.
    Non è “Libro Cuore”, è vita come io credo vada vissuta! 🙂

    Ovviamente la mia decisione è stata vista con disprezzo da molti “carrieristi maschilisti”. Mi hanno considerato un fallito. Da quando un maschio rinuncia alla carriera per stare con la famiglia? Orrore!
    Io faccio il papà a tempo pieno (con mia moglie libera professionista è giocoforza che mi io occupi, ad esempio, della scuola dei bimbi o faccia da mangiare per tutti o abbia fatto il bagnetto e la doccia ai bimbi 9 volte su 10).
    D’altra parte, fin dal primo momento, ho considerato non solo un mio dovere “esserci”, ma soprattutto un mio diritto.
    Io mi “sento re”, non me ne frega niente se per altri non “sono re”.
    Ho il diritto di decidere della mia vita indipendentemente da quello che che il sentire comune pensa sia giusto o sbagliato!
    Io, oggi, vivo abbastanza sereno e felice e tanto mi basta.
    Faccio bene il mio lavoro, che mi piace abbastanza, e faccio bene il mio ruolo di marito e papà (non chiedete a mia moglie o ai miei figli se è vero 🙂 🙂 🙂 ), il che mi piace ancor di più.

    Devo dire però che, con mia sorpresa, alcuni colleghi appena entrati in azienda (età intorno ai 32-35 anni), quando racconto questa cosa mi dicono che non ho fatto male, che trovano giusto aver un’equilibrio tra vita privata e lavoro e che loro non hanno nessuna intenzione di sacrificarsi sull’altare della carriera.
    E’ quello che dicevo: qualcosa forse sta cambiando.

    Ma se anche non stesse cambiando, Matteo, “non ti curar di loro….” è sempre un ottimo rimedio.
    E poi, sarà pur capitato che qualcuno che hai conosciuto abbia apprezzato il tuo lavoro o capiterà…almeno uno…beh, è sufficiente, non guardare alla quantità, ma alla qualità.
    E, soprattutto, SENTITI RE e non SII RE! 🙂

    Siamo andati veramente fuori tema, ma…Marisa è tanto buona! 🙂

    Ancora un abbraccio e…Matteo, complimenti! Ho letto un po’ qui:

    se non ho sbagliato (un omonimo ma non credo 🙂 ), credo di aver meglio compreso il tuo disagio.
    Ovviamente baso questa affermazione su quel poco che sono riuscito a capire, non certo per limite dello scrittore, ma per evidente limite del lettore. 🙂

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