LE DONNE DI ULISSE: PENELOPE, L’AMATA SPOSA … MA TRADITA


A quei tempi, si sa, le donne non si sceglievano un marito, i matrimoni erano combinati e alle poverette non restava altro che adattarsi alla situazione. Dal padre-padrone passavano al marito-padrone ed accettavano il sacrificio con rassegnazione, consce della propria inferiorità. Quelle che se la passavano meglio, tutto sommato, erano le “meno serie” che, se dal punto di vista morale risultano discutibili, non erano soggette ad alcun vincolo matrimoniale poco gradito. Poi c’erano le opportuniste, come Elena, che cercavano di trarre profitto dalla situazione, senza preoccuparsi dei sentimenti.
Talvolta, però, anche dai matrimoni combinati poteva nascere l’amore: ne è un chiaro esempio Andromaca, moglie di Ettore, che però, dopo la morte dello sposo e l’uccisione del figlio Astianatte fatto precipitare dai Greci dall’alto delle Porte Scee, deve accettare il crudele destino, cioè sposare Neottolemo, figlio di Achille. Ironia della sorte! Da costui avrà anche dei figli, ma poi verrà ceduta ad Eleno, fratello di Ettore e quindi suo cognato, ritornando, per così dire, in famiglia. Nonostante tutto rimane, però, fedele nell’animo al suo primo sposo e mantiene vivo l’amore per lui, per il resto della sua vita. Nell’antichità gli amori sfortunati erano all’ordine del giorno!

Anche Penelope viene “data in sposa” ad Ulisse: è una principessa spartana, figlia di Icario e Permea, è, come si dice, un buon partito. Penelope ama Ulisse e lo dimostra aspettandolo per vent’anni, senza cedere di un millimetro di fronte alle incalzanti richieste dei pretendenti, senza smettere di chiedere notizie su di lui ai forestieri che giungevano ad Itaca. Non solo dimostra di amare il suo sposo; prende in mano il regno, cerca, come può, di mantenere la prosperità anche se i Proci si danno un gran daffare per saccheggiare il palazzo con tutti i suoi beni, ancelle comprese. La fermezza con cui affronta la situazione ne fa una vera e propria eroina. Sa agire d’astuzia, come evidentemente le aveva insegnato Ulisse, e procrastina quanto può la scelta di uno dei pretendenti, inventando la scusa della tela: non volendo tradire il suo uomo, li tiene a bada promettendo loro che avrebbe deciso con chi sposarsi non appena avesse terminato di tessere una tela funebre per il suocero Laerte; ma la tela che tesseva di giorno la disfaceva di notte.

A questo proposito mi vengono in mente delle considerazioni: primo, Laerte, seppur vecchio, stanco e acciaccato, doveva fare gli scongiuri tutti i santi giorni; secondo, i Proci dovevano essere degli emeriti cretini se si lasciavano convincere dalla storiella della tela, anche perché se l’unica attività concessa alle donne era quella di tessere, un po’ di pratica Penelope la doveva avere; terzo, la povera donna doveva essere un po’ ingenua se era convinta che l’inganno della tela potesse reggere a lungo. E infatti la spiata di un’ancella provoca l’ira dei Proci che, indispettiti notevolmente dall’abile raggiro, le danno un ultimatum. Ma di questo parleremo in seguito.

Mentre il marito era in giro a spassarsela, la moglie aveva decisamente le sue gatte da pelare e il modo in cui si comporta, la sua caparbietà e l’infinita pazienza dimostrata, ne fanno un emblema quasi unico dell’amore coniugale. Ma Ulisse, amanti a parte, l’amava davvero? Secondo quanto ci narra Omero, sì, se è vero che per dieci anni anela a tornare a casa. Ma ad Itaca non c’è solo Penelope, ci sono anche il trono, i suoi sudditi, i suoi interessi. Poi, sempre dal racconto omerico, è chiaro che l’eroe è un po’ volubile e facile preda delle tentazioni: resiste, in pratica, solo alle sirene ma, essendo donne solo a metà, forse non l’attraevano più di tanto, e a Nausicaa che, però, giunge per ultima e lo trova un po’ stanco di avventure.

Si sa che l’eroe non era troppo convinto di partire per la guerra: quando gli giunge l’ambasciata da parte di Menelao, ha una moglie giovane e presumibilmente carina, un figlio piccolo e una solida posizione sociale; perché, dunque, lasciarsi trascinare in questa avventura? Forse per la sete di conoscenza, come vuol credere l’Alighieri, forse per il sentimento di fratellanza che lega i sovrani greci che, tutti per uno, uno per tutti, si aiutano a vicenda, forse semplicemente perché era l’unico modo per far durare a lungo il suo matrimonio!
L’unica cosa certa è che, seppur riluttante, parte e se Omero ci vuol far credere che la lunga assenza è dovuta soprattutto all’ira di Poseidone che lo costringe più volte al naufragio, vero è che buona parte dei dieci anni successivi alla guerra di Troia li passa da Calipso ed è smanioso di ripartire alla volta di Itaca solo quando si rende conto che la relazione non ha più l’effervescenza iniziale.

Tornando a Penelope, all’inizio dell’Odissea la troviamo alle prese con il figlio Telemaco che, in quanto a rispetto nei confronti della genitrice, si dimostra un po’ carente. Siamo alla reggia e l’aedo Femio allieta i convitati intenti a consumare un lauto banchetto, a spese di Ulisse naturalmente, cantando, sulle note della cetra, il luttuoso ritorno degli Achei da Troia, imposto loro dalla furibonda Pallade Atena; pare, infatti, che Aiace avesse tentato di rapire Cassandra dal tempio della dea e che ella, per vendetta, avesse scatenato una terribile tempesta da cui prendono inizio le peregrinazioni di Ulisse. Ora pensate alla povera Penelope alle cui orecchie giungono i canti di Femio: insomma, è come parlare di corda in casa dell’impiccato! Nonostante il presumibile risentimento, la donna si reca con animo pacato nella sala del banchetto e con tono estremamente cortese, seppur fra le lacrime, si rivolge all’aedo:

Femio, molte altre mirabili imprese degli uomini
e degli dei tu conosci, quelle che cantano i cantori;
canta una di queste, seduto tra loro, e loro silenziosi
bevano il vino: ma smetti di intonare questo canto
doloroso, che sempre il cuore nel petto
mi tormenta, poiché profondamente mi ferì la sofferenza insopportabile
. (Odissea, II, vv. 337-342)

Beh, non si può far altro che ammirarla; un’altra avrebbe usato toni meno gentili: “Senti un po’, cretino, ma chi ti credi di essere, toccare proprio questo tasto, nel mio palazzo! Non credi, forse, che io soffra già abbastanza senza il bisogno dei tuoi lamentosi versi? Non hai proprio nient’altro, nel tuo repertorio, da cantare?”.
Se la donna si dimostra alquanto educata e paziente, il figlio non si rivela altrettanto gentile e rispettoso, visto che dopo averle ricordato che non è colpa degli uomini se le vicende sono così funeste, ma di Zeus, la liquida senza tante cerimonie e la rispedisce alle sue stanze:
Suvvia, torna nella tua stanza e dedicati alle tue opere,
telaio e fuso, ed ordina alle ancelle
di accingersi ai loro lavori: agli uomini tocca parlare,
a tutti, ma a me soprattutto: mio è infatti il potere nella casa
. (II, vv. 356-359)
Ed ecco che ritornano in ballo i ruoli: le donne al telaio, gli uomini alla guerra o, in tempo di pace come in questo caso, alle attività politiche. Le parole che Telemaco rivolge alla madre non sono forse simili a quelle che Ettore, nel VI libro dell’Iliade, aveva pronunciato rivolto alla moglie Andromaca? Nemmeno un po’ di comprensione per la povera Penelope che dedica tutto il suo tempo alla tela infinita!

Al tono irriverente del figlio Penelope sembra non far caso, nemmeno più tardi, verso la fine del poema, quando, dopo la prova dell’arco e la strage dei Proci compiuta da Ulisse, Euriclea, la fedele nutrice dell’eroe che lo aveva riconosciuto da una vecchia cicatrice facendogli il bagno, corre ad annunciarle il ritorno del marito. Di fronte all’incredulità della madre, Telemaco reagisce con parole di rimprovero:

Madre mia, matrigna, hai certo un cuore impassibile,
perché ti tieni lontana dal padre, non ti siedi
vicino a lui, non gli parli, non gli chiedi nulla?
Un’altra donna non starebbe così irremovibile in cuore,
lontana dal marito, che, dopo aver sofferto tanto,
giungesse dopo vent’anni alla sua terra patria:
ma tu hai un cuore più duro della pietra
. (XXIII, vv.96-103)

Ma mettiamoci nei panni della poveretta: da vent’anni aspetta lo splendido sposo, dedica ogni istante della sua vita a quest’attesa, prega con costante dedizione gli dei affinché glielo riportino a casa sano e salvo ed ora, trovandosi di fronte uno straccione (Ulisse, infatti, per volontà di Atena indossa i panni di un mendicante), brutto, vecchio oltre che lacero, dovrebbe buttargli le braccia al collo così, seduta stante? Concediamole almeno un momento di riflessione! In questo Penelope si rivela saggia forse più di un uomo e Ulisse stesso ne è colpito, tanto da esortare il figlio a darle tempo, a lasciare che la moglie metta alla prova il marito.
La prova non è quella che potete pensare: figuriamoci se dopo vent’anni la disgraziata si poteva ricordare delle prestazioni di Ulisse nel talamo nuziale! L’eroe, comunque, è rassegnato: di prove a letto non se ne parla proprio!

Nonostante il bagno fattogli da Euriclea, l’intervento di Atena che, alquanto sollecita, lo rende più bello per convincere la sposa, la ferrea Penelope non si piega ancora al suo fascino. Un po’ spazientito, Ulisse le dice:

Sciagurata, gli dei che abitano le case dell’Olimpo ti forgiarono
un cuore duro, più di ogni debole donna:
certo un’altra donna non starebbe così irremovibile in cuore,
lontana dal marito, che dopo aver molto sofferto,
giungesse dopo vent’anni alla sua terra patria.
Ma suvvia, nutrice, preparami il letto, perché, anche da solo,
mi riposi: costei ha un cuore fatto di ferro
. (XXIII, vv.166-172)

Questo è il vero punto di forza di Penelope, che la rende meno lagnosa di molte altre donne epiche e molto più simile ad un uomo dal cuore di ferro. Il fatto più straordinario è che Ulisse in persona è costretto ad ammettere questa forza interiore della donna che ha il coraggio di rifiutarsi di giacere nel talamo nuziale con il presunto marito: a letto può andarci pure da solo, anzi, rivolta ad Euriclea, Penelope dice:
preparagli il suo robusto letto,
portandolo fuori dal talamo,
il letto che egli stesso si fece
. (XXIII, vv.177-179)
Ma è solo un trucco, l’inganno è pronto, è questa la prova cui Penelope sottopone l’uomo che ancora non chiama marito; ogni altra prova, compresa quella sotto le lenzuola, sarebbe stata aleatoria. Qual è, dunque, questa prova? Ulisse, se è Ulisse, deve saper che il letto è stato costruito intagliandolo in un tronco d’ulivo che affonda le sue radici nel sottostante cortile e che, quindi, non può essere spostato. Quasi stando al gioco, partecipando al duello di parole, ora veritiere, ora ingannevoli, condotto tra i due sposi, Ulisse riesce ad ironizzare chiedendo Chi ha spostato il mio letto? (v.184) e con minuzia di particolari racconta come l’aveva costruito, rivelando quelle abilità tecniche manuali che gli erano tornate utili per costruirsi la zattera con cui era ripartito dall’isola di Ogigia dove Calipso l’aveva trattenuto.
Consapevole di aver superato la prova, l’eroe è raggiante e la sposa può finalmente gettargli le braccia al collo e baciarlo, non senza scusarsi della diffidenza e asserendo, ingenuamente, che molti sanno escogitare inganni astuti (v.217): davvero un eccesso di zelo, considerato chi le siede di fronte.

Sembra una storia a lieto fine, ma una nube offusca la loro felicità: c’è ancora un segreto da rivelare. No, non è giunto il momento di smascherare i suoi tradimenti, Ulisse non ne sarebbe capace; si tratta di una profezia dell’indovino Tiresia, il solito uccellaccio del malaugurio, che gli aveva predetto un nuovo viaggio fino alla terra di un popolo favoloso e lontano, dove dovrà cercare un luogo adatto a un sacrificio per Poseidone. Il debito, evidentemente, non è ancora saldato e Odisseo non può rimanere impunito.
Colpisce la serenità con cui Penelope accetta la cosa e con cui convince il marito a non rimandare la rivelazione:

Sempre sarà pronto per te il tuo letto, quando in cuore
tu lo desidererai, perché gli dei ti concessero di giungere
alla tua casa ben costruita e alla tua patria terra:
ma giacché hai accennato a qualcosa che un dio ti pose in cuore,
anche a me dì ora la prova, poiché io la saprò in futuro,
penso, e non è peggio che subito io la conosca
. (XXIII, vv.257-262)

Così narra Omero, e nulla sappiamo di più sul nuovo viaggio e sul nuovo ritorno dell’eroe a casa. Una leggenda vuole che, dopo essere ritornato in patria ed aver continuato a regnare in pace accanto alla moglie e al padre Laerte (gli scongiuri evidentemente erano serviti se gli dei gli hanno concesso così lunga vita), sia stato ucciso, involontariamente, dal figlio Telegono, avuto da Circe, giunto ad Itaca proprio per conoscere il padre. Sembra che il parricidio gli fosse stato predetto dal solito Tiresia e che, per riparare il torto, seguendo gli ordini di Atena, Telegono avrebbe portato con sé Penelope e Telemaco nella natia isola di Eea. Secondo Igino, fonte autorevole, tuttavia poco credibile, lo stesso parricida avrebbe sposato la vedova di Ulisse e avrebbe avuto da lei un figlio, Italo, fondatore del Tuscolo e di Preneste, da cui deriverebbe il nome della nostra penisola.

Ma queste sono solo leggenducole che non riescono ad offuscare la buona fama di questa eroina che non ha nulla da invidiare a tanti uomini. Persino Agamennone, durante l’incontro con Odisseo nell’Oltretomba, ne riconoscerà i meriti, con parole piene di ammirazione:
è molto saggia e nutre pensieri sapienti
la figlia di Icario, Penelope
. (XI, vv.445-446)

[nell’immagine: Penelope and her suitors by Sir John William Waterhouse]

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16 pensieri riguardo “LE DONNE DI ULISSE: PENELOPE, L’AMATA SPOSA … MA TRADITA

  1. Vedo ora il tuo nuovo post di “Le pagine D’Epica”….
    Domani me lo leggerò con piacere e con calma e, come sempre ti farò il mio commento…
    eli

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  2. Leggere questi tuoi post è diventata per me una lettura a puntate.

    Ti ho già detto che i miei studi non sono stati studi classici, quindi Omero e la sua Odissea sono solamente nomi famosi e la loro storia una storia di viaggi avventurosi e incontri sempre più fantasiosi e intriganti.

    La narrazione che tu ne fai è chiara, sintetica, spiritosa e nonostante questa semplicità, decisamente istruttiva e coinvolgente.

    Per chi non ha letto i testi originali essa è sufficiente per avere un quadro dell’opera e fare conoscenza dei suoi protagonisti, ponendoli cronologicamente al loro giusto tempo e luogo.

    Grazie per questa finestra che si affaccia su un mondo così lontano, ma nel contempo con sentimenti e situazioni tanto moderne.

    Tutto il mondo è paese e anche le vicende narrate da Omero sono quelle che vivono tutt’ora i comuni mortali.

    Ti invito a continuare con altre puntate….

    eli

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  3. Cara Elisabetta,

    grazie, come sempre, per i tuoi apprezzamenti: sono davvero felice che la lettura delle mie “Pagine d’Epica” ti dilettino.

    Come forse saprai, De Crescenzo ha pubblicato il suo ultimo romanzo “Ulisse era un fico”: non l’ho ancora letto perché in quest’ultimo periodo di scuola sono abbastanza indaffarata. Ma so che quando lo leggerò mi farà un po’ rabbia che lui abbia pubblicato un altro libro sulle stesse tematiche che affronto io. Credo che lui avrebbe apprezzato le mie “pagine” se solo avesse colto il mio invito trasmessogli con la lettera spedita più di cinque anni fa. (una parte l’ho pubblicata QUA)

    Per le avventure di Ulisse è tutto. Ora mi dedicherò all’Eneide di Virgilio … sempre ad uso dei miei studenti e anche tuo che dimostri di apprezzare i miei scritti. Poi se qualche editore passerà di qua, magari potrò realizzare il mio sogno.

    A presto. 🙂

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  4. Ora, io non so se il mio istinto maschile o qualcosa di diverso mi fa dubitare ma…. qualcosa non quadra. Vediamo un po. Provo a ragionare da semplice mortale.
    Quindi povera (e bellissima donna) oltre a soffrire la mancanza del suo amato marito per vent’anni deve supportare anche le insistente proposte di pretendenti al letto coniugale.
    Ovviamente, Omero omette (scusa il gioco di parole) a precisare che Itaca -pur piccola essendo- non poteva permettersi il lusso di non avere un re per decenni. Mah si vede che non avevano inventato ancora i governi di transizione. Esso imprime alla sua storia (quella di Penelope) un motivo sciropposo. Forse il primo soap opera della umanità. L’amore. Devozione.
    Non pretendenti al trono di Ulisse. Ma al suo letto coniugale. Quindi….. da una parte un marito incestuoso. Ed una moglie sacrificante. Peccato che….
    Peccato che poi, la stessa donna, che si sacrifica vent’anni della sua vita aspettandolo non si ribella quando suo amato marito si prepara per ripartire. Per poi…. sposare, non uno dei ex pretendenti, ma il figlio illegittimo di Ulisse fu. Figlio di una sua ex amante. Ed in più, l’assassino del suo amato uomo. Incesto.
    Non lo so, ma non sembra di parlare della stessa donna di prima. Sembra una donna differente.
    E se Penelope avrebbe resistito il doppio decennio per mantenere, non la sua purezza, ma il potere (trono)? Questa fino a quando sarebbe pronto Telemaco a prendere le redini. Solo che, quando il tempo si era avvicinato…. patatrac… compare l’Ulisse.
    Certo l’Ulisse e suo marito maaaa…….sono passati vent’anni. Ormai non è più quello di una volta. Occhi che non si vedono si scordano. Quindi lei accetta volentieri il suo ripartire. E quando lui ritorna…. vuoi che lei non abbia saputo della predizione di Tiresia? Mmmmh.

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  5. Quello stupido di Ulisse è stato con: Calipso, quasi ci andava con nausicaa e le sirene. È andato proprio a letto (scusate. Il. Termine ). Con circe( ci ha avuto tre figli cappero!)! Si i somma il grande Ulisse secondo a me a confronto con Penelope svanisce!

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  6. Penelope e’ l’emblema della perseveranza e della tenacia delle donne che sanno attendere il proprio uomo senza un minimo di cedimento,ma che hanno sacrificato parte della loro vita per rimanere fedeli a quell’immagine di mogli devote e pie,anche nell’antica mitologia come nel mondo contemporaneo alla donna vengono attribuiti dei ruoli ben determinati tutta casa e famiglia, mentre l’uomo come Ulisse vanno alla ricerca della vanagloria che li porta a diventare uomini valorosi in battaglia e in politica, Ulisse era un uomo coraggioso ma poco propenso alla fedelta’, la sua vera forza era la sua ambizione di ritornare nella sua amata patria da vincente.

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  7. Vorrei fare un osservazione a tutti quelli che invece di commentare il tema dell’articolo scrivono i loro saluti, non sarebbe meglio che i saluti venissero scambiati su altri social tipo facebook?, non capisco a che servono i contenuti di un articolo se poi si spostano i commenti in altre direzioni.Comunque la mia non vuole essere un critica ognuno fa quello che ritiene opportuno era solo una considerazione

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