CRETINO, L’INSULTO PREFERITO DAL MINISTRO BRUNETTA

Sembra che nel mondo politico l’insulto preferito sia “cretino“. Certamente lo è per Renato Brunetta, ministro della Pubblica Amministrazione, anche se si può pensare che abbia copiato da qualcun altro.

Quando ce l’ha con i fannulloni, quelli che fischiano durante i suoi interventi pubblici, fra cui anche i precari, naturalmente, che non sono certo fannulloni per colpa loro, visto che lavorano saltuariamente per via dei contratti a termine, lui li definisce “la peggiore Italia”. “Cretini” lì per lì non gli è venuto spontaneo. Ma se li avesse chiamati così, avrebbe avuto quasi ragione.

Stando all’etimologia della parola, cretino deriva dal franco provenzale crétin, che a sua volta trae origine dal latino christianus e letteralmente significa “povero cristo“, quindi “poveraccio”. E in effetti chi insulta il ministro della PA è proprio un poveraccio, perlopiù senza lavoro o con un’occupazione precaria, appunto.

Evidentemente, persa l’occasione al Convegno Nazionale dell’Innovazione tenutosi a Roma a metà giugno, ha voluto rimediare ieri, durante il festival della cultura digitale a Viterbo. Di fronte ai fischi di chi lo contestava, Brunetta ha esclamato: «non vi rendete conto di quanto siete disperati», e qui ci stava perfettamente un bel cretini. Il ministro, lasciatosi sfuggire la prima occasione, ha però aggiunto, in riferimento al comportamento dei contestatori: «Non mi turba per nulla, ogni cosa che fate dimostra la vostra cretineria». Vabbè, ha usato il sostantivo ma è uguale. Cambia la forma ma non la sostanza: quelli sono proprio dei poveretti.

Ma gli insulti, si sa, spesso sono reciproci. Che i precari e tutti quelli che contesano gli interventi di Brunetta (e che volevano anche rovinargli la festa di nozze) lo considerino un cretino a loro volta, non credo sia un mistero. Ma che un collega dello stesso governo come Giulio Tremonti, ministro dell’Economia e delle Finanze, si abbassi agli insulti fa riflettere.

È accaduto qualche settimana fa: in un fuorionda della conferenza stampa sulla manovra economica di luglio, Tremonti arrivò ad insultare il collega ministro, che stava facendo il suo intervento, chiamandolo «cretino». (LINK)

Ma il ministro della PA non se l’è presa: È venuto Giulio – ha spiegato Brunetta – e mi ha abbracciato, chiedendomi scusa. Io, però, non ho ancora capito cosa sia successo. Ma si sa, non sono veloce di comprendonio…”.

Sa anche a me, signor ministro.

NO ALLE CLASSI POLLAIO: CLASS ACTION CONTRO LA GELMINI


Dopo quella dei precari, è pronta un’altra class action contro il ministro Gelmini. Il Codacons è, infatti, ricorso al Tar del Lazio per far sì che le classi non si trasformino in pollai accogliendo un numero esagerato di allievi – si parla di 35-40, anche se a me personalmente pare molto strano – rispetto alla capienza della aule.
Il Tar ha dato ragione al Codacons e ha concesso ai ministri della Pubblica Istruzione e dell’Economia, Giulio Tremonti, 120 giorni di tempo per emanare il Piano Generale di Edilizia Scolastica rimasto, fino ad ora, solo una promessa.

La sentenza, emessa dalla III sezione bis presieduta da Evasio Speranza, ha dichiarato ammissibile la richiesta del Codacons in quanto il Piano generale di riqualificazione dell’edilizia scolastica (previsto dall’art. 3 del Decreto 81/09) non è stato ancora adottato, nonostante i tempi previsti fossero fissari prima dell’anno scolastico 2009-2010. Per i giudici, quindi, «è evidente che l’inerzia si sia già protratta ampiamente oltre il limite di legge».

Per Mariastella Gelmini il ricorso è infondato perché «le classi con un numero di alunni pari o superiore a 30 sono appena lo 0,4% del totale», specificando che «il sovraffollamento riguarda prevalentemente la scuola secondaria di II grado e si lega soprattutto alle scelte e alle preferenze delle famiglie per alcuni istituti e sezioni». Inoltre chiarisce che «è già stato stanziato infatti un miliardo di euro e assegnata una prima tranche di 358 milioni per avviare gli interventi più urgenti».

Di tutt’altro avviso l’associazione di consumatori che ha preso l’iniziativa di ricorrere al Tar. Il presidente Carlo Rienzi annuncia che, qualora il ministro non provveda a pubblicare il Piano per l’edilizia scolastica, «saremo costretti a chiedere la nomina di un commissario ad acta che si sostituisca al ministro ed ottemperi a quanto disposto dal Tar. Grazie a questa sentenza, inoltre, docenti e famiglie i cui figli sono stati costretti a studiare in aule pollaio, potranno chiedere un risarcimento fino a 2.500 euro in relazione al danno esistenziale subito».

Risarcimento a parte, bisogna sottolineare che il sovraffollamento delle aule, oltre a disattendere la Legge sulla Sicurezza, influisce sulla qualità della didattica. I limiti massimi di legge sono, a prescindere dall’ampiezza delle aule a disposizione degli alunni, decisamente anti-didattici: per la Scuola infanzia 26 alunni (elevabili in casi eccezionali a 29); per la Scuola primaria 26 alunni (elevabili in casi eccezionali a 27); per la Secondaria di primo grado 27 alunni (elevabili in casi eccezionali a 30) e per la Secondaria di secondo grado 27 alunni (elevabili in casi eccezionali a 30). Ancora peggiore, se possibile, la situazione che si viene a creare nel caso una classe ospiti un allievo disabile: il massimo di legge è di 20 alunni, ma sappiamo che ci sono le deroghe e raramente il limite viene rispettato. Senza contare che in taluni casi si verificano delle situazioni gravemente problematiche in cui, agli alunni con regolare certificazione di disabilità, si aggiungono elementi non certificati ma con evidenti problemi, specie a livello di comportamento, che rendono oltremodo difficile l’insegnamento.

Insomma, il problema non è solo il pollaio, ovvero il sovraffollamento in spazi non adeguati e, quindi, a rischio nel caso di evacuazione. Il problema è che non si può concepire la scuola solo come un parcheggio dove, anche se si sta un po’ stretti, ci si sta comunque. La qualità dell’insegnamento è a rischio, tanto quanto l’incolumità delle persone -allievi ed insegnanti- nel caso di un’emergenza.

[fonte: leggo.it]

GLI INSEGNANTI, I MENO PAGATI DI TUTTI I DIPENDENTI PUBBLICI


Riporto per intero un articolo apparso sul sito di Tuttoscuola.com:

L’annuale Budget dello Stato che il dipartimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze pubblica a fine anno conferma anche per il 2011 la previsione che il personale della scuola sarà fanalino di coda nelle retribuzioni dei dipendenti pubblici, come era già successo per il 2010.

La media generale del costo annuo medio persona, che corrisponde sostanzialmente alla retribuzione media percepita, è di 42.511 euro per dipendente pubblico.

Il costo annuo medio persona per i dipendenti del ministero dell’istruzione è invece pari a 39.640 euro, ed il più basso in assoluto tra i dipendenti di tutti i comparti pubblici.

Stanno di gran lunga meglio degli insegnanti i dipendenti del ministero della salute per i quali il Budget 2011, confermando il dato 2010, prevede un costo annuo medio persona di 55.645 euro e anche quelli del ministero dell’ambiente con 55.193 euro oppure i dipendenti del ministero delle politiche agricole e alimentari con 55.127 euro. Per non parlare poi dei dipendenti del ministero della giustizia per i quali il Budget 2011 prevede un costo annuo medio persona pari a 54.141 che nel 2010 hanno avuto, comunque una previsione di 55.481.

Tra il top stipendiale dei dipendenti della sanità e quello degli insegnanti il Budget fa registrare una differenza di costo medio annuo persona di 16.005 euro, pari al 40% rispetto al costo medio dei docenti.

Il Budget consente anche di constatare che i costi complessivi per le retribuzioni nelle amministrazioni centrali dello Stato ammonteranno per il prossimo anno a 73,2 miliardi di euro, con un sensibile risparmio rispetto ai 77,4 miliardi indicati nel budget nel 2010 e ai 76,7 miliardi del 2009. Le politiche di contenimento della spesa pubblica del ministro Tremonti hanno indubbiamente avuto effetto.

C’è bisogno di aggiungere altro?
E adesso, per favore, non obiettate che gli insegnanti lavorano meno e hanno più vacanze. Nel tal caso, non garantisco che le mie risposte ai commenti siano pacate come sempre.

[l’immagine è tratta da questo sito]

VENI, VIDI … VISA: VENNI, VIDI … COMPRAI!

Ormai quasi in tutta Italia è iniziata la corsa ai saldi. A guardare i servizi dei vari Tg, con le code interminabili di fronte ai negozi, anche quelli “in”, mi parrebbe di dover dar ragione al nostro attuale governo e all’ “uomo dell’anno”, Mr Tremonti, secondo i quali la crisi sarebbe ormai un lontano ricordo. Però, quando poi mi fanno vedere i cortei di protesta dei lavoratori che rischiano di perdere il posto o quando sento le lamentele dei portavoce della Confesercenti secondo i quali i consumi sarebbero sempre in ribasso e più di 30mila (o 300mila?!?) esercizi commerciali hanno chiuso, è il caso di dire, bottega, allora non ci capisco più nulla. Cosa fare, quindi? Un giro in città per vedere la realtà con i miei occhi.

Detto, fatto. Da casa mia al centro cittadino ci sono più o meno due chilometri. Già passando dalla via principale, piuttosto trafficata, mi rendo conto che i pochi negozi rimasti – gli altri, infatti, hanno chiuso – sono pressoché vuoti. Allora mi convinco che in centro la situazione possa essere diversa. Ebbene, anche lì nessun assalto e molti esercizi stanno sì svendendo tutta la merce, ma non per i saldi, per “cessata attività”. In compenso stanno crescendo come funghi i bar; non i bar normali, quelli di una volta, bensì i bar per “giovani”, quelli che tengono le porte (generalmente porte-finestre che ricoprono l’intera facciata) spalancate e i tavolini all’aperto in tutte le stagioni, giusto per non far perdere il vizio ai fumatori, e soprattutto tengono la musica a tutto volume per la gioia dei passanti e del vicinato, se non proprio per quella degli avventori.
Io spesso mi chiedo: ma cos’avranno ‘sti giovani che mangiano e bevono a tutte le ore del giorno e della notte? Il verme solitario? E poi, non hanno null’altro da fare? Chessò, lavorare, studiare …

Percorsa tutta la via principale, mi addentro nel cuore cittadino, quello in cui, nel medioevo, era sorto il cosiddetto “mercato nuovo”. Anche qui, negozi semideserti ma la piazza risuona del vociare gioioso dei bimbi, abituali frequentatori del posto. Decido di farmi un giro in uno di quei grandi store di abbigliamento stranieri, generalmente affollato, se non altro perché d’inverno fa caldo e d’estate c’è l’aria condizionata. In effetti qualcuno c’è: si scalda un po’ e si asciuga dalla pioggia che cade fitta fitta. Ma alla cassa non c’è fila e nemmeno ai camerini di prova. Ricordo che, appena aperto il negozio, circa due anni fa, pagare la merce richiedeva mezzora e ai camerini c’erano almeno tre commesse che avevano come unico compito quello di contare i capi da provare e di consegnare al/alla cliente un gettone su cui era contrassegnato il numero corrispondente. Ora ai camerini c’è il libero accesso e trovare una commessa a cui chiedere qualcosa è un’impresa ardua. Immagino che anche lì qualcuna abbia perso il lavoro.

Faccio ancora un giro e un posto pieno di gente lo trovo: il tabacchino. Lì c’è la coda non per acquistare le sigarette, per fortuna, ma per comprare i biglietti dei gratta e vinci e per giocare al Superenalotto o al nuovissimo WinForLife. Evidentemente c’è chi spera di vincere qualcosa per poter poi acquistare la merce in saldo, sempre che l’eventuale vincita possa essere incassata prima che il periodo delle offerte finisca. Spes ultima dea.

Io non gioco mai – lo fa mio marito, senza vincere mai nulla! – e faccio gli acquisti che devo/voglio/posso fare pagando con la carta di credito. Chissà perché crea l’illusione di non spenderli affatto quei soldi, come se si trattasse di una tessera ricaricabile che si ricarica da sola. Un po’ come quando i miei figli, da piccoli, mi chiedevano di comprare qualche stupidaggine e rispondevo che non avevo soldi: replicavano che potevo sempre usare il bancomat. Hanno anticipato i tempi: oggi non c’è la pubblicità che ti dice che, se proprio non hai sogni irrealizzabili, “per il resto c’è Mastercard”?
Io, però, uso la Visa … Venni, vidi … comprai.

P. S. Il titolo del post si rifà alla scritta che compare su un simpatico magnete che tengo attaccato sul mio cassetto in sala insegnanti: una rivisitazione del celebre detto Veni, vidi, vici di Cesare.

GELMINI CHI?!?

gelmini-berlusconiA Striscia la notizia questa sera è stato trasmesso un divertente filmato che riguarda il ministro del MIUR, Mariastella Gelmini. Pare che non tutti i colleghi sappiano come si chiama: Tremonti la scambia per la Brambilla, Brunetta la chiama Bernini, per ben due volte, e il premier Berlusconi, nonostante il ministro sia seduta al suo fianco, chiede in giro: “Non c’è il ministro Gelmini?”.

Poveretta! Pare che gli unici a non scordare il suo nome siano gli studenti e gli insegnanti. Peccato, però, che capiti, molte volte, che al nome e cognome (quando non è storpiato in “Germini” o cose del genere) vengano appioppati epiteti poco gentili!