A COLLOQUIO CON I GENITORI

Stasera sono stanchissima, e non solo perché è sabato e ho alle spalle una settimana di lavoro. Oggi è stato un sabato speciale, uno di quelli che capitano una volta all’anno ma che gli insegnanti vorrebbero non capitassero mai: il sabato del ricevimento generale. In pratica, quel massacrante pomeriggio in cui tutti i docenti della scuola ricevono tutti i genitori, ovvero quelli che hanno voglia di passare il sabato pomeriggio nelle tristi aule scolastiche che, in assenza degli allievi, sono spoglie e inanimate. Al posto della scolaresca, due insegnanti per aula e, fuori dalla porta, una fila immensa di genitori in trepidazione che attendono e, di tanto in tanto, guardano sconsolati l’orologio facendo i calcoli: con una media di venti minuti di attesa e più o meno cinque minuti per colloquio, considerando anche i trasferimenti da un’aula all’altra e, spesso, da un piano all’altro quando non addirittura da un’ala all’altra dell’edificio, in tre ore non possono parlare con più di sette insegnanti. Ma in realtà non fila mai così liscio quindi se sono fortunati, riescono a parlare con cinque docenti, ma spesso il consiglio di classe è costituito da 8 o più insegnanti.

Alcuni genitori, però, sono molto organizzati: per prima cosa arrivano entrambi e si dividono le file, comunicando anche il minimo spostamento – probabilmente anche la sosta al gabinetto o alla macchinetta del caffè – via sms. Così l’unica musica udibile, al di fuori del vociare concitato che anima i corridoi della scuola, è il bip dei messaggi che, come si sa, oggi come oggi è assai vario quindi la melodia a volte può essere gradevole, altre volte inascoltabile, dipende dai bip che si sovrappongono nello stesso momento o che si susseguono nell’arco di qualche frazione di secondo.
I genitori più fortunati sono, però, quelli che non solo non hanno divorziato e quindi si recano assieme ai colloqui, ma hanno anche dei figli consenzienti, di età varia, che vengono parcheggiati davanti alle aule e fanno la fila al loro posto. Quest’ultimi si dividono in due categorie: quelli timidi che, non vedendo all’orizzonte il genitore di turno, fanno passare avanti gli altri parenti; quelli che non si arrendono mai e che per nessun motivo al mondo rinuncerebbero alla posizione così pazientemente conquistata, la pole position insomma, che telefonano, presumibilmente con chiamata a carico perché, per un motivo misterioso, le ricariche loro sono sempre a secco nonostante i soldi i genitori glieli diano, e urlano: “Dove sei? Tocca a te, muoviti!”.

Questo è quello che accade fuori dalla porta ma che conosco bene perché, riguardo ai colloqui con gli insegnanti, di esperienza ne ho anch’io, anche se trascinare mio marito non è mai stato facile e non ho la fortuna di avere dei figli disposti ad essere parcheggiati … senza pagare il ticket!
Nell’aula l’atmosfera è diversa: dentro si vivono quelle storie i cui protagonisti in fila nel corridoio ci sembrano personaggi in attesa di entrare in scena. Ogni genitore una storia, qualcuna lieta, altre tristi. Da me si aspettano parole di ammirazione per i rampolli meritevoli, o di conforto per chi sa di non aver speranza. Alcuni chiedono consigli, altri si sfogano perché con il figlio o la figlia non sanno più che fare. Io cerco di dare delle risposte ma, molto più spesso, faccio delle domande per scoprire che quei ragazzi che io conosco bene sono diversi da quelli descritti da chi li ha messi al mondo A volte, di fronte a madri e padri reticenti, mi azzardo ad esprimere la mia opinione sul carattere del figlio o della figlia, con estrema umiltà, ripetendo più volte “se non mi sbaglio”, con la consapevolezza che i figli spesso non li conosciamo semplicemente perché non li osserviamo. Mi sento soddisfatta quando i genitori, quasi con gli occhi lucidi a metà fra la gioia e la tristezza, mi dicono di sì, che è proprio così come l’ho descritto quel figlio. E allora che si fa? Allora insieme cerchiamo di trovare una soluzione. Sembra impossibile, ma accade. Accade in questa scuola di cui si parla tanto male, accade ai docenti denigrati e considerati incompetenti quando non addirittura fannulloni. Accade più spesso di quanto si possa supporre. Accade non solo a me, ovviamente, ma anche a tanti altri docenti di buona volontà e, soprattutto, quando si hanno di fronte genitori intelligenti che si fidano della persona che sta loro davanti. E io di fronte ad ogni piccola o grande storia mi sento partecipe e soddisfatta di poter dare il mio contributo, modesto, sì, ma per qualcuno prezioso quanto tutto l’oro del mondo. Perché io una cosa ho capito, in tanti anni d’insegnamento: noi pensiamo che i giovani siano sempre più soli, ma i più soli davvero sono i genitori.

Al ricevimento generale di solito arrivano i genitori, qualche volta assieme ai figli, ma molto raramente. Quasi mai vengono i figli senza i genitori, cioè gli allievi stessi. In quinta, poi, i ragazzi spesso si vergognano di mandare la madre o il padre al colloquio, qualche volta addirittura glielo proibiscono. Però, dico io, benedetti ragazzi, se non volete mandare i genitori, venite voi. Con qualcuno bisognerebbe pur parlare, o no?
Il mio appello è stato a lungo inascoltato ma oggi è accaduto un piccolo miracolo: è arrivato da solo, il mio allievo maggiorenne, sorridente e felice di prendere, per una volta, il posto di mamma e papà. È stato uno dei più bei colloqui in assoluto: abbiamo parlato di quello che ha fatto finora, di quello che avrebbe potuto fare, di quello che è ancora in tempo per fare. Mi ha esposto i suoi progetti per il futuro, palesando i suoi dubbi, dicendo che si sta già preparando per gli esami di ammissione all’università. Mi sono permessa di osservare che forse farebbe meglio a dedicarsi alla preparazione dell’esame di stato, ma mi sono sentita molto docente rompiscatole e un po’ me ne sono pentita. Ma lui, sempre senza perdere il suo sorriso, mi ha risposto che sta facendo anche quello e che sta pure pensando alla tesina, insomma con un po’ di organizzazione si riesce a fare tutto, no? E certo, lo dico spesso anch’io in classe. Che bello, almeno per una volta qualcuno mi ascolta. Quando se n’è andato non mi ha stretto la mano, quello lo fanno i genitori, mica ci stringiamo la mano fra noi. Eppure mi ha reso così felice quel colloquio, dopo due ore interminabili e la stanchezza che cominciava a farsi sentire, che l’avrei abbracciato. Figuriamoci l’imbarazzo! Abbracciare un docente sarebbe quasi compromettente, sarebbe quasi come dire che si è creata una complicità … eppure, è proprio la complicità che potrebbe rafforzare i rapporti fra allievi e insegnanti, potrebbe renderli meno aridi.

Quando ho di fronte un genitore ne studio la tipologia e lo inserisco nella categoria più appropriata. Ci sono quelli che, ignorando il significato della parola “colloquio”, cioè “parlare insieme”, parlano solo loro. D’altra parte, prendono alla lettera il modo di dire: “andare a parlare con i professori”. Mica vanno ad ascoltarli!
I timidi generalmente tengono gli occhi bassi, quasi provano un senso di vergogna perché il loro figlio o figlia non è un genio.
I frettolosi sono poco interessati a quello che dico ma continuano a guardare sconsolati l’elenco dei docenti con cui devono parlare e intimamente imprecano perché lo sanno già che non riusciranno a vederli tutti.
Ci sono poi gli orgogliosi, quelli che hanno dei pargoli bravissimi, mai un’insufficienza, mai una nota disciplinare; ragazzi che non solo sono studenti modello, ma non hanno mai avuto bisogno del controllo dei genitori. Quando quest’ultimi mi dicono che non hanno mai aperto un quaderno dei loro figli, mai predicato per farli studiare, anzi devono spesso predicare per farli uscir di casa, che si limitano a firmare le comunicazioni e i voti – naturalmente ottimi – sul libretto … allora provo una sconfinata ammirazione e mi convinco che siano persone felici e che, in fondo, questa felicità se la meritino.
Un’altra categoria è quella degli ansiosi: non stanno fermi, continuano ad accavallare le gambe, dandomi involontariamente qualche calcio perché da una parte all’altra del banchetto lo spazio è esiguo, che si tormentano le mani, sfilandosi e rinfilandosi l’anello nuziale e stropicciano il foglio con l’elenco dei professori, tanto che alla fine delle tre ore sarà ridotto a brandelli; di fronte a questa tipologia di genitore non mi stupisco del fatto che il relativo figlio dia l’impressione di essere un condannato a morte ogni qualvolta debba affrontare una verifica scolastica.
Poi ci sono i precisini: ascoltano diligentemente e prendono appunti; mi aspetto che poi a casa facciano una relazione dettagliata al coniuge e che, ad ogni nuovo colloquio, prendano in considerazione il progresso o il regresso del figlio per poi agire di conseguenza con premi o punizioni.
Ma non dimentichiamo le coppie: quando arrivano entrambi i genitori dal modo in cui si siedono capisco già se a parlare di più sarà la madre o il padre. Qui devo fare una precisazione: normalmente dall’altra parte del banchetto c’è una sola sedia. Se ci sono entrambi i genitori, sarà la donna a prendere in mano la situazione nel momento in cui si siede lasciando in piedi il consorte. Ma se la signora, rivolgendosi gentilmente al marito, lo invita a prendere una sedia e ad accomodarsi vicino a lei, allora il padre avrà modo di esprimere il suo parere in percentuale quasi uguale rispetto alla madre. Difficilmente è l’uomo a sedersi per primo lasciando la moglie in piedi, quindi altrettanto difficile appare che la facoltà di parlare possa averla solo lui, una volta zittita la moglie.

Io sono fortunata perché, avendo solo due classi, difficilmente devo parlare con un centinaio di genitori. E poi io non riesco ad essere sbrigativa, nemmeno quando vedo la fila e sento dei mormorii là fuori, da cui comprendo che forse mi sto attardando troppo a parlare di un solo allievo. Quindi, sono doppiamente fortunata perché anche se parlo per tre ore ininterrottamente e alla fine sono comunque sfinita, riesco a dire tutto quello che ho da dire e ad ascoltare quello che le famiglie hanno piacere di comunicarmi. Ma oggi, per un momento, ho tremato: quando mancavano quindici minuti al termine stabilito, si è affacciata alla porta, quasi timidamente, una mamma che, ai colloqui mattutini, riesce a tenermi inchiodata per un’ora intera nel caso sfortunato che sia l’unica ad avere l’appuntamento per quel giorno. Nel vederla procedere verso il “mio” banchetto, ho sfoderato un sorriso che malcelava la stanchezza e metteva in tutta evidenza le borse che mi si sono nel frattempo formate sotto gli occhi.
Abbiamo iniziato a parlare, come sempre, sottolineando la svogliatezza del figlio e la sua incapacità di prendere una decisione: mettersi a studiare seriamente, cambiare scuola, trasferirsi in un’altra sezione senza sperimentazioni … Sembrava un colloquio come tanti altri e siccome precedentemente avevo messo in evidenza gli aspetti negativi del percorso scolastico del ragazzo, mi sono prodigata nel lodare la maggior socievolezza acquisita, il miglioramento dei rapporti con i compagni e gli insegnanti, specie considerando che negli anni passati c’erano stati dei problemi. La signora mi ascoltava e mentre parlavo riuscivo ad intravedere un velo di tristezza nello sguardo, il sorriso si era spento e una muta invocazione d’aiuto era uscita dalla bocca semiaperta, quasi fissa in una smorfia di dolore. Allora ho capito che dovevo ascoltare e basta. Così ho fatto e ho continuato a fare anche quando il suono della campanella ha segnalato la fine del tempo concesso ai colloqui, incurante della bidella che già si affrettava a togliere il cartellino con il mio nome affisso sulla porta dell’aula.
Quella donna che sedeva di fronte a me aveva smesso di essere una madre, mi stava aprendo il suo cuore costringendomi a rinunciare, per una volta, ad essere una professoressa. Frammenti di vita e di dolore si sono rovesciati su di me, una vita e un dolore non miei ma che mi costringevano a dimenticare i miei problemi e i miei guai. Più volte quella madre si è fermata, nella sua narrazione convulsa e quasi disorganizzata, per chiedermi scusa di questo sfogo, per dirmi che lei capisce subito quando una persona sa ascoltare e capire, che quella persona ero io. Lei non voleva risposte che non potevo dare, ma mi ha ritenuto ugualmente degna di raccogliere una confessione che ad un docente qualsiasi non avrebbe mai affidato. Quando il colloquio è finito, me ne sono andata sentendo sul mio corpo un’infinita stanchezza ma percependo una certa leggerezza nell’anima, come poche volte mi accade.

Il pomeriggio dedicato ai genitori era finito; facendo un riepilogo, avevo dato tanto e ricevuto altrettanto. Ma gli ultimi venti minuti mi avevano dato di più: la consapevolezza che quelle parole che a volte sembrano vuote, sempre uguali perché i problemi sono sempre gli stessi, quelle poche parole che ero riuscita a trovare per sollevare quella mamma affranta, erano le uniche che mi erano uscite davvero dal cuore.
Fuori di scuola un raggio di sole ha squarciato le nuvole. Dopo tanta pioggia, un po’ di sole per scaldarci e consolarci. Un pomeriggio non è trascorso invano.

11 pensieri riguardo “A COLLOQUIO CON I GENITORI

  1. Salve Marisa,

    sono una docente di lettere come lei, e volevo farle i complimenti per la qualità e varietà dei suoi contributi.
    Come fare per mettersi in contatto con lei per scambiarsi qualche esperienza e materiale didattico?
    Le lascio la mia mail, grazie,

    Annamaria

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  2. Cara Annamaria,

    La ringrazio per l’apprezzamento … ci voleva proprio! Dato che ultimamente mi sono dovuta difendere da diversi “attacchi”, opera di “gentili” commentatori, le Sue parole mi rincuorano. Vuol dire che fra colleghi ci s’intende. Salvo la Sua E-mail e mi farò sentire quanto prima … ora torno alla correzione dei compiti di quinta, ahimè. Non c’è nulla di più triste che stare chiusi in casa a cercare di decifrare scritture a volte illeggibili mentre fuori splende il sole!

    A presto. 😀

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  3. Oggi 23 aprile, colloqui all’istituto Alberti Cagliari.
    Sono un genitore, la mia figliola frequenta la prima classe tra alti e bassi ma mi sa che sono più i bassi che gli alti, un età difficile …
    Lascio l’ufficio alle due e arrivo in istituto, ci sono già una quarantina di persone e una di queste ha un foglio dove scrive chi arriva …. Ma… mi tocca scrivermi anche io nella lista, però è troppo presto, i colloqui iniziano alle 15.30 … che fare?? Vado in macchina e mi riposo un pò.
    Si fanno le 15,15, è ora !!! Mi dirigo spedito, arrivo e che vedo? Tutti dentro, file chilometriche, ma non ci sono problemi io ero nella lista .
    MA QUALE LISTAAAAAAA !!!! inconsapevole del fatto che la lista è solo uno strumento provvisorio, insignificante, privo di qualsiasi valore…. Dovevo prendere il numero all’apertura come al supermercato per il bancone dei salumi e formaggi, da ipotetico quarantesimo sarei stato il sicuro duecentesimo… entro adesso alle 15.30 e forse alle 19 sarò ancora li ?….
    Non ci riesco per carattere, non ci riesco proprio … guardo il bidello e lo mando educatamente a quel paese… me ne torno a casa…. Non ne ho proprio voglia.
    Il giorno dei colloqui, se per voi professori è una giornata stressante per me è una giornata inutile. Con i professori di mia figlia ci parlerò negli appuntamenti settimanali… quando riesco ad organizzarmi e lo farò anche questa volta.
    Però che sistema assurdo di organizzazione dei colloqui…. Uno prende un numero e poi quel numero lo usa per tutti i professori e succedono delle cose assurde… un esempio:
    Gli scorsi colloqui ero il numero 223… ero in fila per parlare con la professoressa di Italiano e davanti a me cerano 3 persone … poi è arrivata una signora con il numero 167 e io sono diventato il 4^ … nel mentre la fila diminuiva ma ne arrivava sempre un altro con un numero più basso del mio e io sempre ultimo restavo, quindi, il mio “numero da supermercato” non valeva solo per il banco dei salumi ma anche per quello del pesce, della frutta, del pane, ….
    Morale della favola sono rientrato a casa tardissimo, stanchissimo e ….
    Leggere le sue riflessioni è stato un vero piacere in questa giornata da dimenticare… io so che ci sono persone come lei e questo mi rincuora…
    Un saluto
    Roberto A.

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  4. Caro Roberto,

    leggere il resoconto del Suo “inutile pomeriggio perso”, considerando anche il fatto che Lei ci ha messo tutta la più buona volontà per assolvere un compito che il nostro ministro così caldamente promuove, quello dei rapporti scuola famiglia, mi ha amareggiata. Penso che i genitori che fanno i salti mortali per recarsi ai colloqui con gli insegnanti, che lasciano i bimbi piccoli con la baby sitter o li portano al volo dai nonni (se sono fortunati), che prendono ore di permesso o lasciano l’ufficio in balia dei dipendenti, chiudono il negozio mettendo in bella mostra il cartello “torno subito” pur sapendo che fino all’ora di chiusura non rientreranno, meritino più rispetto.
    L’organizzazione dei colloqui dipende dalle scuole e in quest’ambito ci sono molte carenze. I tentativi, però, non mancano: in alcuni casi i docenti, nei giorni precedenti, prendono appuntamento tramite gli allievi indicando il numero e l’ora; ma in questo caso, nessuno può essere sicuro che gli orari si rispettino e può capitare che, mentre si fa la fila da una parte, si perde il posto prenotato dall’altra. Predisporre una lista di prenotazione è un altro strumento ma il rischio non cambia. Pensare di fare la fila davanti ad un’aula, in attesa di parlare con il docente, con il numeretto in mano come di fronte al banco salumi del supermercato è molto avvilente. Ma anche in alcuni ambulatori medici ci sono i ticket, solo che il medico è uno, quindi si attende solo una persona, al massimo, nel frattempo, si va a bere un caffè al bar più vicino.
    Insomma, le code bisogna farle ma, come ho scritto nel post, spesso non si riesce a parlare con tutti. Nella mia scuola tutto si svolge civilmente, al massimo si sente gente sospirare o sbuffare, ma da genitore ho assistito a liti furibonde perché per alcuni non era ammissibile fare la fila contemporaneamente per parlare con due docenti che ricevevano in aule attigue. Mi sono sempre rassegnata a mettermi in coda due volte, anche se mi sembrava una cosa da pazzi. Un po’ di tolleranza ci vuole ma trattare con i genitori a volte è più difficile che trattare con i ragazzi.
    Io personalmente organizzerei due pomeriggi diversi in cui poter parlare solo con alcuni docenti, evitando, per esempio, il ricevimento contemporaneo di docenti che hanno molte classi. È evidente che se un insegnante ha cinque classi, come quello di lingue, o addirittura nove come quello di scienze, è impossibile che si riesca a parlare con tutti e due nello stesso pomeriggio.
    Si rassegni a recarsi ai colloqui mattutini … mi pare l’unica soluzione!

    Grazie per le belle parole che mi ha rivolto alla fine del commento … anch’io so che ci sono tanti genitori che, anche se ce la mettono tutta, non riescono a parlarmi. Ma molti colleghi pensano che semplicemente non si occupino dei figli.

    Saluti. anche a Lei 😀

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  5. Cara Marisa
    bellissimo racconto, condivisibile, commovente, realistico. Hai dimenticato, però, o forse li incontro solo io, i genitori i cui figli sono bravi, perfetti, educati, i cui risultati , secondo i genitori, non sono adeguatamente valutati e considerati, poichè noi docenti non capiamo nulla di loro, o non conosciamo sufficientemente la materia o non la sappiamo spiegare, eccetera eccetera.
    Sei sempre molto diplomatica e controllata, ti ammiro per questo. Io non sempre ci riesco, di fronte all’arroganza ed alla presunzione di qualche (pochissimi, per fortuna) allievo.
    un caro e dolce saluto

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  6. Cara Cristiana,

    la diplomazia è una dote da cui mi sono tenuta alla larga per molto tempo; poi, però, ho capito che se hai a che fare con il “pubblico”, non puoi non essere diplomatica. Ma se devo difendermi dagli attacchi, ti assicuro che il controllo a volte rischio di perderlo. Per fortuna capita poche volte. Forse sono solo fortunata.

    Un bacio. Marisa

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  7. Salve, sono arrivata qui perchè stavo scrivendo un post proprio sui colloqui professori-genitori e facendo una ricerca ho trovato questo suo molto interessante.
    Da genitore ho spesso il dubbio che questi colloqui non servano granchè perchè raramente si svolgono come ha descritto lei. Ho un figlio in terza liceo e uno in terza media. Di colloqui che mi hanno fatto capire un po’ di più dei miei figli ne potrei citare non più di 3 o 4. In genere si limitano a dirmi i voti (che so già) e a farmi le lamentele del loro comportamento in classe (si distrae, chiacchiera, ha un atteggiamento indisponente, ecc.) e mai mi è stato chiesto qualcosa in più sui miei figli.
    Capisco anche che, soprattutto, per gli insegnanti che hanno tante classi non è possibile nemmeno conoscere abbastanza a fondo i propri alunni per poter dire qualcosa di più interessante.
    Se le fa piacere lasciarmi il suo parere qui è il mio post:

    Saluti,
    Artemisia

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  8. @ Artemisia

    Ho fatto un salto sul Suo blog e ho letto il post. Sono d’accordo su ciò che scrive e ha ragione a dire che, anche se ci si avvilisce, a volte, e ci si stressa a fare le file interminabili, andare ai colloqui almeno una volta per quadrimestre è doveroso. Solo così i docenti possono avere la certezza che i genitori si occupino e preoccupino dei figli.
    Se Le pare che qualche insegnante sia troppo sbrigativo, non se ne faccia un cruccio: la maggior parte delle volte accade perché va tutto bene. Per esperienza Le dico che quei genitori che si trattengono venti minuti hanno dei figli con qualche problema. Talvolta, però, capita che siano proprio quei genitori ad avere qualche problema … 🙂

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